What's next #S02E00: Alice in the box

Episodio pilota della nuova serie di What’s next dedicato alla teoria delle stringhe.Episodio pilota della nuova serie di What’s next dedicato alla teoria delle stringhe.Episodio pilota della nuova serie di What’s next dedicato alla teoria delle stringhe.

Ci sono spazi che non sono luoghi e luoghi che non hanno tempo.
Posti stregati dall’incantesimo dell’eterno presente. Quando li attraversi, dopo pochi passi, hai subito la strana sensazione di essere il primo a farlo. Se riesci a non fare troppo caso a quelle scritte sui muri – a cui presto non presterai comunque più attenzione – puoi persino arrivare a pensare che quel luogo sia lì solo per te. Per te e per le persone che condividono il tuo stesso percorso nel medesimo tempo. Dopo forse scompare. O forse no. Poco importa. Qualunque cosa accada dopo, tu e la tua rete sociale comportamentale – quella dove gli Amici non li hai scelti e/o aggiunti come nella rubrica del telefono, ma piuttosto trovati un po’ per caso mentre condividevate un’esperienza – sarete fuori da lì.
Sembra che accada prima di quanto non accada in realtà. Questi luoghi alterano le percezioni. Poi ognuno prende la sua strada. Rimane l’esperienza condivisa, qualche foto. Nel tempo affiorano dubbi sulla sorte di quei posacenere ricavati dai barattoloni di tonno. A volte viene voglia di tornare indietro a controllare che tutto sia come prima, ma il timore che non sia così fa desistere.
Strano. Mentre eri lì, vittima dell’incantesimo, non ti era mai interessato molto né dei posacenere, né di tutto ciò che li conteneva.
Ma gli incantesimi generano a volte illusioni imperfette. Di quelle che consentono talvolta di vedere il codice che genera la matrice. Di percepire il tempo dello spazio. E tu vuoi la pillola rossa o quella blu? La rossa, se vuoi, la trovi a http://bit.ly/9F4AsC.
[extended version dell’articolo che potete leggere sulla prossima edizione della rivista Open House]
[Photo originally uploaded on September 7, 2007 by paul goyette]
[Disclamier: questo è solo un pilot. Non è detto che venga veramente girata o mandata mai in onda l’intera serie]

Ci sono spazi che non sono luoghi e luoghi che non hanno tempo.

Posti stregati dall’incantesimo dell’eterno presente. Quando li attraversi, dopo pochi passi, hai subito la strana sensazione di essere il primo a farlo. Se riesci a non fare troppo caso a quelle scritte sui muri – a cui presto non presterai comunque più attenzione – puoi persino arrivare a pensare che quel luogo sia lì solo per te. Per te e per le persone che condividono il tuo stesso percorso nel medesimo tempo. Dopo forse scompare. O forse no. Poco importa. Qualunque cosa accada dopo, tu e la tua rete sociale comportamentale – quella dove gli Amici non li hai scelti e/o aggiunti come nella rubrica del telefono, ma piuttosto trovati un po’ per caso mentre condividevate un’esperienza – sarete fuori da lì.

Sembra che accada prima di quanto non accada in realtà. Questi luoghi alterano le percezioni. Poi ognuno prende la sua strada. Rimane l’esperienza condivisa, qualche foto. Nel tempo affiorano dubbi sulla sorte di quei posacenere ricavati dai barattoloni di tonno. A volte viene voglia di tornare indietro a controllare che tutto sia come prima, ma il timore che non sia così fa desistere.

Strano. Mentre eri lì, vittima dell’incantesimo, non ti era mai interessato molto né dei posacenere, né di tutto ciò che li conteneva.

Ma gli incantesimi generano a volte illusioni imperfette. Di quelle che consentono talvolta di vedere il codice che genera la matrice. Di percepire il tempo dello spazio. E tu vuoi la pillola rossa o quella blu? La rossa, se vuoi, la trovi a http://bit.ly/9F4AsC.

[extended version dell’articolo che potete leggere sulla prossima edizione della rivista Open House]

[Photo originally uploaded on September 7, 2007 by paul goyette]

[Disclamier: questo è solo un pilot. Non è detto che venga veramente girata o mandata mai in onda l’intera serie]

Ci sono spazi che non sono luoghi e luoghi che non hanno tempo.

Posti stregati dall’incantesimo dell’eterno presente. Quando li attraversi, dopo pochi passi, hai subito la strana sensazione di essere il primo a farlo. Se riesci a non fare troppo caso a quelle scritte sui muri – a cui presto non presterai comunque più attenzione – puoi persino arrivare a pensare che quel luogo sia lì solo per te. Per te e per le persone che condividono il tuo stesso percorso nel medesimo tempo. Dopo forse scompare. O forse no. Poco importa. Qualunque cosa accada dopo, tu e la tua rete sociale comportamentale – quella dove gli Amici non li hai scelti e/o aggiunti come nella rubrica del telefono, ma piuttosto trovati un po’ per caso mentre condividevate un’esperienza – sarete fuori da lì.

Sembra che accada prima di quanto non accada in realtà. Questi luoghi alterano le percezioni. Poi ognuno prende la sua strada. Rimane l’esperienza condivisa, qualche foto. Nel tempo affiorano dubbi sulla sorte di quei posacenere ricavati dai barattoloni di tonno. A volte viene voglia di tornare indietro a controllare che tutto sia come prima, ma il timore che non sia così fa desistere.

Strano. Mentre eri lì, vittima dell’incantesimo, non ti era mai interessato molto né dei posacenere, né di tutto ciò che li conteneva.

Ma gli incantesimi generano a volte illusioni imperfette. Di quelle che consentono talvolta di vedere il codice che genera la matrice. Di percepire il tempo dello spazio. E tu vuoi la pillola rossa o quella blu? La rossa, se vuoi, la trovi a http://bit.ly/9F4AsC.

[extended version dell’articolo che potete leggere sulla prossima edizione della rivista Open House]

[Photo originally uploaded on September 7, 2007 by paul goyette]

[Disclamier: questo è solo un pilot. Non è detto che venga veramente girata o mandata mai in onda l’intera serie]

What's next special issue: "Taken Out of Context: American Teen Sociality in Networked Publics"

Ultimo numero speciale di What’s Next dedicato a presentare e discutere “Taken Out of Context: American Teen Sociality in Networked Publics” l’ultimo lavoro di danah boyd.Ultimo numero speciale di What’s Next dedicato a presentare e discutere “Taken Out of Context: American Teen Sociality in Networked Publics” l’ultimo lavoro di danah boyd.Ultimo numero speciale di What’s Next dedicato a presentare e discutere “Taken Out of Context: American Teen Sociality in Networked Publics” l’ultimo lavoro di danah boyd.

Come promesso in dicembre, danah boyd ha pubblicato la sua tesi di dottorato sul suo blog.
Si tratta, come noto, di uno studio etnografico sull’uso che i teenager americani fanno dei siti di social network come MySpace e Facebook. Il documento si compone di poco più di 300 pagine ed è articolato in sette capitoli che definiscono in modo chiaro la struttura del lavoro descritta nel primo capitolo.
Oltre a presentare la struttura del lavoro, questo capitolo introduce anche i principali riferimenti teorici, definisce cosa si intende per giovani nel contesto del lavoro e cosa si intende per pubblici di rete (networked publics).
Dal punto di vista del rapporto fra evoluzione della società e delle tecnologie il lavoro si ispira ad un approccio di tipo Social Construction of Technology. Questo approccio enumera una serie di principi (Relevant social groups, Problems and Conflicts, Interpretive Flexibility, Design Flexibility, Closure adn Stabilization) che ruotano intorno all’idea che il rapporto fra società e tecnologia sia di tipo co-evolutivo ed al conseguente netto rifiuto di ogni prospettiva di determinismo tecnologico. Si tratta di approccio in qualche modo ecologico allo studio del rapporto società/tecnologie che consente di dare conto
Non c’è una vera e propria definizione della categoria di giovani e non c’è una chiara coorte di età individuata teoricamente (anche se dal punto di vista operativo l’autore ha scelto di concentrarsi sulla fascia 13-18 anni). La categoria dei giovani non è definita sulla base dello sviluppo biologico ma piuttosto come costruzione sociale.
Il cuore del lavoro consiste nell’analisi approfondita di tre set di relazioni, nella definizione di pubblici di rete, delle tecniche proprietà che caratterizzano questo spazio e delle dinamiche sociali che emergono. Questa parte contiene alcune interessanti novità rispetto a quanto era stato possibile leggere fino a questo momento negli articoli e sul blog dell’autore.
Neworked Publics è definito in modo duplice a partire dalla generica ed in un certo senso auto-referenziale definizione di “publics that are restructured by network technologies”.
Networked Publics è al tempo stesso un luogo ed un gruppo di individui.
1) è lo spazio costruito dalle tecnologie di rete (“MySpace is like a park”);
2) ed è la comunità immaginata che emerge come risultato delle intersezioni fra le persone, le tecnologie e le pratiche.
La definizione è giocata sull’ambiguità del termine pubblico che può essere usato per definire il tipo di accesso ad uno spazio (public access) o un gruppo di persone che sono testimoni di un evento (public as audience).
[Qui sarebbe interessante capire perché non siano state distinte le due definizioni usando ad esempio “networked space” per la prima]
Lo spazio pubblico di rete è caratterizzato da quattro proprietà tecniche (descritte nel paragrafo 1.5.1.) che non sono nuove nel panorama dei media ma interagiscono in modo inedito.
Le quattro proprietà sono:

  1. persistence
  2. searchability
  3. replicability
  4. scalability

Alcune sono già note e ne ho abbondantemente parlato nelle edizioni precedenti di What’s Next.
A differenza di quanto scritto fino ad ora, l’autore ha sostituito le invidible audiences con la scalability. La scalabilità è definita come la possibilità ma non la garanzia di una enorme visibilità per i contenuti esposti ai pubblici di rete. Questa proprietà consente all’autore di introdurre un riferimento ai pubblici di nicchia ed alla lunga coda. Interessante in questo contesto la precisazione che riguarda la natura dei contenuti che scalano. Contrariamente a quanto si era sperato i contenuti che raggiungono la massima visibilità sono spesso gli stessi che Habermas critica nei suoi lavori in relazione alle audience della comunicazione broadcast.
L’intrecciarsi di queste quattro proprietà tecniche danno origine ad un set di tre dinamiche:

  1. invisible audiences;
  2. collapsed contexts (Meyrowitz);
  3. blurring of public and private.


Il capitolo due descrive invece nel dettaglio e nel contesto degli studi precedenti l’approccio etnografico adottato.
Interessante in questo contesto la critica a Sherry Turkle considerata, forse non a torto, come l’iniziatrice di un filone di pensiero che mette in guardia verso il rischio della frammentazione dell’identità collegato alla comunicazione mediata dal computer. Le conclusioni di danah boyd puntano invece in una direzione sottolineando che le relazioni sociali che si intrattengono online sono il più delle volte una naturale prosecuzione di quelle esistenti fuori dalla rete.
I dati analizzati sono di due tipi: interviste a singoli o coppie (in totale coinvolti 94 teeanagers di 10 Stati) ed informazioni contenute nei profili (layout, foto, descrizioni di sè, etc.) e sono analizzati secondo tre direttrici (set di relazioni) ciascuna approfondite in un capitolo dedicato basato su riferimenti teorici diversi:

  1. self and identity [chapter 4] Goffman impression management;
  2. peer sociality [chapter 5] – Eckert social categories 1989 e Milner status rituals 2004;
  3. parents and adults (power relations) [chapter 6] – Valentine 2004 children access to public spaces.

L’ultimo capitolo è dedicato alle conclusioni personali dell’autore e si articola su tre paragrafi: Lessons from the Everyday Lives of Teens, The Significance of Publics e The Future of Networked Publics. In questi tre paragrafi sono riprese e sviluppate brevemente alcune delle conclusioni che permeano tutto il lavoro e vengono forniti alcuni spunti nuovi.
In Everyday Lives of Teen l’autore mette in luce come le pratiche di costruzione dell’identità e di relazioni fra pari che hanno luogo nei siti di social network non sono di certo una novità e si innestano su dinamiche pre-esistenti. Al tempo stesso lo spazio di rete con le sue proprietà e dinamiche rende esplicite e visibili alcune proprietà delle relazione che erano prima esplicite. Questo innesca “drammi sociali” che pur essendo tipici di quella fascia d’età assumono a volte dei contorni ancora più spigolosi.
Non esiste una particolare attrazione dei giovani verso i social media, è invece il fatto che in questi luoghi si possano incontrare i propri amici che li rendono interessanti. Quando richiesto la maggior parte degli intervistati dichiara di preferire le relazioni di persona a quelle mediate e considerano in genere questa forma di comunicazione come una alternativa da praticare quando gli incontri di persona non sono possibili.
I giovani non sembrano avere una innata capacità che gli consenta di comprendere come navigare i social media e le dinamiche che ne risultano ma stanno imparando a farlo mentre imparano, al tempo stesso, come muoversi nella vista sociale in senso lato. Questo differenzia i giovani dagli adulti che devono invece re-imparare come comportarsi negli spazi di rete.
L’attività svolta dentro i siti di social network è dunque in senso lato formativa a dispetto di quanto invece sia considerata una perdita di tempo da parte dei genitori e degli adulti in generale. Il desiderio dei giovani di sperimentare la socialità fra pari in assenza degli adulti (bedroom culture) è spesso causa di conflitto intergenerazionale. Talvolta questo conflitto sfocia nella demonizzazione tout court di questi spazi spesso descritti dai media come pericolosi. Il ruolo degli adulti sarebbe invece quello di affrontare questi temi ed aiutare i giovani a prendere decisioni che consentano loro di usare questi spazi in chiave positiva.
Nel paragrafo The Significance of Publics, l’autore riprende il tema della partecipazione dei teenagers agli spazi pubblici. Secondo danah boyd queste possibilità di partecipazione sono fortemente ristrette dagli adulti. Gli spazi pubblici (di rete o meno), intesi come contesti dove i giovani possono incontrarsi fra loro ma anche incontrare altri adulti, svolgono tuttavia un ruolo importante come completamento alla socializzazione fra pari. Escludere i giovani da questi spazi non è dunque una buona strategia perché limita gli strumenti che questi ragazzi avranno a disposizione nella transizione al mondo degli adulti e può risultare in una generazione isolata dalla vita politica e dall’impegno sociale.
Infine nel paragrafo intitolato The Future of Networked Publics viene introdotta la tematica del mobile.  L’accesso al pubblico mediato di rete attraverso dispositivi mobili come i cellulari di nuova generazione (reso possibili dalle reti senza fili e le connettività dati a tariffa flat) introduce una nuova proprietà tecnica che danah boyd chiama (dis)locability. Si tratta della proprietà che rende le conversazioni simultaneamente indipendenti dalla posizione fisica ma più profondamente connesse ad essa attraverso le tecnologie locative come il GPS.
Venendo alle mie considerazioni personali devo ammettere che le aspettative verso questo lavoro non sono andate deluse. Si tratta di uno studio che ha dietro una struttura solida e presenta un frame work interpretativo delle trasformazioni dello spazio pubblico che potrà, come suggerisce l’autore, essere utilizzato anche quando interverranno inevitabilmente altre modificazioni legate o meno all’avvento di nuove tecnologie.
Al tempo stesso devo ammettere che per chi ha familiarità con il pensiero di danah boyd questo lavoro non presenta grandi novità. L’impostazione iniziale a difesa delle libertà dei teenager nei confronti del mondo degli adulti è sempre fortemente presente e pervade tutto il lavoro. La definizione di networked publics lascia secondo me aperta una contraddizione (fra pubblico come spazio e come audience) che poteva essere facilmente sanata utilizzando due termini diversi per descrivere due cose che sono oggettivamente diverse. Mi piace invece la distinzione fra proprietà tecniche e dinamiche perché offre una collocazione più consona all’idea del pubblico invisibile. Sembra tuttavia che i nuovi elementi introdotti (scalability fra le proprietà , collapsed context e blurring public/private fra le dinamiche) non sono sempre approfonditi con lo stesso dettaglio degli elementi che già l’autore aveva introdotto da tempo.
Per il resto è un lavoro che vale sicuramente la lettura e che non potrà che migliorare grazie all’enorme feedback che di certo riceverà.

Come promesso in dicembre, danah boyd ha pubblicato la sua tesi di dottorato sul suo blog.

Si tratta, come noto, di uno studio etnografico sull’uso che i teenager americani fanno dei siti di social network come MySpace e Facebook. Il documento si compone di poco più di 300 pagine ed è articolato in sette capitoli che definiscono in modo chiaro la struttura del lavoro descritta nel primo capitolo.

Oltre a presentare la struttura del lavoro, questo capitolo introduce anche i principali riferimenti teorici, definisce cosa si intende per giovani nel contesto del lavoro e cosa si intende per pubblici di rete (networked publics).

Dal punto di vista del rapporto fra evoluzione della società e delle tecnologie il lavoro si ispira ad un approccio di tipo Social Construction of Technology. Questo approccio enumera una serie di principi (Relevant social groups, Problems and Conflicts, Interpretive Flexibility, Design Flexibility, Closure adn Stabilization) che ruotano intorno all’idea che il rapporto fra società e tecnologia sia di tipo co-evolutivo ed al conseguente netto rifiuto di ogni prospettiva di determinismo tecnologico. Si tratta di approccio in qualche modo ecologico allo studio del rapporto società/tecnologie che consente di dare conto

Non c’è una vera e propria definizione della categoria di giovani e non c’è una chiara coorte di età individuata teoricamente (anche se dal punto di vista operativo l’autore ha scelto di concentrarsi sulla fascia 13-18 anni). La categoria dei giovani non è definita sulla base dello sviluppo biologico ma piuttosto come costruzione sociale.

Il cuore del lavoro consiste nell’analisi approfondita di tre set di relazioni, nella definizione di pubblici di rete, delle tecniche proprietà che caratterizzano questo spazio e delle dinamiche sociali che emergono. Questa parte contiene alcune interessanti novità rispetto a quanto era stato possibile leggere fino a questo momento negli articoli e sul blog dell’autore.

Neworked Publics è definito in modo duplice a partire dalla generica ed in un certo senso auto-referenziale definizione di “publics that are restructured by network technologies”.

Networked Publics è al tempo stesso un luogo ed un gruppo di individui.

1) è lo spazio costruito dalle tecnologie di rete (“MySpace is like a park”);
2) ed è la comunità immaginata che emerge come risultato delle intersezioni fra le persone, le tecnologie e le pratiche.

La definizione è giocata sull’ambiguità del termine pubblico che può essere usato per definire il tipo di accesso ad uno spazio (public access) o un gruppo di persone che sono testimoni di un evento (public as audience).

[Qui sarebbe interessante capire perché non siano state distinte le due definizioni usando ad esempio “networked space” per la prima]

Lo spazio pubblico di rete è caratterizzato da quattro proprietà tecniche (descritte nel paragrafo 1.5.1.) che non sono nuove nel panorama dei media ma interagiscono in modo inedito.

Le quattro proprietà sono:

  1. persistence
  2. searchability
  3. replicability
  4. scalability

Alcune sono già note e ne ho abbondantemente parlato nelle edizioni precedenti di What’s Next.

A differenza di quanto scritto fino ad ora, l’autore ha sostituito le invidible audiences con la scalability. La scalabilità è definita come la possibilità ma non la garanzia di una enorme visibilità per i contenuti esposti ai pubblici di rete. Questa proprietà consente all’autore di introdurre un riferimento ai pubblici di nicchia ed alla lunga coda. Interessante in questo contesto la precisazione che riguarda la natura dei contenuti che scalano. Contrariamente a quanto si era sperato i contenuti che raggiungono la massima visibilità sono spesso gli stessi che Habermas critica nei suoi lavori in relazione alle audience della comunicazione broadcast.

L’intrecciarsi di queste quattro proprietà tecniche danno origine ad un set di tre dinamiche:

  1. invisible audiences;
  2. collapsed contexts (Meyrowitz);
  3. blurring of public and private.

Il capitolo due descrive invece nel dettaglio e nel contesto degli studi precedenti l’approccio etnografico adottato.

Interessante in questo contesto la critica a Sherry Turkle considerata, forse non a torto, come l’iniziatrice di un filone di pensiero che mette in guardia verso il rischio della frammentazione dell’identità collegato alla comunicazione mediata dal computer. Le conclusioni di danah boyd puntano invece in una direzione sottolineando che le relazioni sociali che si intrattengono online sono il più delle volte una naturale prosecuzione di quelle esistenti fuori dalla rete.

I dati analizzati sono di due tipi: interviste a singoli o coppie (in totale coinvolti 94 teeanagers di 10 Stati) ed informazioni contenute nei profili (layout, foto, descrizioni di sè, etc.) e sono analizzati secondo tre direttrici (set di relazioni) ciascuna approfondite in un capitolo dedicato basato su riferimenti teorici diversi:

  1. self and identity [chapter 4] Goffman impression management;
  2. peer sociality [chapter 5] – Eckert social categories 1989 e Milner status rituals 2004;
  3. parents and adults (power relations) [chapter 6] – Valentine 2004 children access to public spaces.

L’ultimo capitolo è dedicato alle conclusioni personali dell’autore e si articola su tre paragrafi: Lessons from the Everyday Lives of Teens, The Significance of Publics e The Future of Networked Publics. In questi tre paragrafi sono riprese e sviluppate brevemente alcune delle conclusioni che permeano tutto il lavoro e vengono forniti alcuni spunti nuovi.

In Everyday Lives of Teen l’autore mette in luce come le pratiche di costruzione dell’identità e di relazioni fra pari che hanno luogo nei siti di social network non sono di certo una novità e si innestano su dinamiche pre-esistenti. Al tempo stesso lo spazio di rete con le sue proprietà e dinamiche rende esplicite e visibili alcune proprietà delle relazione che erano prima esplicite. Questo innesca “drammi sociali” che pur essendo tipici di quella fascia d’età assumono a volte dei contorni ancora più spigolosi.

Non esiste una particolare attrazione dei giovani verso i social media, è invece il fatto che in questi luoghi si possano incontrare i propri amici che li rendono interessanti. Quando richiesto la maggior parte degli intervistati dichiara di preferire le relazioni di persona a quelle mediate e considerano in genere questa forma di comunicazione come una alternativa da praticare quando gli incontri di persona non sono possibili.

I giovani non sembrano avere una innata capacità che gli consenta di comprendere come navigare i social media e le dinamiche che ne risultano ma stanno imparando a farlo mentre imparano, al tempo stesso, come muoversi nella vista sociale in senso lato. Questo differenzia i giovani dagli adulti che devono invece re-imparare come comportarsi negli spazi di rete.

L’attività svolta dentro i siti di social network è dunque in senso lato formativa a dispetto di quanto invece sia considerata una perdita di tempo da parte dei genitori e degli adulti in generale. Il desiderio dei giovani di sperimentare la socialità fra pari in assenza degli adulti (bedroom culture) è spesso causa di conflitto intergenerazionale. Talvolta questo conflitto sfocia nella demonizzazione tout court di questi spazi spesso descritti dai media come pericolosi. Il ruolo degli adulti sarebbe invece quello di affrontare questi temi ed aiutare i giovani a prendere decisioni che consentano loro di usare questi spazi in chiave positiva.

Nel paragrafo The Significance of Publics, l’autore riprende il tema della partecipazione dei teenagers agli spazi pubblici. Secondo danah boyd queste possibilità di partecipazione sono fortemente ristrette dagli adulti. Gli spazi pubblici (di rete o meno), intesi come contesti dove i giovani possono incontrarsi fra loro ma anche incontrare altri adulti, svolgono tuttavia un ruolo importante come completamento alla socializzazione fra pari. Escludere i giovani da questi spazi non è dunque una buona strategia perché limita gli strumenti che questi ragazzi avranno a disposizione nella transizione al mondo degli adulti e può risultare in una generazione isolata dalla vita politica e dall’impegno sociale.

Infine nel paragrafo intitolato The Future of Networked Publics viene introdotta la tematica del mobile.  L’accesso al pubblico mediato di rete attraverso dispositivi mobili come i cellulari di nuova generazione (reso possibili dalle reti senza fili e le connettività dati a tariffa flat) introduce una nuova proprietà tecnica che danah boyd chiama (dis)locability. Si tratta della proprietà che rende le conversazioni simultaneamente indipendenti dalla posizione fisica ma più profondamente connesse ad essa attraverso le tecnologie locative come il GPS.

Venendo alle mie considerazioni personali devo ammettere che le aspettative verso questo lavoro non sono andate deluse. Si tratta di uno studio che ha dietro una struttura solida e presenta un frame work interpretativo delle trasformazioni dello spazio pubblico che potrà, come suggerisce l’autore, essere utilizzato anche quando interverranno inevitabilmente altre modificazioni legate o meno all’avvento di nuove tecnologie.

Al tempo stesso devo ammettere che per chi ha familiarità con il pensiero di danah boyd questo lavoro non presenta grandi novità. L’impostazione iniziale a difesa delle libertà dei teenager nei confronti del mondo degli adulti è sempre fortemente presente e pervade tutto il lavoro. La definizione di networked publics lascia secondo me aperta una contraddizione (fra pubblico come spazio e come audience) che poteva essere facilmente sanata utilizzando due termini diversi per descrivere due cose che sono oggettivamente diverse. Mi piace invece la distinzione fra proprietà tecniche e dinamiche perché offre una collocazione più consona all’idea del pubblico invisibile. Sembra tuttavia che i nuovi elementi introdotti (scalability fra le proprietà , collapsed context e blurring public/private fra le dinamiche) non sono sempre approfonditi con lo stesso dettaglio degli elementi che già l’autore aveva introdotto da tempo.

Per il resto è un lavoro che vale sicuramente la lettura e che non potrà che migliorare grazie all’enorme feedback che di certo riceverà.

Come promesso in dicembre, danah boyd ha pubblicato la sua tesi di dottorato sul suo blog.

Si tratta, come noto, di uno studio etnografico sull’uso che i teenager americani fanno dei siti di social network come MySpace e Facebook. Il documento si compone di poco più di 300 pagine ed è articolato in sette capitoli che definiscono in modo chiaro la struttura del lavoro descritta nel primo capitolo.

Oltre a presentare la struttura del lavoro, questo capitolo introduce anche i principali riferimenti teorici, definisce cosa si intende per giovani nel contesto del lavoro e cosa si intende per pubblici di rete (networked publics).

Dal punto di vista del rapporto fra evoluzione della società e delle tecnologie il lavoro si ispira ad un approccio di tipo Social Construction of Technology. Questo approccio enumera una serie di principi (Relevant social groups, Problems and Conflicts, Interpretive Flexibility, Design Flexibility, Closure adn Stabilization) che ruotano intorno all’idea che il rapporto fra società e tecnologia sia di tipo co-evolutivo ed al conseguente netto rifiuto di ogni prospettiva di determinismo tecnologico. Si tratta di approccio in qualche modo ecologico allo studio del rapporto società/tecnologie che consente di dare conto

Non c’è una vera e propria definizione della categoria di giovani e non c’è una chiara coorte di età individuata teoricamente (anche se dal punto di vista operativo l’autore ha scelto di concentrarsi sulla fascia 13-18 anni). La categoria dei giovani non è definita sulla base dello sviluppo biologico ma piuttosto come costruzione sociale.

Il cuore del lavoro consiste nell’analisi approfondita di tre set di relazioni, nella definizione di pubblici di rete, delle tecniche proprietà che caratterizzano questo spazio e delle dinamiche sociali che emergono. Questa parte contiene alcune interessanti novità rispetto a quanto era stato possibile leggere fino a questo momento negli articoli e sul blog dell’autore.

Neworked Publics è definito in modo duplice a partire dalla generica ed in un certo senso auto-referenziale definizione di “publics that are restructured by network technologies”.

Networked Publics è al tempo stesso un luogo ed un gruppo di individui.

1) è lo spazio costruito dalle tecnologie di rete (“MySpace is like a park”);
2) ed è la comunità immaginata che emerge come risultato delle intersezioni fra le persone, le tecnologie e le pratiche.

La definizione è giocata sull’ambiguità del termine pubblico che può essere usato per definire il tipo di accesso ad uno spazio (public access) o un gruppo di persone che sono testimoni di un evento (public as audience).

[Qui sarebbe interessante capire perché non siano state distinte le due definizioni usando ad esempio “networked space” per la prima]

Lo spazio pubblico di rete è caratterizzato da quattro proprietà tecniche (descritte nel paragrafo 1.5.1.) che non sono nuove nel panorama dei media ma interagiscono in modo inedito.

Le quattro proprietà sono:

  1. persistence
  2. searchability
  3. replicability
  4. scalability

Alcune sono già note e ne ho abbondantemente parlato nelle edizioni precedenti di What’s Next.

A differenza di quanto scritto fino ad ora, l’autore ha sostituito le invidible audiences con la scalability. La scalabilità è definita come la possibilità ma non la garanzia di una enorme visibilità per i contenuti esposti ai pubblici di rete. Questa proprietà consente all’autore di introdurre un riferimento ai pubblici di nicchia ed alla lunga coda. Interessante in questo contesto la precisazione che riguarda la natura dei contenuti che scalano. Contrariamente a quanto si era sperato i contenuti che raggiungono la massima visibilità sono spesso gli stessi che Habermas critica nei suoi lavori in relazione alle audience della comunicazione broadcast.

L’intrecciarsi di queste quattro proprietà tecniche danno origine ad un set di tre dinamiche:

  1. invisible audiences;
  2. collapsed contexts (Meyrowitz);
  3. blurring of public and private.

Il capitolo due descrive invece nel dettaglio e nel contesto degli studi precedenti l’approccio etnografico adottato.

Interessante in questo contesto la critica a Sherry Turkle considerata, forse non a torto, come l’iniziatrice di un filone di pensiero che mette in guardia verso il rischio della frammentazione dell’identità collegato alla comunicazione mediata dal computer. Le conclusioni di danah boyd puntano invece in una direzione sottolineando che le relazioni sociali che si intrattengono online sono il più delle volte una naturale prosecuzione di quelle esistenti fuori dalla rete.

I dati analizzati sono di due tipi: interviste a singoli o coppie (in totale coinvolti 94 teeanagers di 10 Stati) ed informazioni contenute nei profili (layout, foto, descrizioni di sè, etc.) e sono analizzati secondo tre direttrici (set di relazioni) ciascuna approfondite in un capitolo dedicato basato su riferimenti teorici diversi:

  1. self and identity [chapter 4] Goffman impression management;
  2. peer sociality [chapter 5] – Eckert social categories 1989 e Milner status rituals 2004;
  3. parents and adults (power relations) [chapter 6] – Valentine 2004 children access to public spaces.

L’ultimo capitolo è dedicato alle conclusioni personali dell’autore e si articola su tre paragrafi: Lessons from the Everyday Lives of Teens, The Significance of Publics e The Future of Networked Publics. In questi tre paragrafi sono riprese e sviluppate brevemente alcune delle conclusioni che permeano tutto il lavoro e vengono forniti alcuni spunti nuovi.

In Everyday Lives of Teen l’autore mette in luce come le pratiche di costruzione dell’identità e di relazioni fra pari che hanno luogo nei siti di social network non sono di certo una novità e si innestano su dinamiche pre-esistenti. Al tempo stesso lo spazio di rete con le sue proprietà e dinamiche rende esplicite e visibili alcune proprietà delle relazione che erano prima esplicite. Questo innesca “drammi sociali” che pur essendo tipici di quella fascia d’età assumono a volte dei contorni ancora più spigolosi.

Non esiste una particolare attrazione dei giovani verso i social media, è invece il fatto che in questi luoghi si possano incontrare i propri amici che li rendono interessanti. Quando richiesto la maggior parte degli intervistati dichiara di preferire le relazioni di persona a quelle mediate e considerano in genere questa forma di comunicazione come una alternativa da praticare quando gli incontri di persona non sono possibili.

I giovani non sembrano avere una innata capacità che gli consenta di comprendere come navigare i social media e le dinamiche che ne risultano ma stanno imparando a farlo mentre imparano, al tempo stesso, come muoversi nella vista sociale in senso lato. Questo differenzia i giovani dagli adulti che devono invece re-imparare come comportarsi negli spazi di rete.

L’attività svolta dentro i siti di social network è dunque in senso lato formativa a dispetto di quanto invece sia considerata una perdita di tempo da parte dei genitori e degli adulti in generale. Il desiderio dei giovani di sperimentare la socialità fra pari in assenza degli adulti (bedroom culture) è spesso causa di conflitto intergenerazionale. Talvolta questo conflitto sfocia nella demonizzazione tout court di questi spazi spesso descritti dai media come pericolosi. Il ruolo degli adulti sarebbe invece quello di affrontare questi temi ed aiutare i giovani a prendere decisioni che consentano loro di usare questi spazi in chiave positiva.

Nel paragrafo The Significance of Publics, l’autore riprende il tema della partecipazione dei teenagers agli spazi pubblici. Secondo danah boyd queste possibilità di partecipazione sono fortemente ristrette dagli adulti. Gli spazi pubblici (di rete o meno), intesi come contesti dove i giovani possono incontrarsi fra loro ma anche incontrare altri adulti, svolgono tuttavia un ruolo importante come completamento alla socializzazione fra pari. Escludere i giovani da questi spazi non è dunque una buona strategia perché limita gli strumenti che questi ragazzi avranno a disposizione nella transizione al mondo degli adulti e può risultare in una generazione isolata dalla vita politica e dall’impegno sociale.

Infine nel paragrafo intitolato The Future of Networked Publics viene introdotta la tematica del mobile.  L’accesso al pubblico mediato di rete attraverso dispositivi mobili come i cellulari di nuova generazione (reso possibili dalle reti senza fili e le connettività dati a tariffa flat) introduce una nuova proprietà tecnica che danah boyd chiama (dis)locability. Si tratta della proprietà che rende le conversazioni simultaneamente indipendenti dalla posizione fisica ma più profondamente connesse ad essa attraverso le tecnologie locative come il GPS.

Venendo alle mie considerazioni personali devo ammettere che le aspettative verso questo lavoro non sono andate deluse. Si tratta di uno studio che ha dietro una struttura solida e presenta un frame work interpretativo delle trasformazioni dello spazio pubblico che potrà, come suggerisce l’autore, essere utilizzato anche quando interverranno inevitabilmente altre modificazioni legate o meno all’avvento di nuove tecnologie.

Al tempo stesso devo ammettere che per chi ha familiarità con il pensiero di danah boyd questo lavoro non presenta grandi novità. L’impostazione iniziale a difesa delle libertà dei teenager nei confronti del mondo degli adulti è sempre fortemente presente e pervade tutto il lavoro. La definizione di networked publics lascia secondo me aperta una contraddizione (fra pubblico come spazio e come audience) che poteva essere facilmente sanata utilizzando due termini diversi per descrivere due cose che sono oggettivamente diverse. Mi piace invece la distinzione fra proprietà tecniche e dinamiche perché offre una collocazione più consona all’idea del pubblico invisibile. Sembra tuttavia che i nuovi elementi introdotti (scalability fra le proprietà , collapsed context e blurring public/private fra le dinamiche) non sono sempre approfonditi con lo stesso dettaglio degli elementi che già l’autore aveva introdotto da tempo.

Per il resto è un lavoro che vale sicuramente la lettura e che non potrà che migliorare grazie all’enorme feedback che di certo riceverà.

What’s next #16: Social Network Sites Italia

L’ultimo numero della serie What’s Next lancia un’inedita iniziativa di collaborazione legata al primo studio sistematico dell’impatto dei siti di social network in Italia.L’ultimo numero della serie What’s Next lancia un’inedita iniziativa di collaborazione legata al primo studio sistematico dell’impatto dei siti di social network in Italia.L’ultimo numero della serie What’s Next lancia un’inedita iniziativa di collaborazione legata al primo studio sistematico dell’impatto dei siti di social network in Italia.

E siamo così arrivati all’ultima puntata di What’s next.
Con questo post si chiude un ciclo iniziato il 5 settembre 2008 che consta in totale di 16 post usciti con cadenza settimanale (circa… cioè io ci ho provato ma non sempre ci sono riuscito). Per leggere l’intera seria o un post che vi siete persi è sufficiente seguire seguire questo link. Approfitto dell’occasione per ringraziare Thomas Galli che in questi mesi ha cercato ed editato le immagini necessarie a rendere questi post più accattivanti dal punto di vista estetico.
Ma per un’avventura che si chiude ce ne è subito una che si apre.
In questi giorni ho lavorato alacremente alla bozza di un progetto di ricerca al quale tengo molto. Si tratta della naturale evoluzione di un filone delle mie attività di ricerca di cui ho spesso parlato nei post della serie What’s Next.
Social Network Sites Italia è un nuovo spazio di supporto allo sviluppo di un vasto ed ambizioso progetto di ricerca sull’impatto dei siti di social network sulla società italiana.
L’idea è quella promuovere attorno a questo spazio una comunità allargata di ricercatori che possano contribuire tanto alla stesura quanto alla realizzazione del progetto di ricerca.
Il progetto parteciperà al bando di co-finanziamento PRIN 2008 e se approvato darà origine al primo studio sistematico sui siti di social network in Italia.
L’iniziativa è senza precedenti sotto diversi punti di vista:

  1. Che io sappia è la prima volta che un progetto di questo genere viene creato collaborativamente e pubblicamente attraverso il web. Il documento di progetto stesso è disponibile in Social Network Sites Italia ed aperto al commento di tutti. I ricercatori delle unità operative interessate possono inoltre contribuire direttamente attraverso la piattaforma Google Docs;
  2. La metodologia quanti-qualitativa proposta dovrebbe coinvolgere un gruppo molto vasto ed eterogeneo di soggetti (3000 interviste telefoniche e 100 colloqui in profondità) come mai prima d’ora è stato possibile fare in Italia;
  3. Le fasi del progetto, i dati ed i risultati saranno pubblicati in modo puntuale e trasparente nello spazio già creato sotto licenza creative commons;
  4. Il web sarà utilizzato in modo estensivo come piattaforma di collaborazione aperta fra i ricercatori e la vasta comunità di soggetti interessati a comprendere meglio l’impatto sociale di questo fenomeno in Italia.

Il progetto avrà durata biennale e coinvolgerà fino ad un massimo di cinque team di ricerca appartenenti a diversi atenei italiani. Sono state previste forme di collaborazione per diversi soggetti che vanno dal personale strutturato delle università italiane ai dottorandi e laureandi, dalle imprese del settore ai blogger.
Ognuno può contribuire aggiungendo commenti, segnalazioni, parlando del progetto nei blog e social network, collaborando alla traduzione, alle attività di trascrizione e alla gestione degli spazi di collaborazione online della comunità dei ricercatori o facendo una piccola donazione.
Chi vuole può iniziare già adesso partendo da qui.
P.S. Vi ricordo l’appuntamento con lo speciale Out of Context dedicato ad un commento approdondito della tesi di dottorato di danah boyd.

E siamo così arrivati all’ultima puntata di What’s next.

Con questo post si chiude un ciclo iniziato il 5 settembre 2008 che consta in totale di 16 post usciti con cadenza settimanale (circa… cioè io ci ho provato ma non sempre ci sono riuscito). Per leggere l’intera seria o un post che vi siete persi è sufficiente seguire seguire questo link. Approfitto dell’occasione per ringraziare Thomas Galli che in questi mesi ha cercato ed editato le immagini necessarie a rendere questi post più accattivanti dal punto di vista estetico.

Ma per un’avventura che si chiude ce ne è subito una che si apre.

In questi giorni ho lavorato alacremente alla bozza di un progetto di ricerca al quale tengo molto. Si tratta della naturale evoluzione di un filone delle mie attività di ricerca di cui ho spesso parlato nei post della serie What’s Next.

Social Network Sites Italia è un nuovo spazio di supporto allo sviluppo di un vasto ed ambizioso progetto di ricerca sull’impatto dei siti di social network sulla società italiana.

L’idea è quella promuovere attorno a questo spazio una comunità allargata di ricercatori che possano contribuire tanto alla stesura quanto alla realizzazione del progetto di ricerca.

Il progetto parteciperà al bando di co-finanziamento PRIN 2008 e se approvato darà origine al primo studio sistematico sui siti di social network in Italia.

L’iniziativa è senza precedenti sotto diversi punti di vista:

  1. Che io sappia è la prima volta che un progetto di questo genere viene creato collaborativamente e pubblicamente attraverso il web. Il documento di progetto stesso è disponibile in Social Network Sites Italia ed aperto al commento di tutti. I ricercatori delle unità operative interessate possono inoltre contribuire direttamente attraverso la piattaforma Google Docs;
  2. La metodologia quanti-qualitativa proposta dovrebbe coinvolgere un gruppo molto vasto ed eterogeneo di soggetti (3000 interviste telefoniche e 100 colloqui in profondità) come mai prima d’ora è stato possibile fare in Italia;
  3. Le fasi del progetto, i dati ed i risultati saranno pubblicati in modo puntuale e trasparente nello spazio già creato sotto licenza creative commons;
  4. Il web sarà utilizzato in modo estensivo come piattaforma di collaborazione aperta fra i ricercatori e la vasta comunità di soggetti interessati a comprendere meglio l’impatto sociale di questo fenomeno in Italia.

Il progetto avrà durata biennale e coinvolgerà fino ad un massimo di cinque team di ricerca appartenenti a diversi atenei italiani. Sono state previste forme di collaborazione per diversi soggetti che vanno dal personale strutturato delle università italiane ai dottorandi e laureandi, dalle imprese del settore ai blogger.

Ognuno può contribuire aggiungendo commenti, segnalazioni, parlando del progetto nei blog e social network, collaborando alla traduzione, alle attività di trascrizione e alla gestione degli spazi di collaborazione online della comunità dei ricercatori o facendo una piccola donazione.

Chi vuole può iniziare già adesso partendo da qui.

P.S. Vi ricordo l’appuntamento con lo speciale Out of Context dedicato ad un commento approdondito della tesi di dottorato di danah boyd.

E siamo così arrivati all’ultima puntata di What’s next.

Con questo post si chiude un ciclo iniziato il 5 settembre 2008 che consta in totale di 16 post usciti con cadenza settimanale (circa… cioè io ci ho provato ma non sempre ci sono riuscito). Per leggere l’intera seria o un post che vi siete persi è sufficiente seguire seguire questo link. Approfitto dell’occasione per ringraziare Thomas Galli che in questi mesi ha cercato ed editato le immagini necessarie a rendere questi post più accattivanti dal punto di vista estetico.

Ma per un’avventura che si chiude ce ne è subito una che si apre.

In questi giorni ho lavorato alacremente alla bozza di un progetto di ricerca al quale tengo molto. Si tratta della naturale evoluzione di un filone delle mie attività di ricerca di cui ho spesso parlato nei post della serie What’s Next.

Social Network Sites Italia è un nuovo spazio di supporto allo sviluppo di un vasto ed ambizioso progetto di ricerca sull’impatto dei siti di social network sulla società italiana.

L’idea è quella promuovere attorno a questo spazio una comunità allargata di ricercatori che possano contribuire tanto alla stesura quanto alla realizzazione del progetto di ricerca.

Il progetto parteciperà al bando di co-finanziamento PRIN 2008 e se approvato darà origine al primo studio sistematico sui siti di social network in Italia.

L’iniziativa è senza precedenti sotto diversi punti di vista:

  1. Che io sappia è la prima volta che un progetto di questo genere viene creato collaborativamente e pubblicamente attraverso il web. Il documento di progetto stesso è disponibile in Social Network Sites Italia ed aperto al commento di tutti. I ricercatori delle unità operative interessate possono inoltre contribuire direttamente attraverso la piattaforma Google Docs;
  2. La metodologia quanti-qualitativa proposta dovrebbe coinvolgere un gruppo molto vasto ed eterogeneo di soggetti (3000 interviste telefoniche e 100 colloqui in profondità) come mai prima d’ora è stato possibile fare in Italia;
  3. Le fasi del progetto, i dati ed i risultati saranno pubblicati in modo puntuale e trasparente nello spazio già creato sotto licenza creative commons;
  4. Il web sarà utilizzato in modo estensivo come piattaforma di collaborazione aperta fra i ricercatori e la vasta comunità di soggetti interessati a comprendere meglio l’impatto sociale di questo fenomeno in Italia.

Il progetto avrà durata biennale e coinvolgerà fino ad un massimo di cinque team di ricerca appartenenti a diversi atenei italiani. Sono state previste forme di collaborazione per diversi soggetti che vanno dal personale strutturato delle università italiane ai dottorandi e laureandi, dalle imprese del settore ai blogger.

Ognuno può contribuire aggiungendo commenti, segnalazioni, parlando del progetto nei blog e social network, collaborando alla traduzione, alle attività di trascrizione e alla gestione degli spazi di collaborazione online della comunità dei ricercatori o facendo una piccola donazione.

Chi vuole può iniziare già adesso partendo da qui.

P.S. Vi ricordo l’appuntamento con lo speciale Out of Context dedicato ad un commento approdondito della tesi di dottorato di danah boyd.

What’s next #15: La PA fra errori clamorosi, coach potatoes e networked citizens

Alcune riflessioni sulla natura più culturale che tecnologica del gap fra coach potatos e networked citizens a partire dall”ultimo rapporto di ricerca LaRiCA dedicato ai servizi della Pubblica Amministrazione su canale digitale terrestre. Alcune riflessioni sulla natura più culturale che tecnologica del gap fra coach potatos e networked citizens a partire dall”ultimo rapporto di ricerca LaRiCA dedicato ai servizi della Pubblica Amministrazione su canale digitale terrestre. Alcune riflessioni sulla natura più culturale che tecnologica del gap fra coach potatos e networked citizens a partire dall”ultimo rapporto di ricerca LaRiCA dedicato ai servizi della Pubblica Amministrazione su canale digitale terrestre.

Credo fosse fine marzo del 2005 quando mi fu chiesto di scrivere un progetto di ricerca sul digitale terrestre ed i servizi della pubblica amministrazione. La regione Marche aveva infatti presentato a fine 2004 al CNIPA una richiesta di finanziamento per un progetto finalizzato allo sviluppo di servizi  al cittadino attraverso il canale digitale terrestre. Il progetto in questione, battezzato “DigiMarche.dt: Portale regionale dei servizi di t-government” (qui il progetto ed una presentazione che ne descrive gli aspetti essenziali), fu approvato e nei mesi successivi ricevetti una richiesta di scrivere un progetto per richiedere alla regione Marche un co-finanziamento su una attività di ricerca che si sarebbe affiancata a DigiMarche. Insieme ai colleghi del LaRiCA scrivemmo un progetto intitolato eloquentemente “TV digitale terrestre e contenuto generato dagli utenti”.
L’idea alla base della nostra proposta tendeva a ribaltare il classico schema top-bottom che vede la pubblica amministrazione come erogatore di servizi ed il cittadino come consumatore passivo. Si trattava di immaginare e verificare l’effettiva esigenza da parte dei cittadini di servizi che mettessero i singoli utenti in grado di conversare fra di loro e con la pubblica amministrazione.
Il nostro progetto fu ammesso a co-finanziamento e oggi a distanza di oltre tre anni dalla stesura (il progetto è biennale ma ci sono stati tempi lunghi perché partisse effettivamente) ho completato il report di ricerca che rende conto del risultato del nostro lavoro.
La prima cosa da dire è che lavorare sull’impatto sociale delle tecnologie con questi tempi è estremamente difficile. L’evoluzione alla quale stiamo assistendo può decretare il successo o il fallimento di una tecnologia nello spazio di pochissimo tempo e scegliere di impiegare tempo e risorse sulla tecnologia sbagliata può costare caro.
Non so cosa avrei scritto in un report di ricerca sul digitale terrestre datato dicembre 2008 se nel lontano 2005 non avessimo avuto la felice intuizione di puntare sui contenuti generati dagli utenti. Questo ci ha consentito di ampliare la visione oltre la tecnologia del digitale terrestre (che già allora ci sembrava evidentemente non promettere bene) e di approcciare alla questione in modo originale introducendo l’idea dei contenuti generati dagli utenti.
Potrei dilungarmi su come la decisione presa a livello nazionale di investire sul digitale terrestre si sia rivelata disastrosa e di come avremmo potuto spendere meglio quei soldi supportando le pubbliche amministrazioni a sviluppare progetti e servizi su Internet o incentivando l’accesso alla rete da parte delle famiglie italiane (lo sapete già che siamo agli ultimi posti in Europa per tasso di penetrazione di Internet nelle case secondo gli ultimi dati Eurostat, no?).
Rileggere oggi le due paginette iniziali dell’opuscolo realizzato dal CNIPA nel maggio 2005 per annunciare l’elenco dei progetti ammessi a co-finanziamento dovrebbe servire da monito per il futuro.
Il “fervore positivista” sul “t-government” (non cercate questo lemma su wikipedia inglese perché non esiste) era tutto basato sull’ipotesi che i “cittadini non esperti di informatica che utilizzano la TV e non hanno messo le mani su un computer” potessero scoprire nel set-top-box e relativo telecomando del digitale terrestre un canale alternativo allo sportello tradizionale per fruire dei servizi della Pubblica Amministrazione.
Purtroppo già nello stesso report commissionato dal CNIPA all’Istituto Piepoli e presentato nel maggio 2006 si intuiva che le cose non stavano andando esattamente per il verso giusto.
La televisione digitale terrestre si attestava ad una percentuale di penetrazione del 10% superata sia dalla televisione satellitare (al 15%) che, nettamente, da Internet (al 38% da casa o lavoro). I servizi della Pubblica Amministrazione offerta attraverso il digitale terrestre erano conosciuti dal 44% degli utilizzatori ma usati solo dal 2% di essi. Solo il 10% degli utilizzatori dei digitale terrestre chiedevano di poter fruire di altri servizi interattivi.
I dati che abbiamo rilevato nelle nostre indagini mostrano che dal 2006 il digitale terrestre si è sicuramente diffuso in modo maggiore e si attesta oggi fra il 26,2 ed il 25,4% raggiungendo la diffusione della televisione satellitare. Cresce molto anche l’accesso a Internet da casa che è stato riscontrato nel nostro campione in oltre il 50% dei casi.
Quello che tuttavia colpisce è lo scarso utilizzo dei servizi interattivi che riguarda il 24% dei possessori di decoder DVB-T contro il 30% riscontrato nel 2006 (le tipologie d’uso rimangono invece simili con in testa i servizi informativi). Anche in relazione alla domanda  specifica che chiedeva di stimare il vantaggio di usare i servizi della PA attraverso digitale terrestre, Internet e cellulare al posto dello sportello tradizionale, si nota come Internet sia lo strumento che sembra offrire, a parere degli intervistati, un maggiore vantaggio.

Vantaggio percepito sull'uso dei canali alternativi allo sportello tradizionale per accedere ai servizi della PA
Vantaggio percepito sull'uso dei canali alternativi allo sportello tradizionale per accedere ai servizi della PA

Appare inoltre sfatato il mito secondo il quale i soggetti più anziani e con più bassa scolarità possano essere interessati ai servizi interattivi attraverso il digitale terrestre. Nelle fasce di età 50-59 e 60 e oltre la percentuale di utenti del digitale terrestre che ha fatto uso dei servizi interattivi si attesta abbondantemente sotto la media rispettivamente al 12,8 e al 12%. Fra chi ha una licenza elementare solo il 5% ha fatto uso di servizi interattivi su digitale terrestre.
Distinzioni analoghe possono essere notate in relazione all’uso attivo di Internet (creazione di blog e pubblicazioni di video e foto) dove il tasso di scolarità e l’età incidono pesantemente non solo sul possesso dell’accesso a Internet ma anche sulle modalità di utilizzo.
Dunque il gap fra networked citizens e couch potatoes citizens esiste ma appare essere imputabile più ad aspetti culturali che tecnologici. Al di là dei pur utili servizi che la PA può rendere disponibile attraverso canali alternativi allo sportello tradizionale, quello su cui appare più urgente lavorare è questo gap culturale.
Qui non si tratta più semplicemente di offrire servizi veicolandoli su un canale piuttosto che un altro. Si tratta di ripensare il rapporto con i cittadini secondo una logica maggiormente ispirata dal bottom-up. Si tratta di aprire e saper portare avanti una conversazione che con il tempo aiuterà a modificare quella forma di distacco fra cittadini ed istituzioni che è palpabile in Italia come e forse più che in altre nazioni del mondo.
La sfida del futuro sarà dunque quella di includere la maggior parte di cittadini in questa conversazioni avendo cura che nessuno ne resti fuori per carenze culturali o peggio di accesso alla tecnologia. In questo senso è cruciale combattere accanto al ben noto divario digitale anche quello culturale, individuato per primo dallo studioso americano Henry Jenkins. Si tratta del divario che porta alcuni strati della popolazione ad essere fruitori passivi di contenuti anche quando le condizioni tecnologiche rendono possibile una forma di attività a basso costo e scarse barriere all’accesso.
Il rapporto di ricerca si conclude con il suggerimento di osservare con attenzione quanto sta avvenendo oltre oceano e contiene un’analisi dei servizi interattivi offerti dal sito della transizione del presidente eletto degli Stati Uniti.

Credo fosse fine marzo del 2005 quando mi fu chiesto di scrivere un progetto di ricerca sul digitale terrestre ed i servizi della pubblica amministrazione. La regione Marche aveva infatti presentato a fine 2004 al CNIPA una richiesta di finanziamento per un progetto finalizzato allo sviluppo di servizi  al cittadino attraverso il canale digitale terrestre. Il progetto in questione, battezzato “DigiMarche.dt: Portale regionale dei servizi di t-government” (qui il progetto ed una presentazione che ne descrive gli aspetti essenziali), fu approvato e nei mesi successivi ricevetti una richiesta di scrivere un progetto per richiedere alla regione Marche un co-finanziamento su una attività di ricerca che si sarebbe affiancata a DigiMarche. Insieme ai colleghi del LaRiCA scrivemmo un progetto intitolato eloquentemente “TV digitale terrestre e contenuto generato dagli utenti”.

L’idea alla base della nostra proposta tendeva a ribaltare il classico schema top-bottom che vede la pubblica amministrazione come erogatore di servizi ed il cittadino come consumatore passivo. Si trattava di immaginare e verificare l’effettiva esigenza da parte dei cittadini di servizi che mettessero i singoli utenti in grado di conversare fra di loro e con la pubblica amministrazione.

Il nostro progetto fu ammesso a co-finanziamento e oggi a distanza di oltre tre anni dalla stesura (il progetto è biennale ma ci sono stati tempi lunghi perché partisse effettivamente) ho completato il report di ricerca che rende conto del risultato del nostro lavoro.

La prima cosa da dire è che lavorare sull’impatto sociale delle tecnologie con questi tempi è estremamente difficile. L’evoluzione alla quale stiamo assistendo può decretare il successo o il fallimento di una tecnologia nello spazio di pochissimo tempo e scegliere di impiegare tempo e risorse sulla tecnologia sbagliata può costare caro.

Non so cosa avrei scritto in un report di ricerca sul digitale terrestre datato dicembre 2008 se nel lontano 2005 non avessimo avuto la felice intuizione di puntare sui contenuti generati dagli utenti. Questo ci ha consentito di ampliare la visione oltre la tecnologia del digitale terrestre (che già allora ci sembrava evidentemente non promettere bene) e di approcciare alla questione in modo originale introducendo l’idea dei contenuti generati dagli utenti.

Potrei dilungarmi su come la decisione presa a livello nazionale di investire sul digitale terrestre si sia rivelata disastrosa e di come avremmo potuto spendere meglio quei soldi supportando le pubbliche amministrazioni a sviluppare progetti e servizi su Internet o incentivando l’accesso alla rete da parte delle famiglie italiane (lo sapete già che siamo agli ultimi posti in Europa per tasso di penetrazione di Internet nelle case secondo gli ultimi dati Eurostat, no?).

Rileggere oggi le due paginette iniziali dell’opuscolo realizzato dal CNIPA nel maggio 2005 per annunciare l’elenco dei progetti ammessi a co-finanziamento dovrebbe servire da monito per il futuro.

Il “fervore positivista” sul “t-government” (non cercate questo lemma su wikipedia inglese perché non esiste) era tutto basato sull’ipotesi che i “cittadini non esperti di informatica che utilizzano la TV e non hanno messo le mani su un computer” potessero scoprire nel set-top-box e relativo telecomando del digitale terrestre un canale alternativo allo sportello tradizionale per fruire dei servizi della Pubblica Amministrazione.

Purtroppo già nello stesso report commissionato dal CNIPA all’Istituto Piepoli e presentato nel maggio 2006 si intuiva che le cose non stavano andando esattamente per il verso giusto.

La televisione digitale terrestre si attestava ad una percentuale di penetrazione del 10% superata sia dalla televisione satellitare (al 15%) che, nettamente, da Internet (al 38% da casa o lavoro). I servizi della Pubblica Amministrazione offerta attraverso il digitale terrestre erano conosciuti dal 44% degli utilizzatori ma usati solo dal 2% di essi. Solo il 10% degli utilizzatori dei digitale terrestre chiedevano di poter fruire di altri servizi interattivi.

I dati che abbiamo rilevato nelle nostre indagini mostrano che dal 2006 il digitale terrestre si è sicuramente diffuso in modo maggiore e si attesta oggi fra il 26,2 ed il 25,4% raggiungendo la diffusione della televisione satellitare. Cresce molto anche l’accesso a Internet da casa che è stato riscontrato nel nostro campione in oltre il 50% dei casi.

Quello che tuttavia colpisce è lo scarso utilizzo dei servizi interattivi che riguarda il 24% dei possessori di decoder DVB-T contro il 30% riscontrato nel 2006 (le tipologie d’uso rimangono invece simili con in testa i servizi informativi). Anche in relazione alla domanda  specifica che chiedeva di stimare il vantaggio di usare i servizi della PA attraverso digitale terrestre, Internet e cellulare al posto dello sportello tradizionale, si nota come Internet sia lo strumento che sembra offrire, a parere degli intervistati, un maggiore vantaggio.

Vantaggio percepito sull'uso dei canali alternativi allo sportello tradizionale per accedere ai servizi della PA
Vantaggio percepito sull'uso dei canali alternativi allo sportello tradizionale per accedere ai servizi della PA

Appare inoltre sfatato il mito secondo il quale i soggetti più anziani e con più bassa scolarità possano essere interessati ai servizi interattivi attraverso il digitale terrestre. Nelle fasce di età 50-59 e 60 e oltre la percentuale di utenti del digitale terrestre che ha fatto uso dei servizi interattivi si attesta abbondantemente sotto la media rispettivamente al 12,8 e al 12%. Fra chi ha una licenza elementare solo il 5% ha fatto uso di servizi interattivi su digitale terrestre.

Distinzioni analoghe possono essere notate in relazione all’uso attivo di Internet (creazione di blog e pubblicazioni di video e foto) dove il tasso di scolarità e l’età incidono pesantemente non solo sul possesso dell’accesso a Internet ma anche sulle modalità di utilizzo.

Dunque il gap fra networked citizens e couch potatoes citizens esiste ma appare essere imputabile più ad aspetti culturali che tecnologici. Al di là dei pur utili servizi che la PA può rendere disponibile attraverso canali alternativi allo sportello tradizionale, quello su cui appare più urgente lavorare è questo gap culturale.

Qui non si tratta più semplicemente di offrire servizi veicolandoli su un canale piuttosto che un altro. Si tratta di ripensare il rapporto con i cittadini secondo una logica maggiormente ispirata dal bottom-up. Si tratta di aprire e saper portare avanti una conversazione che con il tempo aiuterà a modificare quella forma di distacco fra cittadini ed istituzioni che è palpabile in Italia come e forse più che in altre nazioni del mondo.

La sfida del futuro sarà dunque quella di includere la maggior parte di cittadini in questa conversazioni avendo cura che nessuno ne resti fuori per carenze culturali o peggio di accesso alla tecnologia. In questo senso è cruciale combattere accanto al ben noto divario digitale anche quello culturale, individuato per primo dallo studioso americano Henry Jenkins. Si tratta del divario che porta alcuni strati della popolazione ad essere fruitori passivi di contenuti anche quando le condizioni tecnologiche rendono possibile una forma di attività a basso costo e scarse barriere all’accesso.

Il rapporto di ricerca si conclude con il suggerimento di osservare con attenzione quanto sta avvenendo oltre oceano e contiene un’analisi dei servizi interattivi offerti dal sito della transizione del presidente eletto degli Stati Uniti.

Credo fosse fine marzo del 2005 quando mi fu chiesto di scrivere un progetto di ricerca sul digitale terrestre ed i servizi della pubblica amministrazione. La regione Marche aveva infatti presentato a fine 2004 al CNIPA una richiesta di finanziamento per un progetto finalizzato allo sviluppo di servizi  al cittadino attraverso il canale digitale terrestre. Il progetto in questione, battezzato “DigiMarche.dt: Portale regionale dei servizi di t-government” (qui il progetto ed una presentazione che ne descrive gli aspetti essenziali), fu approvato e nei mesi successivi ricevetti una richiesta di scrivere un progetto per richiedere alla regione Marche un co-finanziamento su una attività di ricerca che si sarebbe affiancata a DigiMarche. Insieme ai colleghi del LaRiCA scrivemmo un progetto intitolato eloquentemente “TV digitale terrestre e contenuto generato dagli utenti”.

L’idea alla base della nostra proposta tendeva a ribaltare il classico schema top-bottom che vede la pubblica amministrazione come erogatore di servizi ed il cittadino come consumatore passivo. Si trattava di immaginare e verificare l’effettiva esigenza da parte dei cittadini di servizi che mettessero i singoli utenti in grado di conversare fra di loro e con la pubblica amministrazione.

Il nostro progetto fu ammesso a co-finanziamento e oggi a distanza di oltre tre anni dalla stesura (il progetto è biennale ma ci sono stati tempi lunghi perché partisse effettivamente) ho completato il report di ricerca che rende conto del risultato del nostro lavoro.

La prima cosa da dire è che lavorare sull’impatto sociale delle tecnologie con questi tempi è estremamente difficile. L’evoluzione alla quale stiamo assistendo può decretare il successo o il fallimento di una tecnologia nello spazio di pochissimo tempo e scegliere di impiegare tempo e risorse sulla tecnologia sbagliata può costare caro.

Non so cosa avrei scritto in un report di ricerca sul digitale terrestre datato dicembre 2008 se nel lontano 2005 non avessimo avuto la felice intuizione di puntare sui contenuti generati dagli utenti. Questo ci ha consentito di ampliare la visione oltre la tecnologia del digitale terrestre (che già allora ci sembrava evidentemente non promettere bene) e di approcciare alla questione in modo originale introducendo l’idea dei contenuti generati dagli utenti.

Potrei dilungarmi su come la decisione presa a livello nazionale di investire sul digitale terrestre si sia rivelata disastrosa e di come avremmo potuto spendere meglio quei soldi supportando le pubbliche amministrazioni a sviluppare progetti e servizi su Internet o incentivando l’accesso alla rete da parte delle famiglie italiane (lo sapete già che siamo agli ultimi posti in Europa per tasso di penetrazione di Internet nelle case secondo gli ultimi dati Eurostat, no?).

Rileggere oggi le due paginette iniziali dell’opuscolo realizzato dal CNIPA nel maggio 2005 per annunciare l’elenco dei progetti ammessi a co-finanziamento dovrebbe servire da monito per il futuro.

Il “fervore positivista” sul “t-government” (non cercate questo lemma su wikipedia inglese perché non esiste) era tutto basato sull’ipotesi che i “cittadini non esperti di informatica che utilizzano la TV e non hanno messo le mani su un computer” potessero scoprire nel set-top-box e relativo telecomando del digitale terrestre un canale alternativo allo sportello tradizionale per fruire dei servizi della Pubblica Amministrazione.

Purtroppo già nello stesso report commissionato dal CNIPA all’Istituto Piepoli e presentato nel maggio 2006 si intuiva che le cose non stavano andando esattamente per il verso giusto.

La televisione digitale terrestre si attestava ad una percentuale di penetrazione del 10% superata sia dalla televisione satellitare (al 15%) che, nettamente, da Internet (al 38% da casa o lavoro). I servizi della Pubblica Amministrazione offerta attraverso il digitale terrestre erano conosciuti dal 44% degli utilizzatori ma usati solo dal 2% di essi. Solo il 10% degli utilizzatori dei digitale terrestre chiedevano di poter fruire di altri servizi interattivi.

I dati che abbiamo rilevato nelle nostre indagini mostrano che dal 2006 il digitale terrestre si è sicuramente diffuso in modo maggiore e si attesta oggi fra il 26,2 ed il 25,4% raggiungendo la diffusione della televisione satellitare. Cresce molto anche l’accesso a Internet da casa che è stato riscontrato nel nostro campione in oltre il 50% dei casi.

Quello che tuttavia colpisce è lo scarso utilizzo dei servizi interattivi che riguarda il 24% dei possessori di decoder DVB-T contro il 30% riscontrato nel 2006 (le tipologie d’uso rimangono invece simili con in testa i servizi informativi). Anche in relazione alla domanda  specifica che chiedeva di stimare il vantaggio di usare i servizi della PA attraverso digitale terrestre, Internet e cellulare al posto dello sportello tradizionale, si nota come Internet sia lo strumento che sembra offrire, a parere degli intervistati, un maggiore vantaggio.

Vantaggio percepito sull'uso dei canali alternativi allo sportello tradizionale per accedere ai servizi della PA
Vantaggio percepito sull'uso dei canali alternativi allo sportello tradizionale per accedere ai servizi della PA

Appare inoltre sfatato il mito secondo il quale i soggetti più anziani e con più bassa scolarità possano essere interessati ai servizi interattivi attraverso il digitale terrestre. Nelle fasce di età 50-59 e 60 e oltre la percentuale di utenti del digitale terrestre che ha fatto uso dei servizi interattivi si attesta abbondantemente sotto la media rispettivamente al 12,8 e al 12%. Fra chi ha una licenza elementare solo il 5% ha fatto uso di servizi interattivi su digitale terrestre.

Distinzioni analoghe possono essere notate in relazione all’uso attivo di Internet (creazione di blog e pubblicazioni di video e foto) dove il tasso di scolarità e l’età incidono pesantemente non solo sul possesso dell’accesso a Internet ma anche sulle modalità di utilizzo.

Dunque il gap fra networked citizens e couch potatoes citizens esiste ma appare essere imputabile più ad aspetti culturali che tecnologici. Al di là dei pur utili servizi che la PA può rendere disponibile attraverso canali alternativi allo sportello tradizionale, quello su cui appare più urgente lavorare è questo gap culturale.

Qui non si tratta più semplicemente di offrire servizi veicolandoli su un canale piuttosto che un altro. Si tratta di ripensare il rapporto con i cittadini secondo una logica maggiormente ispirata dal bottom-up. Si tratta di aprire e saper portare avanti una conversazione che con il tempo aiuterà a modificare quella forma di distacco fra cittadini ed istituzioni che è palpabile in Italia come e forse più che in altre nazioni del mondo.

La sfida del futuro sarà dunque quella di includere la maggior parte di cittadini in questa conversazioni avendo cura che nessuno ne resti fuori per carenze culturali o peggio di accesso alla tecnologia. In questo senso è cruciale combattere accanto al ben noto divario digitale anche quello culturale, individuato per primo dallo studioso americano Henry Jenkins. Si tratta del divario che porta alcuni strati della popolazione ad essere fruitori passivi di contenuti anche quando le condizioni tecnologiche rendono possibile una forma di attività a basso costo e scarse barriere all’accesso.

Il rapporto di ricerca si conclude con il suggerimento di osservare con attenzione quanto sta avvenendo oltre oceano e contiene un’analisi dei servizi interattivi offerti dal sito della transizione del presidente eletto degli Stati Uniti.

What's next #14: quattro proprietà, tre dinamiche ad un embargo

danah boyd sceglie una modalità apparentemente inconsueta per pubblicare la sua tesi di dottorato. Prendendo come spunto questo episodio ci si interroga su cosa cambia per il ricercatore nell’era dei networked publics.danah boyd sceglie una modalità apparentemente inconsueta per pubblicare la sua tesi di dottorato. Prendendo come spunto questo episodio ci si interroga su cosa cambia per il ricercatore nell’era dei networked publics.danah boyd sceglie una modalità apparentemente inconsueta per pubblicare la sua tesi di dottorato. Prendendo come spunto questo episodio ci si interroga su cosa cambia per il ricercatore nell’era dei networked publics.

Come forse saprete danah boyd ha conseguito la scorsa settimana  il suo dottorato in Information Management and Systems presso la School of Information di Berkeley in California.
Quello che sta facendo questa ragazza nata nel 1977 è ridefinire il modo di essere un ricercatore ai tempi di Internet.
Mi sarebbe piaciuto parlare in questo articolo delle impressioni a caldo sulla lettura della sua tesi di dottorato che ha gentilmente inviato a tutti i suoi contatti twitter che ne abbiano fatto richiesta in tempo utile. Mi sarebbe piaciuto ma non posso farlo perché l’autrice ha chiesto nel messaggio che accompagna il pdf della sua tesi di non parlarne in pubblico prima del 20 gennaio (data prevista del suo ritorno dalle vacanze e completamento del trasloco a Boston). Dopo quella data, danah pubblicherà sul suo blog sotto licenza Creative Commons’ Attribution-NonCommercial-NoDerivs License, version 3.0 la sua tesi aprendo il dibattito pubblico che con tutta probabilità le consentirà di raccogliere preziose indicazioni per trasformare la tesi in una pubblicazione.
Non potendo entrare nello specifico del lavoro, mi piace l’idea di partire da questo episodio per proporre alcune riflessioni su come cambia il ruolo del ricercatore in relazione al pubblico di rete. Osservando con attenzione la presenza web di danah boyd si può notare come nulla sia lasciato al caso.  In generale la sua identità pubblica è, come spiega lei stessa nella pagina dell’autobiografia, il frutto di un’attenzione quasi maniacale ai dettagli. Come direbbe lei citando Goffmann la sua presenza in rete (ma non solo) è frutto di un attento lavoro di impression management. Alla base c’è un’idea semplice e precisa di identità e non è un caso che, in fondo, sia proprio questo l’oggetto dei suoi studi fin dai tempi della sua tesi di master Faceted Id/entity: Managing representation in a digital world.

Social interaction is a negotiation of identities between people in a given environment. One’s identity is comprised of both a personal internal identity and a public social identity. As people engage socially, they project aspects of their internal identity into a social identity for others to perceive. Based on the situation, people only present a particular facet of their internal identity for consideration. Depending on their own need to self-monitor, an individual manages what is to be seen dependent on the environment, thereby creating a social performance where they offer different faces to convey different facets of their identity. The goal of such monitoring is to manage the impressions that others might perceive, to convey the appropriate information at the appropriate time.
In order to assess what is appropriate, people draw from situational and interpersonal contextual cues. By understanding the social implication of context cues and perceiving the reactions presented by others, an individual is given social feedback to adjust their behavior to fit the situation in the hopes of being perceived in the desired light. As people engage socially, they are continually drawing from their own experiences to perceive others and the environment and presenting aspects of their identity that they deem appropriate to the situation. Yet, this negotiation occurs with little conscious effort. (danah boyd, Faceted Id/entity :: Introduction, p. 12)

Ovviamente il modo di (1) esprimere la propria identità pubblica, (2) reperire gli indizi contestuali e (3) interpretarli per ri-definire la propria identità pubblica cambiano quando tutto questo avviene in un contesto mediato da Internet. Diventa necessario tenere presenti caratteristiche proprie di questo spazio.
Un ricercatore tradizionale ha di solito due momenti durante i quali si confronta con il pubblico: le pubblicazioni e le conferenze. In entrambi i casi il pubblico con il quale ci si confronta è un pubblico di esperti variamente costituito da colleghi che hanno maggiore o minore esperienza della tua. Parlare su Internet delle proprie ricerche significa aprire un confronto con un pubblico più vasto che tuttavia, specie in un settore come quello dei nuovi media, può mostrare competenze e capacità di esprimere preziose critiche pari o maggiori rispetto al pubblico degli esperti accademici tradizionali.
Durante le conferenze e dopo aver pubblicato un saggio in una rivista o un libro è possibile cogliere nelle reazioni del pubblico degli spettatori e dei lettori con cui si avrà la fortuna di entrare in contatto indicazioni sul contenuto e sulla forma della presentazione del lavoro ed incorporare queste osservazioni, se lo si desidera, nei successivi lavori.
Il mondo della ricerca si fonda su questo feedback sociale di taglio accademico che come in altri casi subisce profonde modifiche in presenza dei pubblici di rete.
1.      Il basso costo di accesso, di produzione e la teoria della coda lunga hanno praticamente estinto il ruolo di filtro delle case editrici. Inoltre oggi chiunque può pubblicare usando appositi servizi web un saggio o un libro (eventualmente anche con codici ISSN o ISBN) anche senza passare da una casa editrice tradizionale;
2.      I tempi tecnici per pubblicare un articolo in una rivista internazionale con referee variano da alcuni mesi ad oltre un anno. Questi tempi sono del tutto inadatti a chi scrive articoli che riguardano le tecnologie a causa della rapida evoluzione di questo settore;
3.      Sia i contenuti pubblicati in rete che quelli pubblicati passando attraverso i filtri tradizionali sono ricercabili attraverso i tradizionali canali di ricerca o usando specifici servizi di ricerca dedicati al mondo accademico (Google Book Search, Google Scholar, CiteULike);
4.      Esistono strumenti per rintracciare automaticamente e spesso in tempo reale tutte i contenuti pubblicati che parlano di uno nostro contenuto (ovvero ci citano) come Google Book Search, Google Scholar, Google Blog Search, Technorati, Liquida, Wikio;
5.      Esistono licenze come Creative Commons che consentono di proteggere i diritti sul proprio lavoro in modo più flessibile rispetto a quanto non facciano le case editrici tradizionali alle quali spesso concediamo inconsapevolmente i diritti sui contenuti che noi produciamo e pubblichiamo;
6.      Le conferenze, pur rimanendo fondamentali momenti per conoscere di persona i colleghi e sviluppare relazioni, sono sempre più spesso deludenti dal punto di vista dei contenuti come può essere lo SMAU per chi legge Engadget;
7.      Attraverso un lettore di feed RSS o un sito di social network (dedicato come ResearchGate o non come Linkedin o Facebook) è possibile rimanere in contatto (ed aggiornati sul loro lavoro) con colleghi che è difficile incontrare di persona a causa di impegni o distanze fisiche;
8.      Quasi tutte le riviste internazionali consentono di utilizzare i feed RSS per ricevere, appena pubblicati, gli articoli contenuti nell’ultima issue. Inoltre grazie all’ingegno di qualcuno è possibile creare ed abbonarsi ad un feed RSS di una ricerca di Google Scholar il che significa in pratica poter essere informati in tempo reale della pubblicazioni di un articolo sul tema che stiamo studiando;
9.      Accettare di pubblicare i propri contenuti online significa, al pari di ogni altra forma di pubblicazione, aprire una conversazione. Quando la conversazione è aperta bisogna mettere in conto che si riceveranno critiche (fondate o meno che siano). Quanto più i contenuti che pubblicate saranno visibili, tanto più alta sarà la possibilità di ricevere critiche (che poi è lo scopo per cui uno pubblica in modo da ricevere il feedback necessario a migliorarsi);
10.  Pubblicando i propri contenuti in rete ci si espone ad un pubblico più vasto ed eterogeneo della comunità accademica. Diversi strumenti possono essere dedicati ad un diverso pubblico (blog per il pubblico più vasto, twitter per i fan, facebook per gli amici). In ogni caso la relazione che voi stessi avete deciso di aprire con questo più vasto pubblico è da pari a pari. Per tutte queste ragioni è importante comprendere che aprire un blog o una presenza in rete comporta delle conseguenze che, se non si è pronti a gestire, possono essere ben peggiori dei vantaggi che si intende ottenere.
Adesso dovrebbe essere più chiaro il senso di questo messaggio.

L'embargo di danah
L'embargo di danah

P.S. Le mie riflessioni sul contenuto della tesi di danah boyd (titolo Taken Out of Context. American Teen Sociality in Networked Publics) saranno pubblicate in una edizione speciale di What’s next appena avrò il benestare dell’autrice.

Come forse saprete danah boyd ha conseguito la scorsa settimana  il suo dottorato in Information Management and Systems presso la School of Information di Berkeley in California.

Quello che sta facendo questa ragazza nata nel 1977 è ridefinire il modo di essere un ricercatore ai tempi di Internet.

Mi sarebbe piaciuto parlare in questo articolo delle impressioni a caldo sulla lettura della sua tesi di dottorato che ha gentilmente inviato a tutti i suoi contatti twitter che ne abbiano fatto richiesta in tempo utile. Mi sarebbe piaciuto ma non posso farlo perché l’autrice ha chiesto nel messaggio che accompagna il pdf della sua tesi di non parlarne in pubblico prima del 20 gennaio (data prevista del suo ritorno dalle vacanze e completamento del trasloco a Boston). Dopo quella data, danah pubblicherà sul suo blog sotto licenza Creative Commons’ Attribution-NonCommercial-NoDerivs License, version 3.0 la sua tesi aprendo il dibattito pubblico che con tutta probabilità le consentirà di raccogliere preziose indicazioni per trasformare la tesi in una pubblicazione.

Non potendo entrare nello specifico del lavoro, mi piace l’idea di partire da questo episodio per proporre alcune riflessioni su come cambia il ruolo del ricercatore in relazione al pubblico di rete. Osservando con attenzione la presenza web di danah boyd si può notare come nulla sia lasciato al caso.  In generale la sua identità pubblica è, come spiega lei stessa nella pagina dell’autobiografia, il frutto di un’attenzione quasi maniacale ai dettagli. Come direbbe lei citando Goffmann la sua presenza in rete (ma non solo) è frutto di un attento lavoro di impression management. Alla base c’è un’idea semplice e precisa di identità e non è un caso che, in fondo, sia proprio questo l’oggetto dei suoi studi fin dai tempi della sua tesi di master Faceted Id/entity: Managing representation in a digital world.

Social interaction is a negotiation of identities between people in a given environment. One’s identity is comprised of both a personal internal identity and a public social identity. As people engage socially, they project aspects of their internal identity into a social identity for others to perceive. Based on the situation, people only present a particular facet of their internal identity for consideration. Depending on their own need to self-monitor, an individual manages what is to be seen dependent on the environment, thereby creating a social performance where they offer different faces to convey different facets of their identity. The goal of such monitoring is to manage the impressions that others might perceive, to convey the appropriate information at the appropriate time.

In order to assess what is appropriate, people draw from situational and interpersonal contextual cues. By understanding the social implication of context cues and perceiving the reactions presented by others, an individual is given social feedback to adjust their behavior to fit the situation in the hopes of being perceived in the desired light. As people engage socially, they are continually drawing from their own experiences to perceive others and the environment and presenting aspects of their identity that they deem appropriate to the situation. Yet, this negotiation occurs with little conscious effort. (danah boyd, Faceted Id/entity :: Introduction, p. 12)

Ovviamente il modo di (1) esprimere la propria identità pubblica, (2) reperire gli indizi contestuali e (3) interpretarli per ri-definire la propria identità pubblica cambiano quando tutto questo avviene in un contesto mediato da Internet. Diventa necessario tenere presenti caratteristiche proprie di questo spazio.

Un ricercatore tradizionale ha di solito due momenti durante i quali si confronta con il pubblico: le pubblicazioni e le conferenze. In entrambi i casi il pubblico con il quale ci si confronta è un pubblico di esperti variamente costituito da colleghi che hanno maggiore o minore esperienza della tua. Parlare su Internet delle proprie ricerche significa aprire un confronto con un pubblico più vasto che tuttavia, specie in un settore come quello dei nuovi media, può mostrare competenze e capacità di esprimere preziose critiche pari o maggiori rispetto al pubblico degli esperti accademici tradizionali.

Durante le conferenze e dopo aver pubblicato un saggio in una rivista o un libro è possibile cogliere nelle reazioni del pubblico degli spettatori e dei lettori con cui si avrà la fortuna di entrare in contatto indicazioni sul contenuto e sulla forma della presentazione del lavoro ed incorporare queste osservazioni, se lo si desidera, nei successivi lavori.

Il mondo della ricerca si fonda su questo feedback sociale di taglio accademico che come in altri casi subisce profonde modifiche in presenza dei pubblici di rete.

1.      Il basso costo di accesso, di produzione e la teoria della coda lunga hanno praticamente estinto il ruolo di filtro delle case editrici. Inoltre oggi chiunque può pubblicare usando appositi servizi web un saggio o un libro (eventualmente anche con codici ISSN o ISBN) anche senza passare da una casa editrice tradizionale;

2.      I tempi tecnici per pubblicare un articolo in una rivista internazionale con referee variano da alcuni mesi ad oltre un anno. Questi tempi sono del tutto inadatti a chi scrive articoli che riguardano le tecnologie a causa della rapida evoluzione di questo settore;

3.      Sia i contenuti pubblicati in rete che quelli pubblicati passando attraverso i filtri tradizionali sono ricercabili attraverso i tradizionali canali di ricerca o usando specifici servizi di ricerca dedicati al mondo accademico (Google Book Search, Google Scholar, CiteULike);

4.      Esistono strumenti per rintracciare automaticamente e spesso in tempo reale tutte i contenuti pubblicati che parlano di uno nostro contenuto (ovvero ci citano) come Google Book Search, Google Scholar, Google Blog Search, Technorati, Liquida, Wikio;

5.      Esistono licenze come Creative Commons che consentono di proteggere i diritti sul proprio lavoro in modo più flessibile rispetto a quanto non facciano le case editrici tradizionali alle quali spesso concediamo inconsapevolmente i diritti sui contenuti che noi produciamo e pubblichiamo;

6.      Le conferenze, pur rimanendo fondamentali momenti per conoscere di persona i colleghi e sviluppare relazioni, sono sempre più spesso deludenti dal punto di vista dei contenuti come può essere lo SMAU per chi legge Engadget;

7.      Attraverso un lettore di feed RSS o un sito di social network (dedicato come ResearchGate o non come Linkedin o Facebook) è possibile rimanere in contatto (ed aggiornati sul loro lavoro) con colleghi che è difficile incontrare di persona a causa di impegni o distanze fisiche;

8.      Quasi tutte le riviste internazionali consentono di utilizzare i feed RSS per ricevere, appena pubblicati, gli articoli contenuti nell’ultima issue. Inoltre grazie all’ingegno di qualcuno è possibile creare ed abbonarsi ad un feed RSS di una ricerca di Google Scholar il che significa in pratica poter essere informati in tempo reale della pubblicazioni di un articolo sul tema che stiamo studiando;

9.      Accettare di pubblicare i propri contenuti online significa, al pari di ogni altra forma di pubblicazione, aprire una conversazione. Quando la conversazione è aperta bisogna mettere in conto che si riceveranno critiche (fondate o meno che siano). Quanto più i contenuti che pubblicate saranno visibili, tanto più alta sarà la possibilità di ricevere critiche (che poi è lo scopo per cui uno pubblica in modo da ricevere il feedback necessario a migliorarsi);

10.  Pubblicando i propri contenuti in rete ci si espone ad un pubblico più vasto ed eterogeneo della comunità accademica. Diversi strumenti possono essere dedicati ad un diverso pubblico (blog per il pubblico più vasto, twitter per i fan, facebook per gli amici). In ogni caso la relazione che voi stessi avete deciso di aprire con questo più vasto pubblico è da pari a pari. Per tutte queste ragioni è importante comprendere che aprire un blog o una presenza in rete comporta delle conseguenze che, se non si è pronti a gestire, possono essere ben peggiori dei vantaggi che si intende ottenere.

Adesso dovrebbe essere più chiaro il senso di questo messaggio.

L'embargo di danah
L'embargo di danah

P.S. Le mie riflessioni sul contenuto della tesi di danah boyd (titolo Taken Out of Context. American Teen Sociality in Networked Publics) saranno pubblicate in una edizione speciale di What’s next appena avrò il benestare dell’autrice.

Come forse saprete danah boyd ha conseguito la scorsa settimana  il suo dottorato in Information Management and Systems presso la School of Information di Berkeley in California.

Quello che sta facendo questa ragazza nata nel 1977 è ridefinire il modo di essere un ricercatore ai tempi di Internet.

Mi sarebbe piaciuto parlare in questo articolo delle impressioni a caldo sulla lettura della sua tesi di dottorato che ha gentilmente inviato a tutti i suoi contatti twitter che ne abbiano fatto richiesta in tempo utile. Mi sarebbe piaciuto ma non posso farlo perché l’autrice ha chiesto nel messaggio che accompagna il pdf della sua tesi di non parlarne in pubblico prima del 20 gennaio (data prevista del suo ritorno dalle vacanze e completamento del trasloco a Boston). Dopo quella data, danah pubblicherà sul suo blog sotto licenza Creative Commons’ Attribution-NonCommercial-NoDerivs License, version 3.0 la sua tesi aprendo il dibattito pubblico che con tutta probabilità le consentirà di raccogliere preziose indicazioni per trasformare la tesi in una pubblicazione.

Non potendo entrare nello specifico del lavoro, mi piace l’idea di partire da questo episodio per proporre alcune riflessioni su come cambia il ruolo del ricercatore in relazione al pubblico di rete. Osservando con attenzione la presenza web di danah boyd si può notare come nulla sia lasciato al caso.  In generale la sua identità pubblica è, come spiega lei stessa nella pagina dell’autobiografia, il frutto di un’attenzione quasi maniacale ai dettagli. Come direbbe lei citando Goffmann la sua presenza in rete (ma non solo) è frutto di un attento lavoro di impression management. Alla base c’è un’idea semplice e precisa di identità e non è un caso che, in fondo, sia proprio questo l’oggetto dei suoi studi fin dai tempi della sua tesi di master Faceted Id/entity: Managing representation in a digital world.

Social interaction is a negotiation of identities between people in a given environment. One’s identity is comprised of both a personal internal identity and a public social identity. As people engage socially, they project aspects of their internal identity into a social identity for others to perceive. Based on the situation, people only present a particular facet of their internal identity for consideration. Depending on their own need to self-monitor, an individual manages what is to be seen dependent on the environment, thereby creating a social performance where they offer different faces to convey different facets of their identity. The goal of such monitoring is to manage the impressions that others might perceive, to convey the appropriate information at the appropriate time.

In order to assess what is appropriate, people draw from situational and interpersonal contextual cues. By understanding the social implication of context cues and perceiving the reactions presented by others, an individual is given social feedback to adjust their behavior to fit the situation in the hopes of being perceived in the desired light. As people engage socially, they are continually drawing from their own experiences to perceive others and the environment and presenting aspects of their identity that they deem appropriate to the situation. Yet, this negotiation occurs with little conscious effort. (danah boyd, Faceted Id/entity :: Introduction, p. 12)

Ovviamente il modo di (1) esprimere la propria identità pubblica, (2) reperire gli indizi contestuali e (3) interpretarli per ri-definire la propria identità pubblica cambiano quando tutto questo avviene in un contesto mediato da Internet. Diventa necessario tenere presenti caratteristiche proprie di questo spazio.

Un ricercatore tradizionale ha di solito due momenti durante i quali si confronta con il pubblico: le pubblicazioni e le conferenze. In entrambi i casi il pubblico con il quale ci si confronta è un pubblico di esperti variamente costituito da colleghi che hanno maggiore o minore esperienza della tua. Parlare su Internet delle proprie ricerche significa aprire un confronto con un pubblico più vasto che tuttavia, specie in un settore come quello dei nuovi media, può mostrare competenze e capacità di esprimere preziose critiche pari o maggiori rispetto al pubblico degli esperti accademici tradizionali.

Durante le conferenze e dopo aver pubblicato un saggio in una rivista o un libro è possibile cogliere nelle reazioni del pubblico degli spettatori e dei lettori con cui si avrà la fortuna di entrare in contatto indicazioni sul contenuto e sulla forma della presentazione del lavoro ed incorporare queste osservazioni, se lo si desidera, nei successivi lavori.

Il mondo della ricerca si fonda su questo feedback sociale di taglio accademico che come in altri casi subisce profonde modifiche in presenza dei pubblici di rete.

1.      Il basso costo di accesso, di produzione e la teoria della coda lunga hanno praticamente estinto il ruolo di filtro delle case editrici. Inoltre oggi chiunque può pubblicare usando appositi servizi web un saggio o un libro (eventualmente anche con codici ISSN o ISBN) anche senza passare da una casa editrice tradizionale;

2.      I tempi tecnici per pubblicare un articolo in una rivista internazionale con referee variano da alcuni mesi ad oltre un anno. Questi tempi sono del tutto inadatti a chi scrive articoli che riguardano le tecnologie a causa della rapida evoluzione di questo settore;

3.      Sia i contenuti pubblicati in rete che quelli pubblicati passando attraverso i filtri tradizionali sono ricercabili attraverso i tradizionali canali di ricerca o usando specifici servizi di ricerca dedicati al mondo accademico (Google Book Search, Google Scholar, CiteULike);

4.      Esistono strumenti per rintracciare automaticamente e spesso in tempo reale tutte i contenuti pubblicati che parlano di uno nostro contenuto (ovvero ci citano) come Google Book Search, Google Scholar, Google Blog Search, Technorati, Liquida, Wikio;

5.      Esistono licenze come Creative Commons che consentono di proteggere i diritti sul proprio lavoro in modo più flessibile rispetto a quanto non facciano le case editrici tradizionali alle quali spesso concediamo inconsapevolmente i diritti sui contenuti che noi produciamo e pubblichiamo;

6.      Le conferenze, pur rimanendo fondamentali momenti per conoscere di persona i colleghi e sviluppare relazioni, sono sempre più spesso deludenti dal punto di vista dei contenuti come può essere lo SMAU per chi legge Engadget;

7.      Attraverso un lettore di feed RSS o un sito di social network (dedicato come ResearchGate o non come Linkedin o Facebook) è possibile rimanere in contatto (ed aggiornati sul loro lavoro) con colleghi che è difficile incontrare di persona a causa di impegni o distanze fisiche;

8.      Quasi tutte le riviste internazionali consentono di utilizzare i feed RSS per ricevere, appena pubblicati, gli articoli contenuti nell’ultima issue. Inoltre grazie all’ingegno di qualcuno è possibile creare ed abbonarsi ad un feed RSS di una ricerca di Google Scholar il che significa in pratica poter essere informati in tempo reale della pubblicazioni di un articolo sul tema che stiamo studiando;

9.      Accettare di pubblicare i propri contenuti online significa, al pari di ogni altra forma di pubblicazione, aprire una conversazione. Quando la conversazione è aperta bisogna mettere in conto che si riceveranno critiche (fondate o meno che siano). Quanto più i contenuti che pubblicate saranno visibili, tanto più alta sarà la possibilità di ricevere critiche (che poi è lo scopo per cui uno pubblica in modo da ricevere il feedback necessario a migliorarsi);

10.  Pubblicando i propri contenuti in rete ci si espone ad un pubblico più vasto ed eterogeneo della comunità accademica. Diversi strumenti possono essere dedicati ad un diverso pubblico (blog per il pubblico più vasto, twitter per i fan, facebook per gli amici). In ogni caso la relazione che voi stessi avete deciso di aprire con questo più vasto pubblico è da pari a pari. Per tutte queste ragioni è importante comprendere che aprire un blog o una presenza in rete comporta delle conseguenze che, se non si è pronti a gestire, possono essere ben peggiori dei vantaggi che si intende ottenere.

Adesso dovrebbe essere più chiaro il senso di questo messaggio.

L'embargo di danah
L'embargo di danah

P.S. Le mie riflessioni sul contenuto della tesi di danah boyd (titolo Taken Out of Context. American Teen Sociality in Networked Publics) saranno pubblicate in una edizione speciale di What’s next appena avrò il benestare dell’autrice.

What's next #13: Cosa uso, come e perchè ovvero me, myself and the networked publics

La disponibilità di alternative è sempre positiva ma le scelta a volte non sono semplici ed impattano il nostro futuro. Questo vale sempre anche quando si tratta di scegliere quali software usare e come farlo 🙂La disponibilità di alternative è sempre positiva ma le scelta a volte non sono semplici ed impattano il nostro futuro. Questo vale sempre anche quando si tratta di scegliere quali software usare e come farlo 🙂La disponibilità di alternative è sempre positiva ma le scelta a volte non sono semplici ed impattano il nostro futuro. Questo vale sempre anche quando si tratta di scegliere quali software usare e come farlo 🙂


Da alcuni (in certi casi parecchi) mesi a questa parte ho modificato in modo sostanziale l’uso che faccio di alcuni strumenti del web ed in particolare dei social media.
Ho pensato dunque, visto che fine anno è tradizionalmente tempo di bilanci, di condividere in questo post alcune scelte che ho fatto allo scopo sia di suggerire soluzioni a problemi comuni, sia di ricevere commenti e suggerimenti su altri tools che non conosco o su come aumentare l’efficacia di quelli che utilizzo.

Device che uso

  • Un computer desktop a casa con Windows Vista;
  • Un notebook con Windows XP;
  • Nintendo Wii;
  • Uno smartphone HTC Touch Cruise.

Connessione a Internet

  • A casa ho un ADSL solo dati con NGI (F5 7M/384k);
  • In ufficio uso ovviamente la rete di uniurb;
  • In mobilità uso una connessione WIND con opzione Mega No Limit (di cui sfrutto circa il 25% del traffico/mese cosa che mi spingerebbe a passare ad una delle altre due offerte a volume più economiche se questo non fosse impedito esplicitamente a chi ha Mega No Limit).

Sincronizzazione file

Usando due computer c’è sempre il problema di avere i file sincronizzati. Ho optato da qualche tempo per l’uso di Groove. Ho una cartella chiamata My LaRiCA con tutti i miei file che si sincronizza automaticamente ogni volta che qualcosa viene modificato.
Ho attivato in via sperimentale fino a gennaio anche Live Mesh (beta) che sembra per diverse ragioni meglio di Groove.

Posta elettronica

Sono passato da Outlook 2007 a Gmail. Non uso più la posta in modalità offline e non ne ho mai sentito la necessità (tranne forse qualche volta all’estero). Outlook è comunque configurato su entrambi i computer per sincronizzarsi via IMAP con Gmail in modo tale che le rare volte che lo apro copia in locale i miei messaggi.
Poiché la mia università ha un sistema di web mail penoso ho impostato Gmail per scaricare automaticamente i messaggi da questo account. Poiché al tempo stesso avevo necessità di inviare email con il mio indirizzo @uniurb.it ho impostato Gmail per inviare le email di default da quell’indirizzo. Non ho altri indirizzi email ma se li avessi li farei convergere tutti su Gmail.
Sullo smartphone ho configurato il client con protocollo IMAP e posso ricevere e spedire dal dispositivo mobile con la certezza che tutto viene poi sincronizzato su Gmail.
Uso Gmail secondo la sua logica cercando di mantenere l’inbox il più possibile vuota lasciandovi solo i messaggi in lavorazione o quelli che contengono informazioni importanti (biglietti aerei, indirizzi, etc.) contrassegnandoli con le Superstars di Gmail Lab.

Calendario

Anche qui da Outlook 2007 a Google Calendar. La cosa più complicata e che mi crea ancora problemi è la sincronizzazione con lo smartphone che funzionava tanto bene con Exchange. Dopo diverse prove ho optato per usare Plaxo (la versione a pagamento) che consente la sincronizzazione dei calendari anche da smartphone (usando la piattaforma Funambol). Pur funzionando non sono molto soddisfatto di questa soluzione (eventi duplicati e problemi di sync con il client mobile) ma forse dovrei dedicare un po’ di tempo a scegliere meglio i settaggi.
Ho anche installato il Google Calendar gadget di Gmail Lab.

Contatti

Da Outlook 2007 a Plaxo sincronizzato con lo smartphone spiegato sopra. Mi piacerebbe sincronizzare a due vie i contatti di Gmail ma Plaxo non supporta questa funzionalità. Al momento i contatti di Gmail vengono importati in Plaxo ma non viceversa.

To do list

Da Outlook 2007 a Remember the Milk in Gmail (con il nuovo Google Gadget x Gmail).

RSS Feed Reader

Da Feedeamon/Newsgator Mobile (sincronizzando Feeddeamon via Newsgator) a Google Reader.

Browser

Uso Firefox con alcuni add on che aggiungono alcune funzionalità che mi piacevano viste in Google Chrome.

Messaggistica Istantanea

Uso Digsby e Skype (sperando che prima o poi esca qualcosa come Skype ma su un protocollo aperto che possa essere integrato in Digsby o Pidgin).

Academic reference management software

Sono passato da Endnote a Zotero. Zotero è free, web based e supporta la sincronizzazione fra diverse installazioni quindi non c’era storia. Se scrivete articoli accademici e non usate un programma tipo questi è arrivato decisamente il momento di farlo.

Siti di Social network

L’uso che faccio dei vari siti di social network dipende da un complesso mix di funzionalità del sito e pubblico di riferimento. Poiché entrambi cambiano velocemente modifico spesso anche le mie strategie di scelta. Inoltre il pubblico della rete è sempre indistinto anche quando pensi di conoscerlo. Per tutta questa serie di ragioni non è detto che quello che faccio io sia la strategia migliore o che consiglio a qualcuno. Si tratta di sperimentare e trovare il giusto mix sperando che prima o poi esca un sistema definitivo consenta di minimizzare la ridondanza (che comunque in questi sistemi di flusso ha una sua precisa funzione) consentendo di condividere con il gruppo di amici adatto ciascuno contenuto (aggiungo anche che dovrebbe essere bastato su standard aperti).
Al momento uso prevalentemente:

FriendFeed

In FriendFeed converge tutto quello che produco. Dai post del blog ai libri che aggiungo alla wish list di Amazon. Nella mia idea su FriendFeed ci sono prevalentemente i geek per cui riservo a volte a questo spazio le cose più tecnologiche che non sono di interesse né per gli studenti, né per i colleghi del mondo accademico. Quando leggo qualcosa di interessante in Google Reader lo condivido cliccando l’apposito bottoncino e finisce in FriendFeed.

Facebook

Anche in Facebook finisce (via FriendFeed) tutto quello che produco. Quando condivido un link direttamente attraverso Facebook lo faccio con l’idea di rivolgermi ad un pubblico più vasto e generalista rispetto a Twitter o FriendFeed. Ad esempio la gran parte degli studenti ed ex-studenti che conosco sono su Facebook ma il gruppo di quelli più smart è su Twitter e/o FriendFeed.

Twitter

Lo uso quasi esclusivamente quando devo condividere qualcosa che penso sia di interesse per qualcuno che ancora non è su FriendFeed o su Facebook (credo ormai pochissime persone ma è veramente difficile farsi un’idea di chi legge i tuoi tweet per via del asimmetria propria di questo sistema). Ho anche attivato l’opzione di FriendFeed per aggiornare automaticamente Twitter quando aggiungo qualcosa su FF. Ho invece disattivato l’applicazione di Facebook che mi consente di sincronizzare automaticamente gli status update con Twitter perché in realtà non uso quasi mai Twitter per gli status update.

Blip.tv

Lo uso per i video lunghi (lezioni, interviste, seminari, etc.). Offre più opzioni e flessibilità rispetto a Google Video.

Poi uso anche YouTube (molto di rado) e Flickr (che preferisco all’applicazione di Facebook per la condivisione delle foto) più spesso.

E voi cosa usate?

Da alcuni (in certi casi parecchi) mesi a questa parte ho modificato in modo sostanziale l’uso che faccio di alcuni strumenti del web ed in particolare dei social media.

Ho pensato dunque, visto che fine anno è tradizionalmente tempo di bilanci, di condividere in questo post alcune scelte che ho fatto allo scopo sia di suggerire soluzioni a problemi comuni, sia di ricevere commenti e suggerimenti su altri tools che non conosco o su come aumentare l’efficacia di quelli che utilizzo.

Device che uso

  • Un computer desktop a casa con Windows Vista;
  • Un notebook con Windows XP;
  • Nintendo Wii;
  • Uno smartphone HTC Touch Cruise.

Connessione a Internet

  • A casa ho un ADSL solo dati con NGI (F5 7M/384k);
  • In ufficio uso ovviamente la rete di uniurb;
  • In mobilità uso una connessione WIND con opzione Mega No Limit (di cui sfrutto circa il 25% del traffico/mese cosa che mi spingerebbe a passare ad una delle altre due offerte a volume più economiche se questo non fosse impedito esplicitamente a chi ha Mega No Limit).

Sincronizzazione file

Usando due computer c’è sempre il problema di avere i file sincronizzati. Ho optato da qualche tempo per l’uso di Groove. Ho una cartella chiamata My LaRiCA con tutti i miei file che si sincronizza automaticamente ogni volta che qualcosa viene modificato.

Ho attivato in via sperimentale fino a gennaio anche Live Mesh (beta) che sembra per diverse ragioni meglio di Groove.

Posta elettronica

Sono passato da Outlook 2007 a Gmail. Non uso più la posta in modalità offline e non ne ho mai sentito la necessità (tranne forse qualche volta all’estero). Outlook è comunque configurato su entrambi i computer per sincronizzarsi via IMAP con Gmail in modo tale che le rare volte che lo apro copia in locale i miei messaggi.

Poiché la mia università ha un sistema di web mail penoso ho impostato Gmail per scaricare automaticamente i messaggi da questo account. Poiché al tempo stesso avevo necessità di inviare email con il mio indirizzo @uniurb.it ho impostato Gmail per inviare le email di default da quell’indirizzo. Non ho altri indirizzi email ma se li avessi li farei convergere tutti su Gmail.

Sullo smartphone ho configurato il client con protocollo IMAP e posso ricevere e spedire dal dispositivo mobile con la certezza che tutto viene poi sincronizzato su Gmail.

Uso Gmail secondo la sua logica cercando di mantenere l’inbox il più possibile vuota lasciandovi solo i messaggi in lavorazione o quelli che contengono informazioni importanti (biglietti aerei, indirizzi, etc.) contrassegnandoli con le Superstars di Gmail Lab.

Calendario

Anche qui da Outlook 2007 a Google Calendar. La cosa più complicata e che mi crea ancora problemi è la sincronizzazione con lo smartphone che funzionava tanto bene con Exchange. Dopo diverse prove ho optato per usare Plaxo (la versione a pagamento) che consente la sincronizzazione dei calendari anche da smartphone (usando la piattaforma Funambol). Pur funzionando non sono molto soddisfatto di questa soluzione (eventi duplicati e problemi di sync con il client mobile) ma forse dovrei dedicare un po’ di tempo a scegliere meglio i settaggi.

Ho anche installato il Google Calendar gadget di Gmail Lab.

Contatti

Da Outlook 2007 a Plaxo sincronizzato con lo smartphone spiegato sopra. Mi piacerebbe sincronizzare a due vie i contatti di Gmail ma Plaxo non supporta questa funzionalità. Al momento i contatti di Gmail vengono importati in Plaxo ma non viceversa.

To do list

Da Outlook 2007 a Remember the Milk in Gmail (con il nuovo Google Gadget x Gmail).

RSS Feed Reader

Da Feedeamon/Newsgator Mobile (sincronizzando Feeddeamon via Newsgator) a Google Reader.

Browser

Uso Firefox con alcuni add on che aggiungono alcune funzionalità che mi piacevano viste in Google Chrome.

Messaggistica Istantanea

Uso Digsby e Skype (sperando che prima o poi esca qualcosa come Skype ma su un protocollo aperto che possa essere integrato in Digsby o Pidgin).

Academic reference management software

Sono passato da Endnote a Zotero. Zotero è free, web based e supporta la sincronizzazione fra diverse installazioni quindi non c’era storia. Se scrivete articoli accademici e non usate un programma tipo questi è arrivato decisamente il momento di farlo.

Siti di Social network

L’uso che faccio dei vari siti di social network dipende da un complesso mix di funzionalità del sito e pubblico di riferimento. Poiché entrambi cambiano velocemente modifico spesso anche le mie strategie di scelta. Inoltre il pubblico della rete è sempre indistinto anche quando pensi di conoscerlo. Per tutta questa serie di ragioni non è detto che quello che faccio io sia la strategia migliore o che consiglio a qualcuno. Si tratta di sperimentare e trovare il giusto mix sperando che prima o poi esca un sistema definitivo consenta di minimizzare la ridondanza (che comunque in questi sistemi di flusso ha una sua precisa funzione) consentendo di condividere con il gruppo di amici adatto ciascuno contenuto (aggiungo anche che dovrebbe essere bastato su standard aperti).

Al momento uso prevalentemente:

FriendFeed

In FriendFeed converge tutto quello che produco. Dai post del blog ai libri che aggiungo alla wish list di Amazon. Nella mia idea su FriendFeed ci sono prevalentemente i geek per cui riservo a volte a questo spazio le cose più tecnologiche che non sono di interesse né per gli studenti, né per i colleghi del mondo accademico. Quando leggo qualcosa di interessante in Google Reader lo condivido cliccando l’apposito bottoncino e finisce in FriendFeed.

Facebook

Anche in Facebook finisce (via FriendFeed) tutto quello che produco. Quando condivido un link direttamente attraverso Facebook lo faccio con l’idea di rivolgermi ad un pubblico più vasto e generalista rispetto a Twitter o FriendFeed. Ad esempio la gran parte degli studenti ed ex-studenti che conosco sono su Facebook ma il gruppo di quelli più smart è su Twitter e/o FriendFeed.

Twitter

Lo uso quasi esclusivamente quando devo condividere qualcosa che penso sia di interesse per qualcuno che ancora non è su FriendFeed o su Facebook (credo ormai pochissime persone ma è veramente difficile farsi un’idea di chi legge i tuoi tweet per via del asimmetria propria di questo sistema). Ho anche attivato l’opzione di FriendFeed per aggiornare automaticamente Twitter quando aggiungo qualcosa su FF. Ho invece disattivato l’applicazione di Facebook che mi consente di sincronizzare automaticamente gli status update con Twitter perché in realtà non uso quasi mai Twitter per gli status update.

Blip.tv

Lo uso per i video lunghi (lezioni, interviste, seminari, etc.). Offre più opzioni e flessibilità rispetto a Google Video.

Poi uso anche YouTube (molto di rado) e Flickr (che preferisco all’applicazione di Facebook per la condivisione delle foto) più spesso.

E voi cosa usate?

Da alcuni (in certi casi parecchi) mesi a questa parte ho modificato in modo sostanziale l’uso che faccio di alcuni strumenti del web ed in particolare dei social media.

Ho pensato dunque, visto che fine anno è tradizionalmente tempo di bilanci, di condividere in questo post alcune scelte che ho fatto allo scopo sia di suggerire soluzioni a problemi comuni, sia di ricevere commenti e suggerimenti su altri tools che non conosco o su come aumentare l’efficacia di quelli che utilizzo.

Device che uso

  • Un computer desktop a casa con Windows Vista;
  • Un notebook con Windows XP;
  • Nintendo Wii;
  • Uno smartphone HTC Touch Cruise.

Connessione a Internet

  • A casa ho un ADSL solo dati con NGI (F5 7M/384k);
  • In ufficio uso ovviamente la rete di uniurb;
  • In mobilità uso una connessione WIND con opzione Mega No Limit (di cui sfrutto circa il 25% del traffico/mese cosa che mi spingerebbe a passare ad una delle altre due offerte a volume più economiche se questo non fosse impedito esplicitamente a chi ha Mega No Limit).

Sincronizzazione file

Usando due computer c’è sempre il problema di avere i file sincronizzati. Ho optato da qualche tempo per l’uso di Groove. Ho una cartella chiamata My LaRiCA con tutti i miei file che si sincronizza automaticamente ogni volta che qualcosa viene modificato.

Ho attivato in via sperimentale fino a gennaio anche Live Mesh (beta) che sembra per diverse ragioni meglio di Groove.

Posta elettronica

Sono passato da Outlook 2007 a Gmail. Non uso più la posta in modalità offline e non ne ho mai sentito la necessità (tranne forse qualche volta all’estero). Outlook è comunque configurato su entrambi i computer per sincronizzarsi via IMAP con Gmail in modo tale che le rare volte che lo apro copia in locale i miei messaggi.

Poiché la mia università ha un sistema di web mail penoso ho impostato Gmail per scaricare automaticamente i messaggi da questo account. Poiché al tempo stesso avevo necessità di inviare email con il mio indirizzo @uniurb.it ho impostato Gmail per inviare le email di default da quell’indirizzo. Non ho altri indirizzi email ma se li avessi li farei convergere tutti su Gmail.

Sullo smartphone ho configurato il client con protocollo IMAP e posso ricevere e spedire dal dispositivo mobile con la certezza che tutto viene poi sincronizzato su Gmail.

Uso Gmail secondo la sua logica cercando di mantenere l’inbox il più possibile vuota lasciandovi solo i messaggi in lavorazione o quelli che contengono informazioni importanti (biglietti aerei, indirizzi, etc.) contrassegnandoli con le Superstars di Gmail Lab.

Calendario

Anche qui da Outlook 2007 a Google Calendar. La cosa più complicata e che mi crea ancora problemi è la sincronizzazione con lo smartphone che funzionava tanto bene con Exchange. Dopo diverse prove ho optato per usare Plaxo (la versione a pagamento) che consente la sincronizzazione dei calendari anche da smartphone (usando la piattaforma Funambol). Pur funzionando non sono molto soddisfatto di questa soluzione (eventi duplicati e problemi di sync con il client mobile) ma forse dovrei dedicare un po’ di tempo a scegliere meglio i settaggi.

Ho anche installato il Google Calendar gadget di Gmail Lab.

Contatti

Da Outlook 2007 a Plaxo sincronizzato con lo smartphone spiegato sopra. Mi piacerebbe sincronizzare a due vie i contatti di Gmail ma Plaxo non supporta questa funzionalità. Al momento i contatti di Gmail vengono importati in Plaxo ma non viceversa.

To do list

Da Outlook 2007 a Remember the Milk in Gmail (con il nuovo Google Gadget x Gmail).

RSS Feed Reader

Da Feedeamon/Newsgator Mobile (sincronizzando Feeddeamon via Newsgator) a Google Reader.

Browser

Uso Firefox con alcuni add on che aggiungono alcune funzionalità che mi piacevano viste in Google Chrome.

Messaggistica Istantanea

Uso Digsby e Skype (sperando che prima o poi esca qualcosa come Skype ma su un protocollo aperto che possa essere integrato in Digsby o Pidgin).

Academic reference management software

Sono passato da Endnote a Zotero. Zotero è free, web based e supporta la sincronizzazione fra diverse installazioni quindi non c’era storia. Se scrivete articoli accademici e non usate un programma tipo questi è arrivato decisamente il momento di farlo.

Siti di Social network

L’uso che faccio dei vari siti di social network dipende da un complesso mix di funzionalità del sito e pubblico di riferimento. Poiché entrambi cambiano velocemente modifico spesso anche le mie strategie di scelta. Inoltre il pubblico della rete è sempre indistinto anche quando pensi di conoscerlo. Per tutta questa serie di ragioni non è detto che quello che faccio io sia la strategia migliore o che consiglio a qualcuno. Si tratta di sperimentare e trovare il giusto mix sperando che prima o poi esca un sistema definitivo consenta di minimizzare la ridondanza (che comunque in questi sistemi di flusso ha una sua precisa funzione) consentendo di condividere con il gruppo di amici adatto ciascuno contenuto (aggiungo anche che dovrebbe essere bastato su standard aperti).

Al momento uso prevalentemente:

FriendFeed

In FriendFeed converge tutto quello che produco. Dai post del blog ai libri che aggiungo alla wish list di Amazon. Nella mia idea su FriendFeed ci sono prevalentemente i geek per cui riservo a volte a questo spazio le cose più tecnologiche che non sono di interesse né per gli studenti, né per i colleghi del mondo accademico. Quando leggo qualcosa di interessante in Google Reader lo condivido cliccando l’apposito bottoncino e finisce in FriendFeed.

Facebook

Anche in Facebook finisce (via FriendFeed) tutto quello che produco. Quando condivido un link direttamente attraverso Facebook lo faccio con l’idea di rivolgermi ad un pubblico più vasto e generalista rispetto a Twitter o FriendFeed. Ad esempio la gran parte degli studenti ed ex-studenti che conosco sono su Facebook ma il gruppo di quelli più smart è su Twitter e/o FriendFeed.

Twitter

Lo uso quasi esclusivamente quando devo condividere qualcosa che penso sia di interesse per qualcuno che ancora non è su FriendFeed o su Facebook (credo ormai pochissime persone ma è veramente difficile farsi un’idea di chi legge i tuoi tweet per via del asimmetria propria di questo sistema). Ho anche attivato l’opzione di FriendFeed per aggiornare automaticamente Twitter quando aggiungo qualcosa su FF. Ho invece disattivato l’applicazione di Facebook che mi consente di sincronizzare automaticamente gli status update con Twitter perché in realtà non uso quasi mai Twitter per gli status update.

Blip.tv

Lo uso per i video lunghi (lezioni, interviste, seminari, etc.). Offre più opzioni e flessibilità rispetto a Google Video.

Poi uso anche YouTube (molto di rado) e Flickr (che preferisco all’applicazione di Facebook per la condivisione delle foto) più spesso.

E voi cosa usate?

What’s next #12: Il paziente e gli UCG. Rischi ed opportunità dell'e-Health 2.0

Le logiche del web 2.0 contaminano anche il mondo della sanità. Nascono nuove applicazioni basate sul contenuto generato dai pazienti (o dai medici) che offrono come sempre assieme nuove opportunità e nuovi rischi.Le logiche del web 2.0 contaminano anche il mondo della sanità. Nascono nuove applicazioni basate sul contenuto generato dai pazienti (o dai medici) che offrono come sempre assieme nuove opportunità e nuovi rischi.Le logiche del web 2.0 contaminano anche il mondo della sanità. Nascono nuove applicazioni basate sul contenuto generato dai pazienti (o dai medici) che offrono come sempre assieme nuove opportunità e nuovi rischi.


Da qualche mese un piccolo gruppo di ricercatori LaRiCA collabora ad un progetto finanziato dal Ministro del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali e gestito da CUP 2000 (una società di Bologna specializzata in soluzione per l’e-health). Il progetto si propone di raccogliere, classificare e visualizzare in uno spazio web le esperienze ed i progetti in corso volti a erogare servizi e prestazioni sanitarie direttamente a casa del paziente facendo uso di Internet o altri canali digitali (e-care).
L’ambiente web, basato su Drupal, è già attivo da tempo ed implementa in modo interessante alcuni servizi social (feed rss, servizi di condivisione e bookmarking, tag clouds, visualizzazioni dei progetti basti sull’utilizzo che gli utenti fanno del sito, etc.).
Potete dare uno sguardo voi stessi a: http://www.onecare.cup2000.it/.
Il LaRiCA si è occupato prevalentemente di raccogliere ed analizzare i servizi web che fanno uso delle logiche del web sociale (o 2.0) per cambiare, a diversi livelli, le modalità di fruizione e di erogazione dei servizi sanitari. Da tempo Internet si è andata affermando come una risorsa per il reperimento di informazioni sanitarie (secondo una recente survey di Pew Internet il 78% degli americani che dispongono di una connessione a banda larga cercano informazioni relative alla salute online). È invece più recente la tendenza, sulla scia del successo dei servizio basati sul contenuto generato dagli utenti, a creare servizi di e-health web-based basati sull’idea che i pazienti sono produttori e non solo consumatori di contenuti.
A prima vista l’idea che contenuti la cui esattezza è così importante siano prodotti dagli utenti (non dunque dai professionisti) può destare più di una preoccupazione. I servizi che abbiamo individuato sono riusciti tuttavia a cogliere le opportunità di questo approccio minimizzando il rischio ad esso connesso.
Queste opportunità possono essere fatte ricadere in altrettante categorie di applicazioni web 2.0. Ne abbiamo individuate essenzialmente tre: i sistemi di Online Health Records, i sistemi per la fornitura di servizi medici on line (e-healthcare market) e i siti di social network tematici.


Gli OnLine Health Records sono sistemi che permettono la creazione e la gestione della propria cartella clinica on line. Tutti i dati relativi a patologie, cure mediche, esami e trattamenti effettuati da qualsiasi soggetto possono, con tali sistemi, essere salvati in rete e attraverso questa gestiti, condivisi, consultati o integrati.
I vantaggi sono dettati dall’estrema duttilità nella fruizione delle informazioni e dall’elevata possibilità di interazione tra medico e paziente.
Quest’ultimo si pone al centro del sistema potendo decidere in modo autonomo quando e dove usufruire dei suoi dati, quale persona autorizzare alla visione degli stessi, a quale medico inviare la propria cartella per ottenere un consulto. Il paziente può gestire in modo autonomo un insieme di dati raccolti in un unico “luogo”, consultabile in modo istantaneo in qualunque parte del mondo.
È possibile strutturare in questo modo sistemi anche molto complessi che prevedono, come nel caso del sistema HealthVault di Microsoft, l’aggiornamento in tempo reale dei parametri vitali del paziente attraverso l’uso di device portatili che monitorano costantemente il soggetto e inviano i dati nell’online health record. In questo modo il medico potrà essere informato costantemente, ovunque si trovi, sulle condizioni del proprio paziente potendo intervenire, se necessario, anche in tempo reale. Allo stesso modo il carattere permanente delle informazioni consente la sedimentazione nel tempo degli eventi che hanno caratterizzano la storia clinica di un soggetto fornendone un quadro completo indipendentemente dalle strutture presso le quali il paziente si è rivolto nel tempo.
Gli Online Health Records possono inoltre svolgere un ulteriore importante funzione nel rendere visibile al paziente stesso la propria storia clinica. La possibilità di monitorare e visualizzare in modo semplice l’evolversi del tempo di certi parametri crea anche nel paziente delle inedite possibilità di riflettere sulla relazione fra i comportamenti quotidiani (attività fisica, quantità e tipologia di cibo) ed i parametri medici riscontrati (in un certo senso è lo stesso principio del Wii Fit). Fanno parte di questa specifica categoria l’applicazione per iPhone Diamedic (per pazienti diabetici) e Weight Tracker.
Alla flessibilità di gestione ed accessibilità delle informazioni accumulate attraverso questi sistemi si associa anche una netta diminuzione dei costi da parte delle strutture mediche. I dati vengono salvati nei server Internet delle aziende che rendono disponibile il servizio permettendo sia ai pazienti che alle strutture sanitarie di usufruire di sistemi molto più potenti e sicuri di quelli dei singoli ospedali, dei singoli medici o dei singoli pazienti, senza alcun costo di utilizzo e gestione. Questo rappresenta, per il momento, il settore in cui le applicazioni su larga scala sembrano essere più imminenti, non è un caso che colossi del mercato informatico come Google e Microsoft (Google Health e Microsoft HealthVault) stiano investendo in queste applicazioni ingenti capitali.
In altri casi, le applicazioni supportate dal Web 2.0 permettono di fruire di servizi sempre più personalizzati che in un’ottica di customerizzazione e domiciliarità consentono agli utenti di scegliere in modo consapevole medici, strutture ospedaliere, esami clinici (es. Vitals, American Well, Healthgrades, etc.). Attraverso sistemi di rating on line è possibile, ad esempio, comparare la qualità di strutture sanitarie, cure mediche e quant’altro. In alcuni casi l’utente, individua, attraverso l’aiuto on line di un medico, le cure più adatte per la sua patologia, confronta la qualità, il costo, i tempi dei servizi forniti da diverse strutture e diversi medici e alla fine acquista il pacchetto più conveniente. Dopo aver effettuato gli esami acquistati, potrà esprimere il proprio parere sulla qualità del servizio erogato che fungerà da indicazione per gli utenti successivi.
È il caso di Carol.com, un sistema che consente all’utente di scegliere e prenotare l’esame clinico più adatto alle proprie esigienze attraverso una ricerca fatta per parole chiave (Medical, Dental, Classes, Vision, Cosmetic, Behavioral Health) o per categorie (Men’s Health, Women’s Health, Back & Joint, Diabetes, Higth Blood Pressure). La rete, attiva nelle zone di Minneapolis e Saint Paul, si avvale della collaborazione di 26 centri o strutture ospedaliere e 8 compagnie di assicurazioni presenti in quell’area.
L’applicazione permette di comparare in tempo reale una serie di parametri relativi allo stesso servizio erogato dalle diverse strutture della zona e leggere i commenti di coloro che hanno già acquistato quel servizio o quel pacchetto di servizi in una determinata struttura.
In questo modo è possibile confrontare un ampio spettro di informazioni relativo, ad esempio, al costo, alla disposizione geografica delle strutture mediche che erogano quel particolare servizio, alle liste d’attesa, alla qualità delle strutture ospedaliere, alla qualità e la disponibilità del personale.
L’applicazione si presenta come un on line market place in cui, in posizione di totale parità, si confrontano gli utenti da una parte e il sistema sanitario dall’altra. Questo consente agli utenti di scegliere in modo autonomo e consapevole il servizio più adatto alle proprie esigenze e a coloro che erogano il servizio di avere un feedback immediato e a costo zero attraverso cui monitorare e migliorare la qualità dei propri prodotti.
Si tratta di forme e linguaggi mediali già sperimentati in altri campi. Il paragone (con le dovute differenze) è col famosissimo eBay, applicazione che mette in contatto venditori e compratori di tutto il mondo in cui l’apertura totale al mercato, la trasparenza e la centralità dell’utente costituiscono degli elementi chiave.
La terza tipologia di applicazioni web 2.0 per la sanità è costituita da siti di social network tematici (SharingHope, Patients Like Me) che permettono la condivisione di esperienze personali e di pareri informali, riguardo patologie o situazioni specifiche con l’intento di fornire un supporto di tipo psicologico agli utenti. Attraverso questo tipo di applicazioni si crea un senso di comunità capace di sopperire alle carenze (di informazione, di sostegno morale, etc.) del sistema sanitario relative alla gestione non tanto dei risvolti clinici della malattia, quanto di quelli umani.
Un esempio è DailyStrenght un grande social network costituito da gruppi di supporto online su una quantità enorme di patologie. Esistono attualmente più di 500 gruppi di discussioni sulle più disparate patologie riguardanti le tre aree della salute mentale, della salute fisica e dei problemi di natura personale. Gli utenti possono discutere in completo anonimato delle proprie condizioni mediche con persone che abbiano sperimentato la stessa situazione e con medici competenti sulle diverse patologie.
Esiste una sezione in cui è possibile crearsi un profilo personale che fornisce una descrizione di base dell’utente, mostra le sue attività, le notizie che ha segnalato o le conversazioni che ha fatto all’interno dei forum di discussione. È un sistema in stile MySpace o Facebook all’interno del quale è possibile tenere un diario, fare amicizie, caricare foto e video.
Una delle parti più convincenti è la treatment directory, in cui i membri possono riportare i trattamenti effettuati e la loro efficacia, discuterne insieme, segnalare nuove ricerche, articoli e cure alternative.
Tali sistemi possono attuare quel circolo virtuoso già evidenziato in precedenza. Non solo possono generare comunità che si autoalimentano aiutando nello stesso tempo chi ha bisogno di un sostegno, ma producono relazioni che generano conoscenza. La mole di conversazioni prodotta, se osservata con attenzione può costituire una enorme risorsa di informazioni per il sistema della sanità, a cominciare dalle strutture ospedaliere, dai professionisti e dalle industrie del settore. Queste possono recepire gli stimoli, i bisogni e le aspettative espresse da queste comunità per migliorare i propri servizi e i propri prodotti.
Rimane da capire quanto i benefici dell’e-health 2.0 aprono al tempo stesso a nuovi rischi. Da quello di imbattersi in informazioni non corrette perché prodotte da non professionisti a quelli relativi alla privacy.
In particolare la capacità degli utenti di produrre contenuti tende a ristrutturare, anche in ambito sanitario, il rapporto fra strutture sanitarie, medici e pazienti. La prassi dell’ascolto, come sta diventando lentamente chiaro per le aziende, diverrà col tempo una necessità anche per chi offre servizi nel campo della salute.
Mi chiedo se veramente il sistema sanitario italiano sarà in grado di sviluppare questa capacità di ascolto.
Cosa ne pensate? Ci sono più opportunità o rischi nel mondo dell’e-Health 2.0?
P.S. Questo post è in gran parte tratto da un report scritto dal mio collega Giulio Gabbianelli.
P.P.S. L’immagine è provvisoria. Pubblicherò quella giusta non appena avrò risolto un problema tecnico che sta affliggendo il server che ospita il blog.

Da qualche mese un piccolo gruppo di ricercatori LaRiCA collabora ad un progetto finanziato dal Ministro del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali e gestito da CUP 2000 (una società di Bologna specializzata in soluzione per l’e-health). Il progetto si propone di raccogliere, classificare e visualizzare in uno spazio web le esperienze ed i progetti in corso volti a erogare servizi e prestazioni sanitarie direttamente a casa del paziente facendo uso di Internet o altri canali digitali (e-care).

L’ambiente web, basato su Drupal, è già attivo da tempo ed implementa in modo interessante alcuni servizi social (feed rss, servizi di condivisione e bookmarking, tag clouds, visualizzazioni dei progetti basti sull’utilizzo che gli utenti fanno del sito, etc.).

Potete dare uno sguardo voi stessi a: http://www.onecare.cup2000.it/.

Il LaRiCA si è occupato prevalentemente di raccogliere ed analizzare i servizi web che fanno uso delle logiche del web sociale (o 2.0) per cambiare, a diversi livelli, le modalità di fruizione e di erogazione dei servizi sanitari. Da tempo Internet si è andata affermando come una risorsa per il reperimento di informazioni sanitarie (secondo una recente survey di Pew Internet il 78% degli americani che dispongono di una connessione a banda larga cercano informazioni relative alla salute online). È invece più recente la tendenza, sulla scia del successo dei servizio basati sul contenuto generato dagli utenti, a creare servizi di e-health web-based basati sull’idea che i pazienti sono produttori e non solo consumatori di contenuti.

A prima vista l’idea che contenuti la cui esattezza è così importante siano prodotti dagli utenti (non dunque dai professionisti) può destare più di una preoccupazione. I servizi che abbiamo individuato sono riusciti tuttavia a cogliere le opportunità di questo approccio minimizzando il rischio ad esso connesso.

Queste opportunità possono essere fatte ricadere in altrettante categorie di applicazioni web 2.0. Ne abbiamo individuate essenzialmente tre: i sistemi di Online Health Records, i sistemi per la fornitura di servizi medici on line (e-healthcare market) e i siti di social network tematici.

Gli OnLine Health Records sono sistemi che permettono la creazione e la gestione della propria cartella clinica on line. Tutti i dati relativi a patologie, cure mediche, esami e trattamenti effettuati da qualsiasi soggetto possono, con tali sistemi, essere salvati in rete e attraverso questa gestiti, condivisi, consultati o integrati.

I vantaggi sono dettati dall’estrema duttilità nella fruizione delle informazioni e dall’elevata possibilità di interazione tra medico e paziente.

Quest’ultimo si pone al centro del sistema potendo decidere in modo autonomo quando e dove usufruire dei suoi dati, quale persona autorizzare alla visione degli stessi, a quale medico inviare la propria cartella per ottenere un consulto. Il paziente può gestire in modo autonomo un insieme di dati raccolti in un unico “luogo”, consultabile in modo istantaneo in qualunque parte del mondo.

È possibile strutturare in questo modo sistemi anche molto complessi che prevedono, come nel caso del sistema HealthVault di Microsoft, l’aggiornamento in tempo reale dei parametri vitali del paziente attraverso l’uso di device portatili che monitorano costantemente il soggetto e inviano i dati nell’online health record. In questo modo il medico potrà essere informato costantemente, ovunque si trovi, sulle condizioni del proprio paziente potendo intervenire, se necessario, anche in tempo reale. Allo stesso modo il carattere permanente delle informazioni consente la sedimentazione nel tempo degli eventi che hanno caratterizzano la storia clinica di un soggetto fornendone un quadro completo indipendentemente dalle strutture presso le quali il paziente si è rivolto nel tempo.

Gli Online Health Records possono inoltre svolgere un ulteriore importante funzione nel rendere visibile al paziente stesso la propria storia clinica. La possibilità di monitorare e visualizzare in modo semplice l’evolversi del tempo di certi parametri crea anche nel paziente delle inedite possibilità di riflettere sulla relazione fra i comportamenti quotidiani (attività fisica, quantità e tipologia di cibo) ed i parametri medici riscontrati (in un certo senso è lo stesso principio del Wii Fit). Fanno parte di questa specifica categoria l’applicazione per iPhone Diamedic (per pazienti diabetici) e Weight Tracker.

Alla flessibilità di gestione ed accessibilità delle informazioni accumulate attraverso questi sistemi si associa anche una netta diminuzione dei costi da parte delle strutture mediche. I dati vengono salvati nei server Internet delle aziende che rendono disponibile il servizio permettendo sia ai pazienti che alle strutture sanitarie di usufruire di sistemi molto più potenti e sicuri di quelli dei singoli ospedali, dei singoli medici o dei singoli pazienti, senza alcun costo di utilizzo e gestione. Questo rappresenta, per il momento, il settore in cui le applicazioni su larga scala sembrano essere più imminenti, non è un caso che colossi del mercato informatico come Google e Microsoft (Google Health e Microsoft HealthVault) stiano investendo in queste applicazioni ingenti capitali.

In altri casi, le applicazioni supportate dal Web 2.0 permettono di fruire di servizi sempre più personalizzati che in un’ottica di customerizzazione e domiciliarità consentono agli utenti di scegliere in modo consapevole medici, strutture ospedaliere, esami clinici (es. Vitals, American Well, Healthgrades, etc.). Attraverso sistemi di rating on line è possibile, ad esempio, comparare la qualità di strutture sanitarie, cure mediche e quant’altro. In alcuni casi l’utente, individua, attraverso l’aiuto on line di un medico, le cure più adatte per la sua patologia, confronta la qualità, il costo, i tempi dei servizi forniti da diverse strutture e diversi medici e alla fine acquista il pacchetto più conveniente. Dopo aver effettuato gli esami acquistati, potrà esprimere il proprio parere sulla qualità del servizio erogato che fungerà da indicazione per gli utenti successivi.

È il caso di Carol.com, un sistema che consente all’utente di scegliere e prenotare l’esame clinico più adatto alle proprie esigienze attraverso una ricerca fatta per parole chiave (Medical, Dental, Classes, Vision, Cosmetic, Behavioral Health) o per categorie (Men’s Health, Women’s Health, Back & Joint, Diabetes, Higth Blood Pressure). La rete, attiva nelle zone di Minneapolis e Saint Paul, si avvale della collaborazione di 26 centri o strutture ospedaliere e 8 compagnie di assicurazioni presenti in quell’area.

L’applicazione permette di comparare in tempo reale una serie di parametri relativi allo stesso servizio erogato dalle diverse strutture della zona e leggere i commenti di coloro che hanno già acquistato quel servizio o quel pacchetto di servizi in una determinata struttura.

In questo modo è possibile confrontare un ampio spettro di informazioni relativo, ad esempio, al costo, alla disposizione geografica delle strutture mediche che erogano quel particolare servizio, alle liste d’attesa, alla qualità delle strutture ospedaliere, alla qualità e la disponibilità del personale.

L’applicazione si presenta come un on line market place in cui, in posizione di totale parità, si confrontano gli utenti da una parte e il sistema sanitario dall’altra. Questo consente agli utenti di scegliere in modo autonomo e consapevole il servizio più adatto alle proprie esigenze e a coloro che erogano il servizio di avere un feedback immediato e a costo zero attraverso cui monitorare e migliorare la qualità dei propri prodotti.

Si tratta di forme e linguaggi mediali già sperimentati in altri campi. Il paragone (con le dovute differenze) è col famosissimo eBay, applicazione che mette in contatto venditori e compratori di tutto il mondo in cui l’apertura totale al mercato, la trasparenza e la centralità dell’utente costituiscono degli elementi chiave.

La terza tipologia di applicazioni web 2.0 per la sanità è costituita da siti di social network tematici (SharingHope, Patients Like Me) che permettono la condivisione di esperienze personali e di pareri informali, riguardo patologie o situazioni specifiche con l’intento di fornire un supporto di tipo psicologico agli utenti. Attraverso questo tipo di applicazioni si crea un senso di comunità capace di sopperire alle carenze (di informazione, di sostegno morale, etc.) del sistema sanitario relative alla gestione non tanto dei risvolti clinici della malattia, quanto di quelli umani.

Un esempio è DailyStrenght un grande social network costituito da gruppi di supporto online su una quantità enorme di patologie. Esistono attualmente più di 500 gruppi di discussioni sulle più disparate patologie riguardanti le tre aree della salute mentale, della salute fisica e dei problemi di natura personale. Gli utenti possono discutere in completo anonimato delle proprie condizioni mediche con persone che abbiano sperimentato la stessa situazione e con medici competenti sulle diverse patologie.

Esiste una sezione in cui è possibile crearsi un profilo personale che fornisce una descrizione di base dell’utente, mostra le sue attività, le notizie che ha segnalato o le conversazioni che ha fatto all’interno dei forum di discussione. È un sistema in stile MySpace o Facebook all’interno del quale è possibile tenere un diario, fare amicizie, caricare foto e video.

Una delle parti più convincenti è la treatment directory, in cui i membri possono riportare i trattamenti effettuati e la loro efficacia, discuterne insieme, segnalare nuove ricerche, articoli e cure alternative.

Tali sistemi possono attuare quel circolo virtuoso già evidenziato in precedenza. Non solo possono generare comunità che si autoalimentano aiutando nello stesso tempo chi ha bisogno di un sostegno, ma producono relazioni che generano conoscenza. La mole di conversazioni prodotta, se osservata con attenzione può costituire una enorme risorsa di informazioni per il sistema della sanità, a cominciare dalle strutture ospedaliere, dai professionisti e dalle industrie del settore. Queste possono recepire gli stimoli, i bisogni e le aspettative espresse da queste comunità per migliorare i propri servizi e i propri prodotti.

Rimane da capire quanto i benefici dell’e-health 2.0 aprono al tempo stesso a nuovi rischi. Da quello di imbattersi in informazioni non corrette perché prodotte da non professionisti a quelli relativi alla privacy.

In particolare la capacità degli utenti di produrre contenuti tende a ristrutturare, anche in ambito sanitario, il rapporto fra strutture sanitarie, medici e pazienti. La prassi dell’ascolto, come sta diventando lentamente chiaro per le aziende, diverrà col tempo una necessità anche per chi offre servizi nel campo della salute.

Mi chiedo se veramente il sistema sanitario italiano sarà in grado di sviluppare questa capacità di ascolto.

Cosa ne pensate? Ci sono più opportunità o rischi nel mondo dell’e-Health 2.0?

P.S. Questo post è in gran parte tratto da un report scritto dal mio collega Giulio Gabbianelli.

P.P.S. L’immagine è provvisoria. Pubblicherò quella giusta non appena avrò risolto un problema tecnico che sta affliggendo il server che ospita il blog.

Da qualche mese un piccolo gruppo di ricercatori LaRiCA collabora ad un progetto finanziato dal Ministro del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali e gestito da CUP 2000 (una società di Bologna specializzata in soluzione per l’e-health). Il progetto si propone di raccogliere, classificare e visualizzare in uno spazio web le esperienze ed i progetti in corso volti a erogare servizi e prestazioni sanitarie direttamente a casa del paziente facendo uso di Internet o altri canali digitali (e-care).

L’ambiente web, basato su Drupal, è già attivo da tempo ed implementa in modo interessante alcuni servizi social (feed rss, servizi di condivisione e bookmarking, tag clouds, visualizzazioni dei progetti basti sull’utilizzo che gli utenti fanno del sito, etc.).

Potete dare uno sguardo voi stessi a: http://www.onecare.cup2000.it/.

Il LaRiCA si è occupato prevalentemente di raccogliere ed analizzare i servizi web che fanno uso delle logiche del web sociale (o 2.0) per cambiare, a diversi livelli, le modalità di fruizione e di erogazione dei servizi sanitari. Da tempo Internet si è andata affermando come una risorsa per il reperimento di informazioni sanitarie (secondo una recente survey di Pew Internet il 78% degli americani che dispongono di una connessione a banda larga cercano informazioni relative alla salute online). È invece più recente la tendenza, sulla scia del successo dei servizio basati sul contenuto generato dagli utenti, a creare servizi di e-health web-based basati sull’idea che i pazienti sono produttori e non solo consumatori di contenuti.

A prima vista l’idea che contenuti la cui esattezza è così importante siano prodotti dagli utenti (non dunque dai professionisti) può destare più di una preoccupazione. I servizi che abbiamo individuato sono riusciti tuttavia a cogliere le opportunità di questo approccio minimizzando il rischio ad esso connesso.

Queste opportunità possono essere fatte ricadere in altrettante categorie di applicazioni web 2.0. Ne abbiamo individuate essenzialmente tre: i sistemi di Online Health Records, i sistemi per la fornitura di servizi medici on line (e-healthcare market) e i siti di social network tematici.

Gli OnLine Health Records sono sistemi che permettono la creazione e la gestione della propria cartella clinica on line. Tutti i dati relativi a patologie, cure mediche, esami e trattamenti effettuati da qualsiasi soggetto possono, con tali sistemi, essere salvati in rete e attraverso questa gestiti, condivisi, consultati o integrati.

I vantaggi sono dettati dall’estrema duttilità nella fruizione delle informazioni e dall’elevata possibilità di interazione tra medico e paziente.

Quest’ultimo si pone al centro del sistema potendo decidere in modo autonomo quando e dove usufruire dei suoi dati, quale persona autorizzare alla visione degli stessi, a quale medico inviare la propria cartella per ottenere un consulto. Il paziente può gestire in modo autonomo un insieme di dati raccolti in un unico “luogo”, consultabile in modo istantaneo in qualunque parte del mondo.

È possibile strutturare in questo modo sistemi anche molto complessi che prevedono, come nel caso del sistema HealthVault di Microsoft, l’aggiornamento in tempo reale dei parametri vitali del paziente attraverso l’uso di device portatili che monitorano costantemente il soggetto e inviano i dati nell’online health record. In questo modo il medico potrà essere informato costantemente, ovunque si trovi, sulle condizioni del proprio paziente potendo intervenire, se necessario, anche in tempo reale. Allo stesso modo il carattere permanente delle informazioni consente la sedimentazione nel tempo degli eventi che hanno caratterizzano la storia clinica di un soggetto fornendone un quadro completo indipendentemente dalle strutture presso le quali il paziente si è rivolto nel tempo.

Gli Online Health Records possono inoltre svolgere un ulteriore importante funzione nel rendere visibile al paziente stesso la propria storia clinica. La possibilità di monitorare e visualizzare in modo semplice l’evolversi del tempo di certi parametri crea anche nel paziente delle inedite possibilità di riflettere sulla relazione fra i comportamenti quotidiani (attività fisica, quantità e tipologia di cibo) ed i parametri medici riscontrati (in un certo senso è lo stesso principio del Wii Fit). Fanno parte di questa specifica categoria l’applicazione per iPhone Diamedic (per pazienti diabetici) e Weight Tracker.

Alla flessibilità di gestione ed accessibilità delle informazioni accumulate attraverso questi sistemi si associa anche una netta diminuzione dei costi da parte delle strutture mediche. I dati vengono salvati nei server Internet delle aziende che rendono disponibile il servizio permettendo sia ai pazienti che alle strutture sanitarie di usufruire di sistemi molto più potenti e sicuri di quelli dei singoli ospedali, dei singoli medici o dei singoli pazienti, senza alcun costo di utilizzo e gestione. Questo rappresenta, per il momento, il settore in cui le applicazioni su larga scala sembrano essere più imminenti, non è un caso che colossi del mercato informatico come Google e Microsoft (Google Health e Microsoft HealthVault) stiano investendo in queste applicazioni ingenti capitali.

In altri casi, le applicazioni supportate dal Web 2.0 permettono di fruire di servizi sempre più personalizzati che in un’ottica di customerizzazione e domiciliarità consentono agli utenti di scegliere in modo consapevole medici, strutture ospedaliere, esami clinici (es. Vitals, American Well, Healthgrades, etc.). Attraverso sistemi di rating on line è possibile, ad esempio, comparare la qualità di strutture sanitarie, cure mediche e quant’altro. In alcuni casi l’utente, individua, attraverso l’aiuto on line di un medico, le cure più adatte per la sua patologia, confronta la qualità, il costo, i tempi dei servizi forniti da diverse strutture e diversi medici e alla fine acquista il pacchetto più conveniente. Dopo aver effettuato gli esami acquistati, potrà esprimere il proprio parere sulla qualità del servizio erogato che fungerà da indicazione per gli utenti successivi.

È il caso di Carol.com, un sistema che consente all’utente di scegliere e prenotare l’esame clinico più adatto alle proprie esigienze attraverso una ricerca fatta per parole chiave (Medical, Dental, Classes, Vision, Cosmetic, Behavioral Health) o per categorie (Men’s Health, Women’s Health, Back & Joint, Diabetes, Higth Blood Pressure). La rete, attiva nelle zone di Minneapolis e Saint Paul, si avvale della collaborazione di 26 centri o strutture ospedaliere e 8 compagnie di assicurazioni presenti in quell’area.

L’applicazione permette di comparare in tempo reale una serie di parametri relativi allo stesso servizio erogato dalle diverse strutture della zona e leggere i commenti di coloro che hanno già acquistato quel servizio o quel pacchetto di servizi in una determinata struttura.

In questo modo è possibile confrontare un ampio spettro di informazioni relativo, ad esempio, al costo, alla disposizione geografica delle strutture mediche che erogano quel particolare servizio, alle liste d’attesa, alla qualità delle strutture ospedaliere, alla qualità e la disponibilità del personale.

L’applicazione si presenta come un on line market place in cui, in posizione di totale parità, si confrontano gli utenti da una parte e il sistema sanitario dall’altra. Questo consente agli utenti di scegliere in modo autonomo e consapevole il servizio più adatto alle proprie esigenze e a coloro che erogano il servizio di avere un feedback immediato e a costo zero attraverso cui monitorare e migliorare la qualità dei propri prodotti.

Si tratta di forme e linguaggi mediali già sperimentati in altri campi. Il paragone (con le dovute differenze) è col famosissimo eBay, applicazione che mette in contatto venditori e compratori di tutto il mondo in cui l’apertura totale al mercato, la trasparenza e la centralità dell’utente costituiscono degli elementi chiave.

La terza tipologia di applicazioni web 2.0 per la sanità è costituita da siti di social network tematici (SharingHope, Patients Like Me) che permettono la condivisione di esperienze personali e di pareri informali, riguardo patologie o situazioni specifiche con l’intento di fornire un supporto di tipo psicologico agli utenti. Attraverso questo tipo di applicazioni si crea un senso di comunità capace di sopperire alle carenze (di informazione, di sostegno morale, etc.) del sistema sanitario relative alla gestione non tanto dei risvolti clinici della malattia, quanto di quelli umani.

Un esempio è DailyStrenght un grande social network costituito da gruppi di supporto online su una quantità enorme di patologie. Esistono attualmente più di 500 gruppi di discussioni sulle più disparate patologie riguardanti le tre aree della salute mentale, della salute fisica e dei problemi di natura personale. Gli utenti possono discutere in completo anonimato delle proprie condizioni mediche con persone che abbiano sperimentato la stessa situazione e con medici competenti sulle diverse patologie.

Esiste una sezione in cui è possibile crearsi un profilo personale che fornisce una descrizione di base dell’utente, mostra le sue attività, le notizie che ha segnalato o le conversazioni che ha fatto all’interno dei forum di discussione. È un sistema in stile MySpace o Facebook all’interno del quale è possibile tenere un diario, fare amicizie, caricare foto e video.

Una delle parti più convincenti è la treatment directory, in cui i membri possono riportare i trattamenti effettuati e la loro efficacia, discuterne insieme, segnalare nuove ricerche, articoli e cure alternative.

Tali sistemi possono attuare quel circolo virtuoso già evidenziato in precedenza. Non solo possono generare comunità che si autoalimentano aiutando nello stesso tempo chi ha bisogno di un sostegno, ma producono relazioni che generano conoscenza. La mole di conversazioni prodotta, se osservata con attenzione può costituire una enorme risorsa di informazioni per il sistema della sanità, a cominciare dalle strutture ospedaliere, dai professionisti e dalle industrie del settore. Queste possono recepire gli stimoli, i bisogni e le aspettative espresse da queste comunità per migliorare i propri servizi e i propri prodotti.

Rimane da capire quanto i benefici dell’e-health 2.0 aprono al tempo stesso a nuovi rischi. Da quello di imbattersi in informazioni non corrette perché prodotte da non professionisti a quelli relativi alla privacy.

In particolare la capacità degli utenti di produrre contenuti tende a ristrutturare, anche in ambito sanitario, il rapporto fra strutture sanitarie, medici e pazienti. La prassi dell’ascolto, come sta diventando lentamente chiaro per le aziende, diverrà col tempo una necessità anche per chi offre servizi nel campo della salute.

Mi chiedo se veramente il sistema sanitario italiano sarà in grado di sviluppare questa capacità di ascolto.

Cosa ne pensate? Ci sono più opportunità o rischi nel mondo dell’e-Health 2.0?

P.S. Questo post è in gran parte tratto da un report scritto dal mio collega Giulio Gabbianelli.

P.P.S. L’immagine è provvisoria. Pubblicherò quella giusta non appena avrò risolto un problema tecnico che sta affliggendo il server che ospita il blog.

What’s next #11: Prima e seconda generazione dei siti di social network in Italia

I risultati di una ricerca esplorativa su come gli utenti di Facebook e Badoo in Italia comprendano la distinzione pubblico/privato e gestiscano il proprio capitale sociale.I risultati di una ricerca esplorativa su come gli utenti di Facebook e Badoo in Italia comprendano la distinzione pubblico/privato e gestiscano il proprio capitale sociale.I risultati di una ricerca esplorativa su come gli utenti di Facebook e Badoo in Italia comprendano la distinzione pubblico/privato e gestiscano il proprio capitale sociale.


Ho iniziato ad interessarmi seriamente al fenomeno dei siti di social network in Italia verso al fine del 2007 spinto in generale dal grande interesse che registravo esserci sul fenomeno negli Stati Uniti ed in particolare da un post pubblicato sul suo blog di Jill Walker nel quale si annunciava che l’83,5% dei ragazzi norvegesi di un età compresa fra 16 e 19 anni erano su Facebook e si spiegava la semplice procedura attraverso la quale era giunta a questa conclusione.
La prima cosa che ho fatto dopo aver letto il post è stato ovviamente sperimentare la stessa procedura sul pubblico italiano di Facebook. Non senza qualche stupore constatai che nella stessa fascia d’età gli iscritti italiani su Facebook erano lo 0,63% della popolazione.
Ora, anche calcolando una certa arretratezza cronica del nostro paese in fatto di tecnologia, un divario di queste proporzioni rimaneva ai miei occhi piuttosto stupefacente. Il fenomeno è rimasto misterioso fino a quando non ho scoperto un altro sito di social network chiamato Badoo. Pur senza avvicinarsi neanche lontanamente alle percentuali bulgare della Norvegia, calcolai che approssimativamente il 18,32% dei giovani fra 16 e 19 anni aveva un account su Badoo.
Dunque gli italiani non erano su Facebook ma su Badoo. Ed infatti l’Italia, a guardare le ricerche su Google, era la prima nazione al mondo per interesse verso questo sito.
A seguire il Venezuela.
Il Venezuela? Già il Venezuela. Ma cosa hanno in comune Italia e Venezuela? E più in generale perché il successo dei siti di social network, pur essendo tutte piattaforme globali, era così diverso da nazione a nazione? Ed ancora perché in Italia aveva successo proprio Badoo?
Da fine 2007 ho dunque iniziato a monitorare il numero di utenti registrati, il tasso di crescita nel tempo, la distribuzione geografica, il traffico registrato dall’Italia verso questi due siti ed il volume di ricerche effettuato su Google con le chiavi Badoo e Facebook.
Qualche mese dopo ho colto al volo l’opportunità offertami da una sconosciuta collega americana per partecipare ad un panel sui siti di social network nel contesto nazionale con colleghi che presentavano casi di interesse come quelli di Orkut in Brasile, di Cyworld in Corea e di Nasza-Klasa (la nostra classe) in Polonia.
Ho deciso dunque di approfondire il caso di Badoo e Facebook in Italia affiancando all’analisi dei dati quantitativi in mio possesso un questionario online finalizzato ad indagare due specifiche ipotesi relative alla capacità degli utenti dei due sistemi di utilizzare la distinzione pubblico/privato e alla propensione ad utilizzare la piattaforma per conoscere nuove persone o mantenere la relazione con persone già conosciute (una tendenza questa molto evidente nelle ricerche che avevo letto).
Ho così creato un breve questionario ed utilizzato i canali in mio possesso per promuoverlo presso gli utenti di Badoo e di Facebook. All’atto della redazione di questo post il questionario è stato compilato 338 volte (73 utenti di Badoo e 286 di Facebook).
Nel frattempo, come previsto correttamente da Google Trend, Facebook (3.097.360) ha superato Badoo (2.890.268) in Italia in quanto a numero di iscritti.
A più riprese emergono significative differenze fra gli utenti di Facebook e quelli di Badoo.
La prima differenza ci riporta al contesto geografico. Guardando la mappa dell’utilizzo delle parole chiave appare piuttosto evidente che Facebook sia usato prevalentemente al nord mentre Badoo al sud e nella zona umbria/romagna.
La distribuzione delle classi d’età mostra inoltre in modo inequivocabile che la popolazione di Badoo sia molto più giovane di quella di Facebook e, da questo punto di vista, maggiormente in linea con le tendenze degli altri paesi del mondo (anche se l’età media si sta oggi alzando anche altrove).
Rispetto al genere è piuttosto evidente che in Facebook sia confermata la tendenza in atto rilevata da Pew Internet ed altre ricerche che vede le ragazze giovani più interessati dei pari età all’uso dei siti di social network. Evidente anche che lo sbilanciamento della popolazione di Badoo verso il genere maschile.
In relazione alle specifiche ipotesi della ricerca si possono trarre due conclusioni diverse.
La prima conferma una delle ipotesi. In tre diverse domande gli utenti di Badoo e quelli di Facebook si differenziano in modo significativo rispetto alla pratica di usare il sito per conoscere nuove persone (attività molto più diffusa su Badoo) rispetto a mantenere i rapporto con persone che già si conoscono.
Più difficile da verificare l’ipotesi sulla diversa percezione della privacy. Da una parte infatti gli utenti di Badoo mostrano una maggiore fiducia rispetto a quelli di Facebook rispetto alla possibilità di essere identificati sulla base del proprio profilo. Con tutta probabilità questa maggiore fiducia dipende dal fatto che solo in rari casi (29,9% contro il 90 di Facebook) il cognome dell’utente è pubblicato sul sito e dal fatto che almeno nella metà dei casi le informazioni sono sul profilo non sono vere. Al tempo stesso gli utenti di Badoo sembrano in larga parte consapevoli che l’accesso al proprio profilo non è ristretto ai soli “amici” al contrario di quanto avviene quasi sempre su Facebook. In generale è possibile affermare che gli utenti di Badoo abbiano un approccio molto più guardingo nei confronti del sistema. Al contrario Facebook sembra ispirare fiducia perché l’accesso ai proprio contenuti è percepito come limitato ai propri amici.
Questa diversa percezione della privacy si ripercuote con tutta probabilità anche sul senso di comunità ispirato dal sito che è significativamente maggiore nel caso di Facebook rispetto a Badoo.
Non appare dunque possibile una chiara verifica della seconda ipotesi relativa alla differente capacità di utilizzare la distinzione pubblico/privato.
Osservando più in generale lo scenario sembra tuttavia piuttosto chiaro che pur essendo già in una fase di rallentamento rispetto agli ultimi mesi, l’espansione di Facebook in Italia ha ancora margini per avanzare. Potrebbe essere già in corso un fenomeno di migrazione da Badoo a Facebook anche da parte dei giovanissimi ma è molto difficile trovare dati che possano confermare o smentire questa ipotesi.
Quello che mi sento tuttavia di dire con una certa sicurezza è che il fenomeno Facebook in Italia non sarà, almeno di cambiamenti imprevedibili su scala globale, una moda passeggera.

I Ragazzi de Il Cannocchiale / dolmedia hanno fatto come sempre un lavoro straordinario con i video del RomeCamp. Grazie a loro, e alla lungimiranza degli organizzatori Elastic e Digital PR che gli hanno coinvolti, potete rivedere l’intera presentazione della ricerca ed anche una interessante chiacchierata sulla “sociologia dei social network” che abbiamo registrato con gli amici e colleghi Davide Bennato e Tony Siino.

Ho iniziato ad interessarmi seriamente al fenomeno dei siti di social network in Italia verso al fine del 2007 spinto in generale dal grande interesse che registravo esserci sul fenomeno negli Stati Uniti ed in particolare da un post pubblicato sul suo blog di Jill Walker nel quale si annunciava che l’83,5% dei ragazzi norvegesi di un età compresa fra 16 e 19 anni erano su Facebook e si spiegava la semplice procedura attraverso la quale era giunta a questa conclusione.

La prima cosa che ho fatto dopo aver letto il post è stato ovviamente sperimentare la stessa procedura sul pubblico italiano di Facebook. Non senza qualche stupore constatai che nella stessa fascia d’età gli iscritti italiani su Facebook erano lo 0,63% della popolazione.

Ora, anche calcolando una certa arretratezza cronica del nostro paese in fatto di tecnologia, un divario di queste proporzioni rimaneva ai miei occhi piuttosto stupefacente. Il fenomeno è rimasto misterioso fino a quando non ho scoperto un altro sito di social network chiamato Badoo. Pur senza avvicinarsi neanche lontanamente alle percentuali bulgare della Norvegia, calcolai che approssimativamente il 18,32% dei giovani fra 16 e 19 anni aveva un account su Badoo.

Dunque gli italiani non erano su Facebook ma su Badoo. Ed infatti l’Italia, a guardare le ricerche su Google, era la prima nazione al mondo per interesse verso questo sito.

A seguire il Venezuela.

Il Venezuela? Già il Venezuela. Ma cosa hanno in comune Italia e Venezuela? E più in generale perché il successo dei siti di social network, pur essendo tutte piattaforme globali, era così diverso da nazione a nazione? Ed ancora perché in Italia aveva successo proprio Badoo?

Da fine 2007 ho dunque iniziato a monitorare il numero di utenti registrati, il tasso di crescita nel tempo, la distribuzione geografica, il traffico registrato dall’Italia verso questi due siti ed il volume di ricerche effettuato su Google con le chiavi Badoo e Facebook.

Qualche mese dopo ho colto al volo l’opportunità offertami da una sconosciuta collega americana per partecipare ad un panel sui siti di social network nel contesto nazionale con colleghi che presentavano casi di interesse come quelli di Orkut in Brasile, di Cyworld in Corea e di Nasza-Klasa (la nostra classe) in Polonia.

Ho deciso dunque di approfondire il caso di Badoo e Facebook in Italia affiancando all’analisi dei dati quantitativi in mio possesso un questionario online finalizzato ad indagare due specifiche ipotesi relative alla capacità degli utenti dei due sistemi di utilizzare la distinzione pubblico/privato e alla propensione ad utilizzare la piattaforma per conoscere nuove persone o mantenere la relazione con persone già conosciute (una tendenza questa molto evidente nelle ricerche che avevo letto).

Ho così creato un breve questionario ed utilizzato i canali in mio possesso per promuoverlo presso gli utenti di Badoo e di Facebook. All’atto della redazione di questo post il questionario è stato compilato 338 volte (73 utenti di Badoo e 286 di Facebook).

Nel frattempo, come previsto correttamente da Google Trend, Facebook (3.097.360) ha superato Badoo (2.890.268) in Italia in quanto a numero di iscritti.

A più riprese emergono significative differenze fra gli utenti di Facebook e quelli di Badoo.

La prima differenza ci riporta al contesto geografico. Guardando la mappa dell’utilizzo delle parole chiave appare piuttosto evidente che Facebook sia usato prevalentemente al nord mentre Badoo al sud e nella zona umbria/romagna.

La distribuzione delle classi d’età mostra inoltre in modo inequivocabile che la popolazione di Badoo sia molto più giovane di quella di Facebook e, da questo punto di vista, maggiormente in linea con le tendenze degli altri paesi del mondo (anche se l’età media si sta oggi alzando anche altrove).

Rispetto al genere è piuttosto evidente che in Facebook sia confermata la tendenza in atto rilevata da Pew Internet ed altre ricerche che vede le ragazze giovani più interessati dei pari età all’uso dei siti di social network. Evidente anche che lo sbilanciamento della popolazione di Badoo verso il genere maschile.

In relazione alle specifiche ipotesi della ricerca si possono trarre due conclusioni diverse.

La prima conferma una delle ipotesi. In tre diverse domande gli utenti di Badoo e quelli di Facebook si differenziano in modo significativo rispetto alla pratica di usare il sito per conoscere nuove persone (attività molto più diffusa su Badoo) rispetto a mantenere i rapporto con persone che già si conoscono.

Più difficile da verificare l’ipotesi sulla diversa percezione della privacy. Da una parte infatti gli utenti di Badoo mostrano una maggiore fiducia rispetto a quelli di Facebook rispetto alla possibilità di essere identificati sulla base del proprio profilo. Con tutta probabilità questa maggiore fiducia dipende dal fatto che solo in rari casi (29,9% contro il 90 di Facebook) il cognome dell’utente è pubblicato sul sito e dal fatto che almeno nella metà dei casi le informazioni sono sul profilo non sono vere. Al tempo stesso gli utenti di Badoo sembrano in larga parte consapevoli che l’accesso al proprio profilo non è ristretto ai soli “amici” al contrario di quanto avviene quasi sempre su Facebook. In generale è possibile affermare che gli utenti di Badoo abbiano un approccio molto più guardingo nei confronti del sistema. Al contrario Facebook sembra ispirare fiducia perché l’accesso ai proprio contenuti è percepito come limitato ai propri amici.

Questa diversa percezione della privacy si ripercuote con tutta probabilità anche sul senso di comunità ispirato dal sito che è significativamente maggiore nel caso di Facebook rispetto a Badoo.

Non appare dunque possibile una chiara verifica della seconda ipotesi relativa alla differente capacità di utilizzare la distinzione pubblico/privato.

Osservando più in generale lo scenario sembra tuttavia piuttosto chiaro che pur essendo già in una fase di rallentamento rispetto agli ultimi mesi, l’espansione di Facebook in Italia ha ancora margini per avanzare. Potrebbe essere già in corso un fenomeno di migrazione da Badoo a Facebook anche da parte dei giovanissimi ma è molto difficile trovare dati che possano confermare o smentire questa ipotesi.

Quello che mi sento tuttavia di dire con una certa sicurezza è che il fenomeno Facebook in Italia non sarà, almeno di cambiamenti imprevedibili su scala globale, una moda passeggera.

I Ragazzi de Il Cannocchiale / dolmedia hanno fatto come sempre un lavoro straordinario con i video del RomeCamp. Grazie a loro, e alla lungimiranza degli organizzatori Elastic e Digital PR che gli hanno coinvolti, potete rivedere l’intera presentazione della ricerca ed anche una interessante chiacchierata sulla “sociologia dei social network” che abbiamo registrato con gli amici e colleghi Davide Bennato e Tony Siino.

Ho iniziato ad interessarmi seriamente al fenomeno dei siti di social network in Italia verso al fine del 2007 spinto in generale dal grande interesse che registravo esserci sul fenomeno negli Stati Uniti ed in particolare da un post pubblicato sul suo blog di Jill Walker nel quale si annunciava che l’83,5% dei ragazzi norvegesi di un età compresa fra 16 e 19 anni erano su Facebook e si spiegava la semplice procedura attraverso la quale era giunta a questa conclusione.

La prima cosa che ho fatto dopo aver letto il post è stato ovviamente sperimentare la stessa procedura sul pubblico italiano di Facebook. Non senza qualche stupore constatai che nella stessa fascia d’età gli iscritti italiani su Facebook erano lo 0,63% della popolazione.

Ora, anche calcolando una certa arretratezza cronica del nostro paese in fatto di tecnologia, un divario di queste proporzioni rimaneva ai miei occhi piuttosto stupefacente. Il fenomeno è rimasto misterioso fino a quando non ho scoperto un altro sito di social network chiamato Badoo. Pur senza avvicinarsi neanche lontanamente alle percentuali bulgare della Norvegia, calcolai che approssimativamente il 18,32% dei giovani fra 16 e 19 anni aveva un account su Badoo.

Dunque gli italiani non erano su Facebook ma su Badoo. Ed infatti l’Italia, a guardare le ricerche su Google, era la prima nazione al mondo per interesse verso questo sito.

A seguire il Venezuela.

Il Venezuela? Già il Venezuela. Ma cosa hanno in comune Italia e Venezuela? E più in generale perché il successo dei siti di social network, pur essendo tutte piattaforme globali, era così diverso da nazione a nazione? Ed ancora perché in Italia aveva successo proprio Badoo?

Da fine 2007 ho dunque iniziato a monitorare il numero di utenti registrati, il tasso di crescita nel tempo, la distribuzione geografica, il traffico registrato dall’Italia verso questi due siti ed il volume di ricerche effettuato su Google con le chiavi Badoo e Facebook.

Qualche mese dopo ho colto al volo l’opportunità offertami da una sconosciuta collega americana per partecipare ad un panel sui siti di social network nel contesto nazionale con colleghi che presentavano casi di interesse come quelli di Orkut in Brasile, di Cyworld in Corea e di Nasza-Klasa (la nostra classe) in Polonia.

Ho deciso dunque di approfondire il caso di Badoo e Facebook in Italia affiancando all’analisi dei dati quantitativi in mio possesso un questionario online finalizzato ad indagare due specifiche ipotesi relative alla capacità degli utenti dei due sistemi di utilizzare la distinzione pubblico/privato e alla propensione ad utilizzare la piattaforma per conoscere nuove persone o mantenere la relazione con persone già conosciute (una tendenza questa molto evidente nelle ricerche che avevo letto).

Ho così creato un breve questionario ed utilizzato i canali in mio possesso per promuoverlo presso gli utenti di Badoo e di Facebook. All’atto della redazione di questo post il questionario è stato compilato 338 volte (73 utenti di Badoo e 286 di Facebook).

Nel frattempo, come previsto correttamente da Google Trend, Facebook (3.097.360) ha superato Badoo (2.890.268) in Italia in quanto a numero di iscritti.

A più riprese emergono significative differenze fra gli utenti di Facebook e quelli di Badoo.

La prima differenza ci riporta al contesto geografico. Guardando la mappa dell’utilizzo delle parole chiave appare piuttosto evidente che Facebook sia usato prevalentemente al nord mentre Badoo al sud e nella zona umbria/romagna.

La distribuzione delle classi d’età mostra inoltre in modo inequivocabile che la popolazione di Badoo sia molto più giovane di quella di Facebook e, da questo punto di vista, maggiormente in linea con le tendenze degli altri paesi del mondo (anche se l’età media si sta oggi alzando anche altrove).

Rispetto al genere è piuttosto evidente che in Facebook sia confermata la tendenza in atto rilevata da Pew Internet ed altre ricerche che vede le ragazze giovani più interessati dei pari età all’uso dei siti di social network. Evidente anche che lo sbilanciamento della popolazione di Badoo verso il genere maschile.

In relazione alle specifiche ipotesi della ricerca si possono trarre due conclusioni diverse.

La prima conferma una delle ipotesi. In tre diverse domande gli utenti di Badoo e quelli di Facebook si differenziano in modo significativo rispetto alla pratica di usare il sito per conoscere nuove persone (attività molto più diffusa su Badoo) rispetto a mantenere i rapporto con persone che già si conoscono.

Più difficile da verificare l’ipotesi sulla diversa percezione della privacy. Da una parte infatti gli utenti di Badoo mostrano una maggiore fiducia rispetto a quelli di Facebook rispetto alla possibilità di essere identificati sulla base del proprio profilo. Con tutta probabilità questa maggiore fiducia dipende dal fatto che solo in rari casi (29,9% contro il 90 di Facebook) il cognome dell’utente è pubblicato sul sito e dal fatto che almeno nella metà dei casi le informazioni sono sul profilo non sono vere. Al tempo stesso gli utenti di Badoo sembrano in larga parte consapevoli che l’accesso al proprio profilo non è ristretto ai soli “amici” al contrario di quanto avviene quasi sempre su Facebook. In generale è possibile affermare che gli utenti di Badoo abbiano un approccio molto più guardingo nei confronti del sistema. Al contrario Facebook sembra ispirare fiducia perché l’accesso ai proprio contenuti è percepito come limitato ai propri amici.

Questa diversa percezione della privacy si ripercuote con tutta probabilità anche sul senso di comunità ispirato dal sito che è significativamente maggiore nel caso di Facebook rispetto a Badoo.

Non appare dunque possibile una chiara verifica della seconda ipotesi relativa alla differente capacità di utilizzare la distinzione pubblico/privato.

Osservando più in generale lo scenario sembra tuttavia piuttosto chiaro che pur essendo già in una fase di rallentamento rispetto agli ultimi mesi, l’espansione di Facebook in Italia ha ancora margini per avanzare. Potrebbe essere già in corso un fenomeno di migrazione da Badoo a Facebook anche da parte dei giovanissimi ma è molto difficile trovare dati che possano confermare o smentire questa ipotesi.

Quello che mi sento tuttavia di dire con una certa sicurezza è che il fenomeno Facebook in Italia non sarà, almeno di cambiamenti imprevedibili su scala globale, una moda passeggera.

I Ragazzi de Il Cannocchiale / dolmedia hanno fatto come sempre un lavoro straordinario con i video del RomeCamp. Grazie a loro, e alla lungimiranza degli organizzatori Elastic e Digital PR che gli hanno coinvolti, potete rivedere l’intera presentazione della ricerca ed anche una interessante chiacchierata sulla “sociologia dei social network” che abbiamo registrato con gli amici e colleghi Davide Bennato e Tony Siino.

What’s next #10: Hanging Out, Messing Around, Geeking Out

Si conclude dopo tre anni con la pubblicazione del report di ricerca il Digital Youth Project: una delle più vaste ed interessanti ricerche volta ad indagare le pratiche d’uso dei nuovi media da parte dei giovani americani.Si conclude dopo tre anni con la pubblicazione del report di ricerca il Digital Youth Project: una delle più vaste ed interessanti ricerche volta ad indagare le pratiche d’uso dei nuovi media da parte dei giovani americani.Si conclude dopo tre anni con la pubblicazione del report di ricerca il Digital Youth Project: una delle più vaste ed interessanti ricerche volta ad indagare le pratiche d’uso dei nuovi media da parte dei giovani americani.

Ieri, come anticipato da Mimi Ito a Copenaghen, è stato pubblicato il report relativo al Digital Youth Project. L’obiettivo del progetto di ricerca è comprendere le pratiche d’uso dei new media fra i giovani americani.
Pur affrontando una tematica tutt’altro che inedita, il Digital Youth Project è un progetto piuttosto unico nel suo genere per ambizione e dimensioni. Una ricerca etnografica in grande scala (800 giovani e giovani adulti intervistati ed un totale di oltre 5000 ore di osservazione online) che ha coinvolto un team di 28 ricercatori in tutti gli Stati Uniti (mi piace ricordare la presenza dell’italiano Matteo Bittanti). Il progetto è stato reso possibile dalla mai abbastanza lodata MacArthur Foundation nell’ambito del programma Digital Media and Learning.
I risultati della ricerca saranno pubblicati in un volume edito da MiT Press e intitolato Hanging Out, Messing Around, Geeking Out: Living and Learning with New Media. L’uscita è prevista per la seconda parte del 2009.
Il report della ricerca (che altro non è che la bozza del libro) è tuttavia già disponibile da ieri sul sito del progetto insieme ad un paio di documenti che riassumono i principali risultati ottenuti (two-page summary of the report, summary white paper – poco più di 50 pagine).
Uno dei punti interessanti che mi pare emerga è la distinzione fra partecipazione guidata dall’amicizia e partecipazione guidata dall’interesse.
Secondo quanto emerge da questa ricerca, la maggior parte dei giovani americani usano la rete per intensificare il rapporto che hanno con persone che già conoscono. Telefoni cellulari ed Internet (in particolare messaggistica istantanea e siti di social network) contribuiscono a ristrutturare la relazione con i pari che diventa “always on” ed ha luogo nell’inedito spazio “pubblico di rete”. A questa partecipazione guidata dall’amicizia (assimilata al divertirsi con gli amici o “hang out”) viene contrapposto un tipo diverso di partecipazione legata all’interesse.
Una parte meno cospicua di questi giovani usa infatti questi strumenti per creare e gestire nuove relazioni in ambiti verso i quali nutrono specifici interessi. Spesso, e soprattutto nelle zone rurali, Internet diventa un mezzo per estendere la rete di interesse oltre la propria comunità locale o scolastica. Il caso trattato da Mimi Ito relativo alla comunità che produce i sotto-titoli degli anime giapponesi è esemplare in questo senso. Questa estensione mirata della propria rete di contatti avviene sia al momento della produzione di contenuti, sia all’atto della pubblicazione e distribuzione di questi stessi contenuti.
In entrambi i casi l’approccio all’apprendimento è destrutturato, basato su prove ed errori (“messing around”) e trae giovamento dal feedback che è possibile ricevere in rete dagli altri. Un modo di apprendere in autonomia molto diverso da quello proposto dalle istituzioni educative.
Quando l’interesse verso un tema supera una certa soglia può portare allo sviluppo di relazioni particolari con comunità di utenti esperti (“geek out”). Anche in questo caso si tratta di un’attività profondamente sociale e tutt’altro che solitaria (come di solito si pensa in relazione alla parola geek o peggio nerd). L’obiettivo è quello di migliorare le proprie conoscenze ed acquisire una reputazione nella comunità degli esperti. In queste comunità la relazione con gli eventuali adulti che partecipano è legata dalle capacità e della reputazione del singolo presso la comunità e non dall’età, dallo status o dal ruolo sociale. In un certo senso dentro queste comunità geek ognuno deve conquistare la sua reputazione da zero senza poter capitalizzare il suo status acquisito altrove.
In definitiva mi sembra un report tutto da leggere che sistematizza in modo interessante alcune idee non del tutto inedite.
Potete farvi approfondire e farvi un’idea da soli.
Questa è il sommario:
Notes on the Text
Acknowledgments
Introduction
Media Ecologies Lead Authors: Heather A. Horst, Becky Herr-Stephenson, and Laura Robinson
Friendship Lead Author: danah boyd
Intimacy Lead Author: C.J. Pascoe
Families Lead Author: Heather A. Horst
Gaming Lead Authors: Mizuko Ito and Matteo Bittanti
Creative Production Lead Authors: Patricia G. Lange and Mizuko Ito
Work Lead Author: Mizuko Ito
Conclusion
Bibliography
Buona lettura 🙂
P.S. Questa settimana, visto il digiuno di quella precedente, doppia razione di What’s next. Domani sera o sabato mattina pubblicherò infatti un post con le slide del mio intervento al RomeCamp durante il quale presenterò alcuni risultati dello studio comparativo fra Facebook e Badoo in Italia.

Ieri, come anticipato da Mimi Ito a Copenaghen, è stato pubblicato il report relativo al Digital Youth Project. L’obiettivo del progetto di ricerca è comprendere le pratiche d’uso dei new media fra i giovani americani.

Pur affrontando una tematica tutt’altro che inedita, il Digital Youth Project è un progetto piuttosto unico nel suo genere per ambizione e dimensioni. Una ricerca etnografica in grande scala (800 giovani e giovani adulti intervistati ed un totale di oltre 5000 ore di osservazione online) che ha coinvolto un team di 28 ricercatori in tutti gli Stati Uniti (mi piace ricordare la presenza dell’italiano Matteo Bittanti). Il progetto è stato reso possibile dalla mai abbastanza lodata MacArthur Foundation nell’ambito del programma Digital Media and Learning.

I risultati della ricerca saranno pubblicati in un volume edito da MiT Press e intitolato Hanging Out, Messing Around, Geeking Out: Living and Learning with New Media. L’uscita è prevista per la seconda parte del 2009.

Il report della ricerca (che altro non è che la bozza del libro) è tuttavia già disponibile da ieri sul sito del progetto insieme ad un paio di documenti che riassumono i principali risultati ottenuti (two-page summary of the report, summary white paper – poco più di 50 pagine).

Uno dei punti interessanti che mi pare emerga è la distinzione fra partecipazione guidata dall’amicizia e partecipazione guidata dall’interesse.

Secondo quanto emerge da questa ricerca, la maggior parte dei giovani americani usano la rete per intensificare il rapporto che hanno con persone che già conoscono. Telefoni cellulari ed Internet (in particolare messaggistica istantanea e siti di social network) contribuiscono a ristrutturare la relazione con i pari che diventa “always on” ed ha luogo nell’inedito spazio “pubblico di rete”. A questa partecipazione guidata dall’amicizia (assimilata al divertirsi con gli amici o “hang out”) viene contrapposto un tipo diverso di partecipazione legata all’interesse.

Una parte meno cospicua di questi giovani usa infatti questi strumenti per creare e gestire nuove relazioni in ambiti verso i quali nutrono specifici interessi. Spesso, e soprattutto nelle zone rurali, Internet diventa un mezzo per estendere la rete di interesse oltre la propria comunità locale o scolastica. Il caso trattato da Mimi Ito relativo alla comunità che produce i sotto-titoli degli anime giapponesi è esemplare in questo senso. Questa estensione mirata della propria rete di contatti avviene sia al momento della produzione di contenuti, sia all’atto della pubblicazione e distribuzione di questi stessi contenuti.

In entrambi i casi l’approccio all’apprendimento è destrutturato, basato su prove ed errori (“messing around”) e trae giovamento dal feedback che è possibile ricevere in rete dagli altri. Un modo di apprendere in autonomia molto diverso da quello proposto dalle istituzioni educative.

Quando l’interesse verso un tema supera una certa soglia può portare allo sviluppo di relazioni particolari con comunità di utenti esperti (“geek out”). Anche in questo caso si tratta di un’attività profondamente sociale e tutt’altro che solitaria (come di solito si pensa in relazione alla parola geek o peggio nerd). L’obiettivo è quello di migliorare le proprie conoscenze ed acquisire una reputazione nella comunità degli esperti. In queste comunità la relazione con gli eventuali adulti che partecipano è legata dalle capacità e della reputazione del singolo presso la comunità e non dall’età, dallo status o dal ruolo sociale. In un certo senso dentro queste comunità geek ognuno deve conquistare la sua reputazione da zero senza poter capitalizzare il suo status acquisito altrove.

In definitiva mi sembra un report tutto da leggere che sistematizza in modo interessante alcune idee non del tutto inedite.

Potete farvi approfondire e farvi un’idea da soli.

Questa è il sommario:

Notes on the Text
Acknowledgments
Introduction
Media Ecologies Lead Authors: Heather A. Horst, Becky Herr-Stephenson, and Laura Robinson
Friendship Lead Author: danah boyd
Intimacy Lead Author: C.J. Pascoe
Families Lead Author: Heather A. Horst
Gaming Lead Authors: Mizuko Ito and Matteo Bittanti
Creative Production Lead Authors: Patricia G. Lange and Mizuko Ito
Work Lead Author: Mizuko Ito
Conclusion
Bibliography

Buona lettura 🙂

P.S. Questa settimana, visto il digiuno di quella precedente, doppia razione di What’s next. Domani sera o sabato mattina pubblicherò infatti un post con le slide del mio intervento al RomeCamp durante il quale presenterò alcuni risultati dello studio comparativo fra Facebook e Badoo in Italia.

Ieri, come anticipato da Mimi Ito a Copenaghen, è stato pubblicato il report relativo al Digital Youth Project. L’obiettivo del progetto di ricerca è comprendere le pratiche d’uso dei new media fra i giovani americani.

Pur affrontando una tematica tutt’altro che inedita, il Digital Youth Project è un progetto piuttosto unico nel suo genere per ambizione e dimensioni. Una ricerca etnografica in grande scala (800 giovani e giovani adulti intervistati ed un totale di oltre 5000 ore di osservazione online) che ha coinvolto un team di 28 ricercatori in tutti gli Stati Uniti (mi piace ricordare la presenza dell’italiano Matteo Bittanti). Il progetto è stato reso possibile dalla mai abbastanza lodata MacArthur Foundation nell’ambito del programma Digital Media and Learning.

I risultati della ricerca saranno pubblicati in un volume edito da MiT Press e intitolato Hanging Out, Messing Around, Geeking Out: Living and Learning with New Media. L’uscita è prevista per la seconda parte del 2009.

Il report della ricerca (che altro non è che la bozza del libro) è tuttavia già disponibile da ieri sul sito del progetto insieme ad un paio di documenti che riassumono i principali risultati ottenuti (two-page summary of the report, summary white paper – poco più di 50 pagine).

Uno dei punti interessanti che mi pare emerga è la distinzione fra partecipazione guidata dall’amicizia e partecipazione guidata dall’interesse.

Secondo quanto emerge da questa ricerca, la maggior parte dei giovani americani usano la rete per intensificare il rapporto che hanno con persone che già conoscono. Telefoni cellulari ed Internet (in particolare messaggistica istantanea e siti di social network) contribuiscono a ristrutturare la relazione con i pari che diventa “always on” ed ha luogo nell’inedito spazio “pubblico di rete”. A questa partecipazione guidata dall’amicizia (assimilata al divertirsi con gli amici o “hang out”) viene contrapposto un tipo diverso di partecipazione legata all’interesse.

Una parte meno cospicua di questi giovani usa infatti questi strumenti per creare e gestire nuove relazioni in ambiti verso i quali nutrono specifici interessi. Spesso, e soprattutto nelle zone rurali, Internet diventa un mezzo per estendere la rete di interesse oltre la propria comunità locale o scolastica. Il caso trattato da Mimi Ito relativo alla comunità che produce i sotto-titoli degli anime giapponesi è esemplare in questo senso. Questa estensione mirata della propria rete di contatti avviene sia al momento della produzione di contenuti, sia all’atto della pubblicazione e distribuzione di questi stessi contenuti.

In entrambi i casi l’approccio all’apprendimento è destrutturato, basato su prove ed errori (“messing around”) e trae giovamento dal feedback che è possibile ricevere in rete dagli altri. Un modo di apprendere in autonomia molto diverso da quello proposto dalle istituzioni educative.

Quando l’interesse verso un tema supera una certa soglia può portare allo sviluppo di relazioni particolari con comunità di utenti esperti (“geek out”). Anche in questo caso si tratta di un’attività profondamente sociale e tutt’altro che solitaria (come di solito si pensa in relazione alla parola geek o peggio nerd). L’obiettivo è quello di migliorare le proprie conoscenze ed acquisire una reputazione nella comunità degli esperti. In queste comunità la relazione con gli eventuali adulti che partecipano è legata dalle capacità e della reputazione del singolo presso la comunità e non dall’età, dallo status o dal ruolo sociale. In un certo senso dentro queste comunità geek ognuno deve conquistare la sua reputazione da zero senza poter capitalizzare il suo status acquisito altrove.

In definitiva mi sembra un report tutto da leggere che sistematizza in modo interessante alcune idee non del tutto inedite.

Potete farvi approfondire e farvi un’idea da soli.

Questa è il sommario:

Notes on the Text
Acknowledgments
Introduction
Media Ecologies Lead Authors: Heather A. Horst, Becky Herr-Stephenson, and Laura Robinson
Friendship Lead Author: danah boyd
Intimacy Lead Author: C.J. Pascoe
Families Lead Author: Heather A. Horst
Gaming Lead Authors: Mizuko Ito and Matteo Bittanti
Creative Production Lead Authors: Patricia G. Lange and Mizuko Ito
Work Lead Author: Mizuko Ito
Conclusion
Bibliography

Buona lettura 🙂

P.S. Questa settimana, visto il digiuno di quella precedente, doppia razione di What’s next. Domani sera o sabato mattina pubblicherò infatti un post con le slide del mio intervento al RomeCamp durante il quale presenterò alcuni risultati dello studio comparativo fra Facebook e Badoo in Italia.

What's next #9: quando le conversazioni dal basso, da sole, non bastano

L’uso efficace di Internet ha contribuito in modo sostanziale al successo di Barack Obama. Anche grazie a Facebook e alla posta elettronica la campagna è stata scandita da tappe che richiedevano la partecipazione rendendola semplice come seguire una ricetta di cucina.L’uso efficace di Internet ha contribuito in modo sostanziale al successo di Barack Obama. Anche grazie a Facebook e alla posta elettronica la campagna è stata scandita da tappe che richiedevano la partecipazione rendendola semplice come seguire una ricetta di cucina.L’uso efficace di Internet ha contribuito in modo sostanziale al successo di Barack Obama. Anche grazie a Facebook e alla posta elettronica la campagna è stata scandita da tappe che richiedevano la partecipazione rendendola semplice come seguire una ricetta di cucina.



Alcuni mesi fa, come molti altri anche in Italia, mi sono iscritto a http://my.barackobama.com.

Non che potessi veramente fare qualcosa di concreto per supportare una causa in cui credevo (le donazioni per i non cittadini USA sono, ad esempio, proibite) quanto piuttosto per osservare più da vicino l’uso che lo staff di Obama ha fatto del suo social network e del web in generale.

Era il 13 luglio e da allora ho ricevuto oltre 90 messaggi di posta elettronica ed updates via Facebook.

A rileggerli oggi tutti insieme pare di assistere ad una straordinaria lezione su come si gestisce una comunità online.

Ogni messaggio inviato ha un mittente ed una firma personale. I mittenti sono David Plouffe, Joe Biden, Michelle Obama, Barack Obama ed occasionalmente altri personaggi che firmano i messaggi e risultano come mittenti nell’inbox (anche se il replay è impostato per tutti a info@barackobama.com).

Ogni messaggio ha un tema chiaro e tutt’altro che generico. Può essere legato al raggiungimento degli obiettivi di auto-finanziamento di fine mese, ad eventi quali il discorso di accettazione della nomination o i dibattiti televisivi (prima e dopo per le reazioni), a rispondere in modo immediato agli spot di McCain, alla disponibilità di nuovi gadget, a sollecitare azioni mirate di volontariato su specifici Stati o questioni.

Make a donation of $5 or more right now to show John McCain and Governor Palin that when they attack us with lies and smears, it literally makes our campaign stronger

Esemplare in questo senso i messaggi che seguivano alle dichiarazioni di McCain contro Obama.

I messaggi che seguivano a questi spot o dichiarazioni erano tutti costruiti sfruttando abilmente la retorica del “lui ha tanti soldi e si può permettere di comprare spot televisivi in cui ci attacca, reagiamo tutti insieme raccogliendo più fondi per avere anche noi i nostri spot”.

Quale che fosse l’oggetto del messaggio l’obiettivo era quasi sempre quello di raccogliere fondi.

Ogni messaggio ha in calce un link: donate. Un link apparentemente sempre uguale ma in realtà sempre diverso perché contiene un codice unico che consente ai gestori del sito di differenziare la provenienza degli accessi. Praticamente in tutti i messaggi c’è, oltre che a questo link in calce, un link in grassetto nel testo che invita a donare 5 o più dollari per un motivo specifico legato all’oggetto del messaggio.

Take a look and make a donation of $5 or more to get it on the air for those who may have missed it

Please donate $5 or more before the deadline to help register voters, get out the vote, and win this election

Make a donation of $5 or more today to help Get Out The Vote in Ohio and other early vote states

Make a donation of $5 or more right now to bring about the change we need

Then make a donation of $5 or more to help keep this ad on the air

The time to make a difference in this election is running out — please make a donation of $5 or more right now

Your donation of $5 or more today is essential to our unprecedented get out the vote operation in these final days

Will you make a donation of $5 or more today and double your impact?

Make a donation of $10 or more and you’ll receive a limited edition Obama-Biden car magnet

You can decide where we fight — and how strong our team will be. Please make a donation of $5 or more before the deadline

Your first donation of $10 or more will provide resources urgently needed before the deadline. And you’ll receive a limited edition Obama-Biden car magnet

If you make a donation of $10 or more before the deadline, you’ll receive a limited edition Obama-Biden car magnet

Make a donation of $10 or more to own a piece of this movement before the final deadline

Will you make a donation of $5 or more before the deadline?

Watch Barack’s closing argument and make a donation of $5 or more to get every vote we need to win.

Take a minute to remember why you joined this movement, then please make a donation of $5 or more today?

Watch Barack’s speech and make your first donation of $5 or more before it’s too late

Make a donation of $5 or more today to expand our efforts in these new battleground states

And if you make a donation of $30 or more today, you’ll also receive a “Change the World” T-shirt

Make a donation of $5 or more right now: Make a donation and you could get a front row seat to history

Nei rari casi in cui il messaggio non invita direttamente a finanziare la campagna con un link in grassetto come questi, c’è sempre e comunque un’azione chiara che viene proposta con un link in grassetto “Host a Last Call for Change house party on Wednesday, October 29th”, “Watch this video and sign up to help get out the vote on Tuesday, November 4th“)

I lunghi mesi che precedevano il 4 novembre sono stati trasformati in una corsa a tappe dove, per mantenere alta l’attenzione, bisognava talvolta inventarsi (come nel caso dei vari gadget messi in vendita mano mano, di alcuni video realizzati ad-hoc e dei concorsi come quello per stare dietro il palco in occasione della nomination) l’evento.

Ovviamente i messaggi di posta elettronica sono solo una piccola parte della campagna. Gli stessi messaggi erano, ad esempio, inviati agli oltre 2 milioni e mezzo di supporter della pagine di Barack Obama su Facebook. L’uso di Facebook e l’integrazione fra questo strumento e gli altri diventerò di certo un caso di studio. Decine di applicazioni sono state realizzate ad-hoc per supportare la registrazione al voto, la ricerca delle informazioni su come e dove votare o, la mia preferita, quella per invitare i ragazzi a parlare con i loro genitori delle elezioni (l’elenco delle cose da fare e da non fare è straordinario e andrebbe letto ed applicato sempre e comunque a prescindere).

Tutto il sistema di messaggi convergeva poi sul sito ufficiale.

Questo sito è stato costruito e gestito magistralmente. In particolare credo che l’Action Center farà scuola e rappresenta molto bene la simbiosi fra mobilitazione dal basso e coordinamento che questa campagna è riuscita a realizzare.

Per ogni azione è stata realizzata una pagina divisa in 4 tab: Getting Started, Before, During, After.

In ogni tab è spiegato in modo chiaro e spesso passo passo cosa fare e come farlo. Mi ricordo di aver letto ad esempio le istruzioni per organizzare una festa in casa per vedere insieme il discorso di accettazione della nomination di agosto che spiegava chi invitare, come farlo, come organizzare la serata quali materiali preparare, distribuire e riconsegnare allo staff di Obama (una guida simile è ancora disponibile nell’organizing resource center).

Il successo di Barack Obama è senza dubbio dovuto alla capacità di usare Internet  in ambito politico come mai prima era stato fatto. Ancora una volta, come nel caso di Wikipedia, un piccolo nucleo di volontari riesce a coordinare, grazie ad un uso accorto della rete, un enorme numero di partecipanti.

Se c’è una cosa che dovremmo imparare è che per passare dalla condivisione all’azione collettiva (per usare il linguaggio di Clay Shirky – il cui ultimo libro sta per uscire in italiano per Codice) l’auto-organizzazione non basta. Come nei BarCamp serve qualcuno che faccia un po’ più degli altri, si assuma maggiori responsabilità e svolga un ruolo di coordinamento affinché tutti gli altri possano partecipare attivamente ed efficacemente all’evento.

Senza i pochi non ci sarebbero i molti e viceversa. Senza Internet non ci sarebbe il collegamento.

La retorica dell’auto-organizzazione pura è una chimera.

Le conversazioni dal basso, da sole, non bastano.

P.S. Il community manager è il mestiere del futuro.

Alcuni mesi fa, come molti altri anche in Italia, mi sono iscritto a http://my.barackobama.com.

Non che potessi veramente fare qualcosa di concreto per supportare una causa in cui credevo (le donazioni per i non cittadini USA sono, ad esempio, proibite) quanto piuttosto per osservare più da vicino l’uso che lo staff di Obama ha fatto del suo social network e del web in generale.

Era il 13 luglio e da allora ho ricevuto oltre 90 messaggi di posta elettronica ed updates via Facebook.

A rileggerli oggi tutti insieme pare di assistere ad una straordinaria lezione su come si gestisce una comunità online.

Ogni messaggio inviato ha un mittente ed una firma personale. I mittenti sono David Plouffe, Joe Biden, Michelle Obama, Barack Obama ed occasionalmente altri personaggi che firmano i messaggi e risultano come mittenti nell’inbox (anche se il replay è impostato per tutti a info@barackobama.com).

Ogni messaggio ha un tema chiaro e tutt’altro che generico. Può essere legato al raggiungimento degli obiettivi di auto-finanziamento di fine mese, ad eventi quali il discorso di accettazione della nomination o i dibattiti televisivi (prima e dopo per le reazioni), a rispondere in modo immediato agli spot di McCain, alla disponibilità di nuovi gadget, a sollecitare azioni mirate di volontariato su specifici Stati o questioni.

Make a donation of $5 or more right now to show John McCain and Governor Palin that when they attack us with lies and smears, it literally makes our campaign stronger

Esemplare in questo senso i messaggi che seguivano alle dichiarazioni di McCain contro Obama.

I messaggi che seguivano a questi spot o dichiarazioni erano tutti costruiti sfruttando abilmente la retorica del “lui ha tanti soldi e si può permettere di comprare spot televisivi in cui ci attacca, reagiamo tutti insieme raccogliendo più fondi per avere anche noi i nostri spot”.

Quale che fosse l’oggetto del messaggio l’obiettivo era quasi sempre quello di raccogliere fondi.

Ogni messaggio ha in calce un link: donate. Un link apparentemente sempre uguale ma in realtà sempre diverso perché contiene un codice unico che consente ai gestori del sito di differenziare la provenienza degli accessi. Praticamente in tutti i messaggi c’è, oltre che a questo link in calce, un link in grassetto nel testo che invita a donare 5 o più dollari per un motivo specifico legato all’oggetto del messaggio.

Take a look and make a donation of $5 or more to get it on the air for those who may have missed it

Please donate $5 or more before the deadline to help register voters, get out the vote, and win this election

Make a donation of $5 or more today to help Get Out The Vote in Ohio and other early vote states

Make a donation of $5 or more right now to bring about the change we need

Then make a donation of $5 or more to help keep this ad on the air

The time to make a difference in this election is running out — please make a donation of $5 or more right now

Your donation of $5 or more today is essential to our unprecedented get out the vote operation in these final days

Will you make a donation of $5 or more today and double your impact?

Make a donation of $10 or more and you’ll receive a limited edition Obama-Biden car magnet

You can decide where we fight — and how strong our team will be. Please make a donation of $5 or more before the deadline

Your first donation of $10 or more will provide resources urgently needed before the deadline. And you’ll receive a limited edition Obama-Biden car magnet

If you make a donation of $10 or more before the deadline, you’ll receive a limited edition Obama-Biden car magnet

Make a donation of $10 or more to own a piece of this movement before the final deadline

Will you make a donation of $5 or more before the deadline?

Watch Barack’s closing argument and make a donation of $5 or more to get every vote we need to win.

Take a minute to remember why you joined this movement, then please make a donation of $5 or more today?

Watch Barack’s speech and make your first donation of $5 or more before it’s too late

Make a donation of $5 or more today to expand our efforts in these new battleground states

And if you make a donation of $30 or more today, you’ll also receive a “Change the World” T-shirt

Make a donation of $5 or more right now: Make a donation and you could get a front row seat to history

Nei rari casi in cui il messaggio non invita direttamente a finanziare la campagna con un link in grassetto come questi, c’è sempre e comunque un’azione chiara che viene proposta con un link in grassetto “Host a Last Call for Change house party on Wednesday, October 29th”, “Watch this video and sign up to help get out the vote on Tuesday, November 4th“)

I lunghi mesi che precedevano il 4 novembre sono stati trasformati in una corsa a tappe dove, per mantenere alta l’attenzione, bisognava talvolta inventarsi (come nel caso dei vari gadget messi in vendita mano mano, di alcuni video realizzati ad-hoc e dei concorsi come quello per stare dietro il palco in occasione della nomination) l’evento.

Ovviamente i messaggi di posta elettronica sono solo una piccola parte della campagna. Gli stessi messaggi erano, ad esempio, inviati agli oltre 2 milioni e mezzo di supporter della pagine di Barack Obama su Facebook. L’uso di Facebook e l’integrazione fra questo strumento e gli altri diventerò di certo un caso di studio. Decine di applicazioni sono state realizzate ad-hoc per supportare la registrazione al voto, la ricerca delle informazioni su come e dove votare o, la mia preferita, quella per invitare i ragazzi a parlare con i loro genitori delle elezioni (l’elenco delle cose da fare e da non fare è straordinario e andrebbe letto ed applicato sempre e comunque a prescindere).

Tutto il sistema di messaggi convergeva poi sul sito ufficiale.

Questo sito è stato costruito e gestito magistralmente. In particolare credo che l’Action Center farà scuola e rappresenta molto bene la simbiosi fra mobilitazione dal basso e coordinamento che questa campagna è riuscita a realizzare.

Per ogni azione è stata realizzata una pagina divisa in 4 tab: Getting Started, Before, During, After.

In ogni tab è spiegato in modo chiaro e spesso passo passo cosa fare e come farlo. Mi ricordo di aver letto ad esempio le istruzioni per organizzare una festa in casa per vedere insieme il discorso di accettazione della nomination di agosto che spiegava chi invitare, come farlo, come organizzare la serata quali materiali preparare, distribuire e riconsegnare allo staff di Obama (una guida simile è ancora disponibile nell’organizing resource center).

Il successo di Barack Obama è senza dubbio dovuto alla capacità di usare Internet  in ambito politico come mai prima era stato fatto. Ancora una volta, come nel caso di Wikipedia, un piccolo nucleo di volontari riesce a coordinare, grazie ad un uso accorto della rete, un enorme numero di partecipanti.

Se c’è una cosa che dovremmo imparare è che per passare dalla condivisione all’azione collettiva (per usare il linguaggio di Clay Shirky – il cui ultimo libro sta per uscire in italiano per Codice) l’auto-organizzazione non basta. Come nei BarCamp serve qualcuno che faccia un po’ più degli altri, si assuma maggiori responsabilità e svolga un ruolo di coordinamento affinché tutti gli altri possano partecipare attivamente ed efficacemente all’evento.

Senza i pochi non ci sarebbero i molti e viceversa. Senza Internet non ci sarebbe il collegamento.

La retorica dell’auto-organizzazione pura è una chimera.

Le conversazioni dal basso, da sole, non bastano.

P.S. Il community manager è il mestiere del futuro.

Alcuni mesi fa, come molti altri anche in Italia, mi sono iscritto a http://my.barackobama.com.

Non che potessi veramente fare qualcosa di concreto per supportare una causa in cui credevo (le donazioni per i non cittadini USA sono, ad esempio, proibite) quanto piuttosto per osservare più da vicino l’uso che lo staff di Obama ha fatto del suo social network e del web in generale.

Era il 13 luglio e da allora ho ricevuto oltre 90 messaggi di posta elettronica ed updates via Facebook.

A rileggerli oggi tutti insieme pare di assistere ad una straordinaria lezione su come si gestisce una comunità online.

Ogni messaggio inviato ha un mittente ed una firma personale. I mittenti sono David Plouffe, Joe Biden, Michelle Obama, Barack Obama ed occasionalmente altri personaggi che firmano i messaggi e risultano come mittenti nell’inbox (anche se il replay è impostato per tutti a info@barackobama.com).

Ogni messaggio ha un tema chiaro e tutt’altro che generico. Può essere legato al raggiungimento degli obiettivi di auto-finanziamento di fine mese, ad eventi quali il discorso di accettazione della nomination o i dibattiti televisivi (prima e dopo per le reazioni), a rispondere in modo immediato agli spot di McCain, alla disponibilità di nuovi gadget, a sollecitare azioni mirate di volontariato su specifici Stati o questioni.

Make a donation of $5 or more right now to show John McCain and Governor Palin that when they attack us with lies and smears, it literally makes our campaign stronger

Esemplare in questo senso i messaggi che seguivano alle dichiarazioni di McCain contro Obama.

I messaggi che seguivano a questi spot o dichiarazioni erano tutti costruiti sfruttando abilmente la retorica del “lui ha tanti soldi e si può permettere di comprare spot televisivi in cui ci attacca, reagiamo tutti insieme raccogliendo più fondi per avere anche noi i nostri spot”.

Quale che fosse l’oggetto del messaggio l’obiettivo era quasi sempre quello di raccogliere fondi.

Ogni messaggio ha in calce un link: donate. Un link apparentemente sempre uguale ma in realtà sempre diverso perché contiene un codice unico che consente ai gestori del sito di differenziare la provenienza degli accessi. Praticamente in tutti i messaggi c’è, oltre che a questo link in calce, un link in grassetto nel testo che invita a donare 5 o più dollari per un motivo specifico legato all’oggetto del messaggio.

Take a look and make a donation of $5 or more to get it on the air for those who may have missed it

Please donate $5 or more before the deadline to help register voters, get out the vote, and win this election

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Nei rari casi in cui il messaggio non invita direttamente a finanziare la campagna con un link in grassetto come questi, c’è sempre e comunque un’azione chiara che viene proposta con un link in grassetto “Host a Last Call for Change house party on Wednesday, October 29th”, “Watch this video and sign up to help get out the vote on Tuesday, November 4th“)

I lunghi mesi che precedevano il 4 novembre sono stati trasformati in una corsa a tappe dove, per mantenere alta l’attenzione, bisognava talvolta inventarsi (come nel caso dei vari gadget messi in vendita mano mano, di alcuni video realizzati ad-hoc e dei concorsi come quello per stare dietro il palco in occasione della nomination) l’evento.

Ovviamente i messaggi di posta elettronica sono solo una piccola parte della campagna. Gli stessi messaggi erano, ad esempio, inviati agli oltre 2 milioni e mezzo di supporter della pagine di Barack Obama su Facebook. L’uso di Facebook e l’integrazione fra questo strumento e gli altri diventerò di certo un caso di studio. Decine di applicazioni sono state realizzate ad-hoc per supportare la registrazione al voto, la ricerca delle informazioni su come e dove votare o, la mia preferita, quella per invitare i ragazzi a parlare con i loro genitori delle elezioni (l’elenco delle cose da fare e da non fare è straordinario e andrebbe letto ed applicato sempre e comunque a prescindere).

Tutto il sistema di messaggi convergeva poi sul sito ufficiale.

Questo sito è stato costruito e gestito magistralmente. In particolare credo che l’Action Center farà scuola e rappresenta molto bene la simbiosi fra mobilitazione dal basso e coordinamento che questa campagna è riuscita a realizzare.

Per ogni azione è stata realizzata una pagina divisa in 4 tab: Getting Started, Before, During, After.

In ogni tab è spiegato in modo chiaro e spesso passo passo cosa fare e come farlo. Mi ricordo di aver letto ad esempio le istruzioni per organizzare una festa in casa per vedere insieme il discorso di accettazione della nomination di agosto che spiegava chi invitare, come farlo, come organizzare la serata quali materiali preparare, distribuire e riconsegnare allo staff di Obama (una guida simile è ancora disponibile nell’organizing resource center).

Il successo di Barack Obama è senza dubbio dovuto alla capacità di usare Internet  in ambito politico come mai prima era stato fatto. Ancora una volta, come nel caso di Wikipedia, un piccolo nucleo di volontari riesce a coordinare, grazie ad un uso accorto della rete, un enorme numero di partecipanti.

Se c’è una cosa che dovremmo imparare è che per passare dalla condivisione all’azione collettiva (per usare il linguaggio di Clay Shirky – il cui ultimo libro sta per uscire in italiano per Codice) l’auto-organizzazione non basta. Come nei BarCamp serve qualcuno che faccia un po’ più degli altri, si assuma maggiori responsabilità e svolga un ruolo di coordinamento affinché tutti gli altri possano partecipare attivamente ed efficacemente all’evento.

Senza i pochi non ci sarebbero i molti e viceversa. Senza Internet non ci sarebbe il collegamento.

La retorica dell’auto-organizzazione pura è una chimera.

Le conversazioni dal basso, da sole, non bastano.

P.S. Il community manager è il mestiere del futuro.