w la censura

Il primo messaggio inviato dall’organizzazione del MiT5 è un grido di allarme: “I AM SORRY”. Riporto di seguito il comunicato dell’artista Lanfranco Aceti.

I AM SORRY

THE EXHIBITION HAS BEEN CENSORED

BY THE ARTIST

Due to the increase of censorship and lack of support from public and private institutions in defense of freedom of artistic expression, the exhibition has been censored directly by the artist. The artist is very sorry for any non-authorized thoughts he might have had and if the fact that he is sorry offends anyone’s sensitivity.

The exhibition is not happening at Tate Modern and a flashmob non-event will not be held on the 1st of April when people should not meet at 12pm in the Turbine Hall to scream I AM SORRY in order to express their concern for violence, artistic censorship and peaceful coexistence. The non-happening will be recorded and discussed by the artist at the media conference MIT5.

Warning: This is not only a press release but also an art release. Side effects include: sarcastic behavior, critical engagements and brain activity.

Feel free to disseminate: Lanfranco Aceti under Creative Commons.

 

Dr. Lanfranco Aceti

Artist and Academic

My Space: www.myspace.com/lanfrancoaceti

Web: www.lanfrancoaceti.com

Email: lanfranco@lanfrancoaceti.com

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L'incantesimo dei babbani

  Un titolo fantastico per parlare ad un pubblico tecnico dell’importanza degli aspetti sociali.

Chi sono i babbani nel mondo dell’hi-tech? Quelli che vivono la loro vita quotidiana senza usare o conoscere le tecnologie più avanzate o piuttosto chi, progettando queste tecnologie, non è in grado di percepire e comprendere la magia della vita quotidiana?

Resoconto dell’intervento di ieri di Danah Boyd all’ETech (a cura di Raph Koster).

P.S. Quasi tutto il talk è incentrato sulla seguente segmentazione generazionale:

– identity formation and role-seeking: youth, college, teens
– integration and coupling: 20s
– societal contribution: professional life, marriage
– reflection and storytelling: retirement

Corporate Blogging il caso dell'UWiC Lab

Segnalo che Giuseppe ha pubblicato sotto licenza creative commons la sua tesi sui corporate blogs. Si tratta di un lavoro molto innovativo e piuttosto interessante specialmente per chi desiderasse una introduzione in italiano ai temi dell’uso del blog per la comunicazione delle istituzioni e delle imprese. Per alcuni mesi l’autore ha gestito il blog del wireless-campus di Urbino scoprendo sulla sua stessa pelle la difficile arte del camminare sul filo che divide il pubblico dal privato.

MiT5

Finalmente anche il nostro (GBA, RL ed io) intervento Ownership in the Digital Age: A Sociological Approach appare nell’agenda provvisoria della quinta edizione di Media in Transition che quest’anno è dedicata alla creatività, la proprietà e la collaborazione al tempo del digitale.

Il programma completo è veramente massiccio e ricorda per dimensioni, con fino a 10 panel contemporanei, i convegni mondiali dell’ISA o dell’IIS.

Il panel al quale siamo stati assegnati si svolge nella mattinata di sabato ed è intitolato Copyright 2: Politics and Ethics. Non che il nostro intervento abbia a che fare con questo ma immagino che la creazione dei panel sulla sola base degli abstract e bios non deve essere stata affatto facile.

Più informazioni presto…

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Verso una definizione di Conversazioni dal Basso

Giulia in un commento solleva un giusto problema teorico in relazione alla definizione di Conversazioni dal Basso.

(…) dal basso significa conversazioni che si generano sul piano individuale e che hanno ripercussioni (insomma che irritano) sul piano sociale? ok. ma non è così semplice. secondo me sarebbe opportuno capire che cosa genera questa produzione dal basso: un desiderio di riappropriazione (per dirla con de Certeau) delle logiche del sociale o, invece, un desiderio di inclusione? o tutti e due? (e ritorna la dialettica…)
e poi si parla in genere di “produzione” dal basso, parola cara al sistema capitalistico, e non di “creazione” dal basso. che cosa significa? è una “patologia semantica” oppure significa qualcosa di profondo questa scelta terminologica?

Una questione in qualche modo analoga mi pare sollevata da questo post di Roberta.

(…) E, infine, perchè non voglio esagerare con le domande: il fatto che questa presa di parola OGGI venga in fondo tollerata, anzi addirittura incentivata, significa che dal maggio ‘68 ad oggi si è prodotto un ulteriore cambiamento radicale? Mi viene il dubbio che la presa di parola, rivoluzionaria sì in quanto moto da dentro, dal punto di vista delle strutture sociali, della comunicazione, non debba essere più considerata tale. La rivoluzione che si è prodotta negli ultimi anni, e che sta sullo sfondo della presa di parola attraverso le stesse conversazioni dal basso dei blog, riguarda proprio le strutture sociali e della comunicazione, che della presa di parola altrui si nutrono, delegando loro la produzione dei contenuti che per loro sono indifferenti.
La domanda risuona allora: questa presa di parola (attraverso i blog, ma non solo) riesce a mantenere la sua forza simbolica?

Mi pare che la questione sia questa (ma se mi sbaglio o banalizzo spero che Roberta e Giulia me lo segnalino): le conversazioni dal basso hanno o meno un potenziale (rivoluzionario) di supporto al cambiamento sociale?

Ineffetti alla base c’è una certa ambiguità terminologica in qualche modo voluta quando abbiamo scelto il titolo del workshop/seminariale. Ovvero abbiamo volutamente giocato sull’idea di conversazioni dal basso (che ovviamente si contrappongono a quelle dall’alto), richiamando una classica forma di contrapposizione fra micro e macro.

Ma per fare un discorso serio su questo non basta partire da uno slogan. Serve una definizione. A mio avviso le “conversazioni dal basso” non sono affatto più vicine all’individuo di qualsiasi altra forma di comunicazione (che per definizione è emergente rispetto agli individui anche se non potrebbe esistere senza di essa). Dunque non hanno, in questo senso, più potenziale rivoluzionario di qualsiasi altra comunicazione.

Questo non significa tuttavia che non abbiano potenziale rivoluzionario e spiegherò dopo il perchè.

Intanto bisogna capire di cosa si parla. Bisogna dunque trovare un confine fra conversazioni dal basso ed il resto delle conversazioni. Ma la cosa non è semplice. Credo che il tutto ruoti intorno a queste quattro caratteristiche: permanenza nel tempo, ricercabilità, riproducibilità e pubblico indistinto. ll problema è che queste caratteristiche sono comuni ad altre forme: ad esempio un quotidiano online. Questo mi fa pensare che le conversazioni dal basso siano parte del sistema dei mass media. Ne condividono sicuramente le funzioni (memoria ed irritabilità degli altri sistemi di funzione) ma quello che non convince a pieno sono i confini. Ovvero informazione/non informazione. Ne avevo parlato molto tempo fa in questo post. Questo è veramente il punto centrale.

Quando in un blog personale viene scritto qualcosa tipo “oggi ho accarezzato il mio gatto” sembra difficile cogliere l’informatività di questo tema. Eppure, se si interpreta correttamente la distinzione informazione/non informazione, credo che si possa considerare questa frase informativa. Ovvero portatrice di novità in relazione a quanto trattato in predenza dal sistema dei mass media. Difficilmente qualcuno avrà pubblicato in precedenza la notizia eppure la scelta di raccontare l’episodio nel blog è una scelta fatta in relazione ad un pubblico, fosse anche i miei quattro amici (eventualmente anche immaginari). Per l’autore del blog la notizia di aver accarezzato il gatto ha valore informativo per il suo pubblico.

Quindi la novità sta più che altro nella tipologia di temi che entrano nel sistema dei mass media. Cambia la semantica del sistema dei mass media (e quindi anche quella della società) e se si pensa che fra semantica e struttura della società ci sia una correlazione  ci si può fare un’idea di quale sia il potenziale rivoluzionario delle conversazioni dal basso.

Pensando alla storia del rapporto fra media e società credo che l’esempio più simile a quello che sta succedendo oggi sia l’introduzione della stampa.

Ok con questo chiudo anche se ci sarebbe molto altro da dire.

Spero di avere presto il tempo di scrivere un articolo completo sul tema.

Nel frattempo l’appuntamento è per il 20 di aprile.

Alcuni appunti su media e generazioni

Come immaginavo il primo appuntamento organizzato nell’ambito del programma di ricerca nazionale su Media e Generazioni nella società italiana è stato un’esperienza formativa e piacevole al tempo stesso.

La ricerca sta prendendo forma e sarà raccontata passo dopo passo in un blog gestito gestito collaborativamente dalle 5 unità di ricerca (Milano Cattolica, Bergamo, Roma “La Sapienza”, Trento e Urbino).

Dal punto di vista dei contenuti è stato particolarmente interessante il seminario Generations. A new research agenda in sociology of culture non tanto o non solo per il contributo dell’invitata principale (June Edmunds del Development Studies Committee di Cambridge UK) quanto per quello degli altri partecipanti (Alessandro Cavalli, Pierpaolo Donati e Fausto Colombo).

In particolare è emerso chiaramente che la definizione di generazioni che si è affermata nella tradiziona sociologica sulla scia di Karl Mannheim rappresenta un utile punto di partenza ma non certo una risposta alla necessità di definire cosa siano le generazioni (sopratutto se non si desidera basare il tutto sul semplice dato anagrafico). Osservare, come fa June Edmunds, le generazioni in relazione alle loro capacità di cambiamento politico/sociale coglie solo un lato della questione.

Una cosa è certa, il succedersi delle generazioni può essere individuato grazie alla rilevazione di discontinuità (differenze) e questo è opera di osservatore. Ovviamente queste differenze possono essere rilevate nei confronti dell’atteggiamento politico (generazioni attive/passive) come nel consumo dei media. Ma non è detto che queste generazioni diverse coincidano (anzi forse questo è altamente improbabile).

Nello specifico rispetto ai media la situazione è ancora più delicata. Intanto può esistere una discontinuità rispetto ai prodotti mediali ed una rispetto alle tecnologie. Anche queste non è detto che coincidano.

Sia rispetto ai contenuti che alle tecnologie la questione delle generazioni è particolarmente delicata. Infatti credo che entrambe retroagiscano sulle generazioni. Ovvero sono i media (o i contenuti mediali) che creano le generazioni o sono le generazioni (che producono certi contenuti mediali e certe tecnologie e non altre) che creano i media? Probabilmente è una circolarità da cui è impossibile uscire e che andrebbe forse posta per questo a fondamento di ogni discorso su media e generazioni.

Posto in questi termini diventa particolarmente interessante studiare i contenuti generati dagli utenti cercando lì le tracce di discontinuità possibili. Se le generazioni mediali esistono la comunicazione è il luogo dove andarle a cercare 🙂

Media e Generazioni globali

Stasera e domani mattina sono in Cattolica a Milano per prendere parte alla presentazione di questo libro (Giovedì 22 marzo 2007 – Aula Pio XI – ore 18.30) ed assistere al seminario Generations. A new research agenda in sociology of culture (Venerdì 23 marzo 2007 – Aula Pio XI – ore 10.00) con Jane Edmunds (Global generations: social change in the twentieth century). Si tratta del primo step del Programma di Ricerca di Interesse Nazionale cofinanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca sul tema “Media e generazioni nella società italiana” cui avevo accennato tempo fa.

Floria1405 dice che non ne so di blog

Commentando questo pezzo scritto anni fa per il portale di Indire (si tratta di una sintesi di un materiale didattico completo di riferimenti bibliografici che mi avevano chiesto di produrre con tema la cultura di rete rivolto ai docenti in formazione). Nel post si afferma essenzialmente che in quell’articolo avrei usato un linguaggio troppo difficile perchè non sarei padrone dell’argomento ma la cosa che più mi interessa è una parte che riguarda il farsi media

Ma la cosa che più mi ha colpito è questa: io, in quanto autrice di blog, ambirei a farmi media. Anzi, più precisamente, mass media. Uh uh, che libidine: sono un’aspirante televisione e non lo sapevo.  Peccato che non si prenda in considerazione l’ipotesi speculare, ovvero quanto la logica comunicativa dei media tradizionali possa essere influenzata da un modo diverso di proporre contenuti, dal basso. E peccato che non si consideri il fatto che ad esempio la sottoscritta, con la sua media non eccelsa di accessi, non possa pretendere altro ruolo se non quello di testimone. Io, qui, non faccio comunicazione (o meglio, faccio comunicazione a scuola, quando spiego, proponendo e filtrando nozioni e informazioni). Io, qui, testimonio un’esperienza. La mia. Che, in quanto strettamente individuale e non riducibile sic et simpliciter ad una semplificazione e generalizzazione statistiche, non è presa in considerazione altrove. Insomma: siccome i media non mi rappresentano (non mi rappresentano come donna, come madre di famiglia, come intellettuale, come insegnante) io utilizzo questo strumento (il blog) per rivendicare un’ identità altrimenti negata e sminuita. Non so se questo significhi ambire a farsi media. Di certo vuol dire contrapporsi ai media tradizionali come Davide a Golia.

In realtà la tendenza al Farsi Media non è un’ambizione ma un processo che si inneseca quando qualcuno usa un mezzo di comunicazione di massa dalla parte del produttore dei contenuti. Ovvero produce dei contenuti senza poter sapere con precisione chi ne fruirà. Questa è una caratteristica propria delle conversazioni online ma non solo. Funziona così per chi scrive libri, per i giornalisti e per tutte quelle categorie che, appunto, “conversano con le masse”.
Ora uno degli aspetti interessanti del Farsi Media è che, per la prima volta nella storia, uno strato ampio della popolazione mondiale, ha accesso ai mezzi di comunicazione di massa. E’ difficile prevedere le conseguenze di questo accesso di massa ai mezzi di comunicazione di massa ma è possibile sicuramente immaginare ipotetici effetti sul piano del sociale, su quello individuale e su quello relazionale (per chi non conoscesse questa terminologia suggerisco la lettura di i media mondo). Il pezzo che ho scritto per Indire si riferiva alle possibili conseguenze sul piano individuale. Ovvero a cosa può comportare, nel lungo periodo, questo processo rispetto alla costruzione dell’identità dell’individuo in relazione alle tecnologie.
L’ipotesi è che l’esperienza del Farsi Media possa ben esemplificare la natura autoreferenziale del processo comunicativo poichè l’autore del blog conversa con l’immagine che si è auto-costruito del suo pubblico. Fare pratica di questa forma di riflessività non è banale e può far emergere una consapevolezza del rapporto fra identità propria ed ambiente. Per dirla con Hofstadter, ci aiuta a capire che siamo degli strani anelli. Questa capacità (anche detta metacognizione) è considerata da alcune prospettive pedagogiche fra gli skills essenziali alla base dei processi di apprendimento.
Detto questo, preciso che quello che a me più interessa non sono tanto gli aspetti individuali quanto quelli sociali.
Ovvero come cambierà in seguito al Farsi Media il rapporto fra cittadini e istituzioni? Come cambierà il rapporto fra aziende e consumatori? Come co-evolveranno i media mainstream e i media non mainstream?
Proprio per questo a me interessano le conversazioni dal basso 🙂

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