What’s next #12: Il paziente e gli UCG. Rischi ed opportunità dell'e-Health 2.0

Le logiche del web 2.0 contaminano anche il mondo della sanità. Nascono nuove applicazioni basate sul contenuto generato dai pazienti (o dai medici) che offrono come sempre assieme nuove opportunità e nuovi rischi.Le logiche del web 2.0 contaminano anche il mondo della sanità. Nascono nuove applicazioni basate sul contenuto generato dai pazienti (o dai medici) che offrono come sempre assieme nuove opportunità e nuovi rischi.Le logiche del web 2.0 contaminano anche il mondo della sanità. Nascono nuove applicazioni basate sul contenuto generato dai pazienti (o dai medici) che offrono come sempre assieme nuove opportunità e nuovi rischi.


Da qualche mese un piccolo gruppo di ricercatori LaRiCA collabora ad un progetto finanziato dal Ministro del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali e gestito da CUP 2000 (una società di Bologna specializzata in soluzione per l’e-health). Il progetto si propone di raccogliere, classificare e visualizzare in uno spazio web le esperienze ed i progetti in corso volti a erogare servizi e prestazioni sanitarie direttamente a casa del paziente facendo uso di Internet o altri canali digitali (e-care).
L’ambiente web, basato su Drupal, è già attivo da tempo ed implementa in modo interessante alcuni servizi social (feed rss, servizi di condivisione e bookmarking, tag clouds, visualizzazioni dei progetti basti sull’utilizzo che gli utenti fanno del sito, etc.).
Potete dare uno sguardo voi stessi a: http://www.onecare.cup2000.it/.
Il LaRiCA si è occupato prevalentemente di raccogliere ed analizzare i servizi web che fanno uso delle logiche del web sociale (o 2.0) per cambiare, a diversi livelli, le modalità di fruizione e di erogazione dei servizi sanitari. Da tempo Internet si è andata affermando come una risorsa per il reperimento di informazioni sanitarie (secondo una recente survey di Pew Internet il 78% degli americani che dispongono di una connessione a banda larga cercano informazioni relative alla salute online). È invece più recente la tendenza, sulla scia del successo dei servizio basati sul contenuto generato dagli utenti, a creare servizi di e-health web-based basati sull’idea che i pazienti sono produttori e non solo consumatori di contenuti.
A prima vista l’idea che contenuti la cui esattezza è così importante siano prodotti dagli utenti (non dunque dai professionisti) può destare più di una preoccupazione. I servizi che abbiamo individuato sono riusciti tuttavia a cogliere le opportunità di questo approccio minimizzando il rischio ad esso connesso.
Queste opportunità possono essere fatte ricadere in altrettante categorie di applicazioni web 2.0. Ne abbiamo individuate essenzialmente tre: i sistemi di Online Health Records, i sistemi per la fornitura di servizi medici on line (e-healthcare market) e i siti di social network tematici.


Gli OnLine Health Records sono sistemi che permettono la creazione e la gestione della propria cartella clinica on line. Tutti i dati relativi a patologie, cure mediche, esami e trattamenti effettuati da qualsiasi soggetto possono, con tali sistemi, essere salvati in rete e attraverso questa gestiti, condivisi, consultati o integrati.
I vantaggi sono dettati dall’estrema duttilità nella fruizione delle informazioni e dall’elevata possibilità di interazione tra medico e paziente.
Quest’ultimo si pone al centro del sistema potendo decidere in modo autonomo quando e dove usufruire dei suoi dati, quale persona autorizzare alla visione degli stessi, a quale medico inviare la propria cartella per ottenere un consulto. Il paziente può gestire in modo autonomo un insieme di dati raccolti in un unico “luogo”, consultabile in modo istantaneo in qualunque parte del mondo.
È possibile strutturare in questo modo sistemi anche molto complessi che prevedono, come nel caso del sistema HealthVault di Microsoft, l’aggiornamento in tempo reale dei parametri vitali del paziente attraverso l’uso di device portatili che monitorano costantemente il soggetto e inviano i dati nell’online health record. In questo modo il medico potrà essere informato costantemente, ovunque si trovi, sulle condizioni del proprio paziente potendo intervenire, se necessario, anche in tempo reale. Allo stesso modo il carattere permanente delle informazioni consente la sedimentazione nel tempo degli eventi che hanno caratterizzano la storia clinica di un soggetto fornendone un quadro completo indipendentemente dalle strutture presso le quali il paziente si è rivolto nel tempo.
Gli Online Health Records possono inoltre svolgere un ulteriore importante funzione nel rendere visibile al paziente stesso la propria storia clinica. La possibilità di monitorare e visualizzare in modo semplice l’evolversi del tempo di certi parametri crea anche nel paziente delle inedite possibilità di riflettere sulla relazione fra i comportamenti quotidiani (attività fisica, quantità e tipologia di cibo) ed i parametri medici riscontrati (in un certo senso è lo stesso principio del Wii Fit). Fanno parte di questa specifica categoria l’applicazione per iPhone Diamedic (per pazienti diabetici) e Weight Tracker.
Alla flessibilità di gestione ed accessibilità delle informazioni accumulate attraverso questi sistemi si associa anche una netta diminuzione dei costi da parte delle strutture mediche. I dati vengono salvati nei server Internet delle aziende che rendono disponibile il servizio permettendo sia ai pazienti che alle strutture sanitarie di usufruire di sistemi molto più potenti e sicuri di quelli dei singoli ospedali, dei singoli medici o dei singoli pazienti, senza alcun costo di utilizzo e gestione. Questo rappresenta, per il momento, il settore in cui le applicazioni su larga scala sembrano essere più imminenti, non è un caso che colossi del mercato informatico come Google e Microsoft (Google Health e Microsoft HealthVault) stiano investendo in queste applicazioni ingenti capitali.
In altri casi, le applicazioni supportate dal Web 2.0 permettono di fruire di servizi sempre più personalizzati che in un’ottica di customerizzazione e domiciliarità consentono agli utenti di scegliere in modo consapevole medici, strutture ospedaliere, esami clinici (es. Vitals, American Well, Healthgrades, etc.). Attraverso sistemi di rating on line è possibile, ad esempio, comparare la qualità di strutture sanitarie, cure mediche e quant’altro. In alcuni casi l’utente, individua, attraverso l’aiuto on line di un medico, le cure più adatte per la sua patologia, confronta la qualità, il costo, i tempi dei servizi forniti da diverse strutture e diversi medici e alla fine acquista il pacchetto più conveniente. Dopo aver effettuato gli esami acquistati, potrà esprimere il proprio parere sulla qualità del servizio erogato che fungerà da indicazione per gli utenti successivi.
È il caso di Carol.com, un sistema che consente all’utente di scegliere e prenotare l’esame clinico più adatto alle proprie esigienze attraverso una ricerca fatta per parole chiave (Medical, Dental, Classes, Vision, Cosmetic, Behavioral Health) o per categorie (Men’s Health, Women’s Health, Back & Joint, Diabetes, Higth Blood Pressure). La rete, attiva nelle zone di Minneapolis e Saint Paul, si avvale della collaborazione di 26 centri o strutture ospedaliere e 8 compagnie di assicurazioni presenti in quell’area.
L’applicazione permette di comparare in tempo reale una serie di parametri relativi allo stesso servizio erogato dalle diverse strutture della zona e leggere i commenti di coloro che hanno già acquistato quel servizio o quel pacchetto di servizi in una determinata struttura.
In questo modo è possibile confrontare un ampio spettro di informazioni relativo, ad esempio, al costo, alla disposizione geografica delle strutture mediche che erogano quel particolare servizio, alle liste d’attesa, alla qualità delle strutture ospedaliere, alla qualità e la disponibilità del personale.
L’applicazione si presenta come un on line market place in cui, in posizione di totale parità, si confrontano gli utenti da una parte e il sistema sanitario dall’altra. Questo consente agli utenti di scegliere in modo autonomo e consapevole il servizio più adatto alle proprie esigenze e a coloro che erogano il servizio di avere un feedback immediato e a costo zero attraverso cui monitorare e migliorare la qualità dei propri prodotti.
Si tratta di forme e linguaggi mediali già sperimentati in altri campi. Il paragone (con le dovute differenze) è col famosissimo eBay, applicazione che mette in contatto venditori e compratori di tutto il mondo in cui l’apertura totale al mercato, la trasparenza e la centralità dell’utente costituiscono degli elementi chiave.
La terza tipologia di applicazioni web 2.0 per la sanità è costituita da siti di social network tematici (SharingHope, Patients Like Me) che permettono la condivisione di esperienze personali e di pareri informali, riguardo patologie o situazioni specifiche con l’intento di fornire un supporto di tipo psicologico agli utenti. Attraverso questo tipo di applicazioni si crea un senso di comunità capace di sopperire alle carenze (di informazione, di sostegno morale, etc.) del sistema sanitario relative alla gestione non tanto dei risvolti clinici della malattia, quanto di quelli umani.
Un esempio è DailyStrenght un grande social network costituito da gruppi di supporto online su una quantità enorme di patologie. Esistono attualmente più di 500 gruppi di discussioni sulle più disparate patologie riguardanti le tre aree della salute mentale, della salute fisica e dei problemi di natura personale. Gli utenti possono discutere in completo anonimato delle proprie condizioni mediche con persone che abbiano sperimentato la stessa situazione e con medici competenti sulle diverse patologie.
Esiste una sezione in cui è possibile crearsi un profilo personale che fornisce una descrizione di base dell’utente, mostra le sue attività, le notizie che ha segnalato o le conversazioni che ha fatto all’interno dei forum di discussione. È un sistema in stile MySpace o Facebook all’interno del quale è possibile tenere un diario, fare amicizie, caricare foto e video.
Una delle parti più convincenti è la treatment directory, in cui i membri possono riportare i trattamenti effettuati e la loro efficacia, discuterne insieme, segnalare nuove ricerche, articoli e cure alternative.
Tali sistemi possono attuare quel circolo virtuoso già evidenziato in precedenza. Non solo possono generare comunità che si autoalimentano aiutando nello stesso tempo chi ha bisogno di un sostegno, ma producono relazioni che generano conoscenza. La mole di conversazioni prodotta, se osservata con attenzione può costituire una enorme risorsa di informazioni per il sistema della sanità, a cominciare dalle strutture ospedaliere, dai professionisti e dalle industrie del settore. Queste possono recepire gli stimoli, i bisogni e le aspettative espresse da queste comunità per migliorare i propri servizi e i propri prodotti.
Rimane da capire quanto i benefici dell’e-health 2.0 aprono al tempo stesso a nuovi rischi. Da quello di imbattersi in informazioni non corrette perché prodotte da non professionisti a quelli relativi alla privacy.
In particolare la capacità degli utenti di produrre contenuti tende a ristrutturare, anche in ambito sanitario, il rapporto fra strutture sanitarie, medici e pazienti. La prassi dell’ascolto, come sta diventando lentamente chiaro per le aziende, diverrà col tempo una necessità anche per chi offre servizi nel campo della salute.
Mi chiedo se veramente il sistema sanitario italiano sarà in grado di sviluppare questa capacità di ascolto.
Cosa ne pensate? Ci sono più opportunità o rischi nel mondo dell’e-Health 2.0?
P.S. Questo post è in gran parte tratto da un report scritto dal mio collega Giulio Gabbianelli.
P.P.S. L’immagine è provvisoria. Pubblicherò quella giusta non appena avrò risolto un problema tecnico che sta affliggendo il server che ospita il blog.

Da qualche mese un piccolo gruppo di ricercatori LaRiCA collabora ad un progetto finanziato dal Ministro del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali e gestito da CUP 2000 (una società di Bologna specializzata in soluzione per l’e-health). Il progetto si propone di raccogliere, classificare e visualizzare in uno spazio web le esperienze ed i progetti in corso volti a erogare servizi e prestazioni sanitarie direttamente a casa del paziente facendo uso di Internet o altri canali digitali (e-care).

L’ambiente web, basato su Drupal, è già attivo da tempo ed implementa in modo interessante alcuni servizi social (feed rss, servizi di condivisione e bookmarking, tag clouds, visualizzazioni dei progetti basti sull’utilizzo che gli utenti fanno del sito, etc.).

Potete dare uno sguardo voi stessi a: http://www.onecare.cup2000.it/.

Il LaRiCA si è occupato prevalentemente di raccogliere ed analizzare i servizi web che fanno uso delle logiche del web sociale (o 2.0) per cambiare, a diversi livelli, le modalità di fruizione e di erogazione dei servizi sanitari. Da tempo Internet si è andata affermando come una risorsa per il reperimento di informazioni sanitarie (secondo una recente survey di Pew Internet il 78% degli americani che dispongono di una connessione a banda larga cercano informazioni relative alla salute online). È invece più recente la tendenza, sulla scia del successo dei servizio basati sul contenuto generato dagli utenti, a creare servizi di e-health web-based basati sull’idea che i pazienti sono produttori e non solo consumatori di contenuti.

A prima vista l’idea che contenuti la cui esattezza è così importante siano prodotti dagli utenti (non dunque dai professionisti) può destare più di una preoccupazione. I servizi che abbiamo individuato sono riusciti tuttavia a cogliere le opportunità di questo approccio minimizzando il rischio ad esso connesso.

Queste opportunità possono essere fatte ricadere in altrettante categorie di applicazioni web 2.0. Ne abbiamo individuate essenzialmente tre: i sistemi di Online Health Records, i sistemi per la fornitura di servizi medici on line (e-healthcare market) e i siti di social network tematici.

Gli OnLine Health Records sono sistemi che permettono la creazione e la gestione della propria cartella clinica on line. Tutti i dati relativi a patologie, cure mediche, esami e trattamenti effettuati da qualsiasi soggetto possono, con tali sistemi, essere salvati in rete e attraverso questa gestiti, condivisi, consultati o integrati.

I vantaggi sono dettati dall’estrema duttilità nella fruizione delle informazioni e dall’elevata possibilità di interazione tra medico e paziente.

Quest’ultimo si pone al centro del sistema potendo decidere in modo autonomo quando e dove usufruire dei suoi dati, quale persona autorizzare alla visione degli stessi, a quale medico inviare la propria cartella per ottenere un consulto. Il paziente può gestire in modo autonomo un insieme di dati raccolti in un unico “luogo”, consultabile in modo istantaneo in qualunque parte del mondo.

È possibile strutturare in questo modo sistemi anche molto complessi che prevedono, come nel caso del sistema HealthVault di Microsoft, l’aggiornamento in tempo reale dei parametri vitali del paziente attraverso l’uso di device portatili che monitorano costantemente il soggetto e inviano i dati nell’online health record. In questo modo il medico potrà essere informato costantemente, ovunque si trovi, sulle condizioni del proprio paziente potendo intervenire, se necessario, anche in tempo reale. Allo stesso modo il carattere permanente delle informazioni consente la sedimentazione nel tempo degli eventi che hanno caratterizzano la storia clinica di un soggetto fornendone un quadro completo indipendentemente dalle strutture presso le quali il paziente si è rivolto nel tempo.

Gli Online Health Records possono inoltre svolgere un ulteriore importante funzione nel rendere visibile al paziente stesso la propria storia clinica. La possibilità di monitorare e visualizzare in modo semplice l’evolversi del tempo di certi parametri crea anche nel paziente delle inedite possibilità di riflettere sulla relazione fra i comportamenti quotidiani (attività fisica, quantità e tipologia di cibo) ed i parametri medici riscontrati (in un certo senso è lo stesso principio del Wii Fit). Fanno parte di questa specifica categoria l’applicazione per iPhone Diamedic (per pazienti diabetici) e Weight Tracker.

Alla flessibilità di gestione ed accessibilità delle informazioni accumulate attraverso questi sistemi si associa anche una netta diminuzione dei costi da parte delle strutture mediche. I dati vengono salvati nei server Internet delle aziende che rendono disponibile il servizio permettendo sia ai pazienti che alle strutture sanitarie di usufruire di sistemi molto più potenti e sicuri di quelli dei singoli ospedali, dei singoli medici o dei singoli pazienti, senza alcun costo di utilizzo e gestione. Questo rappresenta, per il momento, il settore in cui le applicazioni su larga scala sembrano essere più imminenti, non è un caso che colossi del mercato informatico come Google e Microsoft (Google Health e Microsoft HealthVault) stiano investendo in queste applicazioni ingenti capitali.

In altri casi, le applicazioni supportate dal Web 2.0 permettono di fruire di servizi sempre più personalizzati che in un’ottica di customerizzazione e domiciliarità consentono agli utenti di scegliere in modo consapevole medici, strutture ospedaliere, esami clinici (es. Vitals, American Well, Healthgrades, etc.). Attraverso sistemi di rating on line è possibile, ad esempio, comparare la qualità di strutture sanitarie, cure mediche e quant’altro. In alcuni casi l’utente, individua, attraverso l’aiuto on line di un medico, le cure più adatte per la sua patologia, confronta la qualità, il costo, i tempi dei servizi forniti da diverse strutture e diversi medici e alla fine acquista il pacchetto più conveniente. Dopo aver effettuato gli esami acquistati, potrà esprimere il proprio parere sulla qualità del servizio erogato che fungerà da indicazione per gli utenti successivi.

È il caso di Carol.com, un sistema che consente all’utente di scegliere e prenotare l’esame clinico più adatto alle proprie esigienze attraverso una ricerca fatta per parole chiave (Medical, Dental, Classes, Vision, Cosmetic, Behavioral Health) o per categorie (Men’s Health, Women’s Health, Back & Joint, Diabetes, Higth Blood Pressure). La rete, attiva nelle zone di Minneapolis e Saint Paul, si avvale della collaborazione di 26 centri o strutture ospedaliere e 8 compagnie di assicurazioni presenti in quell’area.

L’applicazione permette di comparare in tempo reale una serie di parametri relativi allo stesso servizio erogato dalle diverse strutture della zona e leggere i commenti di coloro che hanno già acquistato quel servizio o quel pacchetto di servizi in una determinata struttura.

In questo modo è possibile confrontare un ampio spettro di informazioni relativo, ad esempio, al costo, alla disposizione geografica delle strutture mediche che erogano quel particolare servizio, alle liste d’attesa, alla qualità delle strutture ospedaliere, alla qualità e la disponibilità del personale.

L’applicazione si presenta come un on line market place in cui, in posizione di totale parità, si confrontano gli utenti da una parte e il sistema sanitario dall’altra. Questo consente agli utenti di scegliere in modo autonomo e consapevole il servizio più adatto alle proprie esigenze e a coloro che erogano il servizio di avere un feedback immediato e a costo zero attraverso cui monitorare e migliorare la qualità dei propri prodotti.

Si tratta di forme e linguaggi mediali già sperimentati in altri campi. Il paragone (con le dovute differenze) è col famosissimo eBay, applicazione che mette in contatto venditori e compratori di tutto il mondo in cui l’apertura totale al mercato, la trasparenza e la centralità dell’utente costituiscono degli elementi chiave.

La terza tipologia di applicazioni web 2.0 per la sanità è costituita da siti di social network tematici (SharingHope, Patients Like Me) che permettono la condivisione di esperienze personali e di pareri informali, riguardo patologie o situazioni specifiche con l’intento di fornire un supporto di tipo psicologico agli utenti. Attraverso questo tipo di applicazioni si crea un senso di comunità capace di sopperire alle carenze (di informazione, di sostegno morale, etc.) del sistema sanitario relative alla gestione non tanto dei risvolti clinici della malattia, quanto di quelli umani.

Un esempio è DailyStrenght un grande social network costituito da gruppi di supporto online su una quantità enorme di patologie. Esistono attualmente più di 500 gruppi di discussioni sulle più disparate patologie riguardanti le tre aree della salute mentale, della salute fisica e dei problemi di natura personale. Gli utenti possono discutere in completo anonimato delle proprie condizioni mediche con persone che abbiano sperimentato la stessa situazione e con medici competenti sulle diverse patologie.

Esiste una sezione in cui è possibile crearsi un profilo personale che fornisce una descrizione di base dell’utente, mostra le sue attività, le notizie che ha segnalato o le conversazioni che ha fatto all’interno dei forum di discussione. È un sistema in stile MySpace o Facebook all’interno del quale è possibile tenere un diario, fare amicizie, caricare foto e video.

Una delle parti più convincenti è la treatment directory, in cui i membri possono riportare i trattamenti effettuati e la loro efficacia, discuterne insieme, segnalare nuove ricerche, articoli e cure alternative.

Tali sistemi possono attuare quel circolo virtuoso già evidenziato in precedenza. Non solo possono generare comunità che si autoalimentano aiutando nello stesso tempo chi ha bisogno di un sostegno, ma producono relazioni che generano conoscenza. La mole di conversazioni prodotta, se osservata con attenzione può costituire una enorme risorsa di informazioni per il sistema della sanità, a cominciare dalle strutture ospedaliere, dai professionisti e dalle industrie del settore. Queste possono recepire gli stimoli, i bisogni e le aspettative espresse da queste comunità per migliorare i propri servizi e i propri prodotti.

Rimane da capire quanto i benefici dell’e-health 2.0 aprono al tempo stesso a nuovi rischi. Da quello di imbattersi in informazioni non corrette perché prodotte da non professionisti a quelli relativi alla privacy.

In particolare la capacità degli utenti di produrre contenuti tende a ristrutturare, anche in ambito sanitario, il rapporto fra strutture sanitarie, medici e pazienti. La prassi dell’ascolto, come sta diventando lentamente chiaro per le aziende, diverrà col tempo una necessità anche per chi offre servizi nel campo della salute.

Mi chiedo se veramente il sistema sanitario italiano sarà in grado di sviluppare questa capacità di ascolto.

Cosa ne pensate? Ci sono più opportunità o rischi nel mondo dell’e-Health 2.0?

P.S. Questo post è in gran parte tratto da un report scritto dal mio collega Giulio Gabbianelli.

P.P.S. L’immagine è provvisoria. Pubblicherò quella giusta non appena avrò risolto un problema tecnico che sta affliggendo il server che ospita il blog.

Da qualche mese un piccolo gruppo di ricercatori LaRiCA collabora ad un progetto finanziato dal Ministro del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali e gestito da CUP 2000 (una società di Bologna specializzata in soluzione per l’e-health). Il progetto si propone di raccogliere, classificare e visualizzare in uno spazio web le esperienze ed i progetti in corso volti a erogare servizi e prestazioni sanitarie direttamente a casa del paziente facendo uso di Internet o altri canali digitali (e-care).

L’ambiente web, basato su Drupal, è già attivo da tempo ed implementa in modo interessante alcuni servizi social (feed rss, servizi di condivisione e bookmarking, tag clouds, visualizzazioni dei progetti basti sull’utilizzo che gli utenti fanno del sito, etc.).

Potete dare uno sguardo voi stessi a: http://www.onecare.cup2000.it/.

Il LaRiCA si è occupato prevalentemente di raccogliere ed analizzare i servizi web che fanno uso delle logiche del web sociale (o 2.0) per cambiare, a diversi livelli, le modalità di fruizione e di erogazione dei servizi sanitari. Da tempo Internet si è andata affermando come una risorsa per il reperimento di informazioni sanitarie (secondo una recente survey di Pew Internet il 78% degli americani che dispongono di una connessione a banda larga cercano informazioni relative alla salute online). È invece più recente la tendenza, sulla scia del successo dei servizio basati sul contenuto generato dagli utenti, a creare servizi di e-health web-based basati sull’idea che i pazienti sono produttori e non solo consumatori di contenuti.

A prima vista l’idea che contenuti la cui esattezza è così importante siano prodotti dagli utenti (non dunque dai professionisti) può destare più di una preoccupazione. I servizi che abbiamo individuato sono riusciti tuttavia a cogliere le opportunità di questo approccio minimizzando il rischio ad esso connesso.

Queste opportunità possono essere fatte ricadere in altrettante categorie di applicazioni web 2.0. Ne abbiamo individuate essenzialmente tre: i sistemi di Online Health Records, i sistemi per la fornitura di servizi medici on line (e-healthcare market) e i siti di social network tematici.

Gli OnLine Health Records sono sistemi che permettono la creazione e la gestione della propria cartella clinica on line. Tutti i dati relativi a patologie, cure mediche, esami e trattamenti effettuati da qualsiasi soggetto possono, con tali sistemi, essere salvati in rete e attraverso questa gestiti, condivisi, consultati o integrati.

I vantaggi sono dettati dall’estrema duttilità nella fruizione delle informazioni e dall’elevata possibilità di interazione tra medico e paziente.

Quest’ultimo si pone al centro del sistema potendo decidere in modo autonomo quando e dove usufruire dei suoi dati, quale persona autorizzare alla visione degli stessi, a quale medico inviare la propria cartella per ottenere un consulto. Il paziente può gestire in modo autonomo un insieme di dati raccolti in un unico “luogo”, consultabile in modo istantaneo in qualunque parte del mondo.

È possibile strutturare in questo modo sistemi anche molto complessi che prevedono, come nel caso del sistema HealthVault di Microsoft, l’aggiornamento in tempo reale dei parametri vitali del paziente attraverso l’uso di device portatili che monitorano costantemente il soggetto e inviano i dati nell’online health record. In questo modo il medico potrà essere informato costantemente, ovunque si trovi, sulle condizioni del proprio paziente potendo intervenire, se necessario, anche in tempo reale. Allo stesso modo il carattere permanente delle informazioni consente la sedimentazione nel tempo degli eventi che hanno caratterizzano la storia clinica di un soggetto fornendone un quadro completo indipendentemente dalle strutture presso le quali il paziente si è rivolto nel tempo.

Gli Online Health Records possono inoltre svolgere un ulteriore importante funzione nel rendere visibile al paziente stesso la propria storia clinica. La possibilità di monitorare e visualizzare in modo semplice l’evolversi del tempo di certi parametri crea anche nel paziente delle inedite possibilità di riflettere sulla relazione fra i comportamenti quotidiani (attività fisica, quantità e tipologia di cibo) ed i parametri medici riscontrati (in un certo senso è lo stesso principio del Wii Fit). Fanno parte di questa specifica categoria l’applicazione per iPhone Diamedic (per pazienti diabetici) e Weight Tracker.

Alla flessibilità di gestione ed accessibilità delle informazioni accumulate attraverso questi sistemi si associa anche una netta diminuzione dei costi da parte delle strutture mediche. I dati vengono salvati nei server Internet delle aziende che rendono disponibile il servizio permettendo sia ai pazienti che alle strutture sanitarie di usufruire di sistemi molto più potenti e sicuri di quelli dei singoli ospedali, dei singoli medici o dei singoli pazienti, senza alcun costo di utilizzo e gestione. Questo rappresenta, per il momento, il settore in cui le applicazioni su larga scala sembrano essere più imminenti, non è un caso che colossi del mercato informatico come Google e Microsoft (Google Health e Microsoft HealthVault) stiano investendo in queste applicazioni ingenti capitali.

In altri casi, le applicazioni supportate dal Web 2.0 permettono di fruire di servizi sempre più personalizzati che in un’ottica di customerizzazione e domiciliarità consentono agli utenti di scegliere in modo consapevole medici, strutture ospedaliere, esami clinici (es. Vitals, American Well, Healthgrades, etc.). Attraverso sistemi di rating on line è possibile, ad esempio, comparare la qualità di strutture sanitarie, cure mediche e quant’altro. In alcuni casi l’utente, individua, attraverso l’aiuto on line di un medico, le cure più adatte per la sua patologia, confronta la qualità, il costo, i tempi dei servizi forniti da diverse strutture e diversi medici e alla fine acquista il pacchetto più conveniente. Dopo aver effettuato gli esami acquistati, potrà esprimere il proprio parere sulla qualità del servizio erogato che fungerà da indicazione per gli utenti successivi.

È il caso di Carol.com, un sistema che consente all’utente di scegliere e prenotare l’esame clinico più adatto alle proprie esigienze attraverso una ricerca fatta per parole chiave (Medical, Dental, Classes, Vision, Cosmetic, Behavioral Health) o per categorie (Men’s Health, Women’s Health, Back & Joint, Diabetes, Higth Blood Pressure). La rete, attiva nelle zone di Minneapolis e Saint Paul, si avvale della collaborazione di 26 centri o strutture ospedaliere e 8 compagnie di assicurazioni presenti in quell’area.

L’applicazione permette di comparare in tempo reale una serie di parametri relativi allo stesso servizio erogato dalle diverse strutture della zona e leggere i commenti di coloro che hanno già acquistato quel servizio o quel pacchetto di servizi in una determinata struttura.

In questo modo è possibile confrontare un ampio spettro di informazioni relativo, ad esempio, al costo, alla disposizione geografica delle strutture mediche che erogano quel particolare servizio, alle liste d’attesa, alla qualità delle strutture ospedaliere, alla qualità e la disponibilità del personale.

L’applicazione si presenta come un on line market place in cui, in posizione di totale parità, si confrontano gli utenti da una parte e il sistema sanitario dall’altra. Questo consente agli utenti di scegliere in modo autonomo e consapevole il servizio più adatto alle proprie esigenze e a coloro che erogano il servizio di avere un feedback immediato e a costo zero attraverso cui monitorare e migliorare la qualità dei propri prodotti.

Si tratta di forme e linguaggi mediali già sperimentati in altri campi. Il paragone (con le dovute differenze) è col famosissimo eBay, applicazione che mette in contatto venditori e compratori di tutto il mondo in cui l’apertura totale al mercato, la trasparenza e la centralità dell’utente costituiscono degli elementi chiave.

La terza tipologia di applicazioni web 2.0 per la sanità è costituita da siti di social network tematici (SharingHope, Patients Like Me) che permettono la condivisione di esperienze personali e di pareri informali, riguardo patologie o situazioni specifiche con l’intento di fornire un supporto di tipo psicologico agli utenti. Attraverso questo tipo di applicazioni si crea un senso di comunità capace di sopperire alle carenze (di informazione, di sostegno morale, etc.) del sistema sanitario relative alla gestione non tanto dei risvolti clinici della malattia, quanto di quelli umani.

Un esempio è DailyStrenght un grande social network costituito da gruppi di supporto online su una quantità enorme di patologie. Esistono attualmente più di 500 gruppi di discussioni sulle più disparate patologie riguardanti le tre aree della salute mentale, della salute fisica e dei problemi di natura personale. Gli utenti possono discutere in completo anonimato delle proprie condizioni mediche con persone che abbiano sperimentato la stessa situazione e con medici competenti sulle diverse patologie.

Esiste una sezione in cui è possibile crearsi un profilo personale che fornisce una descrizione di base dell’utente, mostra le sue attività, le notizie che ha segnalato o le conversazioni che ha fatto all’interno dei forum di discussione. È un sistema in stile MySpace o Facebook all’interno del quale è possibile tenere un diario, fare amicizie, caricare foto e video.

Una delle parti più convincenti è la treatment directory, in cui i membri possono riportare i trattamenti effettuati e la loro efficacia, discuterne insieme, segnalare nuove ricerche, articoli e cure alternative.

Tali sistemi possono attuare quel circolo virtuoso già evidenziato in precedenza. Non solo possono generare comunità che si autoalimentano aiutando nello stesso tempo chi ha bisogno di un sostegno, ma producono relazioni che generano conoscenza. La mole di conversazioni prodotta, se osservata con attenzione può costituire una enorme risorsa di informazioni per il sistema della sanità, a cominciare dalle strutture ospedaliere, dai professionisti e dalle industrie del settore. Queste possono recepire gli stimoli, i bisogni e le aspettative espresse da queste comunità per migliorare i propri servizi e i propri prodotti.

Rimane da capire quanto i benefici dell’e-health 2.0 aprono al tempo stesso a nuovi rischi. Da quello di imbattersi in informazioni non corrette perché prodotte da non professionisti a quelli relativi alla privacy.

In particolare la capacità degli utenti di produrre contenuti tende a ristrutturare, anche in ambito sanitario, il rapporto fra strutture sanitarie, medici e pazienti. La prassi dell’ascolto, come sta diventando lentamente chiaro per le aziende, diverrà col tempo una necessità anche per chi offre servizi nel campo della salute.

Mi chiedo se veramente il sistema sanitario italiano sarà in grado di sviluppare questa capacità di ascolto.

Cosa ne pensate? Ci sono più opportunità o rischi nel mondo dell’e-Health 2.0?

P.S. Questo post è in gran parte tratto da un report scritto dal mio collega Giulio Gabbianelli.

P.P.S. L’immagine è provvisoria. Pubblicherò quella giusta non appena avrò risolto un problema tecnico che sta affliggendo il server che ospita il blog.

What’s next #11: Prima e seconda generazione dei siti di social network in Italia

I risultati di una ricerca esplorativa su come gli utenti di Facebook e Badoo in Italia comprendano la distinzione pubblico/privato e gestiscano il proprio capitale sociale.I risultati di una ricerca esplorativa su come gli utenti di Facebook e Badoo in Italia comprendano la distinzione pubblico/privato e gestiscano il proprio capitale sociale.I risultati di una ricerca esplorativa su come gli utenti di Facebook e Badoo in Italia comprendano la distinzione pubblico/privato e gestiscano il proprio capitale sociale.


Ho iniziato ad interessarmi seriamente al fenomeno dei siti di social network in Italia verso al fine del 2007 spinto in generale dal grande interesse che registravo esserci sul fenomeno negli Stati Uniti ed in particolare da un post pubblicato sul suo blog di Jill Walker nel quale si annunciava che l’83,5% dei ragazzi norvegesi di un età compresa fra 16 e 19 anni erano su Facebook e si spiegava la semplice procedura attraverso la quale era giunta a questa conclusione.
La prima cosa che ho fatto dopo aver letto il post è stato ovviamente sperimentare la stessa procedura sul pubblico italiano di Facebook. Non senza qualche stupore constatai che nella stessa fascia d’età gli iscritti italiani su Facebook erano lo 0,63% della popolazione.
Ora, anche calcolando una certa arretratezza cronica del nostro paese in fatto di tecnologia, un divario di queste proporzioni rimaneva ai miei occhi piuttosto stupefacente. Il fenomeno è rimasto misterioso fino a quando non ho scoperto un altro sito di social network chiamato Badoo. Pur senza avvicinarsi neanche lontanamente alle percentuali bulgare della Norvegia, calcolai che approssimativamente il 18,32% dei giovani fra 16 e 19 anni aveva un account su Badoo.
Dunque gli italiani non erano su Facebook ma su Badoo. Ed infatti l’Italia, a guardare le ricerche su Google, era la prima nazione al mondo per interesse verso questo sito.
A seguire il Venezuela.
Il Venezuela? Già il Venezuela. Ma cosa hanno in comune Italia e Venezuela? E più in generale perché il successo dei siti di social network, pur essendo tutte piattaforme globali, era così diverso da nazione a nazione? Ed ancora perché in Italia aveva successo proprio Badoo?
Da fine 2007 ho dunque iniziato a monitorare il numero di utenti registrati, il tasso di crescita nel tempo, la distribuzione geografica, il traffico registrato dall’Italia verso questi due siti ed il volume di ricerche effettuato su Google con le chiavi Badoo e Facebook.
Qualche mese dopo ho colto al volo l’opportunità offertami da una sconosciuta collega americana per partecipare ad un panel sui siti di social network nel contesto nazionale con colleghi che presentavano casi di interesse come quelli di Orkut in Brasile, di Cyworld in Corea e di Nasza-Klasa (la nostra classe) in Polonia.
Ho deciso dunque di approfondire il caso di Badoo e Facebook in Italia affiancando all’analisi dei dati quantitativi in mio possesso un questionario online finalizzato ad indagare due specifiche ipotesi relative alla capacità degli utenti dei due sistemi di utilizzare la distinzione pubblico/privato e alla propensione ad utilizzare la piattaforma per conoscere nuove persone o mantenere la relazione con persone già conosciute (una tendenza questa molto evidente nelle ricerche che avevo letto).
Ho così creato un breve questionario ed utilizzato i canali in mio possesso per promuoverlo presso gli utenti di Badoo e di Facebook. All’atto della redazione di questo post il questionario è stato compilato 338 volte (73 utenti di Badoo e 286 di Facebook).
Nel frattempo, come previsto correttamente da Google Trend, Facebook (3.097.360) ha superato Badoo (2.890.268) in Italia in quanto a numero di iscritti.
A più riprese emergono significative differenze fra gli utenti di Facebook e quelli di Badoo.
La prima differenza ci riporta al contesto geografico. Guardando la mappa dell’utilizzo delle parole chiave appare piuttosto evidente che Facebook sia usato prevalentemente al nord mentre Badoo al sud e nella zona umbria/romagna.
La distribuzione delle classi d’età mostra inoltre in modo inequivocabile che la popolazione di Badoo sia molto più giovane di quella di Facebook e, da questo punto di vista, maggiormente in linea con le tendenze degli altri paesi del mondo (anche se l’età media si sta oggi alzando anche altrove).
Rispetto al genere è piuttosto evidente che in Facebook sia confermata la tendenza in atto rilevata da Pew Internet ed altre ricerche che vede le ragazze giovani più interessati dei pari età all’uso dei siti di social network. Evidente anche che lo sbilanciamento della popolazione di Badoo verso il genere maschile.
In relazione alle specifiche ipotesi della ricerca si possono trarre due conclusioni diverse.
La prima conferma una delle ipotesi. In tre diverse domande gli utenti di Badoo e quelli di Facebook si differenziano in modo significativo rispetto alla pratica di usare il sito per conoscere nuove persone (attività molto più diffusa su Badoo) rispetto a mantenere i rapporto con persone che già si conoscono.
Più difficile da verificare l’ipotesi sulla diversa percezione della privacy. Da una parte infatti gli utenti di Badoo mostrano una maggiore fiducia rispetto a quelli di Facebook rispetto alla possibilità di essere identificati sulla base del proprio profilo. Con tutta probabilità questa maggiore fiducia dipende dal fatto che solo in rari casi (29,9% contro il 90 di Facebook) il cognome dell’utente è pubblicato sul sito e dal fatto che almeno nella metà dei casi le informazioni sono sul profilo non sono vere. Al tempo stesso gli utenti di Badoo sembrano in larga parte consapevoli che l’accesso al proprio profilo non è ristretto ai soli “amici” al contrario di quanto avviene quasi sempre su Facebook. In generale è possibile affermare che gli utenti di Badoo abbiano un approccio molto più guardingo nei confronti del sistema. Al contrario Facebook sembra ispirare fiducia perché l’accesso ai proprio contenuti è percepito come limitato ai propri amici.
Questa diversa percezione della privacy si ripercuote con tutta probabilità anche sul senso di comunità ispirato dal sito che è significativamente maggiore nel caso di Facebook rispetto a Badoo.
Non appare dunque possibile una chiara verifica della seconda ipotesi relativa alla differente capacità di utilizzare la distinzione pubblico/privato.
Osservando più in generale lo scenario sembra tuttavia piuttosto chiaro che pur essendo già in una fase di rallentamento rispetto agli ultimi mesi, l’espansione di Facebook in Italia ha ancora margini per avanzare. Potrebbe essere già in corso un fenomeno di migrazione da Badoo a Facebook anche da parte dei giovanissimi ma è molto difficile trovare dati che possano confermare o smentire questa ipotesi.
Quello che mi sento tuttavia di dire con una certa sicurezza è che il fenomeno Facebook in Italia non sarà, almeno di cambiamenti imprevedibili su scala globale, una moda passeggera.

I Ragazzi de Il Cannocchiale / dolmedia hanno fatto come sempre un lavoro straordinario con i video del RomeCamp. Grazie a loro, e alla lungimiranza degli organizzatori Elastic e Digital PR che gli hanno coinvolti, potete rivedere l’intera presentazione della ricerca ed anche una interessante chiacchierata sulla “sociologia dei social network” che abbiamo registrato con gli amici e colleghi Davide Bennato e Tony Siino.

Ho iniziato ad interessarmi seriamente al fenomeno dei siti di social network in Italia verso al fine del 2007 spinto in generale dal grande interesse che registravo esserci sul fenomeno negli Stati Uniti ed in particolare da un post pubblicato sul suo blog di Jill Walker nel quale si annunciava che l’83,5% dei ragazzi norvegesi di un età compresa fra 16 e 19 anni erano su Facebook e si spiegava la semplice procedura attraverso la quale era giunta a questa conclusione.

La prima cosa che ho fatto dopo aver letto il post è stato ovviamente sperimentare la stessa procedura sul pubblico italiano di Facebook. Non senza qualche stupore constatai che nella stessa fascia d’età gli iscritti italiani su Facebook erano lo 0,63% della popolazione.

Ora, anche calcolando una certa arretratezza cronica del nostro paese in fatto di tecnologia, un divario di queste proporzioni rimaneva ai miei occhi piuttosto stupefacente. Il fenomeno è rimasto misterioso fino a quando non ho scoperto un altro sito di social network chiamato Badoo. Pur senza avvicinarsi neanche lontanamente alle percentuali bulgare della Norvegia, calcolai che approssimativamente il 18,32% dei giovani fra 16 e 19 anni aveva un account su Badoo.

Dunque gli italiani non erano su Facebook ma su Badoo. Ed infatti l’Italia, a guardare le ricerche su Google, era la prima nazione al mondo per interesse verso questo sito.

A seguire il Venezuela.

Il Venezuela? Già il Venezuela. Ma cosa hanno in comune Italia e Venezuela? E più in generale perché il successo dei siti di social network, pur essendo tutte piattaforme globali, era così diverso da nazione a nazione? Ed ancora perché in Italia aveva successo proprio Badoo?

Da fine 2007 ho dunque iniziato a monitorare il numero di utenti registrati, il tasso di crescita nel tempo, la distribuzione geografica, il traffico registrato dall’Italia verso questi due siti ed il volume di ricerche effettuato su Google con le chiavi Badoo e Facebook.

Qualche mese dopo ho colto al volo l’opportunità offertami da una sconosciuta collega americana per partecipare ad un panel sui siti di social network nel contesto nazionale con colleghi che presentavano casi di interesse come quelli di Orkut in Brasile, di Cyworld in Corea e di Nasza-Klasa (la nostra classe) in Polonia.

Ho deciso dunque di approfondire il caso di Badoo e Facebook in Italia affiancando all’analisi dei dati quantitativi in mio possesso un questionario online finalizzato ad indagare due specifiche ipotesi relative alla capacità degli utenti dei due sistemi di utilizzare la distinzione pubblico/privato e alla propensione ad utilizzare la piattaforma per conoscere nuove persone o mantenere la relazione con persone già conosciute (una tendenza questa molto evidente nelle ricerche che avevo letto).

Ho così creato un breve questionario ed utilizzato i canali in mio possesso per promuoverlo presso gli utenti di Badoo e di Facebook. All’atto della redazione di questo post il questionario è stato compilato 338 volte (73 utenti di Badoo e 286 di Facebook).

Nel frattempo, come previsto correttamente da Google Trend, Facebook (3.097.360) ha superato Badoo (2.890.268) in Italia in quanto a numero di iscritti.

A più riprese emergono significative differenze fra gli utenti di Facebook e quelli di Badoo.

La prima differenza ci riporta al contesto geografico. Guardando la mappa dell’utilizzo delle parole chiave appare piuttosto evidente che Facebook sia usato prevalentemente al nord mentre Badoo al sud e nella zona umbria/romagna.

La distribuzione delle classi d’età mostra inoltre in modo inequivocabile che la popolazione di Badoo sia molto più giovane di quella di Facebook e, da questo punto di vista, maggiormente in linea con le tendenze degli altri paesi del mondo (anche se l’età media si sta oggi alzando anche altrove).

Rispetto al genere è piuttosto evidente che in Facebook sia confermata la tendenza in atto rilevata da Pew Internet ed altre ricerche che vede le ragazze giovani più interessati dei pari età all’uso dei siti di social network. Evidente anche che lo sbilanciamento della popolazione di Badoo verso il genere maschile.

In relazione alle specifiche ipotesi della ricerca si possono trarre due conclusioni diverse.

La prima conferma una delle ipotesi. In tre diverse domande gli utenti di Badoo e quelli di Facebook si differenziano in modo significativo rispetto alla pratica di usare il sito per conoscere nuove persone (attività molto più diffusa su Badoo) rispetto a mantenere i rapporto con persone che già si conoscono.

Più difficile da verificare l’ipotesi sulla diversa percezione della privacy. Da una parte infatti gli utenti di Badoo mostrano una maggiore fiducia rispetto a quelli di Facebook rispetto alla possibilità di essere identificati sulla base del proprio profilo. Con tutta probabilità questa maggiore fiducia dipende dal fatto che solo in rari casi (29,9% contro il 90 di Facebook) il cognome dell’utente è pubblicato sul sito e dal fatto che almeno nella metà dei casi le informazioni sono sul profilo non sono vere. Al tempo stesso gli utenti di Badoo sembrano in larga parte consapevoli che l’accesso al proprio profilo non è ristretto ai soli “amici” al contrario di quanto avviene quasi sempre su Facebook. In generale è possibile affermare che gli utenti di Badoo abbiano un approccio molto più guardingo nei confronti del sistema. Al contrario Facebook sembra ispirare fiducia perché l’accesso ai proprio contenuti è percepito come limitato ai propri amici.

Questa diversa percezione della privacy si ripercuote con tutta probabilità anche sul senso di comunità ispirato dal sito che è significativamente maggiore nel caso di Facebook rispetto a Badoo.

Non appare dunque possibile una chiara verifica della seconda ipotesi relativa alla differente capacità di utilizzare la distinzione pubblico/privato.

Osservando più in generale lo scenario sembra tuttavia piuttosto chiaro che pur essendo già in una fase di rallentamento rispetto agli ultimi mesi, l’espansione di Facebook in Italia ha ancora margini per avanzare. Potrebbe essere già in corso un fenomeno di migrazione da Badoo a Facebook anche da parte dei giovanissimi ma è molto difficile trovare dati che possano confermare o smentire questa ipotesi.

Quello che mi sento tuttavia di dire con una certa sicurezza è che il fenomeno Facebook in Italia non sarà, almeno di cambiamenti imprevedibili su scala globale, una moda passeggera.

I Ragazzi de Il Cannocchiale / dolmedia hanno fatto come sempre un lavoro straordinario con i video del RomeCamp. Grazie a loro, e alla lungimiranza degli organizzatori Elastic e Digital PR che gli hanno coinvolti, potete rivedere l’intera presentazione della ricerca ed anche una interessante chiacchierata sulla “sociologia dei social network” che abbiamo registrato con gli amici e colleghi Davide Bennato e Tony Siino.

Ho iniziato ad interessarmi seriamente al fenomeno dei siti di social network in Italia verso al fine del 2007 spinto in generale dal grande interesse che registravo esserci sul fenomeno negli Stati Uniti ed in particolare da un post pubblicato sul suo blog di Jill Walker nel quale si annunciava che l’83,5% dei ragazzi norvegesi di un età compresa fra 16 e 19 anni erano su Facebook e si spiegava la semplice procedura attraverso la quale era giunta a questa conclusione.

La prima cosa che ho fatto dopo aver letto il post è stato ovviamente sperimentare la stessa procedura sul pubblico italiano di Facebook. Non senza qualche stupore constatai che nella stessa fascia d’età gli iscritti italiani su Facebook erano lo 0,63% della popolazione.

Ora, anche calcolando una certa arretratezza cronica del nostro paese in fatto di tecnologia, un divario di queste proporzioni rimaneva ai miei occhi piuttosto stupefacente. Il fenomeno è rimasto misterioso fino a quando non ho scoperto un altro sito di social network chiamato Badoo. Pur senza avvicinarsi neanche lontanamente alle percentuali bulgare della Norvegia, calcolai che approssimativamente il 18,32% dei giovani fra 16 e 19 anni aveva un account su Badoo.

Dunque gli italiani non erano su Facebook ma su Badoo. Ed infatti l’Italia, a guardare le ricerche su Google, era la prima nazione al mondo per interesse verso questo sito.

A seguire il Venezuela.

Il Venezuela? Già il Venezuela. Ma cosa hanno in comune Italia e Venezuela? E più in generale perché il successo dei siti di social network, pur essendo tutte piattaforme globali, era così diverso da nazione a nazione? Ed ancora perché in Italia aveva successo proprio Badoo?

Da fine 2007 ho dunque iniziato a monitorare il numero di utenti registrati, il tasso di crescita nel tempo, la distribuzione geografica, il traffico registrato dall’Italia verso questi due siti ed il volume di ricerche effettuato su Google con le chiavi Badoo e Facebook.

Qualche mese dopo ho colto al volo l’opportunità offertami da una sconosciuta collega americana per partecipare ad un panel sui siti di social network nel contesto nazionale con colleghi che presentavano casi di interesse come quelli di Orkut in Brasile, di Cyworld in Corea e di Nasza-Klasa (la nostra classe) in Polonia.

Ho deciso dunque di approfondire il caso di Badoo e Facebook in Italia affiancando all’analisi dei dati quantitativi in mio possesso un questionario online finalizzato ad indagare due specifiche ipotesi relative alla capacità degli utenti dei due sistemi di utilizzare la distinzione pubblico/privato e alla propensione ad utilizzare la piattaforma per conoscere nuove persone o mantenere la relazione con persone già conosciute (una tendenza questa molto evidente nelle ricerche che avevo letto).

Ho così creato un breve questionario ed utilizzato i canali in mio possesso per promuoverlo presso gli utenti di Badoo e di Facebook. All’atto della redazione di questo post il questionario è stato compilato 338 volte (73 utenti di Badoo e 286 di Facebook).

Nel frattempo, come previsto correttamente da Google Trend, Facebook (3.097.360) ha superato Badoo (2.890.268) in Italia in quanto a numero di iscritti.

A più riprese emergono significative differenze fra gli utenti di Facebook e quelli di Badoo.

La prima differenza ci riporta al contesto geografico. Guardando la mappa dell’utilizzo delle parole chiave appare piuttosto evidente che Facebook sia usato prevalentemente al nord mentre Badoo al sud e nella zona umbria/romagna.

La distribuzione delle classi d’età mostra inoltre in modo inequivocabile che la popolazione di Badoo sia molto più giovane di quella di Facebook e, da questo punto di vista, maggiormente in linea con le tendenze degli altri paesi del mondo (anche se l’età media si sta oggi alzando anche altrove).

Rispetto al genere è piuttosto evidente che in Facebook sia confermata la tendenza in atto rilevata da Pew Internet ed altre ricerche che vede le ragazze giovani più interessati dei pari età all’uso dei siti di social network. Evidente anche che lo sbilanciamento della popolazione di Badoo verso il genere maschile.

In relazione alle specifiche ipotesi della ricerca si possono trarre due conclusioni diverse.

La prima conferma una delle ipotesi. In tre diverse domande gli utenti di Badoo e quelli di Facebook si differenziano in modo significativo rispetto alla pratica di usare il sito per conoscere nuove persone (attività molto più diffusa su Badoo) rispetto a mantenere i rapporto con persone che già si conoscono.

Più difficile da verificare l’ipotesi sulla diversa percezione della privacy. Da una parte infatti gli utenti di Badoo mostrano una maggiore fiducia rispetto a quelli di Facebook rispetto alla possibilità di essere identificati sulla base del proprio profilo. Con tutta probabilità questa maggiore fiducia dipende dal fatto che solo in rari casi (29,9% contro il 90 di Facebook) il cognome dell’utente è pubblicato sul sito e dal fatto che almeno nella metà dei casi le informazioni sono sul profilo non sono vere. Al tempo stesso gli utenti di Badoo sembrano in larga parte consapevoli che l’accesso al proprio profilo non è ristretto ai soli “amici” al contrario di quanto avviene quasi sempre su Facebook. In generale è possibile affermare che gli utenti di Badoo abbiano un approccio molto più guardingo nei confronti del sistema. Al contrario Facebook sembra ispirare fiducia perché l’accesso ai proprio contenuti è percepito come limitato ai propri amici.

Questa diversa percezione della privacy si ripercuote con tutta probabilità anche sul senso di comunità ispirato dal sito che è significativamente maggiore nel caso di Facebook rispetto a Badoo.

Non appare dunque possibile una chiara verifica della seconda ipotesi relativa alla differente capacità di utilizzare la distinzione pubblico/privato.

Osservando più in generale lo scenario sembra tuttavia piuttosto chiaro che pur essendo già in una fase di rallentamento rispetto agli ultimi mesi, l’espansione di Facebook in Italia ha ancora margini per avanzare. Potrebbe essere già in corso un fenomeno di migrazione da Badoo a Facebook anche da parte dei giovanissimi ma è molto difficile trovare dati che possano confermare o smentire questa ipotesi.

Quello che mi sento tuttavia di dire con una certa sicurezza è che il fenomeno Facebook in Italia non sarà, almeno di cambiamenti imprevedibili su scala globale, una moda passeggera.

I Ragazzi de Il Cannocchiale / dolmedia hanno fatto come sempre un lavoro straordinario con i video del RomeCamp. Grazie a loro, e alla lungimiranza degli organizzatori Elastic e Digital PR che gli hanno coinvolti, potete rivedere l’intera presentazione della ricerca ed anche una interessante chiacchierata sulla “sociologia dei social network” che abbiamo registrato con gli amici e colleghi Davide Bennato e Tony Siino.

What’s next #10: Hanging Out, Messing Around, Geeking Out

Si conclude dopo tre anni con la pubblicazione del report di ricerca il Digital Youth Project: una delle più vaste ed interessanti ricerche volta ad indagare le pratiche d’uso dei nuovi media da parte dei giovani americani.Si conclude dopo tre anni con la pubblicazione del report di ricerca il Digital Youth Project: una delle più vaste ed interessanti ricerche volta ad indagare le pratiche d’uso dei nuovi media da parte dei giovani americani.Si conclude dopo tre anni con la pubblicazione del report di ricerca il Digital Youth Project: una delle più vaste ed interessanti ricerche volta ad indagare le pratiche d’uso dei nuovi media da parte dei giovani americani.

Ieri, come anticipato da Mimi Ito a Copenaghen, è stato pubblicato il report relativo al Digital Youth Project. L’obiettivo del progetto di ricerca è comprendere le pratiche d’uso dei new media fra i giovani americani.
Pur affrontando una tematica tutt’altro che inedita, il Digital Youth Project è un progetto piuttosto unico nel suo genere per ambizione e dimensioni. Una ricerca etnografica in grande scala (800 giovani e giovani adulti intervistati ed un totale di oltre 5000 ore di osservazione online) che ha coinvolto un team di 28 ricercatori in tutti gli Stati Uniti (mi piace ricordare la presenza dell’italiano Matteo Bittanti). Il progetto è stato reso possibile dalla mai abbastanza lodata MacArthur Foundation nell’ambito del programma Digital Media and Learning.
I risultati della ricerca saranno pubblicati in un volume edito da MiT Press e intitolato Hanging Out, Messing Around, Geeking Out: Living and Learning with New Media. L’uscita è prevista per la seconda parte del 2009.
Il report della ricerca (che altro non è che la bozza del libro) è tuttavia già disponibile da ieri sul sito del progetto insieme ad un paio di documenti che riassumono i principali risultati ottenuti (two-page summary of the report, summary white paper – poco più di 50 pagine).
Uno dei punti interessanti che mi pare emerga è la distinzione fra partecipazione guidata dall’amicizia e partecipazione guidata dall’interesse.
Secondo quanto emerge da questa ricerca, la maggior parte dei giovani americani usano la rete per intensificare il rapporto che hanno con persone che già conoscono. Telefoni cellulari ed Internet (in particolare messaggistica istantanea e siti di social network) contribuiscono a ristrutturare la relazione con i pari che diventa “always on” ed ha luogo nell’inedito spazio “pubblico di rete”. A questa partecipazione guidata dall’amicizia (assimilata al divertirsi con gli amici o “hang out”) viene contrapposto un tipo diverso di partecipazione legata all’interesse.
Una parte meno cospicua di questi giovani usa infatti questi strumenti per creare e gestire nuove relazioni in ambiti verso i quali nutrono specifici interessi. Spesso, e soprattutto nelle zone rurali, Internet diventa un mezzo per estendere la rete di interesse oltre la propria comunità locale o scolastica. Il caso trattato da Mimi Ito relativo alla comunità che produce i sotto-titoli degli anime giapponesi è esemplare in questo senso. Questa estensione mirata della propria rete di contatti avviene sia al momento della produzione di contenuti, sia all’atto della pubblicazione e distribuzione di questi stessi contenuti.
In entrambi i casi l’approccio all’apprendimento è destrutturato, basato su prove ed errori (“messing around”) e trae giovamento dal feedback che è possibile ricevere in rete dagli altri. Un modo di apprendere in autonomia molto diverso da quello proposto dalle istituzioni educative.
Quando l’interesse verso un tema supera una certa soglia può portare allo sviluppo di relazioni particolari con comunità di utenti esperti (“geek out”). Anche in questo caso si tratta di un’attività profondamente sociale e tutt’altro che solitaria (come di solito si pensa in relazione alla parola geek o peggio nerd). L’obiettivo è quello di migliorare le proprie conoscenze ed acquisire una reputazione nella comunità degli esperti. In queste comunità la relazione con gli eventuali adulti che partecipano è legata dalle capacità e della reputazione del singolo presso la comunità e non dall’età, dallo status o dal ruolo sociale. In un certo senso dentro queste comunità geek ognuno deve conquistare la sua reputazione da zero senza poter capitalizzare il suo status acquisito altrove.
In definitiva mi sembra un report tutto da leggere che sistematizza in modo interessante alcune idee non del tutto inedite.
Potete farvi approfondire e farvi un’idea da soli.
Questa è il sommario:
Notes on the Text
Acknowledgments
Introduction
Media Ecologies Lead Authors: Heather A. Horst, Becky Herr-Stephenson, and Laura Robinson
Friendship Lead Author: danah boyd
Intimacy Lead Author: C.J. Pascoe
Families Lead Author: Heather A. Horst
Gaming Lead Authors: Mizuko Ito and Matteo Bittanti
Creative Production Lead Authors: Patricia G. Lange and Mizuko Ito
Work Lead Author: Mizuko Ito
Conclusion
Bibliography
Buona lettura 🙂
P.S. Questa settimana, visto il digiuno di quella precedente, doppia razione di What’s next. Domani sera o sabato mattina pubblicherò infatti un post con le slide del mio intervento al RomeCamp durante il quale presenterò alcuni risultati dello studio comparativo fra Facebook e Badoo in Italia.

Ieri, come anticipato da Mimi Ito a Copenaghen, è stato pubblicato il report relativo al Digital Youth Project. L’obiettivo del progetto di ricerca è comprendere le pratiche d’uso dei new media fra i giovani americani.

Pur affrontando una tematica tutt’altro che inedita, il Digital Youth Project è un progetto piuttosto unico nel suo genere per ambizione e dimensioni. Una ricerca etnografica in grande scala (800 giovani e giovani adulti intervistati ed un totale di oltre 5000 ore di osservazione online) che ha coinvolto un team di 28 ricercatori in tutti gli Stati Uniti (mi piace ricordare la presenza dell’italiano Matteo Bittanti). Il progetto è stato reso possibile dalla mai abbastanza lodata MacArthur Foundation nell’ambito del programma Digital Media and Learning.

I risultati della ricerca saranno pubblicati in un volume edito da MiT Press e intitolato Hanging Out, Messing Around, Geeking Out: Living and Learning with New Media. L’uscita è prevista per la seconda parte del 2009.

Il report della ricerca (che altro non è che la bozza del libro) è tuttavia già disponibile da ieri sul sito del progetto insieme ad un paio di documenti che riassumono i principali risultati ottenuti (two-page summary of the report, summary white paper – poco più di 50 pagine).

Uno dei punti interessanti che mi pare emerga è la distinzione fra partecipazione guidata dall’amicizia e partecipazione guidata dall’interesse.

Secondo quanto emerge da questa ricerca, la maggior parte dei giovani americani usano la rete per intensificare il rapporto che hanno con persone che già conoscono. Telefoni cellulari ed Internet (in particolare messaggistica istantanea e siti di social network) contribuiscono a ristrutturare la relazione con i pari che diventa “always on” ed ha luogo nell’inedito spazio “pubblico di rete”. A questa partecipazione guidata dall’amicizia (assimilata al divertirsi con gli amici o “hang out”) viene contrapposto un tipo diverso di partecipazione legata all’interesse.

Una parte meno cospicua di questi giovani usa infatti questi strumenti per creare e gestire nuove relazioni in ambiti verso i quali nutrono specifici interessi. Spesso, e soprattutto nelle zone rurali, Internet diventa un mezzo per estendere la rete di interesse oltre la propria comunità locale o scolastica. Il caso trattato da Mimi Ito relativo alla comunità che produce i sotto-titoli degli anime giapponesi è esemplare in questo senso. Questa estensione mirata della propria rete di contatti avviene sia al momento della produzione di contenuti, sia all’atto della pubblicazione e distribuzione di questi stessi contenuti.

In entrambi i casi l’approccio all’apprendimento è destrutturato, basato su prove ed errori (“messing around”) e trae giovamento dal feedback che è possibile ricevere in rete dagli altri. Un modo di apprendere in autonomia molto diverso da quello proposto dalle istituzioni educative.

Quando l’interesse verso un tema supera una certa soglia può portare allo sviluppo di relazioni particolari con comunità di utenti esperti (“geek out”). Anche in questo caso si tratta di un’attività profondamente sociale e tutt’altro che solitaria (come di solito si pensa in relazione alla parola geek o peggio nerd). L’obiettivo è quello di migliorare le proprie conoscenze ed acquisire una reputazione nella comunità degli esperti. In queste comunità la relazione con gli eventuali adulti che partecipano è legata dalle capacità e della reputazione del singolo presso la comunità e non dall’età, dallo status o dal ruolo sociale. In un certo senso dentro queste comunità geek ognuno deve conquistare la sua reputazione da zero senza poter capitalizzare il suo status acquisito altrove.

In definitiva mi sembra un report tutto da leggere che sistematizza in modo interessante alcune idee non del tutto inedite.

Potete farvi approfondire e farvi un’idea da soli.

Questa è il sommario:

Notes on the Text
Acknowledgments
Introduction
Media Ecologies Lead Authors: Heather A. Horst, Becky Herr-Stephenson, and Laura Robinson
Friendship Lead Author: danah boyd
Intimacy Lead Author: C.J. Pascoe
Families Lead Author: Heather A. Horst
Gaming Lead Authors: Mizuko Ito and Matteo Bittanti
Creative Production Lead Authors: Patricia G. Lange and Mizuko Ito
Work Lead Author: Mizuko Ito
Conclusion
Bibliography

Buona lettura 🙂

P.S. Questa settimana, visto il digiuno di quella precedente, doppia razione di What’s next. Domani sera o sabato mattina pubblicherò infatti un post con le slide del mio intervento al RomeCamp durante il quale presenterò alcuni risultati dello studio comparativo fra Facebook e Badoo in Italia.

Ieri, come anticipato da Mimi Ito a Copenaghen, è stato pubblicato il report relativo al Digital Youth Project. L’obiettivo del progetto di ricerca è comprendere le pratiche d’uso dei new media fra i giovani americani.

Pur affrontando una tematica tutt’altro che inedita, il Digital Youth Project è un progetto piuttosto unico nel suo genere per ambizione e dimensioni. Una ricerca etnografica in grande scala (800 giovani e giovani adulti intervistati ed un totale di oltre 5000 ore di osservazione online) che ha coinvolto un team di 28 ricercatori in tutti gli Stati Uniti (mi piace ricordare la presenza dell’italiano Matteo Bittanti). Il progetto è stato reso possibile dalla mai abbastanza lodata MacArthur Foundation nell’ambito del programma Digital Media and Learning.

I risultati della ricerca saranno pubblicati in un volume edito da MiT Press e intitolato Hanging Out, Messing Around, Geeking Out: Living and Learning with New Media. L’uscita è prevista per la seconda parte del 2009.

Il report della ricerca (che altro non è che la bozza del libro) è tuttavia già disponibile da ieri sul sito del progetto insieme ad un paio di documenti che riassumono i principali risultati ottenuti (two-page summary of the report, summary white paper – poco più di 50 pagine).

Uno dei punti interessanti che mi pare emerga è la distinzione fra partecipazione guidata dall’amicizia e partecipazione guidata dall’interesse.

Secondo quanto emerge da questa ricerca, la maggior parte dei giovani americani usano la rete per intensificare il rapporto che hanno con persone che già conoscono. Telefoni cellulari ed Internet (in particolare messaggistica istantanea e siti di social network) contribuiscono a ristrutturare la relazione con i pari che diventa “always on” ed ha luogo nell’inedito spazio “pubblico di rete”. A questa partecipazione guidata dall’amicizia (assimilata al divertirsi con gli amici o “hang out”) viene contrapposto un tipo diverso di partecipazione legata all’interesse.

Una parte meno cospicua di questi giovani usa infatti questi strumenti per creare e gestire nuove relazioni in ambiti verso i quali nutrono specifici interessi. Spesso, e soprattutto nelle zone rurali, Internet diventa un mezzo per estendere la rete di interesse oltre la propria comunità locale o scolastica. Il caso trattato da Mimi Ito relativo alla comunità che produce i sotto-titoli degli anime giapponesi è esemplare in questo senso. Questa estensione mirata della propria rete di contatti avviene sia al momento della produzione di contenuti, sia all’atto della pubblicazione e distribuzione di questi stessi contenuti.

In entrambi i casi l’approccio all’apprendimento è destrutturato, basato su prove ed errori (“messing around”) e trae giovamento dal feedback che è possibile ricevere in rete dagli altri. Un modo di apprendere in autonomia molto diverso da quello proposto dalle istituzioni educative.

Quando l’interesse verso un tema supera una certa soglia può portare allo sviluppo di relazioni particolari con comunità di utenti esperti (“geek out”). Anche in questo caso si tratta di un’attività profondamente sociale e tutt’altro che solitaria (come di solito si pensa in relazione alla parola geek o peggio nerd). L’obiettivo è quello di migliorare le proprie conoscenze ed acquisire una reputazione nella comunità degli esperti. In queste comunità la relazione con gli eventuali adulti che partecipano è legata dalle capacità e della reputazione del singolo presso la comunità e non dall’età, dallo status o dal ruolo sociale. In un certo senso dentro queste comunità geek ognuno deve conquistare la sua reputazione da zero senza poter capitalizzare il suo status acquisito altrove.

In definitiva mi sembra un report tutto da leggere che sistematizza in modo interessante alcune idee non del tutto inedite.

Potete farvi approfondire e farvi un’idea da soli.

Questa è il sommario:

Notes on the Text
Acknowledgments
Introduction
Media Ecologies Lead Authors: Heather A. Horst, Becky Herr-Stephenson, and Laura Robinson
Friendship Lead Author: danah boyd
Intimacy Lead Author: C.J. Pascoe
Families Lead Author: Heather A. Horst
Gaming Lead Authors: Mizuko Ito and Matteo Bittanti
Creative Production Lead Authors: Patricia G. Lange and Mizuko Ito
Work Lead Author: Mizuko Ito
Conclusion
Bibliography

Buona lettura 🙂

P.S. Questa settimana, visto il digiuno di quella precedente, doppia razione di What’s next. Domani sera o sabato mattina pubblicherò infatti un post con le slide del mio intervento al RomeCamp durante il quale presenterò alcuni risultati dello studio comparativo fra Facebook e Badoo in Italia.

What's next #9: quando le conversazioni dal basso, da sole, non bastano

L’uso efficace di Internet ha contribuito in modo sostanziale al successo di Barack Obama. Anche grazie a Facebook e alla posta elettronica la campagna è stata scandita da tappe che richiedevano la partecipazione rendendola semplice come seguire una ricetta di cucina.L’uso efficace di Internet ha contribuito in modo sostanziale al successo di Barack Obama. Anche grazie a Facebook e alla posta elettronica la campagna è stata scandita da tappe che richiedevano la partecipazione rendendola semplice come seguire una ricetta di cucina.L’uso efficace di Internet ha contribuito in modo sostanziale al successo di Barack Obama. Anche grazie a Facebook e alla posta elettronica la campagna è stata scandita da tappe che richiedevano la partecipazione rendendola semplice come seguire una ricetta di cucina.



Alcuni mesi fa, come molti altri anche in Italia, mi sono iscritto a http://my.barackobama.com.

Non che potessi veramente fare qualcosa di concreto per supportare una causa in cui credevo (le donazioni per i non cittadini USA sono, ad esempio, proibite) quanto piuttosto per osservare più da vicino l’uso che lo staff di Obama ha fatto del suo social network e del web in generale.

Era il 13 luglio e da allora ho ricevuto oltre 90 messaggi di posta elettronica ed updates via Facebook.

A rileggerli oggi tutti insieme pare di assistere ad una straordinaria lezione su come si gestisce una comunità online.

Ogni messaggio inviato ha un mittente ed una firma personale. I mittenti sono David Plouffe, Joe Biden, Michelle Obama, Barack Obama ed occasionalmente altri personaggi che firmano i messaggi e risultano come mittenti nell’inbox (anche se il replay è impostato per tutti a info@barackobama.com).

Ogni messaggio ha un tema chiaro e tutt’altro che generico. Può essere legato al raggiungimento degli obiettivi di auto-finanziamento di fine mese, ad eventi quali il discorso di accettazione della nomination o i dibattiti televisivi (prima e dopo per le reazioni), a rispondere in modo immediato agli spot di McCain, alla disponibilità di nuovi gadget, a sollecitare azioni mirate di volontariato su specifici Stati o questioni.

Make a donation of $5 or more right now to show John McCain and Governor Palin that when they attack us with lies and smears, it literally makes our campaign stronger

Esemplare in questo senso i messaggi che seguivano alle dichiarazioni di McCain contro Obama.

I messaggi che seguivano a questi spot o dichiarazioni erano tutti costruiti sfruttando abilmente la retorica del “lui ha tanti soldi e si può permettere di comprare spot televisivi in cui ci attacca, reagiamo tutti insieme raccogliendo più fondi per avere anche noi i nostri spot”.

Quale che fosse l’oggetto del messaggio l’obiettivo era quasi sempre quello di raccogliere fondi.

Ogni messaggio ha in calce un link: donate. Un link apparentemente sempre uguale ma in realtà sempre diverso perché contiene un codice unico che consente ai gestori del sito di differenziare la provenienza degli accessi. Praticamente in tutti i messaggi c’è, oltre che a questo link in calce, un link in grassetto nel testo che invita a donare 5 o più dollari per un motivo specifico legato all’oggetto del messaggio.

Take a look and make a donation of $5 or more to get it on the air for those who may have missed it

Please donate $5 or more before the deadline to help register voters, get out the vote, and win this election

Make a donation of $5 or more today to help Get Out The Vote in Ohio and other early vote states

Make a donation of $5 or more right now to bring about the change we need

Then make a donation of $5 or more to help keep this ad on the air

The time to make a difference in this election is running out — please make a donation of $5 or more right now

Your donation of $5 or more today is essential to our unprecedented get out the vote operation in these final days

Will you make a donation of $5 or more today and double your impact?

Make a donation of $10 or more and you’ll receive a limited edition Obama-Biden car magnet

You can decide where we fight — and how strong our team will be. Please make a donation of $5 or more before the deadline

Your first donation of $10 or more will provide resources urgently needed before the deadline. And you’ll receive a limited edition Obama-Biden car magnet

If you make a donation of $10 or more before the deadline, you’ll receive a limited edition Obama-Biden car magnet

Make a donation of $10 or more to own a piece of this movement before the final deadline

Will you make a donation of $5 or more before the deadline?

Watch Barack’s closing argument and make a donation of $5 or more to get every vote we need to win.

Take a minute to remember why you joined this movement, then please make a donation of $5 or more today?

Watch Barack’s speech and make your first donation of $5 or more before it’s too late

Make a donation of $5 or more today to expand our efforts in these new battleground states

And if you make a donation of $30 or more today, you’ll also receive a “Change the World” T-shirt

Make a donation of $5 or more right now: Make a donation and you could get a front row seat to history

Nei rari casi in cui il messaggio non invita direttamente a finanziare la campagna con un link in grassetto come questi, c’è sempre e comunque un’azione chiara che viene proposta con un link in grassetto “Host a Last Call for Change house party on Wednesday, October 29th”, “Watch this video and sign up to help get out the vote on Tuesday, November 4th“)

I lunghi mesi che precedevano il 4 novembre sono stati trasformati in una corsa a tappe dove, per mantenere alta l’attenzione, bisognava talvolta inventarsi (come nel caso dei vari gadget messi in vendita mano mano, di alcuni video realizzati ad-hoc e dei concorsi come quello per stare dietro il palco in occasione della nomination) l’evento.

Ovviamente i messaggi di posta elettronica sono solo una piccola parte della campagna. Gli stessi messaggi erano, ad esempio, inviati agli oltre 2 milioni e mezzo di supporter della pagine di Barack Obama su Facebook. L’uso di Facebook e l’integrazione fra questo strumento e gli altri diventerò di certo un caso di studio. Decine di applicazioni sono state realizzate ad-hoc per supportare la registrazione al voto, la ricerca delle informazioni su come e dove votare o, la mia preferita, quella per invitare i ragazzi a parlare con i loro genitori delle elezioni (l’elenco delle cose da fare e da non fare è straordinario e andrebbe letto ed applicato sempre e comunque a prescindere).

Tutto il sistema di messaggi convergeva poi sul sito ufficiale.

Questo sito è stato costruito e gestito magistralmente. In particolare credo che l’Action Center farà scuola e rappresenta molto bene la simbiosi fra mobilitazione dal basso e coordinamento che questa campagna è riuscita a realizzare.

Per ogni azione è stata realizzata una pagina divisa in 4 tab: Getting Started, Before, During, After.

In ogni tab è spiegato in modo chiaro e spesso passo passo cosa fare e come farlo. Mi ricordo di aver letto ad esempio le istruzioni per organizzare una festa in casa per vedere insieme il discorso di accettazione della nomination di agosto che spiegava chi invitare, come farlo, come organizzare la serata quali materiali preparare, distribuire e riconsegnare allo staff di Obama (una guida simile è ancora disponibile nell’organizing resource center).

Il successo di Barack Obama è senza dubbio dovuto alla capacità di usare Internet  in ambito politico come mai prima era stato fatto. Ancora una volta, come nel caso di Wikipedia, un piccolo nucleo di volontari riesce a coordinare, grazie ad un uso accorto della rete, un enorme numero di partecipanti.

Se c’è una cosa che dovremmo imparare è che per passare dalla condivisione all’azione collettiva (per usare il linguaggio di Clay Shirky – il cui ultimo libro sta per uscire in italiano per Codice) l’auto-organizzazione non basta. Come nei BarCamp serve qualcuno che faccia un po’ più degli altri, si assuma maggiori responsabilità e svolga un ruolo di coordinamento affinché tutti gli altri possano partecipare attivamente ed efficacemente all’evento.

Senza i pochi non ci sarebbero i molti e viceversa. Senza Internet non ci sarebbe il collegamento.

La retorica dell’auto-organizzazione pura è una chimera.

Le conversazioni dal basso, da sole, non bastano.

P.S. Il community manager è il mestiere del futuro.

Alcuni mesi fa, come molti altri anche in Italia, mi sono iscritto a http://my.barackobama.com.

Non che potessi veramente fare qualcosa di concreto per supportare una causa in cui credevo (le donazioni per i non cittadini USA sono, ad esempio, proibite) quanto piuttosto per osservare più da vicino l’uso che lo staff di Obama ha fatto del suo social network e del web in generale.

Era il 13 luglio e da allora ho ricevuto oltre 90 messaggi di posta elettronica ed updates via Facebook.

A rileggerli oggi tutti insieme pare di assistere ad una straordinaria lezione su come si gestisce una comunità online.

Ogni messaggio inviato ha un mittente ed una firma personale. I mittenti sono David Plouffe, Joe Biden, Michelle Obama, Barack Obama ed occasionalmente altri personaggi che firmano i messaggi e risultano come mittenti nell’inbox (anche se il replay è impostato per tutti a info@barackobama.com).

Ogni messaggio ha un tema chiaro e tutt’altro che generico. Può essere legato al raggiungimento degli obiettivi di auto-finanziamento di fine mese, ad eventi quali il discorso di accettazione della nomination o i dibattiti televisivi (prima e dopo per le reazioni), a rispondere in modo immediato agli spot di McCain, alla disponibilità di nuovi gadget, a sollecitare azioni mirate di volontariato su specifici Stati o questioni.

Make a donation of $5 or more right now to show John McCain and Governor Palin that when they attack us with lies and smears, it literally makes our campaign stronger

Esemplare in questo senso i messaggi che seguivano alle dichiarazioni di McCain contro Obama.

I messaggi che seguivano a questi spot o dichiarazioni erano tutti costruiti sfruttando abilmente la retorica del “lui ha tanti soldi e si può permettere di comprare spot televisivi in cui ci attacca, reagiamo tutti insieme raccogliendo più fondi per avere anche noi i nostri spot”.

Quale che fosse l’oggetto del messaggio l’obiettivo era quasi sempre quello di raccogliere fondi.

Ogni messaggio ha in calce un link: donate. Un link apparentemente sempre uguale ma in realtà sempre diverso perché contiene un codice unico che consente ai gestori del sito di differenziare la provenienza degli accessi. Praticamente in tutti i messaggi c’è, oltre che a questo link in calce, un link in grassetto nel testo che invita a donare 5 o più dollari per un motivo specifico legato all’oggetto del messaggio.

Take a look and make a donation of $5 or more to get it on the air for those who may have missed it

Please donate $5 or more before the deadline to help register voters, get out the vote, and win this election

Make a donation of $5 or more today to help Get Out The Vote in Ohio and other early vote states

Make a donation of $5 or more right now to bring about the change we need

Then make a donation of $5 or more to help keep this ad on the air

The time to make a difference in this election is running out — please make a donation of $5 or more right now

Your donation of $5 or more today is essential to our unprecedented get out the vote operation in these final days

Will you make a donation of $5 or more today and double your impact?

Make a donation of $10 or more and you’ll receive a limited edition Obama-Biden car magnet

You can decide where we fight — and how strong our team will be. Please make a donation of $5 or more before the deadline

Your first donation of $10 or more will provide resources urgently needed before the deadline. And you’ll receive a limited edition Obama-Biden car magnet

If you make a donation of $10 or more before the deadline, you’ll receive a limited edition Obama-Biden car magnet

Make a donation of $10 or more to own a piece of this movement before the final deadline

Will you make a donation of $5 or more before the deadline?

Watch Barack’s closing argument and make a donation of $5 or more to get every vote we need to win.

Take a minute to remember why you joined this movement, then please make a donation of $5 or more today?

Watch Barack’s speech and make your first donation of $5 or more before it’s too late

Make a donation of $5 or more today to expand our efforts in these new battleground states

And if you make a donation of $30 or more today, you’ll also receive a “Change the World” T-shirt

Make a donation of $5 or more right now: Make a donation and you could get a front row seat to history

Nei rari casi in cui il messaggio non invita direttamente a finanziare la campagna con un link in grassetto come questi, c’è sempre e comunque un’azione chiara che viene proposta con un link in grassetto “Host a Last Call for Change house party on Wednesday, October 29th”, “Watch this video and sign up to help get out the vote on Tuesday, November 4th“)

I lunghi mesi che precedevano il 4 novembre sono stati trasformati in una corsa a tappe dove, per mantenere alta l’attenzione, bisognava talvolta inventarsi (come nel caso dei vari gadget messi in vendita mano mano, di alcuni video realizzati ad-hoc e dei concorsi come quello per stare dietro il palco in occasione della nomination) l’evento.

Ovviamente i messaggi di posta elettronica sono solo una piccola parte della campagna. Gli stessi messaggi erano, ad esempio, inviati agli oltre 2 milioni e mezzo di supporter della pagine di Barack Obama su Facebook. L’uso di Facebook e l’integrazione fra questo strumento e gli altri diventerò di certo un caso di studio. Decine di applicazioni sono state realizzate ad-hoc per supportare la registrazione al voto, la ricerca delle informazioni su come e dove votare o, la mia preferita, quella per invitare i ragazzi a parlare con i loro genitori delle elezioni (l’elenco delle cose da fare e da non fare è straordinario e andrebbe letto ed applicato sempre e comunque a prescindere).

Tutto il sistema di messaggi convergeva poi sul sito ufficiale.

Questo sito è stato costruito e gestito magistralmente. In particolare credo che l’Action Center farà scuola e rappresenta molto bene la simbiosi fra mobilitazione dal basso e coordinamento che questa campagna è riuscita a realizzare.

Per ogni azione è stata realizzata una pagina divisa in 4 tab: Getting Started, Before, During, After.

In ogni tab è spiegato in modo chiaro e spesso passo passo cosa fare e come farlo. Mi ricordo di aver letto ad esempio le istruzioni per organizzare una festa in casa per vedere insieme il discorso di accettazione della nomination di agosto che spiegava chi invitare, come farlo, come organizzare la serata quali materiali preparare, distribuire e riconsegnare allo staff di Obama (una guida simile è ancora disponibile nell’organizing resource center).

Il successo di Barack Obama è senza dubbio dovuto alla capacità di usare Internet  in ambito politico come mai prima era stato fatto. Ancora una volta, come nel caso di Wikipedia, un piccolo nucleo di volontari riesce a coordinare, grazie ad un uso accorto della rete, un enorme numero di partecipanti.

Se c’è una cosa che dovremmo imparare è che per passare dalla condivisione all’azione collettiva (per usare il linguaggio di Clay Shirky – il cui ultimo libro sta per uscire in italiano per Codice) l’auto-organizzazione non basta. Come nei BarCamp serve qualcuno che faccia un po’ più degli altri, si assuma maggiori responsabilità e svolga un ruolo di coordinamento affinché tutti gli altri possano partecipare attivamente ed efficacemente all’evento.

Senza i pochi non ci sarebbero i molti e viceversa. Senza Internet non ci sarebbe il collegamento.

La retorica dell’auto-organizzazione pura è una chimera.

Le conversazioni dal basso, da sole, non bastano.

P.S. Il community manager è il mestiere del futuro.

Alcuni mesi fa, come molti altri anche in Italia, mi sono iscritto a http://my.barackobama.com.

Non che potessi veramente fare qualcosa di concreto per supportare una causa in cui credevo (le donazioni per i non cittadini USA sono, ad esempio, proibite) quanto piuttosto per osservare più da vicino l’uso che lo staff di Obama ha fatto del suo social network e del web in generale.

Era il 13 luglio e da allora ho ricevuto oltre 90 messaggi di posta elettronica ed updates via Facebook.

A rileggerli oggi tutti insieme pare di assistere ad una straordinaria lezione su come si gestisce una comunità online.

Ogni messaggio inviato ha un mittente ed una firma personale. I mittenti sono David Plouffe, Joe Biden, Michelle Obama, Barack Obama ed occasionalmente altri personaggi che firmano i messaggi e risultano come mittenti nell’inbox (anche se il replay è impostato per tutti a info@barackobama.com).

Ogni messaggio ha un tema chiaro e tutt’altro che generico. Può essere legato al raggiungimento degli obiettivi di auto-finanziamento di fine mese, ad eventi quali il discorso di accettazione della nomination o i dibattiti televisivi (prima e dopo per le reazioni), a rispondere in modo immediato agli spot di McCain, alla disponibilità di nuovi gadget, a sollecitare azioni mirate di volontariato su specifici Stati o questioni.

Make a donation of $5 or more right now to show John McCain and Governor Palin that when they attack us with lies and smears, it literally makes our campaign stronger

Esemplare in questo senso i messaggi che seguivano alle dichiarazioni di McCain contro Obama.

I messaggi che seguivano a questi spot o dichiarazioni erano tutti costruiti sfruttando abilmente la retorica del “lui ha tanti soldi e si può permettere di comprare spot televisivi in cui ci attacca, reagiamo tutti insieme raccogliendo più fondi per avere anche noi i nostri spot”.

Quale che fosse l’oggetto del messaggio l’obiettivo era quasi sempre quello di raccogliere fondi.

Ogni messaggio ha in calce un link: donate. Un link apparentemente sempre uguale ma in realtà sempre diverso perché contiene un codice unico che consente ai gestori del sito di differenziare la provenienza degli accessi. Praticamente in tutti i messaggi c’è, oltre che a questo link in calce, un link in grassetto nel testo che invita a donare 5 o più dollari per un motivo specifico legato all’oggetto del messaggio.

Take a look and make a donation of $5 or more to get it on the air for those who may have missed it

Please donate $5 or more before the deadline to help register voters, get out the vote, and win this election

Make a donation of $5 or more today to help Get Out The Vote in Ohio and other early vote states

Make a donation of $5 or more right now to bring about the change we need

Then make a donation of $5 or more to help keep this ad on the air

The time to make a difference in this election is running out — please make a donation of $5 or more right now

Your donation of $5 or more today is essential to our unprecedented get out the vote operation in these final days

Will you make a donation of $5 or more today and double your impact?

Make a donation of $10 or more and you’ll receive a limited edition Obama-Biden car magnet

You can decide where we fight — and how strong our team will be. Please make a donation of $5 or more before the deadline

Your first donation of $10 or more will provide resources urgently needed before the deadline. And you’ll receive a limited edition Obama-Biden car magnet

If you make a donation of $10 or more before the deadline, you’ll receive a limited edition Obama-Biden car magnet

Make a donation of $10 or more to own a piece of this movement before the final deadline

Will you make a donation of $5 or more before the deadline?

Watch Barack’s closing argument and make a donation of $5 or more to get every vote we need to win.

Take a minute to remember why you joined this movement, then please make a donation of $5 or more today?

Watch Barack’s speech and make your first donation of $5 or more before it’s too late

Make a donation of $5 or more today to expand our efforts in these new battleground states

And if you make a donation of $30 or more today, you’ll also receive a “Change the World” T-shirt

Make a donation of $5 or more right now: Make a donation and you could get a front row seat to history

Nei rari casi in cui il messaggio non invita direttamente a finanziare la campagna con un link in grassetto come questi, c’è sempre e comunque un’azione chiara che viene proposta con un link in grassetto “Host a Last Call for Change house party on Wednesday, October 29th”, “Watch this video and sign up to help get out the vote on Tuesday, November 4th“)

I lunghi mesi che precedevano il 4 novembre sono stati trasformati in una corsa a tappe dove, per mantenere alta l’attenzione, bisognava talvolta inventarsi (come nel caso dei vari gadget messi in vendita mano mano, di alcuni video realizzati ad-hoc e dei concorsi come quello per stare dietro il palco in occasione della nomination) l’evento.

Ovviamente i messaggi di posta elettronica sono solo una piccola parte della campagna. Gli stessi messaggi erano, ad esempio, inviati agli oltre 2 milioni e mezzo di supporter della pagine di Barack Obama su Facebook. L’uso di Facebook e l’integrazione fra questo strumento e gli altri diventerò di certo un caso di studio. Decine di applicazioni sono state realizzate ad-hoc per supportare la registrazione al voto, la ricerca delle informazioni su come e dove votare o, la mia preferita, quella per invitare i ragazzi a parlare con i loro genitori delle elezioni (l’elenco delle cose da fare e da non fare è straordinario e andrebbe letto ed applicato sempre e comunque a prescindere).

Tutto il sistema di messaggi convergeva poi sul sito ufficiale.

Questo sito è stato costruito e gestito magistralmente. In particolare credo che l’Action Center farà scuola e rappresenta molto bene la simbiosi fra mobilitazione dal basso e coordinamento che questa campagna è riuscita a realizzare.

Per ogni azione è stata realizzata una pagina divisa in 4 tab: Getting Started, Before, During, After.

In ogni tab è spiegato in modo chiaro e spesso passo passo cosa fare e come farlo. Mi ricordo di aver letto ad esempio le istruzioni per organizzare una festa in casa per vedere insieme il discorso di accettazione della nomination di agosto che spiegava chi invitare, come farlo, come organizzare la serata quali materiali preparare, distribuire e riconsegnare allo staff di Obama (una guida simile è ancora disponibile nell’organizing resource center).

Il successo di Barack Obama è senza dubbio dovuto alla capacità di usare Internet  in ambito politico come mai prima era stato fatto. Ancora una volta, come nel caso di Wikipedia, un piccolo nucleo di volontari riesce a coordinare, grazie ad un uso accorto della rete, un enorme numero di partecipanti.

Se c’è una cosa che dovremmo imparare è che per passare dalla condivisione all’azione collettiva (per usare il linguaggio di Clay Shirky – il cui ultimo libro sta per uscire in italiano per Codice) l’auto-organizzazione non basta. Come nei BarCamp serve qualcuno che faccia un po’ più degli altri, si assuma maggiori responsabilità e svolga un ruolo di coordinamento affinché tutti gli altri possano partecipare attivamente ed efficacemente all’evento.

Senza i pochi non ci sarebbero i molti e viceversa. Senza Internet non ci sarebbe il collegamento.

La retorica dell’auto-organizzazione pura è una chimera.

Le conversazioni dal basso, da sole, non bastano.

P.S. Il community manager è il mestiere del futuro.

What's next #8: Le impostazioni di privacy nel contesto d'uso (in Facebook e altrove)

danah boyd spiega sul suo blog alcuni segreti delle impostazioni di privacy ci Facebook ed invita gli sviluppatori a rendere più semplice e chiara la percezione di visibilità di un contenuto pubblicato da un utente. Ne scaturisce una riflessione ricca di stimoli ed una lettura istruttiva per chiunque abbia un account su un sito di social network.danah boyd spiega sul suo blog alcuni segreti delle impostazioni di privacy ci Facebook ed invita gli sviluppatori a rendere più semplice e chiara la percezione di visibilità di un contenuto pubblicato da un utente. Ne scaturisce una riflessione ricca di stimoli ed una lettura istruttiva per chiunque abbia un account su un sito di social network.danah boyd spiega sul suo blog alcuni segreti delle impostazioni di privacy ci Facebook ed invita gli sviluppatori a rendere più semplice e chiara la percezione di visibilità di un contenuto pubblicato da un utente. Ne scaturisce una riflessione ricca di stimoli ed una lettura istruttiva per chiunque abbia un account su un sito di social network.


Questo articolo è una traduzione del post pubblicato da danah boyd sul suo blog sotto il titolo “Putting Privacy Settings in the Context of Use (in Facebook and elsewhere)“.
Alcuni giorni fa gli occhi di Gilad si sono spalancati e mi ha chiamato per dare uno sguardo al suo computer. Era su Facebook ed aveva appena scoperto un buco nel sistema di privacy. Aveva massimizzato il suo news feed per ricevere quante più informazioni possibili sulle fotografie. Come risultato veniva regolarmente aggiornato quando i suoi Amici commentavano sulle foto degli altri compreso le foto di persone di cui non era amico o nello stesso network. Questo è corretto e va bene. Tuttavia ha anche scoperto che poteva cliccare su queste foto e, da lì, guardare l’intero album delle foto degli Amici dei suoi Amici. Una volta uno dei suo Amici era stato taggato in uno di questi album, lui poteva vedere l’intero album, anche se non l’intero profilo del possessore dell’album. Questo gli ha provocato una certa delirante felicità perché sentiva di poter accedere a delle fotografie alle quali non avrebbe dovuto accedere… e gli è piaciuto.
Ci sono molte spiegazioni del perché questo avvenga. Potrebbe essere un bug di Facebook. Più probabilmente si tratta del risultato delle scelte di persone che, attraverso il troppo complesso sistema di impostazioni della privacy di Facebook – che neanche Gilad conosceva – consentono alle fotografie in cui sono taggati di essere visibili agli Amici degli Amici. In entrambi i casi Gilad si è sentito come se stesse guardando foto che non erano state pensate per lui. Allo stesso modo scommetterei che gli Amici dei figli di sua sorella non immaginavano che taggando queste foto con i loro nomi avrebbero reso disponibile l’intero album al fratello.
Le impostazioni delle privacy di Facebook sono i più flessibili e confusionari dell’intera industria del settore. Più e più volte mi capita di intervistare teenagers (ed adulti) che pensano di aver scelto impostazioni di privacy che facessero una cosa e che rimangono sorpresi (e a volte spaventati) di apprendere che le impostazioni scelte fanno in realtà altro. Oltretutto, per via di cose come il tagging delle foto, la gente spesso non è a conoscenza della visibilità di un contenuto al quale non hanno direttamente contribuito.  La gente continua a mettersi nei casini perché manca il controllo che pensano di avere. E questo non riguarda solo i ragazzini. Maestri e professori  -siete proprio sicuri che le foto che i vostri amici taggano a vostro nome non siano visibili ai vostri studenti? Genitori – So che molti di voi si sono fatti un profilo per ficcare il naso nelle vite dei vostri figli… ora che i vostri ex-compagni di scuola delle superiori sono anche loro dentro non saranno mica i vostri figli a ficcare il naso nelle vostre? Le dinamiche di potere sono bastarde che tu abbia 16 o 40 anni.
Perché le impostazioni della privacy rimangono un processo astratto rimosso dal contesto del contenuto stesso? Le impostazioni della privacy non dovrebbero riguardare solo il controllo; dovrebbero essere una combinazione di consapevolezza, contesto e controllo. Bisognerebbe essere in grado di conoscere la visibilità di un atto al momento in cui esso è compiuto e quando si accede alle tracce dello stesso.
Sviluppatori di tecnologie… vi imploro…. mettere le informazioni di privacy nel contesto del contenuto stesso. Quando pubblico una foto in un album fatemi vedere una lista di TUTTI quelli che possono vedere quella foto. Quando guardo una foto in un profilo di qualcuno fatemi vedere l’elenco di tutti quelli che possono vedere quella foto prima che lasci un commento. Non riuscirete a far comprendere alla gente le dimensioni della visibilità facendogli modulare alcune impostazioni di privacy ogni qualche mese non avendo idea di cosa “Amici degli Amici” significhi in realtà. Se esistessero queste impostazioni ed uno potesse sapere prima di caricare una foto che essa sarà visibile a 5.000 persone inclusi 10 ex-amanti ci penserebbe due volte prima di farlo. Oppure andrebbero a cambiare le impostazioni di privacy.
In un mondo ideale nel quale un accesso complesso al controllo non distruggerebbe un database, avrei suggerito un sistema grazie al quale essere in grado di modificare la lista delle persone che possono accedere ad un particolare contenuto al momento del caricamento. Quindi se io posto una foto e mi accorgo che è visibile a 100 persone, potrei scorrere manualmente la lista e rimuovere 10 di queste persone senza dover creare un gruppo specifico formato da tutti meno quelli che intendo escludere. So che questo significa un disastro in un database e che non posso chiederlo… ancora. Dovremmo rendere funzioni combinatorie su grandi numeri computabili in tempi ragionevoli, giusto? ::wink:: Nel frattempo fatemi vedere almeno il livello di visibilità e datemi la possibilità di modificare le mie impostazioni generali nel contesto d’uso.
Francamente… non comprendo perché le aziende che producono sistemi informatici non lo facciano. È perché non volete che i vostri utenti scoprano quanto visibili i loro contenuti siano? È perché i vostri database relazionali sono diretti e ciò rende questa lista faticosa da calcolare? O ci sono altre ragioni che non riesco ad immaginare? Ma seriamente, se volete porre un freno a questo disastro sociale che deriva dal fatto che le persone scelgano in modo errato le loro impostazioni di privacy, perché non mettere queste informazioni nel contesto? Perché non fargli vedere quanto visibili siano i loro atti mettendo a disposizione un sistema di feedback che gli faccia vedere cosa sta succedendo? Per favore ditemi perché questo non è un approccio razionale!
Nel frattempo… per tutti gli altri… avete dato uno sguardo alle vostre impostazioni delle privacy di recente? Volete veramente che il vostro profilo venga fuori per primo quando la gente cerca il vostro nome su Google? Volete veramente che quelle foto taggate con il vostro nome siano visibili agli amici degli amici? O il vostro status update visibile a tutte le vostre network? Pensateci. Guardate le vostre impostazioni. Le vostre aspettative corrispondono a quello che queste impostazioni dicono?

Questo articolo è una traduzione del post pubblicato da danah boyd sul suo blog sotto il titolo “Putting Privacy Settings in the Context of Use (in Facebook and elsewhere)“.

Alcuni giorni fa gli occhi di Gilad si sono spalancati e mi ha chiamato per dare uno sguardo al suo computer. Era su Facebook ed aveva appena scoperto un buco nel sistema di privacy. Aveva massimizzato il suo news feed per ricevere quante più informazioni possibili sulle fotografie. Come risultato veniva regolarmente aggiornato quando i suoi Amici commentavano sulle foto degli altri compreso le foto di persone di cui non era amico o nello stesso network. Questo è corretto e va bene. Tuttavia ha anche scoperto che poteva cliccare su queste foto e, da lì, guardare l’intero album delle foto degli Amici dei suoi Amici. Una volta uno dei suo Amici era stato taggato in uno di questi album, lui poteva vedere l’intero album, anche se non l’intero profilo del possessore dell’album. Questo gli ha provocato una certa delirante felicità perché sentiva di poter accedere a delle fotografie alle quali non avrebbe dovuto accedere… e gli è piaciuto.

Ci sono molte spiegazioni del perché questo avvenga. Potrebbe essere un bug di Facebook. Più probabilmente si tratta del risultato delle scelte di persone che, attraverso il troppo complesso sistema di impostazioni della privacy di Facebook – che neanche Gilad conosceva – consentono alle fotografie in cui sono taggati di essere visibili agli Amici degli Amici. In entrambi i casi Gilad si è sentito come se stesse guardando foto che non erano state pensate per lui. Allo stesso modo scommetterei che gli Amici dei figli di sua sorella non immaginavano che taggando queste foto con i loro nomi avrebbero reso disponibile l’intero album al fratello.

Le impostazioni delle privacy di Facebook sono i più flessibili e confusionari dell’intera industria del settore. Più e più volte mi capita di intervistare teenagers (ed adulti) che pensano di aver scelto impostazioni di privacy che facessero una cosa e che rimangono sorpresi (e a volte spaventati) di apprendere che le impostazioni scelte fanno in realtà altro. Oltretutto, per via di cose come il tagging delle foto, la gente spesso non è a conoscenza della visibilità di un contenuto al quale non hanno direttamente contribuito.  La gente continua a mettersi nei casini perché manca il controllo che pensano di avere. E questo non riguarda solo i ragazzini. Maestri e professori  -siete proprio sicuri che le foto che i vostri amici taggano a vostro nome non siano visibili ai vostri studenti? Genitori – So che molti di voi si sono fatti un profilo per ficcare il naso nelle vite dei vostri figli… ora che i vostri ex-compagni di scuola delle superiori sono anche loro dentro non saranno mica i vostri figli a ficcare il naso nelle vostre? Le dinamiche di potere sono bastarde che tu abbia 16 o 40 anni.

Perché le impostazioni della privacy rimangono un processo astratto rimosso dal contesto del contenuto stesso? Le impostazioni della privacy non dovrebbero riguardare solo il controllo; dovrebbero essere una combinazione di consapevolezza, contesto e controllo. Bisognerebbe essere in grado di conoscere la visibilità di un atto al momento in cui esso è compiuto e quando si accede alle tracce dello stesso.

Sviluppatori di tecnologie… vi imploro…. mettere le informazioni di privacy nel contesto del contenuto stesso. Quando pubblico una foto in un album fatemi vedere una lista di TUTTI quelli che possono vedere quella foto. Quando guardo una foto in un profilo di qualcuno fatemi vedere l’elenco di tutti quelli che possono vedere quella foto prima che lasci un commento. Non riuscirete a far comprendere alla gente le dimensioni della visibilità facendogli modulare alcune impostazioni di privacy ogni qualche mese non avendo idea di cosa “Amici degli Amici” significhi in realtà. Se esistessero queste impostazioni ed uno potesse sapere prima di caricare una foto che essa sarà visibile a 5.000 persone inclusi 10 ex-amanti ci penserebbe due volte prima di farlo. Oppure andrebbero a cambiare le impostazioni di privacy.

In un mondo ideale nel quale un accesso complesso al controllo non distruggerebbe un database, avrei suggerito un sistema grazie al quale essere in grado di modificare la lista delle persone che possono accedere ad un particolare contenuto al momento del caricamento. Quindi se io posto una foto e mi accorgo che è visibile a 100 persone, potrei scorrere manualmente la lista e rimuovere 10 di queste persone senza dover creare un gruppo specifico formato da tutti meno quelli che intendo escludere. So che questo significa un disastro in un database e che non posso chiederlo… ancora. Dovremmo rendere funzioni combinatorie su grandi numeri computabili in tempi ragionevoli, giusto? ::wink:: Nel frattempo fatemi vedere almeno il livello di visibilità e datemi la possibilità di modificare le mie impostazioni generali nel contesto d’uso.

Francamente… non comprendo perché le aziende che producono sistemi informatici non lo facciano. È perché non volete che i vostri utenti scoprano quanto visibili i loro contenuti siano? È perché i vostri database relazionali sono diretti e ciò rende questa lista faticosa da calcolare? O ci sono altre ragioni che non riesco ad immaginare? Ma seriamente, se volete porre un freno a questo disastro sociale che deriva dal fatto che le persone scelgano in modo errato le loro impostazioni di privacy, perché non mettere queste informazioni nel contesto? Perché non fargli vedere quanto visibili siano i loro atti mettendo a disposizione un sistema di feedback che gli faccia vedere cosa sta succedendo? Per favore ditemi perché questo non è un approccio razionale!

Nel frattempo… per tutti gli altri… avete dato uno sguardo alle vostre impostazioni delle privacy di recente? Volete veramente che il vostro profilo venga fuori per primo quando la gente cerca il vostro nome su Google? Volete veramente che quelle foto taggate con il vostro nome siano visibili agli amici degli amici? O il vostro status update visibile a tutte le vostre network? Pensateci. Guardate le vostre impostazioni. Le vostre aspettative corrispondono a quello che queste impostazioni dicono?

Questo articolo è una traduzione del post pubblicato da danah boyd sul suo blog sotto il titolo “Putting Privacy Settings in the Context of Use (in Facebook and elsewhere)“.

Alcuni giorni fa gli occhi di Gilad si sono spalancati e mi ha chiamato per dare uno sguardo al suo computer. Era su Facebook ed aveva appena scoperto un buco nel sistema di privacy. Aveva massimizzato il suo news feed per ricevere quante più informazioni possibili sulle fotografie. Come risultato veniva regolarmente aggiornato quando i suoi Amici commentavano sulle foto degli altri compreso le foto di persone di cui non era amico o nello stesso network. Questo è corretto e va bene. Tuttavia ha anche scoperto che poteva cliccare su queste foto e, da lì, guardare l’intero album delle foto degli Amici dei suoi Amici. Una volta uno dei suo Amici era stato taggato in uno di questi album, lui poteva vedere l’intero album, anche se non l’intero profilo del possessore dell’album. Questo gli ha provocato una certa delirante felicità perché sentiva di poter accedere a delle fotografie alle quali non avrebbe dovuto accedere… e gli è piaciuto.

Ci sono molte spiegazioni del perché questo avvenga. Potrebbe essere un bug di Facebook. Più probabilmente si tratta del risultato delle scelte di persone che, attraverso il troppo complesso sistema di impostazioni della privacy di Facebook – che neanche Gilad conosceva – consentono alle fotografie in cui sono taggati di essere visibili agli Amici degli Amici. In entrambi i casi Gilad si è sentito come se stesse guardando foto che non erano state pensate per lui. Allo stesso modo scommetterei che gli Amici dei figli di sua sorella non immaginavano che taggando queste foto con i loro nomi avrebbero reso disponibile l’intero album al fratello.

Le impostazioni delle privacy di Facebook sono i più flessibili e confusionari dell’intera industria del settore. Più e più volte mi capita di intervistare teenagers (ed adulti) che pensano di aver scelto impostazioni di privacy che facessero una cosa e che rimangono sorpresi (e a volte spaventati) di apprendere che le impostazioni scelte fanno in realtà altro. Oltretutto, per via di cose come il tagging delle foto, la gente spesso non è a conoscenza della visibilità di un contenuto al quale non hanno direttamente contribuito.  La gente continua a mettersi nei casini perché manca il controllo che pensano di avere. E questo non riguarda solo i ragazzini. Maestri e professori  -siete proprio sicuri che le foto che i vostri amici taggano a vostro nome non siano visibili ai vostri studenti? Genitori – So che molti di voi si sono fatti un profilo per ficcare il naso nelle vite dei vostri figli… ora che i vostri ex-compagni di scuola delle superiori sono anche loro dentro non saranno mica i vostri figli a ficcare il naso nelle vostre? Le dinamiche di potere sono bastarde che tu abbia 16 o 40 anni.

Perché le impostazioni della privacy rimangono un processo astratto rimosso dal contesto del contenuto stesso? Le impostazioni della privacy non dovrebbero riguardare solo il controllo; dovrebbero essere una combinazione di consapevolezza, contesto e controllo. Bisognerebbe essere in grado di conoscere la visibilità di un atto al momento in cui esso è compiuto e quando si accede alle tracce dello stesso.

Sviluppatori di tecnologie… vi imploro…. mettere le informazioni di privacy nel contesto del contenuto stesso. Quando pubblico una foto in un album fatemi vedere una lista di TUTTI quelli che possono vedere quella foto. Quando guardo una foto in un profilo di qualcuno fatemi vedere l’elenco di tutti quelli che possono vedere quella foto prima che lasci un commento. Non riuscirete a far comprendere alla gente le dimensioni della visibilità facendogli modulare alcune impostazioni di privacy ogni qualche mese non avendo idea di cosa “Amici degli Amici” significhi in realtà. Se esistessero queste impostazioni ed uno potesse sapere prima di caricare una foto che essa sarà visibile a 5.000 persone inclusi 10 ex-amanti ci penserebbe due volte prima di farlo. Oppure andrebbero a cambiare le impostazioni di privacy.

In un mondo ideale nel quale un accesso complesso al controllo non distruggerebbe un database, avrei suggerito un sistema grazie al quale essere in grado di modificare la lista delle persone che possono accedere ad un particolare contenuto al momento del caricamento. Quindi se io posto una foto e mi accorgo che è visibile a 100 persone, potrei scorrere manualmente la lista e rimuovere 10 di queste persone senza dover creare un gruppo specifico formato da tutti meno quelli che intendo escludere. So che questo significa un disastro in un database e che non posso chiederlo… ancora. Dovremmo rendere funzioni combinatorie su grandi numeri computabili in tempi ragionevoli, giusto? ::wink:: Nel frattempo fatemi vedere almeno il livello di visibilità e datemi la possibilità di modificare le mie impostazioni generali nel contesto d’uso.

Francamente… non comprendo perché le aziende che producono sistemi informatici non lo facciano. È perché non volete che i vostri utenti scoprano quanto visibili i loro contenuti siano? È perché i vostri database relazionali sono diretti e ciò rende questa lista faticosa da calcolare? O ci sono altre ragioni che non riesco ad immaginare? Ma seriamente, se volete porre un freno a questo disastro sociale che deriva dal fatto che le persone scelgano in modo errato le loro impostazioni di privacy, perché non mettere queste informazioni nel contesto? Perché non fargli vedere quanto visibili siano i loro atti mettendo a disposizione un sistema di feedback che gli faccia vedere cosa sta succedendo? Per favore ditemi perché questo non è un approccio razionale!

Nel frattempo… per tutti gli altri… avete dato uno sguardo alle vostre impostazioni delle privacy di recente? Volete veramente che il vostro profilo venga fuori per primo quando la gente cerca il vostro nome su Google? Volete veramente che quelle foto taggate con il vostro nome siano visibili agli amici degli amici? O il vostro status update visibile a tutte le vostre network? Pensateci. Guardate le vostre impostazioni. Le vostre aspettative corrispondono a quello che queste impostazioni dicono?