ULOOP: come motivare la cooperazione degli utenti?

Sviluppare una tecnologia come ULOOP significa anche comprendere quali aspetti guidano il modellamento di una comunità e le motivazioni che spingono gli individui ad agire a favore di essa. Incentivi come premi o sanzioni non bastano, servono meccanismi più complessi che facciano leva, seguendo la tesi di Yochai Benkler, anche su aspetti spesso trascurati come empatia e solidarietà. Questi meccanismi, in ogni caso, sembrano lavorare su due livelli: sistemico e interpersonale.

Terzo articolo della serie dedicata al progetto ULOOP a cura di Erica Giambitto.
Le ricerche sul capitale sociale, sulla sostenibilità sociale e la nostra attività nell’ambito di ULOOP hanno una domanda in comune: quali sono le motivazioni che spingono le persone appartenenti ad una stessa comunità a mettere a disposizione degli altri le proprio risorse e ad impegnarsi in prima persona per il bene collettivo?
In questo articolo cercheremo di capire come in ULOOP si è cercato di motivare la cooperazione degli utenti. L’innovazione di ULOOP si basa su due elementi chiave: considerare l’utente come una componente chiave dei servizi di rete e la creazione di wireless local loop on-the-fly. Questi sono realizzabili solo implementando meccanismi di gestione della fiducia e di incentivazione alla cooperazione (AA.VV. D.1.1: ULOOP User-Centric Wireless Local Loop, 2010).
Annche Yochai Benkler (Berkman Professor of Entrepreneurial Legal Studies, Harvard Law School, faculty co-director, Berkman Center for Internet and Society) riflette su come  creare sistemi basati su modelli cooperativi. Secondo Benkler l’utente deve essere considerato in tutte le sue sfaccettature, è importante, quindi, implementare nei sistemi cooperativi non solo incentivi di tipo materiale come premi e punizioni, ma anche di tipo sociale come empatia e solidarietà (Benkler, Y. The Penguin and The Leviathan, Crown Business, New York 2011).
Le caratteristiche chiave di ULOOP sono un valore che gli stessi utenti aggiungono al sistema, attraverso la loro partecipazione. Così la sostenibilità socio-economica di ULOOP dipende dalla densità di nodi presenti in un local loop (AA.VV. D2.2: ULOOP. Socio-economic sustainability report 2011) e dalla capacità del sistema di inserire gli utenti nella catena del valore. Per questo gli utenti sono stati divisi in categorie e, a seconda degli effetti positivi, negativi e trascurabili di cui fanno esperienza, sono stati previsti incentivi specifici per stimolarne la cooperazione. Questo tipo di incentivi sono principalmente di tipo materiale, fanno cioè leva su vantaggi e svantaggi derivanti da una data situazione.
Nel primo White Paper dedicato a ULOOP viene sollevata una questione importante: la cooperazione dipende dalla volontà dei nodi (utenti) di partecipare, ma anche da elementi percepiti come negativi che disincentivano la partecipazione, tra cui la percezione della scarsità delle risorse e la mancanza di fiducia tra gli utenti.
Scarsità di risorse disponibili nel nodo.
L’idea di condividere una risorsa finita, ad esempio l’ampiezza di banda o la capacità di processing del device, potrebbe disincentivare la cooperazione. Per questo  ULOOP incentiva lo scambio di risorse tra utenti permettendo loro di contribuire con la risorsa che hanno maggiormente a disposizione, o che in quel momento usano meno. Così l’utente che contribuisce, guadagna il diritto di ricevere la risorsa di cui ha bisogno nel momento più adatto alle sue esigenze. La risorsa che riceverà in cambio è stata condivisa da un altro utente, dunque è frutto di un’altra scelta individuale. Lo scambio non è negoziato autonomamente dai due utenti ma è gestito automaticamente dal sistema ULOOP. Gli utenti fanno dunque affidamento sul suo funzionamento come garante dello scambio. Chi tiene un comportamento scorretto viene, mediante il meccanismo della social trust, identificato e sanzionato, ad esempio con una riduzione delle possibilità di accesso o una riduzione di banda.
Questo tipo di incentivo sembra basato sul concetto di fiducia sistemica (Luhman 1979, cit. in E. Keimolen, D. Broeders “Quando alcuni sono più uguali degli altri… Fiducia, free riding e azione collettiva in una rete P2P in Sociologia della Comunicazione n. 40, Franco Angeli, 2009, p. 94-95). Quando calati in un sistema complesso, in cui si relazionano in collettività ampie e con sconosciuti, gli utenti non godono di fiducia reciproca ma ripongono fiducia nelle capacità del sistema di gestire questi scambi e il rischio che altri non contribuiscano, li danneggino o abbandonino il sistema danneggiandolo. <<La fiducia sistemica viene allora costruita automaticamente attraverso continue esperienze positive (feedback)>> (ibidem).
Mancanza di fiducia tra gli utenti.
La cooperazione in un sistema di relazioni create on-the-fly tra utenti che non si conoscono personalmente, deve far fronte al problema della mancanza di fiducia a livello interpersonale. La mancanza di fiducia tra utenti dipende dalla loro scarsa conoscenza reciproca. ULOOP propone diversi incentivi per ovviare a questa mancanza, innanzitutto prevede un sistema di riconoscimento univoco dell’user ID, tutelandone al tempo stesso la privacy. Dà la possibilità di creare legami tra utenti basati su interessi condivisi (stesse tipologie di file, stesse abitudini) e un sistema di valutazione reciproca collettiva (informazioni SNR, individuazione di malicious users, Quality of Experience).
Questi incentivi richiamano ciò che la letteratura sull’azione collettiva definisce meccanismi regolativi (ibidem, p. 93): l’esclusione, la reputazione, la reciprocità (Becker, Clement 2006, cit. in ibidem, p. 103; R. Alexander The biology of moral systems, cit. in Benkler The penguin and the leviathan, Crown Business, New York 2011, p. 42).
Dunque sembra che ULOOP gestisca le motivazioni alla cooperazione su due livelli. Un livello sistemico che crea fiducia nel funzionamento del sistema facendo leva sulle motivazioni strumentali alla cooperazione (Portes Alejandro, SOCIAL CAPITAL: Its Origins and Applications in Modern Sociology Annu. Rev. Sociol. 1998, pp.1-24). Si basano sulla enforceable trust, cioè il senso di appartenenza ad una comunità la cui esistenza è percepita come garanzia che il contributo dato verrà ripagato. Un livello interpersonale, che fa leva sulle motivazioni consumatorie alla cooperazione basate sulla bounded solidarity, per cui un individuo agisce per il bene collettivo anche se ad un costo personale, perché si sente parte del gruppo e si identifica in esso.
Sembra che anche Benkler lavori su questi due livelli, anche se non esplicitamente. Egli individua degli elementi chiave da implementare in un sistema perché sia cooperativo.

  1. Comunicazione: nella costruzione di un sistema cooperativo è fondamentale implementare la possibilità di comunicare tra gli utenti e, in maniera altrettanto importante, stimolare un processo di negoziazione e mediazione tra i punti di vista differenti. La comunicazione fa sviluppare empatia e fiducia negli altri, aiutando nella risoluzione di problemi.
  2. Empatia e Solidarietà: immedesimarsi in qualcun altro, provare le stesse emozioni e talvolta le stesse sensazioni (empatia) così come identificarsi in un gruppo (solidarietà), rende gli utenti disposti a sopportare un costo personale per il benessere del gruppo a cui sentono di appartenere. Per stimolare questo processo è importante umanizzare le persone, permettere di sapere chi sono e perché necessitano dell’aiuto o contributo di altri.
  3. Framing: creare un frame, un contesto che descriva il sistema come cooperativo, come una comunità, orientando l’interpretazione del sistema da parte degli utenti rendendoli maggiormente disposti alla cooperazione. Il frame, però, funziona solo se costruito sulla verità. Il sistema deve veramente essere progettato come cooperativo, altrimenti, non rispondendo alle aspettative degli utenti, si svuoterebbe dopo poco tempo.
  4. Reputazione, trasparenza e reciprocità: i sistemi che si basano sulla reciprocità, soprattutto quella indiretta, sono facilmente invasi da utenti che attingono al sistema senza contribuire, basta pensare al fenomeno dei free riders (Benkler 2011). La reputazione è lo strumento più importante che si ha per sostenere il sistema ma per essere veramente efficace necessita che l’identità delle persone coinvolte sia visibile e trasparente, sempre nei limiti della privacy.
  5. Equità, moralità, norme sociali: se percepiamo il sistema in cui siamo inseriti come  equo, siamo più predisposti a cooperare. Basarsi solo su incentivi e punizioni può essere controproducente, è necessario pensare se e come il nostro sistema risulti equo. Moralità: definire chiaramente i valori, discutendone, spiegandoli, evidenziando qual è la cosa che si ritiene giusta da fare in ogni situazione. Social Norms: Le norme sociali sono un codice che orientano il comportamento ma non sono stabilite a priori, sono emergenti, per questo generalmente la maggior parte delle persone tende a seguirle. Rendere trasparente il comportamento degli altri nelle diverse situazioni permetterà di conformarsi con ciò che è ritenuto “normale”.
  6. Modularità: cooperare ha un costo, è come l’impegno in una attività, una spesa economica per l’accesso a un servizio, la rinuncia ad una risorsa a favore di qualcun altro. Dunque uno dei primi elementi da attivare per incentivare la cooperazione è consentire la partecipazione per piccoli moduli di contribuito, permettendo a ciascuno di cooperare secondo le possibilità e disponibilità del momento.
  7. Premi e punizioni: siano essi materiali (ottenimento di vantaggi per il singolo), oppure sociali (raggiungimento di un benessere comune) ma sempre dati in base alle motivazioni degli utenti. Dare premi materiali a qualcuno che coopera alla comunità perché interessato al bene comune o, viceversa, premiare con la reputazione qualcuno interessato ad un aumento di risorse materiali, potrebbe causarne l’allontanamento spontaneo dalla comunità.
  8. Flessibilità: è necessario tenere presente i diversi profili motivazionali, anche quelli poco produttivi, perciò i sistemi che si avvalgono della cooperazione devono essere flessibili e consentire una contribuzione asimmetrica, sfruttando il principio della coda lunga.

Anche gli elementi suggeriti da Benkler si possono raggruppare e implementare nei due livelli di motivazione alla cooperazione: sistemico e interpersonale.
Comunicazione, empatia, solidarietà, reputazione, trasparenza, reciprocità e framing possono essere utili strumenti per costruire, a un livello interpersonale, la fiducia reciproca tra gli utenti, contribuendo a realizzare l’identificazione nel gruppo e a rafforzare la bounded solidarity.
Equità, moralità, norme sociali, modularità, premi, punizioni e flessibilità possono essere utili strumenti, a livello sistemico, per costruire la fiducia sistemica, contribuendo a rafforzare il senso di appartenenza alla comunità e la enforceable trust.Terzo articolo della serie dedicata al progetto ULOOP a cura di Erica Giambitto.
Le ricerche sul capitale sociale, sulla sostenibilità sociale e la nostra attività nell’ambito di ULOOP hanno una domanda in comune: quali sono le motivazioni che spingono le persone appartenenti ad una stessa comunità a mettere a disposizione degli altri le proprio risorse e ad impegnarsi in prima persona per il bene collettivo?
In questo articolo cercheremo di capire come in ULOOP si è cercato di motivare la cooperazione degli utenti. L’innovazione di ULOOP si basa su due elementi chiave: considerare l’utente come una componente chiave dei servizi di rete e la creazione di wireless local loop on-the-fly. Questi sono realizzabili solo implementando meccanismi di gestione della fiducia e di incentivazione alla cooperazione (AA.VV. D.1.1: ULOOP User-Centric Wireless Local Loop, 2010).
Annche Yochai Benkler (Berkman Professor of Entrepreneurial Legal Studies, Harvard Law School, faculty co-director, Berkman Center for Internet and Society) riflette su come  creare sistemi basati su modelli cooperativi. Secondo Benkler l’utente deve essere considerato in tutte le sue sfaccettature, è importante, quindi, implementare nei sistemi cooperativi non solo incentivi di tipo materiale come premi e punizioni, ma anche di tipo sociale come empatia e solidarietà (Benkler, Y. The Penguin and The Leviathan, Crown Business, New York 2011).
Le caratteristiche chiave di ULOOP sono un valore che gli stessi utenti aggiungono al sistema, attraverso la loro partecipazione. Così la sostenibilità socio-economica di ULOOP dipende dalla densità di nodi presenti in un local loop (AA.VV. D2.2: ULOOP. Socio-economic sustainability report 2011) e dalla capacità del sistema di inserire gli utenti nella catena del valore. Per questo gli utenti sono stati divisi in categorie e, a seconda degli effetti positivi, negativi e trascurabili di cui fanno esperienza, sono stati previsti incentivi specifici per stimolarne la cooperazione. Questo tipo di incentivi sono principalmente di tipo materiale, fanno cioè leva su vantaggi e svantaggi derivanti da una data situazione.
Nel primo White Paper dedicato a ULOOP viene sollevata una questione importante: la cooperazione dipende dalla volontà dei nodi (utenti) di partecipare, ma anche da elementi percepiti come negativi che disincentivano la partecipazione, tra cui la percezione della scarsità delle risorse e la mancanza di fiducia tra gli utenti.
Scarsità di risorse disponibili nel nodo.
L’idea di condividere una risorsa finita, ad esempio l’ampiezza di banda o la capacità di processing del device, potrebbe disincentivare la cooperazione. Per questo  ULOOP incentiva lo scambio di risorse tra utenti permettendo loro di contribuire con la risorsa che hanno maggiormente a disposizione, o che in quel momento usano meno. Così l’utente che contribuisce, guadagna il diritto di ricevere la risorsa di cui ha bisogno nel momento più adatto alle sue esigenze. La risorsa che riceverà in cambio è stata condivisa da un altro utente, dunque è frutto di un’altra scelta individuale. Lo scambio non è negoziato autonomamente dai due utenti ma è gestito automaticamente dal sistema ULOOP. Gli utenti fanno dunque affidamento sul suo funzionamento come garante dello scambio. Chi tiene un comportamento scorretto viene, mediante il meccanismo della social trust, identificato e sanzionato, ad esempio con una riduzione delle possibilità di accesso o una riduzione di banda.
Questo tipo di incentivo sembra basato sul concetto di fiducia sistemica (Luhman 1979, cit. in E. Keimolen, D. Broeders “Quando alcuni sono più uguali degli altri… Fiducia, free riding e azione collettiva in una rete P2P in Sociologia della Comunicazione n. 40, Franco Angeli, 2009, p. 94-95). Quando calati in un sistema complesso, in cui si relazionano in collettività ampie e con sconosciuti, gli utenti non godono di fiducia reciproca ma ripongono fiducia nelle capacità del sistema di gestire questi scambi e il rischio che altri non contribuiscano, li danneggino o abbandonino il sistema danneggiandolo. <<La fiducia sistemica viene allora costruita automaticamente attraverso continue esperienze positive (feedback)>> (ibidem).
Mancanza di fiducia tra gli utenti.
La cooperazione in un sistema di relazioni create on-the-fly tra utenti che non si conoscono personalmente, deve far fronte al problema della mancanza di fiducia a livello interpersonale. La mancanza di fiducia tra utenti dipende dalla loro scarsa conoscenza reciproca. ULOOP propone diversi incentivi per ovviare a questa mancanza, innanzitutto prevede un sistema di riconoscimento univoco dell’user ID, tutelandone al tempo stesso la privacy. Dà la possibilità di creare legami tra utenti basati su interessi condivisi (stesse tipologie di file, stesse abitudini) e un sistema di valutazione reciproca collettiva (informazioni SNR, individuazione di malicious users, Quality of Experience).
Questi incentivi richiamano ciò che la letteratura sull’azione collettiva definisce meccanismi regolativi (ibidem, p. 93): l’esclusione, la reputazione, la reciprocità (Becker, Clement 2006, cit. in ibidem, p. 103; R. Alexander The biology of moral systems, cit. in Benkler The penguin and the leviathan, Crown Business, New York 2011, p. 42).
Dunque sembra che ULOOP gestisca le motivazioni alla cooperazione su due livelli. Un livello sistemico che crea fiducia nel funzionamento del sistema facendo leva sulle motivazioni strumentali alla cooperazione (Portes Alejandro, SOCIAL CAPITAL: Its Origins and Applications in Modern Sociology Annu. Rev. Sociol. 1998, pp.1-24). Si basano sulla enforceable trust, cioè il senso di appartenenza ad una comunità la cui esistenza è percepita come garanzia che il contributo dato verrà ripagato. Un livello interpersonale, che fa leva sulle motivazioni consumatorie alla cooperazione basate sulla bounded solidarity, per cui un individuo agisce per il bene collettivo anche se ad un costo personale, perché si sente parte del gruppo e si identifica in esso.
Sembra che anche Benkler lavori su questi due livelli, anche se non esplicitamente. Egli individua degli elementi chiave da implementare in un sistema perché sia cooperativo.

  1. Comunicazione: nella costruzione di un sistema cooperativo è fondamentale implementare la possibilità di comunicare tra gli utenti e, in maniera altrettanto importante, stimolare un processo di negoziazione e mediazione tra i punti di vista differenti. La comunicazione fa sviluppare empatia e fiducia negli altri, aiutando nella risoluzione di problemi.
  2. Empatia e Solidarietà: immedesimarsi in qualcun altro, provare le stesse emozioni e talvolta le stesse sensazioni (empatia) così come identificarsi in un gruppo (solidarietà), rende gli utenti disposti a sopportare un costo personale per il benessere del gruppo a cui sentono di appartenere. Per stimolare questo processo è importante umanizzare le persone, permettere di sapere chi sono e perché necessitano dell’aiuto o contributo di altri.
  3. Framing: creare un frame, un contesto che descriva il sistema come cooperativo, come una comunità, orientando l’interpretazione del sistema da parte degli utenti rendendoli maggiormente disposti alla cooperazione. Il frame, però, funziona solo se costruito sulla verità. Il sistema deve veramente essere progettato come cooperativo, altrimenti, non rispondendo alle aspettative degli utenti, si svuoterebbe dopo poco tempo.
  4. Reputazione, trasparenza e reciprocità: i sistemi che si basano sulla reciprocità, soprattutto quella indiretta, sono facilmente invasi da utenti che attingono al sistema senza contribuire, basta pensare al fenomeno dei free riders (Benkler 2011). La reputazione è lo strumento più importante che si ha per sostenere il sistema ma per essere veramente efficace necessita che l’identità delle persone coinvolte sia visibile e trasparente, sempre nei limiti della privacy.
  5. Equità, moralità, norme sociali: se percepiamo il sistema in cui siamo inseriti come  equo, siamo più predisposti a cooperare. Basarsi solo su incentivi e punizioni può essere controproducente, è necessario pensare se e come il nostro sistema risulti equo. Moralità: definire chiaramente i valori, discutendone, spiegandoli, evidenziando qual è la cosa che si ritiene giusta da fare in ogni situazione. Social Norms: Le norme sociali sono un codice che orientano il comportamento ma non sono stabilite a priori, sono emergenti, per questo generalmente la maggior parte delle persone tende a seguirle. Rendere trasparente il comportamento degli altri nelle diverse situazioni permetterà di conformarsi con ciò che è ritenuto “normale”.
  6. Modularità: cooperare ha un costo, è come l’impegno in una attività, una spesa economica per l’accesso a un servizio, la rinuncia ad una risorsa a favore di qualcun altro. Dunque uno dei primi elementi da attivare per incentivare la cooperazione è consentire la partecipazione per piccoli moduli di contribuito, permettendo a ciascuno di cooperare secondo le possibilità e disponibilità del momento.
  7. Premi e punizioni: siano essi materiali (ottenimento di vantaggi per il singolo), oppure sociali (raggiungimento di un benessere comune) ma sempre dati in base alle motivazioni degli utenti. Dare premi materiali a qualcuno che coopera alla comunità perché interessato al bene comune o, viceversa, premiare con la reputazione qualcuno interessato ad un aumento di risorse materiali, potrebbe causarne l’allontanamento spontaneo dalla comunità.
  8. Flessibilità: è necessario tenere presente i diversi profili motivazionali, anche quelli poco produttivi, perciò i sistemi che si avvalgono della cooperazione devono essere flessibili e consentire una contribuzione asimmetrica, sfruttando il principio della coda lunga.

Anche gli elementi suggeriti da Benkler si possono raggruppare e implementare nei due livelli di motivazione alla cooperazione: sistemico e interpersonale.
Comunicazione, empatia, solidarietà, reputazione, trasparenza, reciprocità e framing possono essere utili strumenti per costruire, a un livello interpersonale, la fiducia reciproca tra gli utenti, contribuendo a realizzare l’identificazione nel gruppo e a rafforzare la bounded solidarity.
Equità, moralità, norme sociali, modularità, premi, punizioni e flessibilità possono essere utili strumenti, a livello sistemico, per costruire la fiducia sistemica, contribuendo a rafforzare il senso di appartenenza alla comunità e la enforceable trust.Terzo articolo della serie dedicata al progetto ULOOP a cura di Erica Giambitto.
Le ricerche sul capitale sociale, sulla sostenibilità sociale e la nostra attività nell’ambito di ULOOP hanno una domanda in comune: quali sono le motivazioni che spingono le persone appartenenti ad una stessa comunità a mettere a disposizione degli altri le proprio risorse e ad impegnarsi in prima persona per il bene collettivo?
In questo articolo cercheremo di capire come in ULOOP si è cercato di motivare la cooperazione degli utenti. L’innovazione di ULOOP si basa su due elementi chiave: considerare l’utente come una componente chiave dei servizi di rete e la creazione di wireless local loop on-the-fly. Questi sono realizzabili solo implementando meccanismi di gestione della fiducia e di incentivazione alla cooperazione (AA.VV. D.1.1: ULOOP User-Centric Wireless Local Loop, 2010).
Annche Yochai Benkler (Berkman Professor of Entrepreneurial Legal Studies, Harvard Law School, faculty co-director, Berkman Center for Internet and Society) riflette su come  creare sistemi basati su modelli cooperativi. Secondo Benkler l’utente deve essere considerato in tutte le sue sfaccettature, è importante, quindi, implementare nei sistemi cooperativi non solo incentivi di tipo materiale come premi e punizioni, ma anche di tipo sociale come empatia e solidarietà (Benkler, Y. The Penguin and The Leviathan, Crown Business, New York 2011).
Le caratteristiche chiave di ULOOP sono un valore che gli stessi utenti aggiungono al sistema, attraverso la loro partecipazione. Così la sostenibilità socio-economica di ULOOP dipende dalla densità di nodi presenti in un local loop (AA.VV. D2.2: ULOOP. Socio-economic sustainability report 2011) e dalla capacità del sistema di inserire gli utenti nella catena del valore. Per questo gli utenti sono stati divisi in categorie e, a seconda degli effetti positivi, negativi e trascurabili di cui fanno esperienza, sono stati previsti incentivi specifici per stimolarne la cooperazione. Questo tipo di incentivi sono principalmente di tipo materiale, fanno cioè leva su vantaggi e svantaggi derivanti da una data situazione.
Nel primo White Paper dedicato a ULOOP viene sollevata una questione importante: la cooperazione dipende dalla volontà dei nodi (utenti) di partecipare, ma anche da elementi percepiti come negativi che disincentivano la partecipazione, tra cui la percezione della scarsità delle risorse e la mancanza di fiducia tra gli utenti.
Scarsità di risorse disponibili nel nodo.
L’idea di condividere una risorsa finita, ad esempio l’ampiezza di banda o la capacità di processing del device, potrebbe disincentivare la cooperazione. Per questo  ULOOP incentiva lo scambio di risorse tra utenti permettendo loro di contribuire con la risorsa che hanno maggiormente a disposizione, o che in quel momento usano meno. Così l’utente che contribuisce, guadagna il diritto di ricevere la risorsa di cui ha bisogno nel momento più adatto alle sue esigenze. La risorsa che riceverà in cambio è stata condivisa da un altro utente, dunque è frutto di un’altra scelta individuale. Lo scambio non è negoziato autonomamente dai due utenti ma è gestito automaticamente dal sistema ULOOP. Gli utenti fanno dunque affidamento sul suo funzionamento come garante dello scambio. Chi tiene un comportamento scorretto viene, mediante il meccanismo della social trust, identificato e sanzionato, ad esempio con una riduzione delle possibilità di accesso o una riduzione di banda.
Questo tipo di incentivo sembra basato sul concetto di fiducia sistemica (Luhman 1979, cit. in E. Keimolen, D. Broeders “Quando alcuni sono più uguali degli altri… Fiducia, free riding e azione collettiva in una rete P2P in Sociologia della Comunicazione n. 40, Franco Angeli, 2009, p. 94-95). Quando calati in un sistema complesso, in cui si relazionano in collettività ampie e con sconosciuti, gli utenti non godono di fiducia reciproca ma ripongono fiducia nelle capacità del sistema di gestire questi scambi e il rischio che altri non contribuiscano, li danneggino o abbandonino il sistema danneggiandolo. <<La fiducia sistemica viene allora costruita automaticamente attraverso continue esperienze positive (feedback)>> (ibidem).
Mancanza di fiducia tra gli utenti.
La cooperazione in un sistema di relazioni create on-the-fly tra utenti che non si conoscono personalmente, deve far fronte al problema della mancanza di fiducia a livello interpersonale. La mancanza di fiducia tra utenti dipende dalla loro scarsa conoscenza reciproca. ULOOP propone diversi incentivi per ovviare a questa mancanza, innanzitutto prevede un sistema di riconoscimento univoco dell’user ID, tutelandone al tempo stesso la privacy. Dà la possibilità di creare legami tra utenti basati su interessi condivisi (stesse tipologie di file, stesse abitudini) e un sistema di valutazione reciproca collettiva (informazioni SNR, individuazione di malicious users, Quality of Experience).
Questi incentivi richiamano ciò che la letteratura sull’azione collettiva definisce meccanismi regolativi (ibidem, p. 93): l’esclusione, la reputazione, la reciprocità (Becker, Clement 2006, cit. in ibidem, p. 103; R. Alexander The biology of moral systems, cit. in Benkler The penguin and the leviathan, Crown Business, New York 2011, p. 42).
Dunque sembra che ULOOP gestisca le motivazioni alla cooperazione su due livelli. Un livello sistemico che crea fiducia nel funzionamento del sistema facendo leva sulle motivazioni strumentali alla cooperazione (Portes Alejandro, SOCIAL CAPITAL: Its Origins and Applications in Modern Sociology Annu. Rev. Sociol. 1998, pp.1-24). Si basano sulla enforceable trust, cioè il senso di appartenenza ad una comunità la cui esistenza è percepita come garanzia che il contributo dato verrà ripagato. Un livello interpersonale, che fa leva sulle motivazioni consumatorie alla cooperazione basate sulla bounded solidarity, per cui un individuo agisce per il bene collettivo anche se ad un costo personale, perché si sente parte del gruppo e si identifica in esso.
Sembra che anche Benkler lavori su questi due livelli, anche se non esplicitamente. Egli individua degli elementi chiave da implementare in un sistema perché sia cooperativo.

  1. Comunicazione: nella costruzione di un sistema cooperativo è fondamentale implementare la possibilità di comunicare tra gli utenti e, in maniera altrettanto importante, stimolare un processo di negoziazione e mediazione tra i punti di vista differenti. La comunicazione fa sviluppare empatia e fiducia negli altri, aiutando nella risoluzione di problemi.
  2. Empatia e Solidarietà: immedesimarsi in qualcun altro, provare le stesse emozioni e talvolta le stesse sensazioni (empatia) così come identificarsi in un gruppo (solidarietà), rende gli utenti disposti a sopportare un costo personale per il benessere del gruppo a cui sentono di appartenere. Per stimolare questo processo è importante umanizzare le persone, permettere di sapere chi sono e perché necessitano dell’aiuto o contributo di altri.
  3. Framing: creare un frame, un contesto che descriva il sistema come cooperativo, come una comunità, orientando l’interpretazione del sistema da parte degli utenti rendendoli maggiormente disposti alla cooperazione. Il frame, però, funziona solo se costruito sulla verità. Il sistema deve veramente essere progettato come cooperativo, altrimenti, non rispondendo alle aspettative degli utenti, si svuoterebbe dopo poco tempo.
  4. Reputazione, trasparenza e reciprocità: i sistemi che si basano sulla reciprocità, soprattutto quella indiretta, sono facilmente invasi da utenti che attingono al sistema senza contribuire, basta pensare al fenomeno dei free riders (Benkler 2011). La reputazione è lo strumento più importante che si ha per sostenere il sistema ma per essere veramente efficace necessita che l’identità delle persone coinvolte sia visibile e trasparente, sempre nei limiti della privacy.
  5. Equità, moralità, norme sociali: se percepiamo il sistema in cui siamo inseriti come  equo, siamo più predisposti a cooperare. Basarsi solo su incentivi e punizioni può essere controproducente, è necessario pensare se e come il nostro sistema risulti equo. Moralità: definire chiaramente i valori, discutendone, spiegandoli, evidenziando qual è la cosa che si ritiene giusta da fare in ogni situazione. Social Norms: Le norme sociali sono un codice che orientano il comportamento ma non sono stabilite a priori, sono emergenti, per questo generalmente la maggior parte delle persone tende a seguirle. Rendere trasparente il comportamento degli altri nelle diverse situazioni permetterà di conformarsi con ciò che è ritenuto “normale”.
  6. Modularità: cooperare ha un costo, è come l’impegno in una attività, una spesa economica per l’accesso a un servizio, la rinuncia ad una risorsa a favore di qualcun altro. Dunque uno dei primi elementi da attivare per incentivare la cooperazione è consentire la partecipazione per piccoli moduli di contribuito, permettendo a ciascuno di cooperare secondo le possibilità e disponibilità del momento.
  7. Premi e punizioni: siano essi materiali (ottenimento di vantaggi per il singolo), oppure sociali (raggiungimento di un benessere comune) ma sempre dati in base alle motivazioni degli utenti. Dare premi materiali a qualcuno che coopera alla comunità perché interessato al bene comune o, viceversa, premiare con la reputazione qualcuno interessato ad un aumento di risorse materiali, potrebbe causarne l’allontanamento spontaneo dalla comunità.
  8. Flessibilità: è necessario tenere presente i diversi profili motivazionali, anche quelli poco produttivi, perciò i sistemi che si avvalgono della cooperazione devono essere flessibili e consentire una contribuzione asimmetrica, sfruttando il principio della coda lunga.

Anche gli elementi suggeriti da Benkler si possono raggruppare e implementare nei due livelli di motivazione alla cooperazione: sistemico e interpersonale.
Comunicazione, empatia, solidarietà, reputazione, trasparenza, reciprocità e framing possono essere utili strumenti per costruire, a un livello interpersonale, la fiducia reciproca tra gli utenti, contribuendo a realizzare l’identificazione nel gruppo e a rafforzare la bounded solidarity.
Equità, moralità, norme sociali, modularità, premi, punizioni e flessibilità possono essere utili strumenti, a livello sistemico, per costruire la fiducia sistemica, contribuendo a rafforzare il senso di appartenenza alla comunità e la enforceable trust.

The Erving Goffman plugin

Durante le scorse due settimane ho letto molto ma scritto poco.
Mentre il belpaese era chiuso per ferie il resto del mondo ha continuato a funzionare più o meno a pieno regime sfornando interviste, articoli e post interessanti.
Nonostante le difficoltà logistiche (ero in una zona coperta solo da gprs) sono riuscito a prendere nota delle cose più interessanti lette nel mio spazio su tumblr: FG-notes.
Il filo conduttore è sicuramente l’idea di privacy proposto dai social networks.
In un recente esperimento, un’azienda che si occupa di sicurezza informatica ha provato a creare un profilo fake ed invitare casualmente 200 utenti di Facebook come amici. Il 41% degli invitati ha accettato l’invito garantendo a questa utenza l’accesso ai propri dati personali disponibili sul proprio profilo.
Se un contenuto pubblicato sul web è esposto ad un pubblico indistinto, simile a quello delle comunicazioni di massa, con i social networks, però, si torna a parlare (anche) di contesto sociale e di un pubblico, quindi, non più indistinto.
Detto così potrebbe sembrare un passo indietro, una modalità più simile a quella del mondo reale, ma a guardarle con attenzione le cose sono particolarmente intricate.
Aggiornare il proprio status su Facebook significa rivolgersi al pubblico costituito dall’insieme dei propri amici ma scrivere sul wall di un profilo di Facebook, ad esempio, significa conversare con quella persona in presenza di un pubblico costituito dall’insieme di tutti gli utenti che possono avere accesso a quel profilo, ovvero gli amici del mio amico. Alcuni di questi saranno amici in comune, altri no. Dunque le conversazioni wall-to-wall mantengono un certo grado di serendipity ed indeterminatezza dell’audicence.
Muoversi efficientemente in un social network può richiedere competenze anche più complesse rispetto quelle di un blog. Chi possederà queste competenze in futuro sarà avvantaggiato tanto nella vita personale quanto in quella lavorativa. Per questo è importante, come mette bene in evidenza in questa intervista su CNET Henry Jenkins, inserire nei curricula le competenze relative alla new media literacy. A quanto pare, almeno negli Stati Uniti (dove il 97% dei teens ha accesso a Internet) non è tanto il digital devide a preoccupare quanto questo “partecipation gap” (ovvero la differenza fra chi conosce e sa usare i social media partecipando e non solo fruendo cultura e chi invece fa, anche di Internet, un uso a sola lettura).
Dunque su Internet la questione è anche più complessa del “semplice” farsi media (ovvero l’apprendimento di massa delle capacità di produrre e pubblicare contenuti per le masse). 
Ne parla Danah Boyd a partire dalla propria esperienza d’uso di Facebook e MySpace. Si è veramente liberi di rifiutare una richiesta di “amicizia” o esiste una forma di regola non scritta per cui bisogna accettare tutti? Cosa accade quando gli adulti entrano nel contesto dei giovani e giovanissimi? Cosa significa per un professore, essere amico di uno studente in Facebook?
In questo senso il caso di Facebook è esemplare poichè questo social network è passato attraverso progressivi livelli di apertura (prima Harvard, poi le Università americane più importanti, poi tutte le università americane ed infine la recente apertura a tutti).

I can’t help but wonder if Facebook will have the same passionate college user base next school year now that it’s the hip adult thing. I don’t honestly know. But so far, American social network sites haven’t supported multiple social contexts tremendously well. Maybe the limited profile and privacy settings help, but I’m not so sure. Especially when profs are there to hang out with their friends, not just spy on their students. I’m wondering how prepared students are to see their profs’ Walls filled with notes from their friends. Hmmm…
apophenia: loss of context for me on Facebook

Molto interessante, per questo, lo studio comparativo che Charlene Croft ha fatto fra Facebook e MySpace.
Forse ha ragione Henry Jenkins quando evidenzia le potenzialità che i social media hanno di offrire uno spazio per la collaborazione intergenerazionale privo di quei vincoli propri del mondo reale e, come afferma un lettore del blog di Danah Boyd:

(…) the real trend is the gradual loss of “context” — where people are less differentiated in their persona between school, work, and social worlds. (…)
Posted by Nathan D | August 10, 2007 11:41 PM Posted on August 10, 2007 23:41
apophenia: loss of context for me on Facebook

O forse, come ho scrive Jason Mittell in un commento ad un altro bell’articolo: Ian Bogost – A Professor’s Impressions of Facebook, abbiamo bisogno di piattaforme in grado di supportare, come avviene nella vita reale, diversi contesti sociali (Pulse, il social network di Plaxo implementa qualcosa del genere).
Una sorta di “plugin di Erving Goffman”.

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L'attacco dei MMORPG

Gli ambienti condivisi di gioco online (Massive Multiplayer Online Role Play Game) sono sicuramente fra i fenomenti sociali più interessanti degli ultimi anni. In questo blog si è parlato molto in passato sia di Second Life che di World of Warcraft.
Per questo motivo abbiamo deciso con GBALuca (che partecipa da tempo ad una gilda di ricercatori europei su WoW) di dedicare una giornata dei nostri rispettivi corsi a descrivere il fenomeno e le modalità attraverso le quali è possibile studiare questi ambienti da un punto di vista sociologico.
In particolare sfrutteremo la felice coincidenza che Sociologia dei New Media e Teoria dell’informazione sono collocati quasi di seguito, sono al secondo anno di corso e nella stessa aula per dedicare ai MMORPG quasi 5 ore di lezione e riflessione (dalle 12 alle 17).
L’appuntamento è per mercoledì prossimo 21 Marzo in aula B1 a partire dalle ore 12. Qui la locandina dell’evento.
Il programma di massima della giornata è il seguente:

  • 12-14 | Cosa sono i MMORPG: un tour guidato di Azeroth;
  • 14-14:30 | Proiezione della puntata di South Park (10E08) dedicata a World of Warcraft (in inglese con sottotitoli in italiano): Make Love not Warcraft (durata 22 minuti);
  • 15-16 | Amore, denaro e potere nella Seconda Vita Quotidiana (extendend version);
  • 16-17 | Il caso della proprietà come Media della Comunicazione Generalizzato Simbolicamente nei MMORPG.

Per gli studenti di Teoria dell’Informazione in ascolto consiglio almeno una veloce lettura preventiva dei post che ho scritto in passato sul tema archiviati nella categoria MMORPG.

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Why Clay is right

Continua la conversazione fra Clay Shirky, Henry Jenkins e Beth Coleman su Second Life.

Personalmente credo che Clay abbia ragione. Non credo che affermare che Second Life è sopravvalutato e che è e resterà un fenomeno di nicchia (pur se su scala globale) posso in alcun modo smentire l’importanza del fenomeno delle culture partecipative.

Mi piace inoltre la distinzione fra schlemiel e schuyster. I primi sono quelli che sono stati presi in giro dai numeri imprecisi diffusi da Linden Lab e dall’uso improprio del termine popolazione. I secondi sono quelli che, pur consapevoli delle reali dimensioni del fenomeno, sfruttano la popolarità di Second Life a scopi biecamente auto-promozionali innescando e promuovendo quel meccanismo di auto-sollecitazione che caratterizza spesso i discorsi sulle tecnologie.

Si annoverano in questa ultima categoria tutte le varie aperture di sedi di organizzazioni  all’interno dell’ambiente creato da Linden Labs.

Non credo invece che la categoria Mondi Virtuali perchè penso invece che molti interessanti paralleli possano nascere dal confronto fra, ad esempio, Second Life e World of Warcraft. Penso inoltre che, in fondo, l’obiezione citata da Jenkins circa il fatto che questa categoria è così ampia da poter includere anche i giochi multiplayer online sia da accogliere.

Credo che in tutti i casi si tratta essenzialmente di ambienti fatti di comunicazione che vincolano (in modi diversi) i comportamenti degli utenti. La cosa che a me interessa di più è che negli spazi di libertà lasciati da questi vincoli strutturali emergano strutture di aspettative reciproche fra gli utenti che tendono a strutturarsi in ulteriori vincoli sociali.

Amore, denaro e potere nella seconda vita quotidiana

Ecco la mia presentazione di ieri al convegno nazionale AIS di Perugia.

P.S. Putroppo la traduzione su SlideShare ha creato qualche piccolo problema di formattazione che non credo pregiudichi la comprensione del discorso. Per chi preferisse ho comunque deciso di rendere disponibile il file della presentazione in formato pdf.

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Sul voto elettronico senza carta

Come quelli che mi conoscono sanno non si può certo dire che io sia un detrattore delle nuove tecnologie. Eppure esiste un aspetto dell’informatizzazione dei processi sul quale sono sempre stato contrario: il voto elettronico senza carta.

Si tratta di un tema cruciale per la democrazia.

Comprendo perfettamente gli enormi risparmi e la maggiore velocità della versione informatizzata del processo di voto ma qui si tratta più che altro di un problema di fiducia.

Fiducia nei progettisti e costruttori delle macchine per il voto (che l’hardware e il software siano privi di bug e che non siano essi stessi a prevedere meccanismi interni di truffa o backdoor), fiducia nel fatto che queste macchine non possano essere manomesse, fiducia che i dati non siano modificati durante la trasmissione…

Tutto questo sistema di trust concatenato mi fa ritenere troppo alta la soglia di rischio.

Ora se queste macchine per il voto (a quanto pare ce ne sono molte diverse versioni in uso degli Stati Uniti) rilasciassero una stampata del voto e questa venisse comunque deposta in un’urna, potrei anche accettare il rischio. Infatti il backup carteceo consentirebbe il ricalcolo manuale del voto in caso di contestazione (anche se questo avverrebbe appunto solo e soltanto in questo caso).

Eppure c’è qualcosa d’altro.

Il voto come inteso comunemente oggi, infatti, è una forma specifica di selezione fatta da una singola persona ma che deve rimanere disgiunta, per questioni di privacy dalla persona stessa.

La scrittura come medium ha tutte le caratteristiche per supportare questa forma di disgiuzione.

La logica operativa dei sistemi informativi, almeno per come si è andata sviluppando, invece è diversa. La mia sensazione è che sia intrinsecamente basata sul meccanismo di autenticazione/autorizzazione. Ovvero prima dici chi sei e poi fai delle cose. Questo consente al sistema di ricondurre ogni azione ad un singolo e consente livelli di autorizzazioni differenziati anche a seconda del propietario dell’oggetto sul quale si vuole agire. 

Ora il modo in cui il voto elettronico senza carta è stato concepito mi sembra l’ennessima dimostrazione che un processo organizzativo non può essere informatizzato senza essere trasformato. Bisogna cercare di pensare out of the box, in modo creativo sforzandosi di guardare oltre al modo cui siamo abiutuati a concepire le cose e di accettare la logica delle tecnologie senza cercare di adattarla ai canoni cui siamo abituati.

Mi spiego meglio. In teoria un modo per rendere più sicuro il voto elettronico senza carta potrebbe essere quello di consentire al votante di ricontrollare, anche dopo aver effettuato il voto, il contenuto di quanto effettivamente registrato da queste macchine. Il problema qui è che dovrebbe esistere da qualche parte un database delle preferenze politiche dei cittadini e questo rappresenta ovviamente un grande rischio per la privacy.

Come al solito ad un certo punto c’è da un lato la privacy e dall’altro il funzionamento del sistema.

Alle volte mi chiedo se l’eterno ritorno di questo attrito fra privacy ed affidabilità sia un sintomo del fatto che la privacy è un concetto tipico della società moderna e che come tale va in crisi nella next society.

System One – The Next Society

Interessante e raffinata riflessione di Dirk Baeker sulla Next Society (ovvero l’impatto sulla struttura della società del passaggio dal media di diffusione stampa al computer/internet).

Da leggere inoltre il post successivo intitolato Sociological Theory che contiene una fantastica definizione di doppia contingenza che avrei dovuto avere sotto mano quando ho risposto qualche giorno fa ad uno studente che mi chiedeva per posta elettronica di chiarirgli meglio il concetto.

Ecco da ora in poi in questi casi di emergenza userò questa definizione:

*ego* waiting for *alter*, while *alter* waiting for *ego* to make a first move, both of them being free to select this or that action