What’s next #10: Hanging Out, Messing Around, Geeking Out

Si conclude dopo tre anni con la pubblicazione del report di ricerca il Digital Youth Project: una delle più vaste ed interessanti ricerche volta ad indagare le pratiche d’uso dei nuovi media da parte dei giovani americani.Si conclude dopo tre anni con la pubblicazione del report di ricerca il Digital Youth Project: una delle più vaste ed interessanti ricerche volta ad indagare le pratiche d’uso dei nuovi media da parte dei giovani americani.Si conclude dopo tre anni con la pubblicazione del report di ricerca il Digital Youth Project: una delle più vaste ed interessanti ricerche volta ad indagare le pratiche d’uso dei nuovi media da parte dei giovani americani.

Ieri, come anticipato da Mimi Ito a Copenaghen, è stato pubblicato il report relativo al Digital Youth Project. L’obiettivo del progetto di ricerca è comprendere le pratiche d’uso dei new media fra i giovani americani.
Pur affrontando una tematica tutt’altro che inedita, il Digital Youth Project è un progetto piuttosto unico nel suo genere per ambizione e dimensioni. Una ricerca etnografica in grande scala (800 giovani e giovani adulti intervistati ed un totale di oltre 5000 ore di osservazione online) che ha coinvolto un team di 28 ricercatori in tutti gli Stati Uniti (mi piace ricordare la presenza dell’italiano Matteo Bittanti). Il progetto è stato reso possibile dalla mai abbastanza lodata MacArthur Foundation nell’ambito del programma Digital Media and Learning.
I risultati della ricerca saranno pubblicati in un volume edito da MiT Press e intitolato Hanging Out, Messing Around, Geeking Out: Living and Learning with New Media. L’uscita è prevista per la seconda parte del 2009.
Il report della ricerca (che altro non è che la bozza del libro) è tuttavia già disponibile da ieri sul sito del progetto insieme ad un paio di documenti che riassumono i principali risultati ottenuti (two-page summary of the report, summary white paper – poco più di 50 pagine).
Uno dei punti interessanti che mi pare emerga è la distinzione fra partecipazione guidata dall’amicizia e partecipazione guidata dall’interesse.
Secondo quanto emerge da questa ricerca, la maggior parte dei giovani americani usano la rete per intensificare il rapporto che hanno con persone che già conoscono. Telefoni cellulari ed Internet (in particolare messaggistica istantanea e siti di social network) contribuiscono a ristrutturare la relazione con i pari che diventa “always on” ed ha luogo nell’inedito spazio “pubblico di rete”. A questa partecipazione guidata dall’amicizia (assimilata al divertirsi con gli amici o “hang out”) viene contrapposto un tipo diverso di partecipazione legata all’interesse.
Una parte meno cospicua di questi giovani usa infatti questi strumenti per creare e gestire nuove relazioni in ambiti verso i quali nutrono specifici interessi. Spesso, e soprattutto nelle zone rurali, Internet diventa un mezzo per estendere la rete di interesse oltre la propria comunità locale o scolastica. Il caso trattato da Mimi Ito relativo alla comunità che produce i sotto-titoli degli anime giapponesi è esemplare in questo senso. Questa estensione mirata della propria rete di contatti avviene sia al momento della produzione di contenuti, sia all’atto della pubblicazione e distribuzione di questi stessi contenuti.
In entrambi i casi l’approccio all’apprendimento è destrutturato, basato su prove ed errori (“messing around”) e trae giovamento dal feedback che è possibile ricevere in rete dagli altri. Un modo di apprendere in autonomia molto diverso da quello proposto dalle istituzioni educative.
Quando l’interesse verso un tema supera una certa soglia può portare allo sviluppo di relazioni particolari con comunità di utenti esperti (“geek out”). Anche in questo caso si tratta di un’attività profondamente sociale e tutt’altro che solitaria (come di solito si pensa in relazione alla parola geek o peggio nerd). L’obiettivo è quello di migliorare le proprie conoscenze ed acquisire una reputazione nella comunità degli esperti. In queste comunità la relazione con gli eventuali adulti che partecipano è legata dalle capacità e della reputazione del singolo presso la comunità e non dall’età, dallo status o dal ruolo sociale. In un certo senso dentro queste comunità geek ognuno deve conquistare la sua reputazione da zero senza poter capitalizzare il suo status acquisito altrove.
In definitiva mi sembra un report tutto da leggere che sistematizza in modo interessante alcune idee non del tutto inedite.
Potete farvi approfondire e farvi un’idea da soli.
Questa è il sommario:
Notes on the Text
Acknowledgments
Introduction
Media Ecologies Lead Authors: Heather A. Horst, Becky Herr-Stephenson, and Laura Robinson
Friendship Lead Author: danah boyd
Intimacy Lead Author: C.J. Pascoe
Families Lead Author: Heather A. Horst
Gaming Lead Authors: Mizuko Ito and Matteo Bittanti
Creative Production Lead Authors: Patricia G. Lange and Mizuko Ito
Work Lead Author: Mizuko Ito
Conclusion
Bibliography
Buona lettura 🙂
P.S. Questa settimana, visto il digiuno di quella precedente, doppia razione di What’s next. Domani sera o sabato mattina pubblicherò infatti un post con le slide del mio intervento al RomeCamp durante il quale presenterò alcuni risultati dello studio comparativo fra Facebook e Badoo in Italia.

Ieri, come anticipato da Mimi Ito a Copenaghen, è stato pubblicato il report relativo al Digital Youth Project. L’obiettivo del progetto di ricerca è comprendere le pratiche d’uso dei new media fra i giovani americani.

Pur affrontando una tematica tutt’altro che inedita, il Digital Youth Project è un progetto piuttosto unico nel suo genere per ambizione e dimensioni. Una ricerca etnografica in grande scala (800 giovani e giovani adulti intervistati ed un totale di oltre 5000 ore di osservazione online) che ha coinvolto un team di 28 ricercatori in tutti gli Stati Uniti (mi piace ricordare la presenza dell’italiano Matteo Bittanti). Il progetto è stato reso possibile dalla mai abbastanza lodata MacArthur Foundation nell’ambito del programma Digital Media and Learning.

I risultati della ricerca saranno pubblicati in un volume edito da MiT Press e intitolato Hanging Out, Messing Around, Geeking Out: Living and Learning with New Media. L’uscita è prevista per la seconda parte del 2009.

Il report della ricerca (che altro non è che la bozza del libro) è tuttavia già disponibile da ieri sul sito del progetto insieme ad un paio di documenti che riassumono i principali risultati ottenuti (two-page summary of the report, summary white paper – poco più di 50 pagine).

Uno dei punti interessanti che mi pare emerga è la distinzione fra partecipazione guidata dall’amicizia e partecipazione guidata dall’interesse.

Secondo quanto emerge da questa ricerca, la maggior parte dei giovani americani usano la rete per intensificare il rapporto che hanno con persone che già conoscono. Telefoni cellulari ed Internet (in particolare messaggistica istantanea e siti di social network) contribuiscono a ristrutturare la relazione con i pari che diventa “always on” ed ha luogo nell’inedito spazio “pubblico di rete”. A questa partecipazione guidata dall’amicizia (assimilata al divertirsi con gli amici o “hang out”) viene contrapposto un tipo diverso di partecipazione legata all’interesse.

Una parte meno cospicua di questi giovani usa infatti questi strumenti per creare e gestire nuove relazioni in ambiti verso i quali nutrono specifici interessi. Spesso, e soprattutto nelle zone rurali, Internet diventa un mezzo per estendere la rete di interesse oltre la propria comunità locale o scolastica. Il caso trattato da Mimi Ito relativo alla comunità che produce i sotto-titoli degli anime giapponesi è esemplare in questo senso. Questa estensione mirata della propria rete di contatti avviene sia al momento della produzione di contenuti, sia all’atto della pubblicazione e distribuzione di questi stessi contenuti.

In entrambi i casi l’approccio all’apprendimento è destrutturato, basato su prove ed errori (“messing around”) e trae giovamento dal feedback che è possibile ricevere in rete dagli altri. Un modo di apprendere in autonomia molto diverso da quello proposto dalle istituzioni educative.

Quando l’interesse verso un tema supera una certa soglia può portare allo sviluppo di relazioni particolari con comunità di utenti esperti (“geek out”). Anche in questo caso si tratta di un’attività profondamente sociale e tutt’altro che solitaria (come di solito si pensa in relazione alla parola geek o peggio nerd). L’obiettivo è quello di migliorare le proprie conoscenze ed acquisire una reputazione nella comunità degli esperti. In queste comunità la relazione con gli eventuali adulti che partecipano è legata dalle capacità e della reputazione del singolo presso la comunità e non dall’età, dallo status o dal ruolo sociale. In un certo senso dentro queste comunità geek ognuno deve conquistare la sua reputazione da zero senza poter capitalizzare il suo status acquisito altrove.

In definitiva mi sembra un report tutto da leggere che sistematizza in modo interessante alcune idee non del tutto inedite.

Potete farvi approfondire e farvi un’idea da soli.

Questa è il sommario:

Notes on the Text
Acknowledgments
Introduction
Media Ecologies Lead Authors: Heather A. Horst, Becky Herr-Stephenson, and Laura Robinson
Friendship Lead Author: danah boyd
Intimacy Lead Author: C.J. Pascoe
Families Lead Author: Heather A. Horst
Gaming Lead Authors: Mizuko Ito and Matteo Bittanti
Creative Production Lead Authors: Patricia G. Lange and Mizuko Ito
Work Lead Author: Mizuko Ito
Conclusion
Bibliography

Buona lettura 🙂

P.S. Questa settimana, visto il digiuno di quella precedente, doppia razione di What’s next. Domani sera o sabato mattina pubblicherò infatti un post con le slide del mio intervento al RomeCamp durante il quale presenterò alcuni risultati dello studio comparativo fra Facebook e Badoo in Italia.

Ieri, come anticipato da Mimi Ito a Copenaghen, è stato pubblicato il report relativo al Digital Youth Project. L’obiettivo del progetto di ricerca è comprendere le pratiche d’uso dei new media fra i giovani americani.

Pur affrontando una tematica tutt’altro che inedita, il Digital Youth Project è un progetto piuttosto unico nel suo genere per ambizione e dimensioni. Una ricerca etnografica in grande scala (800 giovani e giovani adulti intervistati ed un totale di oltre 5000 ore di osservazione online) che ha coinvolto un team di 28 ricercatori in tutti gli Stati Uniti (mi piace ricordare la presenza dell’italiano Matteo Bittanti). Il progetto è stato reso possibile dalla mai abbastanza lodata MacArthur Foundation nell’ambito del programma Digital Media and Learning.

I risultati della ricerca saranno pubblicati in un volume edito da MiT Press e intitolato Hanging Out, Messing Around, Geeking Out: Living and Learning with New Media. L’uscita è prevista per la seconda parte del 2009.

Il report della ricerca (che altro non è che la bozza del libro) è tuttavia già disponibile da ieri sul sito del progetto insieme ad un paio di documenti che riassumono i principali risultati ottenuti (two-page summary of the report, summary white paper – poco più di 50 pagine).

Uno dei punti interessanti che mi pare emerga è la distinzione fra partecipazione guidata dall’amicizia e partecipazione guidata dall’interesse.

Secondo quanto emerge da questa ricerca, la maggior parte dei giovani americani usano la rete per intensificare il rapporto che hanno con persone che già conoscono. Telefoni cellulari ed Internet (in particolare messaggistica istantanea e siti di social network) contribuiscono a ristrutturare la relazione con i pari che diventa “always on” ed ha luogo nell’inedito spazio “pubblico di rete”. A questa partecipazione guidata dall’amicizia (assimilata al divertirsi con gli amici o “hang out”) viene contrapposto un tipo diverso di partecipazione legata all’interesse.

Una parte meno cospicua di questi giovani usa infatti questi strumenti per creare e gestire nuove relazioni in ambiti verso i quali nutrono specifici interessi. Spesso, e soprattutto nelle zone rurali, Internet diventa un mezzo per estendere la rete di interesse oltre la propria comunità locale o scolastica. Il caso trattato da Mimi Ito relativo alla comunità che produce i sotto-titoli degli anime giapponesi è esemplare in questo senso. Questa estensione mirata della propria rete di contatti avviene sia al momento della produzione di contenuti, sia all’atto della pubblicazione e distribuzione di questi stessi contenuti.

In entrambi i casi l’approccio all’apprendimento è destrutturato, basato su prove ed errori (“messing around”) e trae giovamento dal feedback che è possibile ricevere in rete dagli altri. Un modo di apprendere in autonomia molto diverso da quello proposto dalle istituzioni educative.

Quando l’interesse verso un tema supera una certa soglia può portare allo sviluppo di relazioni particolari con comunità di utenti esperti (“geek out”). Anche in questo caso si tratta di un’attività profondamente sociale e tutt’altro che solitaria (come di solito si pensa in relazione alla parola geek o peggio nerd). L’obiettivo è quello di migliorare le proprie conoscenze ed acquisire una reputazione nella comunità degli esperti. In queste comunità la relazione con gli eventuali adulti che partecipano è legata dalle capacità e della reputazione del singolo presso la comunità e non dall’età, dallo status o dal ruolo sociale. In un certo senso dentro queste comunità geek ognuno deve conquistare la sua reputazione da zero senza poter capitalizzare il suo status acquisito altrove.

In definitiva mi sembra un report tutto da leggere che sistematizza in modo interessante alcune idee non del tutto inedite.

Potete farvi approfondire e farvi un’idea da soli.

Questa è il sommario:

Notes on the Text
Acknowledgments
Introduction
Media Ecologies Lead Authors: Heather A. Horst, Becky Herr-Stephenson, and Laura Robinson
Friendship Lead Author: danah boyd
Intimacy Lead Author: C.J. Pascoe
Families Lead Author: Heather A. Horst
Gaming Lead Authors: Mizuko Ito and Matteo Bittanti
Creative Production Lead Authors: Patricia G. Lange and Mizuko Ito
Work Lead Author: Mizuko Ito
Conclusion
Bibliography

Buona lettura 🙂

P.S. Questa settimana, visto il digiuno di quella precedente, doppia razione di What’s next. Domani sera o sabato mattina pubblicherò infatti un post con le slide del mio intervento al RomeCamp durante il quale presenterò alcuni risultati dello studio comparativo fra Facebook e Badoo in Italia.

Insegnare ai "nativi" nello spazio mediato di rete

Solo per segnalare che Indire ha pubblicato un mio breve articolo che presenta il progetto Taccle (Teachers’ Aids on Creating Content for Learning Environments) di cui avevo parlato qualche tempo fa.

L’articolo riprende alcuni dei discorsi che avevo fatto durante l’Unconventional Conference organizzata qualche mese fa da alcuni studenti della Facoltà di Economia di uniurb.

P.S. Approfito per ringraziare Carlo Daniele per il bel lavoro di realizzazione del template di Joomla del sito Taccle.eu.

Le convenzioni dei nativi nello spazio mediato di rete

Appena tornato dall’unconventional conference.
Lo staff non convenzionale è stato delizioso ed efficiente. Mi sembra quindi doveroso ringraziare loro per l’invito e per l’impegno che hanno saputo dedicare alla realizzazione di un evento a cui credevano profondamente.
Non so se l’Università di Urbino si renda pienamente conto di quanto bene facciano eventi del genere fatti dagli studenti per gli studenti ma visto che il supporto economico per la realizzazione dell’unconventional conference arriva dai fondi che l’ateneo dedica alle attività studentesche mi sembra giusto dedicare anche allo staff istituzionale di uniurb un piccolo ringraziamento.
Dopo l’inquadramento della tematica “Marketing non Convenzionale” ad opera del Prof. Pencarelli (docente di strategia d’impresa alla Facoltà di Economia) e del Prof. Fluvio Fortezza (docente di Marketing all’Università di Ferrara), Valentina Tolomelli (Web Community Manager – Ducati Motor Holding) ha illustrato il caso di Desmoblog (il blog/community di Ducati). Mi sarebbe piaciuto avere più tempo per chiedere a Valentina di raccontare gli aspetti critici dell’esperienza di Ducati. Una domanda in questo senso c’è stata ma purtroppo il tempo per la risposta non è stato sufficiente per sviscerare l’argomento come mi sarebbe piaciuto. Forse la conversazione proseguita durante il coffee break cui ho dovuto rinunciare per provare la presentazione che avrei usato subito dopo la pausa. Ci sarà di sicuro un’altra occasione.
Dopo il mio intervento di cui parlerò in coda è stato il turno del Prof. Laerte Sorini che ha descritto la nuova piattaforma di Web TV che sarà messa a disposizione dell’Università dalla Facoltà di Economia a partire dal prossimo anno. L’intervento purtroppo è stato funestato da problemi tecnici ma da quello che sono riuscito a capire (correggetemi se sbaglio), la piattaforma (mostrata in locale) è la stessa utilizzata dalla Technogym per la sua esperienza di WebTV di cui ho sentito parlare ma non sono riuscito a trovare traccia in rete. L’interfaccia del prodotto sembra ben studiata ma non ho capito bene quale siano i contenuti che si intende veicolare. Mi sarei aspettato maggiori dettagli da questo punto di vista. La mancanza di una strategia sui contenuti non mi fa sperare nulla di buono sul futuro di questo, per altri versi encomiabile, progetto. Il rischio cattedrale nel deserto mi sembra alto ma se Laerte è in ascolto mi farebbe piacere sentire il suo parere su questo tema.
A seguire l’attesissimo Alex Giordano (Docente di Marketing creativo, co-fondatore di NinjaMarketing.it e co-autore di “Marketing non Convenzionale – Viral, Guerrilla, Tribal e i 10 principi fondamentali del marketing postmoderno”) è entrato nello specifico del tema della conferenza mostrano diversi casi interessanti (tipo il famoso video virale Ronaldinho: Touch of Gold) collegati ad alcuni dei principi fondamentali di cui tratta il libro (almeno questo è quello che ho dedotto io anche se mi sembra che la cosa sia stata detta esplicitamente). Dietro l’intervento, volutamente leggero ed in gran parte dedicato a mostrare i casi, ho avuto la sensazione che vi fossero delle interessanti riflessioni teoriche. Durante il pranzo ho inoltre scoperto che Alex ha collaborato al progetto Luther Blissett da cui poi è nata la Wu Ming Foundation.
Infine Marco Bruns (Fondatore e Presidente A-Style) ha presentato il suo caso e descritto come la sua azienda sia passato da essere un logo (seppur geniale) ad essere un business da decine di milioni di euro di fatturato. Nel percorso che va dagli adesivi costati qualche centinaia di euro attaccati sui pali dei semafori di Milano alla sponsorizzazione di due gran premi del motomonidiale c’è una storia fatta di esperienza di marketing non convenzionale ai limiti della legalità che Marco ha saputo ben raccontare con l’entusiasmo di chi ha vissuto tutto questo da protagonista.
Anche se il marketing convenzionale o no che sia non è il mio settore devo dire che mi sono divertito e ascoltato diverse cose che non conoscevo.
Il mio intervento è stato dedicato come da titolo a descrivere le convenzioni dei nativi nello spazio mediato di rete. Partendo da un titolo come questo ho deciso di soffermarmi su due aspetti. Chi sono i nativi e cos’è lo spazio mediato di rete. Il tutto, per chi fosse interessato, è riassunto nelle presentazione che segue.

Durante l’intervento ho mostrato questo video che ha riscosso applausi a scena aperta dalla platea. Avrei potuto anche mostrare quest’altro video ma visto che era stato presentato di recente da Luca Conti al seminario di Web 2.0 101 ho preferito trovare qualcosa di alternativo.
Oltre al video mi preme dare il giusto tributo a tutte le fonti che ho utilizzato:

Tutte le fotografie ed immagini usate nella presentazione sono tratte da Flickr (fra quelle con licenza creative commons) o realizzate ad hoc. Le vignette sono invece tratte da gapinvoid e xkcd.
P.S. Già che ci sono ringrazio anche lukval che con il suo commento al blog dei ninja mi ha dato un fantastico spunto per esemplificare le proprietà dello spazio mediato di rete.

Un learning object per creare learning object

È più o meno questo l’obiettivo del progetto biennale Taccle (Teachers’ Aids on Creating Content for Learning Environments) nel quale sono coinvolto come rappresentante del centro di ricerca e sviluppo sull’eLearning di uniurb.
Nello specifico il progetto prevede la creazione di un libro di circa 150 pagine, di un sito web (nella forma di un wiki) e di un pilot course (4 giorni intorno ad aprile 2009) nel quale i materiali didattici verranno testati.
Il primo meeting si è svolto la scorsa settimana a Bruxelles ed ha già prodotto i primi risultati fra cui l’analisi SWOT del progetto, la definizione dei criteri per l’analisi dei bisogni del target group (docenti), la scaletta del libro, le piattaforme ed i criteri di collaborazione e promozione (Yahoo!Groups, Wikimedia, Joomla, del.icio.us e Moodle per il pilot course).
Vorrei potervi svelare nei dettagli la scaletta del libro (in tutto lo splendore della mindmap realizzata con FreeMind) ma non credo di essere autorizzato a farlo.
Penso però di poter condividere lo schema dei capitoli:

  • Introduction [5 pags]
  • Learning Environments [18 pags]
  • Pedagogical aspects [18 pags]
  • Learning Objects [66 pags]
  • Teaching in a networked space [18 pags]
  • Glossary [3 pags]
  • References [3 pags]

Vi tengo informati sullo sviluppo del progetto. Lo spirito è quello della massima apertura a collaborazioni esterne quindi qualsiasi commento, suggerimento o opportunità di collaborazione è assolutamente benvenuto.

P.S. Jens Vermeersch, responsabile del progetto, ha organizzato un meeting ineccepibile non solo dal punto di vista lavorativo, ma anche da quello sociale. In particolare se passate da Bruxelles e cercate un ristorante non potete perdervi il Viva m‘Boma, il fast food salutista Exki e sopratutto il delizioso Arrière Cuisine.

 

 

Floria1405 dice che non ne so di blog

Commentando questo pezzo scritto anni fa per il portale di Indire (si tratta di una sintesi di un materiale didattico completo di riferimenti bibliografici che mi avevano chiesto di produrre con tema la cultura di rete rivolto ai docenti in formazione). Nel post si afferma essenzialmente che in quell’articolo avrei usato un linguaggio troppo difficile perchè non sarei padrone dell’argomento ma la cosa che più mi interessa è una parte che riguarda il farsi media

Ma la cosa che più mi ha colpito è questa: io, in quanto autrice di blog, ambirei a farmi media. Anzi, più precisamente, mass media. Uh uh, che libidine: sono un’aspirante televisione e non lo sapevo.  Peccato che non si prenda in considerazione l’ipotesi speculare, ovvero quanto la logica comunicativa dei media tradizionali possa essere influenzata da un modo diverso di proporre contenuti, dal basso. E peccato che non si consideri il fatto che ad esempio la sottoscritta, con la sua media non eccelsa di accessi, non possa pretendere altro ruolo se non quello di testimone. Io, qui, non faccio comunicazione (o meglio, faccio comunicazione a scuola, quando spiego, proponendo e filtrando nozioni e informazioni). Io, qui, testimonio un’esperienza. La mia. Che, in quanto strettamente individuale e non riducibile sic et simpliciter ad una semplificazione e generalizzazione statistiche, non è presa in considerazione altrove. Insomma: siccome i media non mi rappresentano (non mi rappresentano come donna, come madre di famiglia, come intellettuale, come insegnante) io utilizzo questo strumento (il blog) per rivendicare un’ identità altrimenti negata e sminuita. Non so se questo significhi ambire a farsi media. Di certo vuol dire contrapporsi ai media tradizionali come Davide a Golia.

In realtà la tendenza al Farsi Media non è un’ambizione ma un processo che si inneseca quando qualcuno usa un mezzo di comunicazione di massa dalla parte del produttore dei contenuti. Ovvero produce dei contenuti senza poter sapere con precisione chi ne fruirà. Questa è una caratteristica propria delle conversazioni online ma non solo. Funziona così per chi scrive libri, per i giornalisti e per tutte quelle categorie che, appunto, “conversano con le masse”.
Ora uno degli aspetti interessanti del Farsi Media è che, per la prima volta nella storia, uno strato ampio della popolazione mondiale, ha accesso ai mezzi di comunicazione di massa. E’ difficile prevedere le conseguenze di questo accesso di massa ai mezzi di comunicazione di massa ma è possibile sicuramente immaginare ipotetici effetti sul piano del sociale, su quello individuale e su quello relazionale (per chi non conoscesse questa terminologia suggerisco la lettura di i media mondo). Il pezzo che ho scritto per Indire si riferiva alle possibili conseguenze sul piano individuale. Ovvero a cosa può comportare, nel lungo periodo, questo processo rispetto alla costruzione dell’identità dell’individuo in relazione alle tecnologie.
L’ipotesi è che l’esperienza del Farsi Media possa ben esemplificare la natura autoreferenziale del processo comunicativo poichè l’autore del blog conversa con l’immagine che si è auto-costruito del suo pubblico. Fare pratica di questa forma di riflessività non è banale e può far emergere una consapevolezza del rapporto fra identità propria ed ambiente. Per dirla con Hofstadter, ci aiuta a capire che siamo degli strani anelli. Questa capacità (anche detta metacognizione) è considerata da alcune prospettive pedagogiche fra gli skills essenziali alla base dei processi di apprendimento.
Detto questo, preciso che quello che a me più interessa non sono tanto gli aspetti individuali quanto quelli sociali.
Ovvero come cambierà in seguito al Farsi Media il rapporto fra cittadini e istituzioni? Come cambierà il rapporto fra aziende e consumatori? Come co-evolveranno i media mainstream e i media non mainstream?
Proprio per questo a me interessano le conversazioni dal basso 🙂

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Etnografia digitale

Dopo l’incredibile successo del video The Machine is Us/Ing Us rilasciato in versione definitiva l’8 Marzo (consiglio di vedere questa nuova versione anche a chi ha già visto la seconda bozza del 31 gennaio), il Prof. Wesch della Kansas State University ha lanciato un nuovo progetto chiamato semplicemente YouTube Ethnography Project.
Lo scopo è riflettere sulle potenzialità e limiti dell’approccio etnografico applicato a YouTube ed è presentato in questo video.

Ogni studente è responsabile di un sotto-progetto:

Anche se i temi di ricerca degli studenti non mi sembrano nulla di particolarmente straordinario, l’idea complessiva è un fanstatico esempio di quelle nuove forme di ricerca e di didattica che lo spazio del web rende possibili.
Da tenere d’occhio.

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UWiC Lab Blog

Ok forse è giunto il momento di svelare qualcosa in più sul progetto di collaborazione cui avevo accennato alcuni post fa.

vpn by matt

Il progetto Urbino Wireless Campus ha numerosi aspetti estremamente interessanti ma uno, visto il mio background, mi sta particolarmente a cuore. Penso infatti si tratti di una formidabile occasione per studiare l’impatto sociale di un accesso mobile alla rete Internet e di una forma di connettività diffusa e libera all’interno dello spazio wireless interno della rete UWiC. Si tratta del resto, nel mio percorso personale, di un logico sviluppo di quanto avevamo fatto con il No Paper Project nell’ormai lontano 2001.

Per questo ho intenzione di dedicare parte del mio tempo e delle mie energie a cercare e sviluppare opportunità di collaborazione fra la Facoltà di Sociologia ed il team che lavora all’implementazione del Wireless Campus.

Il primo passo in questa direzione ha la forma di un progetto di tesi sul MKTG via Blog (ideata da Giuseppe Tempestini, studente di Scienze della Comunicazione meglio noto come autore di Miraloswallabies) ispirato dalla lettura di Naked Conversations e l’aspetto di un blog.

Questo blog è dunque un diario pubblico che racconta lo sviluppo di un progetto che, ne sono convinto, cambierà in modo significativo la vita quotidiana di studenti, docenti e personale dell’Università e potrà essere, anche in futuro, un punto di riferimento per progetti analoghi che riguarderanno di certo altre città italiane (e forse di questi progetti parlerà anche). 

Ma in realtà c’è dell’altro…

Il racconto, come ogni blog che si rispetti, passa per la straordinaria quotidianità dell’UWiC Lab. Un’ambiente sociale con i suoi personaggi, il suo linguaggio e le sue regole che rappresenta al tempo stesso la fonte di ispirazione e l’orizzonte spaziale entro il quale l’osservatore/autore del blog, si muove con il fare un pò alieno dell’aspirante antropologo.

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Vintage Computer TV Ads

Harry McCracken (parente di Zak?) di PC World ha pubblicato un fantastico articolo che ripercorre la storia del personal computer attraverso spot televisivi che vanno dai primi anni 80 ai giorni nostri.

Tutti i video sono pubblicati su YouTube e rappresentano una vera e propria miniera di informazioni per comprendere come l’home computer sia entrato nelle nostre case presentandosi come uno strumento in grado di unire il gioco all’educazione in aperta contrapposizione con l’idea del computer come strumento di lavoro.

School of the Future

Un titolo roboante per presentare l’omonima iniziativa frutto dell’accordo fra Microsoft ed il distretto scolastico di Philadelphia.

Il 7 settembre, a tre anni dall’inizio del progetto, ha infatti aperto i battenti questa nuova scuola progettata per essere innovativa tanto dal punto di vista dell’architettura e delle tecnologie utilizzate quanto da quello dei processi di apprendimento.

Cercando di andare oltre l’ovvia patina auto-promozionale dell’iniziativa ho trovato alcuni materiali veramente interessanti come questa presentazione (ppt 1714 kb) dell’iniziativa che illustra nel dettaglio il processo decisionale, le fasi del progetto, l’analisi costi benefici e molto altro.

In generale tutta l’iniziativa andrebbe osservata, al di là della sua specificità, come un buon esempio pratico di come implementare tecnologie in una realtà scolastica.

Ovviamente, dal punto di vista della ricerca, si tratta inoltre di una straordinaria opportunità per indagare l’impatto di un ambiente ad alta disponibilità tecnologica sui processi di apprendimento.