Modernity 2.0 a Urbino con danah boyd

Dal 29 giugno al 5 luglio si terrà ad Urbino, per la prima volta in Italia, la nona conferenza mondiale di sociocibernetica. La conferenza che verrà come protagonisti ricercatori provenienti da tutto il mondo è dedicato a riflettere sull’impatto dei social media sulla nostra società.Dal 29 giugno al 5 luglio si terrà ad Urbino, per la prima volta in Italia, la nona conferenza mondiale di sociocibernetica. La conferenza che verrà come protagonisti ricercatori provenienti da tutto il mondo è dedicato a riflettere sull’impatto dei social media sulla nostra società.Dal 29 giugno al 5 luglio si terrà ad Urbino, per la prima volta in Italia, la nona conferenza mondiale di sociocibernetica. La conferenza che verrà come protagonisti ricercatori provenienti da tutto il mondo è dedicato a riflettere sull’impatto dei social media sulla nostra società.

Ho il piacere di annunciare oggi un progetto al quale sto lavorando da tempo ma di cui non ho mai parlato fino a questo momento qui.
Da alcuni mesi il LaRiCA sta collaborando attivamente con i colleghi dell’RC51 dell’International Sociological Association all’organizzazione della nona conferenza mondiale di socio-cibernetica che avremo il piacere di ospitare dal 29 giugno al 5 luglio ad Urbino.
Il tema scelto è l’impatto dei social media sulla nostra società. Con il termine social media si fa riferimento a tutti quelli spazi della comunicazione supportati dalle recenti tecnologie internet che consentono di produrre e diffondere contenuti (testi, video, audio, etc.) in rete a costi contenuti. L’abbassamento dei costi legati alla produzione e diffusione di questi contenuti ha democratizzato l’accesso alla comunicazione da uno a molti un tempo riservati ai professionisti del settore. La produzione spesso collaborativa di questi contenuti e l’esposizione ai contenuti prodotti dai pari sta cambiano la dieta mediale degli individui e incrinando i rapporti di potere consolidati all’interno della società (nelle famiglie, nelle scuole, fra imprese e consumatori, fra cittadini ed istituzioni, fra giornalisti e lettori).
Esempi di social media sono dunque i blog, YouTube e Facebook.
Modernity 2.0 è dedicata a riflettere in una prospettiva socio-cibernetica su come e se la disponibilità di queste tecnologie sta cambiando le persone e la nostra società.
La conferenza è un evento inedito in Italia per dimensione, tematiche e rilevanza dei relatori proposti.
La call for paper ha infatti attratto proposte di intervento provenienti da tutto il mondo. Fra queste sono stati selezionati cinquantuno papers suddivisi poi nelle seguenti aree tematiche: “Cultura convergente e Pubblici connessi”, “Media, politica e potere”, “Metodologie emergenti”, “Studi di media comparati”.
Fra i paper verso i quali nutro maggiormente attesa segnalo un paio di casi di studio su Obama ed un inedito Bebbe Grillo osservato dagli Stati Uniti (Alberto Pepe, University of California Los Angeles e Corinna di Gennaro, Harvard University).  Mi incuriosice inoltre parecchio Structure and Dynamics of Indonesian Blogger Community in Virtual Space di Adi Nugroho Onggoboyo. Se siete curiosi potete cmq leggere tutti gli abstract nella pagina papers del sito ufficiale del convegno.
Si ritroveranno ad Urbino ricercatori che studiano questo fenomeno provenienti da tutto il mondo: Messico, Armenia, Austria, UK, Lettonia, Svezia, Bolivia, Stati Uniti, Germania, Olanda, Canada, Spagna, Indonesia, Danimarca, Brasile, Argentina ed ovviamente Italia.
A completare il programma ci sono due ospiti invitati che nei loro rispettivi settori sono comunemente considerati fra i massimi esperti dalle rispettive comunità accademiche.
danah boyd (Microsoft Research New England)
Ricercatrice presso Microsoft Research New England e Fellow dell’Harvard Berkman Center for Internet and Society. PhD presso la School of Information at UC-Berkeley con una tesi intitolata “Taken Out of Context: American Teen Sociality in Networked Publics” nella quale ha esaminato il ruolo giocato dai siti di social network come MySpace e Facebook nella vita quotidiana e sulle relazioni social dei teenagers americani. Presso il Berkman Center, danah ha co-diretto l’Internet Safety Technical Task Force il suo scopo è identificare potenziali soluzioni per favorire un uso sicuro della rete da parte dei bambini.

Giuseppe O. Longo (Università degli Studi di Trieste)
Giuseppe O. Longo è ordinario di Teoria dell’informazione alla Facoltà d’Ingegneria dell’Università di Trieste. Ha introdotto in Italia la teoria dell’informazione. Attualmente si occupa soprattutto di epistemologia, di intelligenza artificiale, di problemi della comunicazione e delle conseguenze sociali dello sviluppo tecnico, in particolare di robo-etica, pubblicando articoli su riviste specializzate e svolgendo un’intensa attività di conferenziere. Su questi temi ha tenuto numerose relazioni, ha partecipato a convegni e congressi e ha pubblicato i saggi “Il nuovo Golem: come il computer cambia la nostra cultura” (Laterza, 1998, 4a edizione 2003), “Homo Technologicus” (Meltemi, Roma, 2001, 2a edizione 2005) e “Il simbionte: prove di umanità futura” (Meltemi, Roma, 2003). E’ stato traduttore per le case editrici Boringhieri e Adelphi (15 libri dall’inglese e dal tedesco, tra cui opere di Gregory Bateson, Marvin Minsky, Douglas Hofstadter, Iräneus Eibl-Eibesfeld) e nel 1991 ha vinto il premio “Monselice” per la traduzione scientifica.
La conferenza è organizzata da un comitato internazionale presieduto dal Prof. Bernard Scott (Cranfield University Defence Academy e Presidente della sezione RC51 dell’ISA – International Sociological Association dedicata alla socio-cibernetica). Il comitato è composto da membri dell’RC51 e da docenti e ricercatori del laboratorio di Ricerca LaRiCA dell’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”.
La registrazione per la conferenza chiude domenica 24 maggio.
Potete registrarvi o leggere i nomi delle persone che intendono partecipare a http://rc51.eventbrite.com/.

Ho il piacere di annunciare oggi un progetto al quale sto lavorando da tempo ma di cui non ho mai parlato fino a questo momento qui.

Da alcuni mesi il LaRiCA sta collaborando attivamente con i colleghi dell’RC51 dell’International Sociological Association all’organizzazione della nona conferenza mondiale di socio-cibernetica che avremo il piacere di ospitare dal 29 giugno al 5 luglio ad Urbino.

Il tema scelto è l’impatto dei social media sulla nostra società. Con il termine social media si fa riferimento a tutti quelli spazi della comunicazione supportati dalle recenti tecnologie internet che consentono di produrre e diffondere contenuti (testi, video, audio, etc.) in rete a costi contenuti. L’abbassamento dei costi legati alla produzione e diffusione di questi contenuti ha democratizzato l’accesso alla comunicazione da uno a molti un tempo riservati ai professionisti del settore. La produzione spesso collaborativa di questi contenuti e l’esposizione ai contenuti prodotti dai pari sta cambiano la dieta mediale degli individui e incrinando i rapporti di potere consolidati all’interno della società (nelle famiglie, nelle scuole, fra imprese e consumatori, fra cittadini ed istituzioni, fra giornalisti e lettori).

Esempi di social media sono dunque i blog, YouTube e Facebook.

Modernity 2.0 è dedicata a riflettere in una prospettiva socio-cibernetica su come e se la disponibilità di queste tecnologie sta cambiando le persone e la nostra società.

La conferenza è un evento inedito in Italia per dimensione, tematiche e rilevanza dei relatori proposti.

La call for paper ha infatti attratto proposte di intervento provenienti da tutto il mondo. Fra queste sono stati selezionati cinquantuno papers suddivisi poi nelle seguenti aree tematiche: “Cultura convergente e Pubblici connessi”, “Media, politica e potere”, “Metodologie emergenti”, “Studi di media comparati”.

Fra i paper verso i quali nutro maggiormente attesa segnalo un paio di casi di studio su Obama ed un inedito Bebbe Grillo osservato dagli Stati Uniti (Alberto Pepe, University of California Los Angeles e Corinna di Gennaro, Harvard University).  Mi incuriosice inoltre parecchio Structure and Dynamics of Indonesian Blogger Community in Virtual Space di Adi Nugroho Onggoboyo. Se siete curiosi potete cmq leggere tutti gli abstract nella pagina papers del sito ufficiale del convegno.

Si ritroveranno ad Urbino ricercatori che studiano questo fenomeno provenienti da tutto il mondo: Messico, Armenia, Austria, UK, Lettonia, Svezia, Bolivia, Stati Uniti, Germania, Olanda, Canada, Spagna, Indonesia, Danimarca, Brasile, Argentina ed ovviamente Italia.

A completare il programma ci sono due ospiti invitati che nei loro rispettivi settori sono comunemente considerati fra i massimi esperti dalle rispettive comunità accademiche.

danah boyd (Microsoft Research New England)

Ricercatrice presso Microsoft Research New England e Fellow dell’Harvard Berkman Center for Internet and Society. PhD presso la School of Information at UC-Berkeley con una tesi intitolata “Taken Out of Context: American Teen Sociality in Networked Publics” nella quale ha esaminato il ruolo giocato dai siti di social network come MySpace e Facebook nella vita quotidiana e sulle relazioni social dei teenagers americani. Presso il Berkman Center, danah ha co-diretto l’Internet Safety Technical Task Force il suo scopo è identificare potenziali soluzioni per favorire un uso sicuro della rete da parte dei bambini.

Giuseppe O. Longo (Università degli Studi di Trieste)

Giuseppe O. Longo è ordinario di Teoria dell’informazione alla Facoltà d’Ingegneria dell’Università di Trieste. Ha introdotto in Italia la teoria dell’informazione. Attualmente si occupa soprattutto di epistemologia, di intelligenza artificiale, di problemi della comunicazione e delle conseguenze sociali dello sviluppo tecnico, in particolare di robo-etica, pubblicando articoli su riviste specializzate e svolgendo un’intensa attività di conferenziere. Su questi temi ha tenuto numerose relazioni, ha partecipato a convegni e congressi e ha pubblicato i saggi “Il nuovo Golem: come il computer cambia la nostra cultura” (Laterza, 1998, 4a edizione 2003), “Homo Technologicus” (Meltemi, Roma, 2001, 2a edizione 2005) e “Il simbionte: prove di umanità futura” (Meltemi, Roma, 2003). E’ stato traduttore per le case editrici Boringhieri e Adelphi (15 libri dall’inglese e dal tedesco, tra cui opere di Gregory Bateson, Marvin Minsky, Douglas Hofstadter, Iräneus Eibl-Eibesfeld) e nel 1991 ha vinto il premio “Monselice” per la traduzione scientifica.

La conferenza è organizzata da un comitato internazionale presieduto dal Prof. Bernard Scott (Cranfield University Defence Academy e Presidente della sezione RC51 dell’ISA – International Sociological Association dedicata alla socio-cibernetica). Il comitato è composto da membri dell’RC51 e da docenti e ricercatori del laboratorio di Ricerca LaRiCA dell’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”.

La registrazione per la conferenza chiude domenica 24 maggio.

Potete registrarvi o leggere i nomi delle persone che intendono partecipare a http://rc51.eventbrite.com/.

Ho il piacere di annunciare oggi un progetto al quale sto lavorando da tempo ma di cui non ho mai parlato fino a questo momento qui.

Da alcuni mesi il LaRiCA sta collaborando attivamente con i colleghi dell’RC51 dell’International Sociological Association all’organizzazione della nona conferenza mondiale di socio-cibernetica che avremo il piacere di ospitare dal 29 giugno al 5 luglio ad Urbino.

Il tema scelto è l’impatto dei social media sulla nostra società. Con il termine social media si fa riferimento a tutti quelli spazi della comunicazione supportati dalle recenti tecnologie internet che consentono di produrre e diffondere contenuti (testi, video, audio, etc.) in rete a costi contenuti. L’abbassamento dei costi legati alla produzione e diffusione di questi contenuti ha democratizzato l’accesso alla comunicazione da uno a molti un tempo riservati ai professionisti del settore. La produzione spesso collaborativa di questi contenuti e l’esposizione ai contenuti prodotti dai pari sta cambiano la dieta mediale degli individui e incrinando i rapporti di potere consolidati all’interno della società (nelle famiglie, nelle scuole, fra imprese e consumatori, fra cittadini ed istituzioni, fra giornalisti e lettori).

Esempi di social media sono dunque i blog, YouTube e Facebook.

Modernity 2.0 è dedicata a riflettere in una prospettiva socio-cibernetica su come e se la disponibilità di queste tecnologie sta cambiando le persone e la nostra società.

La conferenza è un evento inedito in Italia per dimensione, tematiche e rilevanza dei relatori proposti.

La call for paper ha infatti attratto proposte di intervento provenienti da tutto il mondo. Fra queste sono stati selezionati cinquantuno papers suddivisi poi nelle seguenti aree tematiche: “Cultura convergente e Pubblici connessi”, “Media, politica e potere”, “Metodologie emergenti”, “Studi di media comparati”.

Fra i paper verso i quali nutro maggiormente attesa segnalo un paio di casi di studio su Obama ed un inedito Bebbe Grillo osservato dagli Stati Uniti (Alberto Pepe, University of California Los Angeles e Corinna di Gennaro, Harvard University).  Mi incuriosice inoltre parecchio Structure and Dynamics of Indonesian Blogger Community in Virtual Space di Adi Nugroho Onggoboyo. Se siete curiosi potete cmq leggere tutti gli abstract nella pagina papers del sito ufficiale del convegno.

Si ritroveranno ad Urbino ricercatori che studiano questo fenomeno provenienti da tutto il mondo: Messico, Armenia, Austria, UK, Lettonia, Svezia, Bolivia, Stati Uniti, Germania, Olanda, Canada, Spagna, Indonesia, Danimarca, Brasile, Argentina ed ovviamente Italia.

A completare il programma ci sono due ospiti invitati che nei loro rispettivi settori sono comunemente considerati fra i massimi esperti dalle rispettive comunità accademiche.

danah boyd (Microsoft Research New England)

Ricercatrice presso Microsoft Research New England e Fellow dell’Harvard Berkman Center for Internet and Society. PhD presso la School of Information at UC-Berkeley con una tesi intitolata “Taken Out of Context: American Teen Sociality in Networked Publics” nella quale ha esaminato il ruolo giocato dai siti di social network come MySpace e Facebook nella vita quotidiana e sulle relazioni social dei teenagers americani. Presso il Berkman Center, danah ha co-diretto l’Internet Safety Technical Task Force il suo scopo è identificare potenziali soluzioni per favorire un uso sicuro della rete da parte dei bambini.

Giuseppe O. Longo (Università degli Studi di Trieste)

Giuseppe O. Longo è ordinario di Teoria dell’informazione alla Facoltà d’Ingegneria dell’Università di Trieste. Ha introdotto in Italia la teoria dell’informazione. Attualmente si occupa soprattutto di epistemologia, di intelligenza artificiale, di problemi della comunicazione e delle conseguenze sociali dello sviluppo tecnico, in particolare di robo-etica, pubblicando articoli su riviste specializzate e svolgendo un’intensa attività di conferenziere. Su questi temi ha tenuto numerose relazioni, ha partecipato a convegni e congressi e ha pubblicato i saggi “Il nuovo Golem: come il computer cambia la nostra cultura” (Laterza, 1998, 4a edizione 2003), “Homo Technologicus” (Meltemi, Roma, 2001, 2a edizione 2005) e “Il simbionte: prove di umanità futura” (Meltemi, Roma, 2003). E’ stato traduttore per le case editrici Boringhieri e Adelphi (15 libri dall’inglese e dal tedesco, tra cui opere di Gregory Bateson, Marvin Minsky, Douglas Hofstadter, Iräneus Eibl-Eibesfeld) e nel 1991 ha vinto il premio “Monselice” per la traduzione scientifica.

La conferenza è organizzata da un comitato internazionale presieduto dal Prof. Bernard Scott (Cranfield University Defence Academy e Presidente della sezione RC51 dell’ISA – International Sociological Association dedicata alla socio-cibernetica). Il comitato è composto da membri dell’RC51 e da docenti e ricercatori del laboratorio di Ricerca LaRiCA dell’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”.

La registrazione per la conferenza chiude domenica 24 maggio.

Potete registrarvi o leggere i nomi delle persone che intendono partecipare a http://rc51.eventbrite.com/.

What's next special issue: "Taken Out of Context: American Teen Sociality in Networked Publics"

Ultimo numero speciale di What’s Next dedicato a presentare e discutere “Taken Out of Context: American Teen Sociality in Networked Publics” l’ultimo lavoro di danah boyd.Ultimo numero speciale di What’s Next dedicato a presentare e discutere “Taken Out of Context: American Teen Sociality in Networked Publics” l’ultimo lavoro di danah boyd.Ultimo numero speciale di What’s Next dedicato a presentare e discutere “Taken Out of Context: American Teen Sociality in Networked Publics” l’ultimo lavoro di danah boyd.

Come promesso in dicembre, danah boyd ha pubblicato la sua tesi di dottorato sul suo blog.
Si tratta, come noto, di uno studio etnografico sull’uso che i teenager americani fanno dei siti di social network come MySpace e Facebook. Il documento si compone di poco più di 300 pagine ed è articolato in sette capitoli che definiscono in modo chiaro la struttura del lavoro descritta nel primo capitolo.
Oltre a presentare la struttura del lavoro, questo capitolo introduce anche i principali riferimenti teorici, definisce cosa si intende per giovani nel contesto del lavoro e cosa si intende per pubblici di rete (networked publics).
Dal punto di vista del rapporto fra evoluzione della società e delle tecnologie il lavoro si ispira ad un approccio di tipo Social Construction of Technology. Questo approccio enumera una serie di principi (Relevant social groups, Problems and Conflicts, Interpretive Flexibility, Design Flexibility, Closure adn Stabilization) che ruotano intorno all’idea che il rapporto fra società e tecnologia sia di tipo co-evolutivo ed al conseguente netto rifiuto di ogni prospettiva di determinismo tecnologico. Si tratta di approccio in qualche modo ecologico allo studio del rapporto società/tecnologie che consente di dare conto
Non c’è una vera e propria definizione della categoria di giovani e non c’è una chiara coorte di età individuata teoricamente (anche se dal punto di vista operativo l’autore ha scelto di concentrarsi sulla fascia 13-18 anni). La categoria dei giovani non è definita sulla base dello sviluppo biologico ma piuttosto come costruzione sociale.
Il cuore del lavoro consiste nell’analisi approfondita di tre set di relazioni, nella definizione di pubblici di rete, delle tecniche proprietà che caratterizzano questo spazio e delle dinamiche sociali che emergono. Questa parte contiene alcune interessanti novità rispetto a quanto era stato possibile leggere fino a questo momento negli articoli e sul blog dell’autore.
Neworked Publics è definito in modo duplice a partire dalla generica ed in un certo senso auto-referenziale definizione di “publics that are restructured by network technologies”.
Networked Publics è al tempo stesso un luogo ed un gruppo di individui.
1) è lo spazio costruito dalle tecnologie di rete (“MySpace is like a park”);
2) ed è la comunità immaginata che emerge come risultato delle intersezioni fra le persone, le tecnologie e le pratiche.
La definizione è giocata sull’ambiguità del termine pubblico che può essere usato per definire il tipo di accesso ad uno spazio (public access) o un gruppo di persone che sono testimoni di un evento (public as audience).
[Qui sarebbe interessante capire perché non siano state distinte le due definizioni usando ad esempio “networked space” per la prima]
Lo spazio pubblico di rete è caratterizzato da quattro proprietà tecniche (descritte nel paragrafo 1.5.1.) che non sono nuove nel panorama dei media ma interagiscono in modo inedito.
Le quattro proprietà sono:

  1. persistence
  2. searchability
  3. replicability
  4. scalability

Alcune sono già note e ne ho abbondantemente parlato nelle edizioni precedenti di What’s Next.
A differenza di quanto scritto fino ad ora, l’autore ha sostituito le invidible audiences con la scalability. La scalabilità è definita come la possibilità ma non la garanzia di una enorme visibilità per i contenuti esposti ai pubblici di rete. Questa proprietà consente all’autore di introdurre un riferimento ai pubblici di nicchia ed alla lunga coda. Interessante in questo contesto la precisazione che riguarda la natura dei contenuti che scalano. Contrariamente a quanto si era sperato i contenuti che raggiungono la massima visibilità sono spesso gli stessi che Habermas critica nei suoi lavori in relazione alle audience della comunicazione broadcast.
L’intrecciarsi di queste quattro proprietà tecniche danno origine ad un set di tre dinamiche:

  1. invisible audiences;
  2. collapsed contexts (Meyrowitz);
  3. blurring of public and private.


Il capitolo due descrive invece nel dettaglio e nel contesto degli studi precedenti l’approccio etnografico adottato.
Interessante in questo contesto la critica a Sherry Turkle considerata, forse non a torto, come l’iniziatrice di un filone di pensiero che mette in guardia verso il rischio della frammentazione dell’identità collegato alla comunicazione mediata dal computer. Le conclusioni di danah boyd puntano invece in una direzione sottolineando che le relazioni sociali che si intrattengono online sono il più delle volte una naturale prosecuzione di quelle esistenti fuori dalla rete.
I dati analizzati sono di due tipi: interviste a singoli o coppie (in totale coinvolti 94 teeanagers di 10 Stati) ed informazioni contenute nei profili (layout, foto, descrizioni di sè, etc.) e sono analizzati secondo tre direttrici (set di relazioni) ciascuna approfondite in un capitolo dedicato basato su riferimenti teorici diversi:

  1. self and identity [chapter 4] Goffman impression management;
  2. peer sociality [chapter 5] – Eckert social categories 1989 e Milner status rituals 2004;
  3. parents and adults (power relations) [chapter 6] – Valentine 2004 children access to public spaces.

L’ultimo capitolo è dedicato alle conclusioni personali dell’autore e si articola su tre paragrafi: Lessons from the Everyday Lives of Teens, The Significance of Publics e The Future of Networked Publics. In questi tre paragrafi sono riprese e sviluppate brevemente alcune delle conclusioni che permeano tutto il lavoro e vengono forniti alcuni spunti nuovi.
In Everyday Lives of Teen l’autore mette in luce come le pratiche di costruzione dell’identità e di relazioni fra pari che hanno luogo nei siti di social network non sono di certo una novità e si innestano su dinamiche pre-esistenti. Al tempo stesso lo spazio di rete con le sue proprietà e dinamiche rende esplicite e visibili alcune proprietà delle relazione che erano prima esplicite. Questo innesca “drammi sociali” che pur essendo tipici di quella fascia d’età assumono a volte dei contorni ancora più spigolosi.
Non esiste una particolare attrazione dei giovani verso i social media, è invece il fatto che in questi luoghi si possano incontrare i propri amici che li rendono interessanti. Quando richiesto la maggior parte degli intervistati dichiara di preferire le relazioni di persona a quelle mediate e considerano in genere questa forma di comunicazione come una alternativa da praticare quando gli incontri di persona non sono possibili.
I giovani non sembrano avere una innata capacità che gli consenta di comprendere come navigare i social media e le dinamiche che ne risultano ma stanno imparando a farlo mentre imparano, al tempo stesso, come muoversi nella vista sociale in senso lato. Questo differenzia i giovani dagli adulti che devono invece re-imparare come comportarsi negli spazi di rete.
L’attività svolta dentro i siti di social network è dunque in senso lato formativa a dispetto di quanto invece sia considerata una perdita di tempo da parte dei genitori e degli adulti in generale. Il desiderio dei giovani di sperimentare la socialità fra pari in assenza degli adulti (bedroom culture) è spesso causa di conflitto intergenerazionale. Talvolta questo conflitto sfocia nella demonizzazione tout court di questi spazi spesso descritti dai media come pericolosi. Il ruolo degli adulti sarebbe invece quello di affrontare questi temi ed aiutare i giovani a prendere decisioni che consentano loro di usare questi spazi in chiave positiva.
Nel paragrafo The Significance of Publics, l’autore riprende il tema della partecipazione dei teenagers agli spazi pubblici. Secondo danah boyd queste possibilità di partecipazione sono fortemente ristrette dagli adulti. Gli spazi pubblici (di rete o meno), intesi come contesti dove i giovani possono incontrarsi fra loro ma anche incontrare altri adulti, svolgono tuttavia un ruolo importante come completamento alla socializzazione fra pari. Escludere i giovani da questi spazi non è dunque una buona strategia perché limita gli strumenti che questi ragazzi avranno a disposizione nella transizione al mondo degli adulti e può risultare in una generazione isolata dalla vita politica e dall’impegno sociale.
Infine nel paragrafo intitolato The Future of Networked Publics viene introdotta la tematica del mobile.  L’accesso al pubblico mediato di rete attraverso dispositivi mobili come i cellulari di nuova generazione (reso possibili dalle reti senza fili e le connettività dati a tariffa flat) introduce una nuova proprietà tecnica che danah boyd chiama (dis)locability. Si tratta della proprietà che rende le conversazioni simultaneamente indipendenti dalla posizione fisica ma più profondamente connesse ad essa attraverso le tecnologie locative come il GPS.
Venendo alle mie considerazioni personali devo ammettere che le aspettative verso questo lavoro non sono andate deluse. Si tratta di uno studio che ha dietro una struttura solida e presenta un frame work interpretativo delle trasformazioni dello spazio pubblico che potrà, come suggerisce l’autore, essere utilizzato anche quando interverranno inevitabilmente altre modificazioni legate o meno all’avvento di nuove tecnologie.
Al tempo stesso devo ammettere che per chi ha familiarità con il pensiero di danah boyd questo lavoro non presenta grandi novità. L’impostazione iniziale a difesa delle libertà dei teenager nei confronti del mondo degli adulti è sempre fortemente presente e pervade tutto il lavoro. La definizione di networked publics lascia secondo me aperta una contraddizione (fra pubblico come spazio e come audience) che poteva essere facilmente sanata utilizzando due termini diversi per descrivere due cose che sono oggettivamente diverse. Mi piace invece la distinzione fra proprietà tecniche e dinamiche perché offre una collocazione più consona all’idea del pubblico invisibile. Sembra tuttavia che i nuovi elementi introdotti (scalability fra le proprietà , collapsed context e blurring public/private fra le dinamiche) non sono sempre approfonditi con lo stesso dettaglio degli elementi che già l’autore aveva introdotto da tempo.
Per il resto è un lavoro che vale sicuramente la lettura e che non potrà che migliorare grazie all’enorme feedback che di certo riceverà.

Come promesso in dicembre, danah boyd ha pubblicato la sua tesi di dottorato sul suo blog.

Si tratta, come noto, di uno studio etnografico sull’uso che i teenager americani fanno dei siti di social network come MySpace e Facebook. Il documento si compone di poco più di 300 pagine ed è articolato in sette capitoli che definiscono in modo chiaro la struttura del lavoro descritta nel primo capitolo.

Oltre a presentare la struttura del lavoro, questo capitolo introduce anche i principali riferimenti teorici, definisce cosa si intende per giovani nel contesto del lavoro e cosa si intende per pubblici di rete (networked publics).

Dal punto di vista del rapporto fra evoluzione della società e delle tecnologie il lavoro si ispira ad un approccio di tipo Social Construction of Technology. Questo approccio enumera una serie di principi (Relevant social groups, Problems and Conflicts, Interpretive Flexibility, Design Flexibility, Closure adn Stabilization) che ruotano intorno all’idea che il rapporto fra società e tecnologia sia di tipo co-evolutivo ed al conseguente netto rifiuto di ogni prospettiva di determinismo tecnologico. Si tratta di approccio in qualche modo ecologico allo studio del rapporto società/tecnologie che consente di dare conto

Non c’è una vera e propria definizione della categoria di giovani e non c’è una chiara coorte di età individuata teoricamente (anche se dal punto di vista operativo l’autore ha scelto di concentrarsi sulla fascia 13-18 anni). La categoria dei giovani non è definita sulla base dello sviluppo biologico ma piuttosto come costruzione sociale.

Il cuore del lavoro consiste nell’analisi approfondita di tre set di relazioni, nella definizione di pubblici di rete, delle tecniche proprietà che caratterizzano questo spazio e delle dinamiche sociali che emergono. Questa parte contiene alcune interessanti novità rispetto a quanto era stato possibile leggere fino a questo momento negli articoli e sul blog dell’autore.

Neworked Publics è definito in modo duplice a partire dalla generica ed in un certo senso auto-referenziale definizione di “publics that are restructured by network technologies”.

Networked Publics è al tempo stesso un luogo ed un gruppo di individui.

1) è lo spazio costruito dalle tecnologie di rete (“MySpace is like a park”);
2) ed è la comunità immaginata che emerge come risultato delle intersezioni fra le persone, le tecnologie e le pratiche.

La definizione è giocata sull’ambiguità del termine pubblico che può essere usato per definire il tipo di accesso ad uno spazio (public access) o un gruppo di persone che sono testimoni di un evento (public as audience).

[Qui sarebbe interessante capire perché non siano state distinte le due definizioni usando ad esempio “networked space” per la prima]

Lo spazio pubblico di rete è caratterizzato da quattro proprietà tecniche (descritte nel paragrafo 1.5.1.) che non sono nuove nel panorama dei media ma interagiscono in modo inedito.

Le quattro proprietà sono:

  1. persistence
  2. searchability
  3. replicability
  4. scalability

Alcune sono già note e ne ho abbondantemente parlato nelle edizioni precedenti di What’s Next.

A differenza di quanto scritto fino ad ora, l’autore ha sostituito le invidible audiences con la scalability. La scalabilità è definita come la possibilità ma non la garanzia di una enorme visibilità per i contenuti esposti ai pubblici di rete. Questa proprietà consente all’autore di introdurre un riferimento ai pubblici di nicchia ed alla lunga coda. Interessante in questo contesto la precisazione che riguarda la natura dei contenuti che scalano. Contrariamente a quanto si era sperato i contenuti che raggiungono la massima visibilità sono spesso gli stessi che Habermas critica nei suoi lavori in relazione alle audience della comunicazione broadcast.

L’intrecciarsi di queste quattro proprietà tecniche danno origine ad un set di tre dinamiche:

  1. invisible audiences;
  2. collapsed contexts (Meyrowitz);
  3. blurring of public and private.

Il capitolo due descrive invece nel dettaglio e nel contesto degli studi precedenti l’approccio etnografico adottato.

Interessante in questo contesto la critica a Sherry Turkle considerata, forse non a torto, come l’iniziatrice di un filone di pensiero che mette in guardia verso il rischio della frammentazione dell’identità collegato alla comunicazione mediata dal computer. Le conclusioni di danah boyd puntano invece in una direzione sottolineando che le relazioni sociali che si intrattengono online sono il più delle volte una naturale prosecuzione di quelle esistenti fuori dalla rete.

I dati analizzati sono di due tipi: interviste a singoli o coppie (in totale coinvolti 94 teeanagers di 10 Stati) ed informazioni contenute nei profili (layout, foto, descrizioni di sè, etc.) e sono analizzati secondo tre direttrici (set di relazioni) ciascuna approfondite in un capitolo dedicato basato su riferimenti teorici diversi:

  1. self and identity [chapter 4] Goffman impression management;
  2. peer sociality [chapter 5] – Eckert social categories 1989 e Milner status rituals 2004;
  3. parents and adults (power relations) [chapter 6] – Valentine 2004 children access to public spaces.

L’ultimo capitolo è dedicato alle conclusioni personali dell’autore e si articola su tre paragrafi: Lessons from the Everyday Lives of Teens, The Significance of Publics e The Future of Networked Publics. In questi tre paragrafi sono riprese e sviluppate brevemente alcune delle conclusioni che permeano tutto il lavoro e vengono forniti alcuni spunti nuovi.

In Everyday Lives of Teen l’autore mette in luce come le pratiche di costruzione dell’identità e di relazioni fra pari che hanno luogo nei siti di social network non sono di certo una novità e si innestano su dinamiche pre-esistenti. Al tempo stesso lo spazio di rete con le sue proprietà e dinamiche rende esplicite e visibili alcune proprietà delle relazione che erano prima esplicite. Questo innesca “drammi sociali” che pur essendo tipici di quella fascia d’età assumono a volte dei contorni ancora più spigolosi.

Non esiste una particolare attrazione dei giovani verso i social media, è invece il fatto che in questi luoghi si possano incontrare i propri amici che li rendono interessanti. Quando richiesto la maggior parte degli intervistati dichiara di preferire le relazioni di persona a quelle mediate e considerano in genere questa forma di comunicazione come una alternativa da praticare quando gli incontri di persona non sono possibili.

I giovani non sembrano avere una innata capacità che gli consenta di comprendere come navigare i social media e le dinamiche che ne risultano ma stanno imparando a farlo mentre imparano, al tempo stesso, come muoversi nella vista sociale in senso lato. Questo differenzia i giovani dagli adulti che devono invece re-imparare come comportarsi negli spazi di rete.

L’attività svolta dentro i siti di social network è dunque in senso lato formativa a dispetto di quanto invece sia considerata una perdita di tempo da parte dei genitori e degli adulti in generale. Il desiderio dei giovani di sperimentare la socialità fra pari in assenza degli adulti (bedroom culture) è spesso causa di conflitto intergenerazionale. Talvolta questo conflitto sfocia nella demonizzazione tout court di questi spazi spesso descritti dai media come pericolosi. Il ruolo degli adulti sarebbe invece quello di affrontare questi temi ed aiutare i giovani a prendere decisioni che consentano loro di usare questi spazi in chiave positiva.

Nel paragrafo The Significance of Publics, l’autore riprende il tema della partecipazione dei teenagers agli spazi pubblici. Secondo danah boyd queste possibilità di partecipazione sono fortemente ristrette dagli adulti. Gli spazi pubblici (di rete o meno), intesi come contesti dove i giovani possono incontrarsi fra loro ma anche incontrare altri adulti, svolgono tuttavia un ruolo importante come completamento alla socializzazione fra pari. Escludere i giovani da questi spazi non è dunque una buona strategia perché limita gli strumenti che questi ragazzi avranno a disposizione nella transizione al mondo degli adulti e può risultare in una generazione isolata dalla vita politica e dall’impegno sociale.

Infine nel paragrafo intitolato The Future of Networked Publics viene introdotta la tematica del mobile.  L’accesso al pubblico mediato di rete attraverso dispositivi mobili come i cellulari di nuova generazione (reso possibili dalle reti senza fili e le connettività dati a tariffa flat) introduce una nuova proprietà tecnica che danah boyd chiama (dis)locability. Si tratta della proprietà che rende le conversazioni simultaneamente indipendenti dalla posizione fisica ma più profondamente connesse ad essa attraverso le tecnologie locative come il GPS.

Venendo alle mie considerazioni personali devo ammettere che le aspettative verso questo lavoro non sono andate deluse. Si tratta di uno studio che ha dietro una struttura solida e presenta un frame work interpretativo delle trasformazioni dello spazio pubblico che potrà, come suggerisce l’autore, essere utilizzato anche quando interverranno inevitabilmente altre modificazioni legate o meno all’avvento di nuove tecnologie.

Al tempo stesso devo ammettere che per chi ha familiarità con il pensiero di danah boyd questo lavoro non presenta grandi novità. L’impostazione iniziale a difesa delle libertà dei teenager nei confronti del mondo degli adulti è sempre fortemente presente e pervade tutto il lavoro. La definizione di networked publics lascia secondo me aperta una contraddizione (fra pubblico come spazio e come audience) che poteva essere facilmente sanata utilizzando due termini diversi per descrivere due cose che sono oggettivamente diverse. Mi piace invece la distinzione fra proprietà tecniche e dinamiche perché offre una collocazione più consona all’idea del pubblico invisibile. Sembra tuttavia che i nuovi elementi introdotti (scalability fra le proprietà , collapsed context e blurring public/private fra le dinamiche) non sono sempre approfonditi con lo stesso dettaglio degli elementi che già l’autore aveva introdotto da tempo.

Per il resto è un lavoro che vale sicuramente la lettura e che non potrà che migliorare grazie all’enorme feedback che di certo riceverà.

Come promesso in dicembre, danah boyd ha pubblicato la sua tesi di dottorato sul suo blog.

Si tratta, come noto, di uno studio etnografico sull’uso che i teenager americani fanno dei siti di social network come MySpace e Facebook. Il documento si compone di poco più di 300 pagine ed è articolato in sette capitoli che definiscono in modo chiaro la struttura del lavoro descritta nel primo capitolo.

Oltre a presentare la struttura del lavoro, questo capitolo introduce anche i principali riferimenti teorici, definisce cosa si intende per giovani nel contesto del lavoro e cosa si intende per pubblici di rete (networked publics).

Dal punto di vista del rapporto fra evoluzione della società e delle tecnologie il lavoro si ispira ad un approccio di tipo Social Construction of Technology. Questo approccio enumera una serie di principi (Relevant social groups, Problems and Conflicts, Interpretive Flexibility, Design Flexibility, Closure adn Stabilization) che ruotano intorno all’idea che il rapporto fra società e tecnologia sia di tipo co-evolutivo ed al conseguente netto rifiuto di ogni prospettiva di determinismo tecnologico. Si tratta di approccio in qualche modo ecologico allo studio del rapporto società/tecnologie che consente di dare conto

Non c’è una vera e propria definizione della categoria di giovani e non c’è una chiara coorte di età individuata teoricamente (anche se dal punto di vista operativo l’autore ha scelto di concentrarsi sulla fascia 13-18 anni). La categoria dei giovani non è definita sulla base dello sviluppo biologico ma piuttosto come costruzione sociale.

Il cuore del lavoro consiste nell’analisi approfondita di tre set di relazioni, nella definizione di pubblici di rete, delle tecniche proprietà che caratterizzano questo spazio e delle dinamiche sociali che emergono. Questa parte contiene alcune interessanti novità rispetto a quanto era stato possibile leggere fino a questo momento negli articoli e sul blog dell’autore.

Neworked Publics è definito in modo duplice a partire dalla generica ed in un certo senso auto-referenziale definizione di “publics that are restructured by network technologies”.

Networked Publics è al tempo stesso un luogo ed un gruppo di individui.

1) è lo spazio costruito dalle tecnologie di rete (“MySpace is like a park”);
2) ed è la comunità immaginata che emerge come risultato delle intersezioni fra le persone, le tecnologie e le pratiche.

La definizione è giocata sull’ambiguità del termine pubblico che può essere usato per definire il tipo di accesso ad uno spazio (public access) o un gruppo di persone che sono testimoni di un evento (public as audience).

[Qui sarebbe interessante capire perché non siano state distinte le due definizioni usando ad esempio “networked space” per la prima]

Lo spazio pubblico di rete è caratterizzato da quattro proprietà tecniche (descritte nel paragrafo 1.5.1.) che non sono nuove nel panorama dei media ma interagiscono in modo inedito.

Le quattro proprietà sono:

  1. persistence
  2. searchability
  3. replicability
  4. scalability

Alcune sono già note e ne ho abbondantemente parlato nelle edizioni precedenti di What’s Next.

A differenza di quanto scritto fino ad ora, l’autore ha sostituito le invidible audiences con la scalability. La scalabilità è definita come la possibilità ma non la garanzia di una enorme visibilità per i contenuti esposti ai pubblici di rete. Questa proprietà consente all’autore di introdurre un riferimento ai pubblici di nicchia ed alla lunga coda. Interessante in questo contesto la precisazione che riguarda la natura dei contenuti che scalano. Contrariamente a quanto si era sperato i contenuti che raggiungono la massima visibilità sono spesso gli stessi che Habermas critica nei suoi lavori in relazione alle audience della comunicazione broadcast.

L’intrecciarsi di queste quattro proprietà tecniche danno origine ad un set di tre dinamiche:

  1. invisible audiences;
  2. collapsed contexts (Meyrowitz);
  3. blurring of public and private.

Il capitolo due descrive invece nel dettaglio e nel contesto degli studi precedenti l’approccio etnografico adottato.

Interessante in questo contesto la critica a Sherry Turkle considerata, forse non a torto, come l’iniziatrice di un filone di pensiero che mette in guardia verso il rischio della frammentazione dell’identità collegato alla comunicazione mediata dal computer. Le conclusioni di danah boyd puntano invece in una direzione sottolineando che le relazioni sociali che si intrattengono online sono il più delle volte una naturale prosecuzione di quelle esistenti fuori dalla rete.

I dati analizzati sono di due tipi: interviste a singoli o coppie (in totale coinvolti 94 teeanagers di 10 Stati) ed informazioni contenute nei profili (layout, foto, descrizioni di sè, etc.) e sono analizzati secondo tre direttrici (set di relazioni) ciascuna approfondite in un capitolo dedicato basato su riferimenti teorici diversi:

  1. self and identity [chapter 4] Goffman impression management;
  2. peer sociality [chapter 5] – Eckert social categories 1989 e Milner status rituals 2004;
  3. parents and adults (power relations) [chapter 6] – Valentine 2004 children access to public spaces.

L’ultimo capitolo è dedicato alle conclusioni personali dell’autore e si articola su tre paragrafi: Lessons from the Everyday Lives of Teens, The Significance of Publics e The Future of Networked Publics. In questi tre paragrafi sono riprese e sviluppate brevemente alcune delle conclusioni che permeano tutto il lavoro e vengono forniti alcuni spunti nuovi.

In Everyday Lives of Teen l’autore mette in luce come le pratiche di costruzione dell’identità e di relazioni fra pari che hanno luogo nei siti di social network non sono di certo una novità e si innestano su dinamiche pre-esistenti. Al tempo stesso lo spazio di rete con le sue proprietà e dinamiche rende esplicite e visibili alcune proprietà delle relazione che erano prima esplicite. Questo innesca “drammi sociali” che pur essendo tipici di quella fascia d’età assumono a volte dei contorni ancora più spigolosi.

Non esiste una particolare attrazione dei giovani verso i social media, è invece il fatto che in questi luoghi si possano incontrare i propri amici che li rendono interessanti. Quando richiesto la maggior parte degli intervistati dichiara di preferire le relazioni di persona a quelle mediate e considerano in genere questa forma di comunicazione come una alternativa da praticare quando gli incontri di persona non sono possibili.

I giovani non sembrano avere una innata capacità che gli consenta di comprendere come navigare i social media e le dinamiche che ne risultano ma stanno imparando a farlo mentre imparano, al tempo stesso, come muoversi nella vista sociale in senso lato. Questo differenzia i giovani dagli adulti che devono invece re-imparare come comportarsi negli spazi di rete.

L’attività svolta dentro i siti di social network è dunque in senso lato formativa a dispetto di quanto invece sia considerata una perdita di tempo da parte dei genitori e degli adulti in generale. Il desiderio dei giovani di sperimentare la socialità fra pari in assenza degli adulti (bedroom culture) è spesso causa di conflitto intergenerazionale. Talvolta questo conflitto sfocia nella demonizzazione tout court di questi spazi spesso descritti dai media come pericolosi. Il ruolo degli adulti sarebbe invece quello di affrontare questi temi ed aiutare i giovani a prendere decisioni che consentano loro di usare questi spazi in chiave positiva.

Nel paragrafo The Significance of Publics, l’autore riprende il tema della partecipazione dei teenagers agli spazi pubblici. Secondo danah boyd queste possibilità di partecipazione sono fortemente ristrette dagli adulti. Gli spazi pubblici (di rete o meno), intesi come contesti dove i giovani possono incontrarsi fra loro ma anche incontrare altri adulti, svolgono tuttavia un ruolo importante come completamento alla socializzazione fra pari. Escludere i giovani da questi spazi non è dunque una buona strategia perché limita gli strumenti che questi ragazzi avranno a disposizione nella transizione al mondo degli adulti e può risultare in una generazione isolata dalla vita politica e dall’impegno sociale.

Infine nel paragrafo intitolato The Future of Networked Publics viene introdotta la tematica del mobile.  L’accesso al pubblico mediato di rete attraverso dispositivi mobili come i cellulari di nuova generazione (reso possibili dalle reti senza fili e le connettività dati a tariffa flat) introduce una nuova proprietà tecnica che danah boyd chiama (dis)locability. Si tratta della proprietà che rende le conversazioni simultaneamente indipendenti dalla posizione fisica ma più profondamente connesse ad essa attraverso le tecnologie locative come il GPS.

Venendo alle mie considerazioni personali devo ammettere che le aspettative verso questo lavoro non sono andate deluse. Si tratta di uno studio che ha dietro una struttura solida e presenta un frame work interpretativo delle trasformazioni dello spazio pubblico che potrà, come suggerisce l’autore, essere utilizzato anche quando interverranno inevitabilmente altre modificazioni legate o meno all’avvento di nuove tecnologie.

Al tempo stesso devo ammettere che per chi ha familiarità con il pensiero di danah boyd questo lavoro non presenta grandi novità. L’impostazione iniziale a difesa delle libertà dei teenager nei confronti del mondo degli adulti è sempre fortemente presente e pervade tutto il lavoro. La definizione di networked publics lascia secondo me aperta una contraddizione (fra pubblico come spazio e come audience) che poteva essere facilmente sanata utilizzando due termini diversi per descrivere due cose che sono oggettivamente diverse. Mi piace invece la distinzione fra proprietà tecniche e dinamiche perché offre una collocazione più consona all’idea del pubblico invisibile. Sembra tuttavia che i nuovi elementi introdotti (scalability fra le proprietà , collapsed context e blurring public/private fra le dinamiche) non sono sempre approfonditi con lo stesso dettaglio degli elementi che già l’autore aveva introdotto da tempo.

Per il resto è un lavoro che vale sicuramente la lettura e che non potrà che migliorare grazie all’enorme feedback che di certo riceverà.

What's next #14: quattro proprietà, tre dinamiche ad un embargo

danah boyd sceglie una modalità apparentemente inconsueta per pubblicare la sua tesi di dottorato. Prendendo come spunto questo episodio ci si interroga su cosa cambia per il ricercatore nell’era dei networked publics.danah boyd sceglie una modalità apparentemente inconsueta per pubblicare la sua tesi di dottorato. Prendendo come spunto questo episodio ci si interroga su cosa cambia per il ricercatore nell’era dei networked publics.danah boyd sceglie una modalità apparentemente inconsueta per pubblicare la sua tesi di dottorato. Prendendo come spunto questo episodio ci si interroga su cosa cambia per il ricercatore nell’era dei networked publics.

Come forse saprete danah boyd ha conseguito la scorsa settimana  il suo dottorato in Information Management and Systems presso la School of Information di Berkeley in California.
Quello che sta facendo questa ragazza nata nel 1977 è ridefinire il modo di essere un ricercatore ai tempi di Internet.
Mi sarebbe piaciuto parlare in questo articolo delle impressioni a caldo sulla lettura della sua tesi di dottorato che ha gentilmente inviato a tutti i suoi contatti twitter che ne abbiano fatto richiesta in tempo utile. Mi sarebbe piaciuto ma non posso farlo perché l’autrice ha chiesto nel messaggio che accompagna il pdf della sua tesi di non parlarne in pubblico prima del 20 gennaio (data prevista del suo ritorno dalle vacanze e completamento del trasloco a Boston). Dopo quella data, danah pubblicherà sul suo blog sotto licenza Creative Commons’ Attribution-NonCommercial-NoDerivs License, version 3.0 la sua tesi aprendo il dibattito pubblico che con tutta probabilità le consentirà di raccogliere preziose indicazioni per trasformare la tesi in una pubblicazione.
Non potendo entrare nello specifico del lavoro, mi piace l’idea di partire da questo episodio per proporre alcune riflessioni su come cambia il ruolo del ricercatore in relazione al pubblico di rete. Osservando con attenzione la presenza web di danah boyd si può notare come nulla sia lasciato al caso.  In generale la sua identità pubblica è, come spiega lei stessa nella pagina dell’autobiografia, il frutto di un’attenzione quasi maniacale ai dettagli. Come direbbe lei citando Goffmann la sua presenza in rete (ma non solo) è frutto di un attento lavoro di impression management. Alla base c’è un’idea semplice e precisa di identità e non è un caso che, in fondo, sia proprio questo l’oggetto dei suoi studi fin dai tempi della sua tesi di master Faceted Id/entity: Managing representation in a digital world.

Social interaction is a negotiation of identities between people in a given environment. One’s identity is comprised of both a personal internal identity and a public social identity. As people engage socially, they project aspects of their internal identity into a social identity for others to perceive. Based on the situation, people only present a particular facet of their internal identity for consideration. Depending on their own need to self-monitor, an individual manages what is to be seen dependent on the environment, thereby creating a social performance where they offer different faces to convey different facets of their identity. The goal of such monitoring is to manage the impressions that others might perceive, to convey the appropriate information at the appropriate time.
In order to assess what is appropriate, people draw from situational and interpersonal contextual cues. By understanding the social implication of context cues and perceiving the reactions presented by others, an individual is given social feedback to adjust their behavior to fit the situation in the hopes of being perceived in the desired light. As people engage socially, they are continually drawing from their own experiences to perceive others and the environment and presenting aspects of their identity that they deem appropriate to the situation. Yet, this negotiation occurs with little conscious effort. (danah boyd, Faceted Id/entity :: Introduction, p. 12)

Ovviamente il modo di (1) esprimere la propria identità pubblica, (2) reperire gli indizi contestuali e (3) interpretarli per ri-definire la propria identità pubblica cambiano quando tutto questo avviene in un contesto mediato da Internet. Diventa necessario tenere presenti caratteristiche proprie di questo spazio.
Un ricercatore tradizionale ha di solito due momenti durante i quali si confronta con il pubblico: le pubblicazioni e le conferenze. In entrambi i casi il pubblico con il quale ci si confronta è un pubblico di esperti variamente costituito da colleghi che hanno maggiore o minore esperienza della tua. Parlare su Internet delle proprie ricerche significa aprire un confronto con un pubblico più vasto che tuttavia, specie in un settore come quello dei nuovi media, può mostrare competenze e capacità di esprimere preziose critiche pari o maggiori rispetto al pubblico degli esperti accademici tradizionali.
Durante le conferenze e dopo aver pubblicato un saggio in una rivista o un libro è possibile cogliere nelle reazioni del pubblico degli spettatori e dei lettori con cui si avrà la fortuna di entrare in contatto indicazioni sul contenuto e sulla forma della presentazione del lavoro ed incorporare queste osservazioni, se lo si desidera, nei successivi lavori.
Il mondo della ricerca si fonda su questo feedback sociale di taglio accademico che come in altri casi subisce profonde modifiche in presenza dei pubblici di rete.
1.      Il basso costo di accesso, di produzione e la teoria della coda lunga hanno praticamente estinto il ruolo di filtro delle case editrici. Inoltre oggi chiunque può pubblicare usando appositi servizi web un saggio o un libro (eventualmente anche con codici ISSN o ISBN) anche senza passare da una casa editrice tradizionale;
2.      I tempi tecnici per pubblicare un articolo in una rivista internazionale con referee variano da alcuni mesi ad oltre un anno. Questi tempi sono del tutto inadatti a chi scrive articoli che riguardano le tecnologie a causa della rapida evoluzione di questo settore;
3.      Sia i contenuti pubblicati in rete che quelli pubblicati passando attraverso i filtri tradizionali sono ricercabili attraverso i tradizionali canali di ricerca o usando specifici servizi di ricerca dedicati al mondo accademico (Google Book Search, Google Scholar, CiteULike);
4.      Esistono strumenti per rintracciare automaticamente e spesso in tempo reale tutte i contenuti pubblicati che parlano di uno nostro contenuto (ovvero ci citano) come Google Book Search, Google Scholar, Google Blog Search, Technorati, Liquida, Wikio;
5.      Esistono licenze come Creative Commons che consentono di proteggere i diritti sul proprio lavoro in modo più flessibile rispetto a quanto non facciano le case editrici tradizionali alle quali spesso concediamo inconsapevolmente i diritti sui contenuti che noi produciamo e pubblichiamo;
6.      Le conferenze, pur rimanendo fondamentali momenti per conoscere di persona i colleghi e sviluppare relazioni, sono sempre più spesso deludenti dal punto di vista dei contenuti come può essere lo SMAU per chi legge Engadget;
7.      Attraverso un lettore di feed RSS o un sito di social network (dedicato come ResearchGate o non come Linkedin o Facebook) è possibile rimanere in contatto (ed aggiornati sul loro lavoro) con colleghi che è difficile incontrare di persona a causa di impegni o distanze fisiche;
8.      Quasi tutte le riviste internazionali consentono di utilizzare i feed RSS per ricevere, appena pubblicati, gli articoli contenuti nell’ultima issue. Inoltre grazie all’ingegno di qualcuno è possibile creare ed abbonarsi ad un feed RSS di una ricerca di Google Scholar il che significa in pratica poter essere informati in tempo reale della pubblicazioni di un articolo sul tema che stiamo studiando;
9.      Accettare di pubblicare i propri contenuti online significa, al pari di ogni altra forma di pubblicazione, aprire una conversazione. Quando la conversazione è aperta bisogna mettere in conto che si riceveranno critiche (fondate o meno che siano). Quanto più i contenuti che pubblicate saranno visibili, tanto più alta sarà la possibilità di ricevere critiche (che poi è lo scopo per cui uno pubblica in modo da ricevere il feedback necessario a migliorarsi);
10.  Pubblicando i propri contenuti in rete ci si espone ad un pubblico più vasto ed eterogeneo della comunità accademica. Diversi strumenti possono essere dedicati ad un diverso pubblico (blog per il pubblico più vasto, twitter per i fan, facebook per gli amici). In ogni caso la relazione che voi stessi avete deciso di aprire con questo più vasto pubblico è da pari a pari. Per tutte queste ragioni è importante comprendere che aprire un blog o una presenza in rete comporta delle conseguenze che, se non si è pronti a gestire, possono essere ben peggiori dei vantaggi che si intende ottenere.
Adesso dovrebbe essere più chiaro il senso di questo messaggio.

L'embargo di danah
L'embargo di danah

P.S. Le mie riflessioni sul contenuto della tesi di danah boyd (titolo Taken Out of Context. American Teen Sociality in Networked Publics) saranno pubblicate in una edizione speciale di What’s next appena avrò il benestare dell’autrice.

Come forse saprete danah boyd ha conseguito la scorsa settimana  il suo dottorato in Information Management and Systems presso la School of Information di Berkeley in California.

Quello che sta facendo questa ragazza nata nel 1977 è ridefinire il modo di essere un ricercatore ai tempi di Internet.

Mi sarebbe piaciuto parlare in questo articolo delle impressioni a caldo sulla lettura della sua tesi di dottorato che ha gentilmente inviato a tutti i suoi contatti twitter che ne abbiano fatto richiesta in tempo utile. Mi sarebbe piaciuto ma non posso farlo perché l’autrice ha chiesto nel messaggio che accompagna il pdf della sua tesi di non parlarne in pubblico prima del 20 gennaio (data prevista del suo ritorno dalle vacanze e completamento del trasloco a Boston). Dopo quella data, danah pubblicherà sul suo blog sotto licenza Creative Commons’ Attribution-NonCommercial-NoDerivs License, version 3.0 la sua tesi aprendo il dibattito pubblico che con tutta probabilità le consentirà di raccogliere preziose indicazioni per trasformare la tesi in una pubblicazione.

Non potendo entrare nello specifico del lavoro, mi piace l’idea di partire da questo episodio per proporre alcune riflessioni su come cambia il ruolo del ricercatore in relazione al pubblico di rete. Osservando con attenzione la presenza web di danah boyd si può notare come nulla sia lasciato al caso.  In generale la sua identità pubblica è, come spiega lei stessa nella pagina dell’autobiografia, il frutto di un’attenzione quasi maniacale ai dettagli. Come direbbe lei citando Goffmann la sua presenza in rete (ma non solo) è frutto di un attento lavoro di impression management. Alla base c’è un’idea semplice e precisa di identità e non è un caso che, in fondo, sia proprio questo l’oggetto dei suoi studi fin dai tempi della sua tesi di master Faceted Id/entity: Managing representation in a digital world.

Social interaction is a negotiation of identities between people in a given environment. One’s identity is comprised of both a personal internal identity and a public social identity. As people engage socially, they project aspects of their internal identity into a social identity for others to perceive. Based on the situation, people only present a particular facet of their internal identity for consideration. Depending on their own need to self-monitor, an individual manages what is to be seen dependent on the environment, thereby creating a social performance where they offer different faces to convey different facets of their identity. The goal of such monitoring is to manage the impressions that others might perceive, to convey the appropriate information at the appropriate time.

In order to assess what is appropriate, people draw from situational and interpersonal contextual cues. By understanding the social implication of context cues and perceiving the reactions presented by others, an individual is given social feedback to adjust their behavior to fit the situation in the hopes of being perceived in the desired light. As people engage socially, they are continually drawing from their own experiences to perceive others and the environment and presenting aspects of their identity that they deem appropriate to the situation. Yet, this negotiation occurs with little conscious effort. (danah boyd, Faceted Id/entity :: Introduction, p. 12)

Ovviamente il modo di (1) esprimere la propria identità pubblica, (2) reperire gli indizi contestuali e (3) interpretarli per ri-definire la propria identità pubblica cambiano quando tutto questo avviene in un contesto mediato da Internet. Diventa necessario tenere presenti caratteristiche proprie di questo spazio.

Un ricercatore tradizionale ha di solito due momenti durante i quali si confronta con il pubblico: le pubblicazioni e le conferenze. In entrambi i casi il pubblico con il quale ci si confronta è un pubblico di esperti variamente costituito da colleghi che hanno maggiore o minore esperienza della tua. Parlare su Internet delle proprie ricerche significa aprire un confronto con un pubblico più vasto che tuttavia, specie in un settore come quello dei nuovi media, può mostrare competenze e capacità di esprimere preziose critiche pari o maggiori rispetto al pubblico degli esperti accademici tradizionali.

Durante le conferenze e dopo aver pubblicato un saggio in una rivista o un libro è possibile cogliere nelle reazioni del pubblico degli spettatori e dei lettori con cui si avrà la fortuna di entrare in contatto indicazioni sul contenuto e sulla forma della presentazione del lavoro ed incorporare queste osservazioni, se lo si desidera, nei successivi lavori.

Il mondo della ricerca si fonda su questo feedback sociale di taglio accademico che come in altri casi subisce profonde modifiche in presenza dei pubblici di rete.

1.      Il basso costo di accesso, di produzione e la teoria della coda lunga hanno praticamente estinto il ruolo di filtro delle case editrici. Inoltre oggi chiunque può pubblicare usando appositi servizi web un saggio o un libro (eventualmente anche con codici ISSN o ISBN) anche senza passare da una casa editrice tradizionale;

2.      I tempi tecnici per pubblicare un articolo in una rivista internazionale con referee variano da alcuni mesi ad oltre un anno. Questi tempi sono del tutto inadatti a chi scrive articoli che riguardano le tecnologie a causa della rapida evoluzione di questo settore;

3.      Sia i contenuti pubblicati in rete che quelli pubblicati passando attraverso i filtri tradizionali sono ricercabili attraverso i tradizionali canali di ricerca o usando specifici servizi di ricerca dedicati al mondo accademico (Google Book Search, Google Scholar, CiteULike);

4.      Esistono strumenti per rintracciare automaticamente e spesso in tempo reale tutte i contenuti pubblicati che parlano di uno nostro contenuto (ovvero ci citano) come Google Book Search, Google Scholar, Google Blog Search, Technorati, Liquida, Wikio;

5.      Esistono licenze come Creative Commons che consentono di proteggere i diritti sul proprio lavoro in modo più flessibile rispetto a quanto non facciano le case editrici tradizionali alle quali spesso concediamo inconsapevolmente i diritti sui contenuti che noi produciamo e pubblichiamo;

6.      Le conferenze, pur rimanendo fondamentali momenti per conoscere di persona i colleghi e sviluppare relazioni, sono sempre più spesso deludenti dal punto di vista dei contenuti come può essere lo SMAU per chi legge Engadget;

7.      Attraverso un lettore di feed RSS o un sito di social network (dedicato come ResearchGate o non come Linkedin o Facebook) è possibile rimanere in contatto (ed aggiornati sul loro lavoro) con colleghi che è difficile incontrare di persona a causa di impegni o distanze fisiche;

8.      Quasi tutte le riviste internazionali consentono di utilizzare i feed RSS per ricevere, appena pubblicati, gli articoli contenuti nell’ultima issue. Inoltre grazie all’ingegno di qualcuno è possibile creare ed abbonarsi ad un feed RSS di una ricerca di Google Scholar il che significa in pratica poter essere informati in tempo reale della pubblicazioni di un articolo sul tema che stiamo studiando;

9.      Accettare di pubblicare i propri contenuti online significa, al pari di ogni altra forma di pubblicazione, aprire una conversazione. Quando la conversazione è aperta bisogna mettere in conto che si riceveranno critiche (fondate o meno che siano). Quanto più i contenuti che pubblicate saranno visibili, tanto più alta sarà la possibilità di ricevere critiche (che poi è lo scopo per cui uno pubblica in modo da ricevere il feedback necessario a migliorarsi);

10.  Pubblicando i propri contenuti in rete ci si espone ad un pubblico più vasto ed eterogeneo della comunità accademica. Diversi strumenti possono essere dedicati ad un diverso pubblico (blog per il pubblico più vasto, twitter per i fan, facebook per gli amici). In ogni caso la relazione che voi stessi avete deciso di aprire con questo più vasto pubblico è da pari a pari. Per tutte queste ragioni è importante comprendere che aprire un blog o una presenza in rete comporta delle conseguenze che, se non si è pronti a gestire, possono essere ben peggiori dei vantaggi che si intende ottenere.

Adesso dovrebbe essere più chiaro il senso di questo messaggio.

L'embargo di danah
L'embargo di danah

P.S. Le mie riflessioni sul contenuto della tesi di danah boyd (titolo Taken Out of Context. American Teen Sociality in Networked Publics) saranno pubblicate in una edizione speciale di What’s next appena avrò il benestare dell’autrice.

Come forse saprete danah boyd ha conseguito la scorsa settimana  il suo dottorato in Information Management and Systems presso la School of Information di Berkeley in California.

Quello che sta facendo questa ragazza nata nel 1977 è ridefinire il modo di essere un ricercatore ai tempi di Internet.

Mi sarebbe piaciuto parlare in questo articolo delle impressioni a caldo sulla lettura della sua tesi di dottorato che ha gentilmente inviato a tutti i suoi contatti twitter che ne abbiano fatto richiesta in tempo utile. Mi sarebbe piaciuto ma non posso farlo perché l’autrice ha chiesto nel messaggio che accompagna il pdf della sua tesi di non parlarne in pubblico prima del 20 gennaio (data prevista del suo ritorno dalle vacanze e completamento del trasloco a Boston). Dopo quella data, danah pubblicherà sul suo blog sotto licenza Creative Commons’ Attribution-NonCommercial-NoDerivs License, version 3.0 la sua tesi aprendo il dibattito pubblico che con tutta probabilità le consentirà di raccogliere preziose indicazioni per trasformare la tesi in una pubblicazione.

Non potendo entrare nello specifico del lavoro, mi piace l’idea di partire da questo episodio per proporre alcune riflessioni su come cambia il ruolo del ricercatore in relazione al pubblico di rete. Osservando con attenzione la presenza web di danah boyd si può notare come nulla sia lasciato al caso.  In generale la sua identità pubblica è, come spiega lei stessa nella pagina dell’autobiografia, il frutto di un’attenzione quasi maniacale ai dettagli. Come direbbe lei citando Goffmann la sua presenza in rete (ma non solo) è frutto di un attento lavoro di impression management. Alla base c’è un’idea semplice e precisa di identità e non è un caso che, in fondo, sia proprio questo l’oggetto dei suoi studi fin dai tempi della sua tesi di master Faceted Id/entity: Managing representation in a digital world.

Social interaction is a negotiation of identities between people in a given environment. One’s identity is comprised of both a personal internal identity and a public social identity. As people engage socially, they project aspects of their internal identity into a social identity for others to perceive. Based on the situation, people only present a particular facet of their internal identity for consideration. Depending on their own need to self-monitor, an individual manages what is to be seen dependent on the environment, thereby creating a social performance where they offer different faces to convey different facets of their identity. The goal of such monitoring is to manage the impressions that others might perceive, to convey the appropriate information at the appropriate time.

In order to assess what is appropriate, people draw from situational and interpersonal contextual cues. By understanding the social implication of context cues and perceiving the reactions presented by others, an individual is given social feedback to adjust their behavior to fit the situation in the hopes of being perceived in the desired light. As people engage socially, they are continually drawing from their own experiences to perceive others and the environment and presenting aspects of their identity that they deem appropriate to the situation. Yet, this negotiation occurs with little conscious effort. (danah boyd, Faceted Id/entity :: Introduction, p. 12)

Ovviamente il modo di (1) esprimere la propria identità pubblica, (2) reperire gli indizi contestuali e (3) interpretarli per ri-definire la propria identità pubblica cambiano quando tutto questo avviene in un contesto mediato da Internet. Diventa necessario tenere presenti caratteristiche proprie di questo spazio.

Un ricercatore tradizionale ha di solito due momenti durante i quali si confronta con il pubblico: le pubblicazioni e le conferenze. In entrambi i casi il pubblico con il quale ci si confronta è un pubblico di esperti variamente costituito da colleghi che hanno maggiore o minore esperienza della tua. Parlare su Internet delle proprie ricerche significa aprire un confronto con un pubblico più vasto che tuttavia, specie in un settore come quello dei nuovi media, può mostrare competenze e capacità di esprimere preziose critiche pari o maggiori rispetto al pubblico degli esperti accademici tradizionali.

Durante le conferenze e dopo aver pubblicato un saggio in una rivista o un libro è possibile cogliere nelle reazioni del pubblico degli spettatori e dei lettori con cui si avrà la fortuna di entrare in contatto indicazioni sul contenuto e sulla forma della presentazione del lavoro ed incorporare queste osservazioni, se lo si desidera, nei successivi lavori.

Il mondo della ricerca si fonda su questo feedback sociale di taglio accademico che come in altri casi subisce profonde modifiche in presenza dei pubblici di rete.

1.      Il basso costo di accesso, di produzione e la teoria della coda lunga hanno praticamente estinto il ruolo di filtro delle case editrici. Inoltre oggi chiunque può pubblicare usando appositi servizi web un saggio o un libro (eventualmente anche con codici ISSN o ISBN) anche senza passare da una casa editrice tradizionale;

2.      I tempi tecnici per pubblicare un articolo in una rivista internazionale con referee variano da alcuni mesi ad oltre un anno. Questi tempi sono del tutto inadatti a chi scrive articoli che riguardano le tecnologie a causa della rapida evoluzione di questo settore;

3.      Sia i contenuti pubblicati in rete che quelli pubblicati passando attraverso i filtri tradizionali sono ricercabili attraverso i tradizionali canali di ricerca o usando specifici servizi di ricerca dedicati al mondo accademico (Google Book Search, Google Scholar, CiteULike);

4.      Esistono strumenti per rintracciare automaticamente e spesso in tempo reale tutte i contenuti pubblicati che parlano di uno nostro contenuto (ovvero ci citano) come Google Book Search, Google Scholar, Google Blog Search, Technorati, Liquida, Wikio;

5.      Esistono licenze come Creative Commons che consentono di proteggere i diritti sul proprio lavoro in modo più flessibile rispetto a quanto non facciano le case editrici tradizionali alle quali spesso concediamo inconsapevolmente i diritti sui contenuti che noi produciamo e pubblichiamo;

6.      Le conferenze, pur rimanendo fondamentali momenti per conoscere di persona i colleghi e sviluppare relazioni, sono sempre più spesso deludenti dal punto di vista dei contenuti come può essere lo SMAU per chi legge Engadget;

7.      Attraverso un lettore di feed RSS o un sito di social network (dedicato come ResearchGate o non come Linkedin o Facebook) è possibile rimanere in contatto (ed aggiornati sul loro lavoro) con colleghi che è difficile incontrare di persona a causa di impegni o distanze fisiche;

8.      Quasi tutte le riviste internazionali consentono di utilizzare i feed RSS per ricevere, appena pubblicati, gli articoli contenuti nell’ultima issue. Inoltre grazie all’ingegno di qualcuno è possibile creare ed abbonarsi ad un feed RSS di una ricerca di Google Scholar il che significa in pratica poter essere informati in tempo reale della pubblicazioni di un articolo sul tema che stiamo studiando;

9.      Accettare di pubblicare i propri contenuti online significa, al pari di ogni altra forma di pubblicazione, aprire una conversazione. Quando la conversazione è aperta bisogna mettere in conto che si riceveranno critiche (fondate o meno che siano). Quanto più i contenuti che pubblicate saranno visibili, tanto più alta sarà la possibilità di ricevere critiche (che poi è lo scopo per cui uno pubblica in modo da ricevere il feedback necessario a migliorarsi);

10.  Pubblicando i propri contenuti in rete ci si espone ad un pubblico più vasto ed eterogeneo della comunità accademica. Diversi strumenti possono essere dedicati ad un diverso pubblico (blog per il pubblico più vasto, twitter per i fan, facebook per gli amici). In ogni caso la relazione che voi stessi avete deciso di aprire con questo più vasto pubblico è da pari a pari. Per tutte queste ragioni è importante comprendere che aprire un blog o una presenza in rete comporta delle conseguenze che, se non si è pronti a gestire, possono essere ben peggiori dei vantaggi che si intende ottenere.

Adesso dovrebbe essere più chiaro il senso di questo messaggio.

L'embargo di danah
L'embargo di danah

P.S. Le mie riflessioni sul contenuto della tesi di danah boyd (titolo Taken Out of Context. American Teen Sociality in Networked Publics) saranno pubblicate in una edizione speciale di What’s next appena avrò il benestare dell’autrice.

What’s next #10: Hanging Out, Messing Around, Geeking Out

Si conclude dopo tre anni con la pubblicazione del report di ricerca il Digital Youth Project: una delle più vaste ed interessanti ricerche volta ad indagare le pratiche d’uso dei nuovi media da parte dei giovani americani.Si conclude dopo tre anni con la pubblicazione del report di ricerca il Digital Youth Project: una delle più vaste ed interessanti ricerche volta ad indagare le pratiche d’uso dei nuovi media da parte dei giovani americani.Si conclude dopo tre anni con la pubblicazione del report di ricerca il Digital Youth Project: una delle più vaste ed interessanti ricerche volta ad indagare le pratiche d’uso dei nuovi media da parte dei giovani americani.

Ieri, come anticipato da Mimi Ito a Copenaghen, è stato pubblicato il report relativo al Digital Youth Project. L’obiettivo del progetto di ricerca è comprendere le pratiche d’uso dei new media fra i giovani americani.
Pur affrontando una tematica tutt’altro che inedita, il Digital Youth Project è un progetto piuttosto unico nel suo genere per ambizione e dimensioni. Una ricerca etnografica in grande scala (800 giovani e giovani adulti intervistati ed un totale di oltre 5000 ore di osservazione online) che ha coinvolto un team di 28 ricercatori in tutti gli Stati Uniti (mi piace ricordare la presenza dell’italiano Matteo Bittanti). Il progetto è stato reso possibile dalla mai abbastanza lodata MacArthur Foundation nell’ambito del programma Digital Media and Learning.
I risultati della ricerca saranno pubblicati in un volume edito da MiT Press e intitolato Hanging Out, Messing Around, Geeking Out: Living and Learning with New Media. L’uscita è prevista per la seconda parte del 2009.
Il report della ricerca (che altro non è che la bozza del libro) è tuttavia già disponibile da ieri sul sito del progetto insieme ad un paio di documenti che riassumono i principali risultati ottenuti (two-page summary of the report, summary white paper – poco più di 50 pagine).
Uno dei punti interessanti che mi pare emerga è la distinzione fra partecipazione guidata dall’amicizia e partecipazione guidata dall’interesse.
Secondo quanto emerge da questa ricerca, la maggior parte dei giovani americani usano la rete per intensificare il rapporto che hanno con persone che già conoscono. Telefoni cellulari ed Internet (in particolare messaggistica istantanea e siti di social network) contribuiscono a ristrutturare la relazione con i pari che diventa “always on” ed ha luogo nell’inedito spazio “pubblico di rete”. A questa partecipazione guidata dall’amicizia (assimilata al divertirsi con gli amici o “hang out”) viene contrapposto un tipo diverso di partecipazione legata all’interesse.
Una parte meno cospicua di questi giovani usa infatti questi strumenti per creare e gestire nuove relazioni in ambiti verso i quali nutrono specifici interessi. Spesso, e soprattutto nelle zone rurali, Internet diventa un mezzo per estendere la rete di interesse oltre la propria comunità locale o scolastica. Il caso trattato da Mimi Ito relativo alla comunità che produce i sotto-titoli degli anime giapponesi è esemplare in questo senso. Questa estensione mirata della propria rete di contatti avviene sia al momento della produzione di contenuti, sia all’atto della pubblicazione e distribuzione di questi stessi contenuti.
In entrambi i casi l’approccio all’apprendimento è destrutturato, basato su prove ed errori (“messing around”) e trae giovamento dal feedback che è possibile ricevere in rete dagli altri. Un modo di apprendere in autonomia molto diverso da quello proposto dalle istituzioni educative.
Quando l’interesse verso un tema supera una certa soglia può portare allo sviluppo di relazioni particolari con comunità di utenti esperti (“geek out”). Anche in questo caso si tratta di un’attività profondamente sociale e tutt’altro che solitaria (come di solito si pensa in relazione alla parola geek o peggio nerd). L’obiettivo è quello di migliorare le proprie conoscenze ed acquisire una reputazione nella comunità degli esperti. In queste comunità la relazione con gli eventuali adulti che partecipano è legata dalle capacità e della reputazione del singolo presso la comunità e non dall’età, dallo status o dal ruolo sociale. In un certo senso dentro queste comunità geek ognuno deve conquistare la sua reputazione da zero senza poter capitalizzare il suo status acquisito altrove.
In definitiva mi sembra un report tutto da leggere che sistematizza in modo interessante alcune idee non del tutto inedite.
Potete farvi approfondire e farvi un’idea da soli.
Questa è il sommario:
Notes on the Text
Acknowledgments
Introduction
Media Ecologies Lead Authors: Heather A. Horst, Becky Herr-Stephenson, and Laura Robinson
Friendship Lead Author: danah boyd
Intimacy Lead Author: C.J. Pascoe
Families Lead Author: Heather A. Horst
Gaming Lead Authors: Mizuko Ito and Matteo Bittanti
Creative Production Lead Authors: Patricia G. Lange and Mizuko Ito
Work Lead Author: Mizuko Ito
Conclusion
Bibliography
Buona lettura 🙂
P.S. Questa settimana, visto il digiuno di quella precedente, doppia razione di What’s next. Domani sera o sabato mattina pubblicherò infatti un post con le slide del mio intervento al RomeCamp durante il quale presenterò alcuni risultati dello studio comparativo fra Facebook e Badoo in Italia.

Ieri, come anticipato da Mimi Ito a Copenaghen, è stato pubblicato il report relativo al Digital Youth Project. L’obiettivo del progetto di ricerca è comprendere le pratiche d’uso dei new media fra i giovani americani.

Pur affrontando una tematica tutt’altro che inedita, il Digital Youth Project è un progetto piuttosto unico nel suo genere per ambizione e dimensioni. Una ricerca etnografica in grande scala (800 giovani e giovani adulti intervistati ed un totale di oltre 5000 ore di osservazione online) che ha coinvolto un team di 28 ricercatori in tutti gli Stati Uniti (mi piace ricordare la presenza dell’italiano Matteo Bittanti). Il progetto è stato reso possibile dalla mai abbastanza lodata MacArthur Foundation nell’ambito del programma Digital Media and Learning.

I risultati della ricerca saranno pubblicati in un volume edito da MiT Press e intitolato Hanging Out, Messing Around, Geeking Out: Living and Learning with New Media. L’uscita è prevista per la seconda parte del 2009.

Il report della ricerca (che altro non è che la bozza del libro) è tuttavia già disponibile da ieri sul sito del progetto insieme ad un paio di documenti che riassumono i principali risultati ottenuti (two-page summary of the report, summary white paper – poco più di 50 pagine).

Uno dei punti interessanti che mi pare emerga è la distinzione fra partecipazione guidata dall’amicizia e partecipazione guidata dall’interesse.

Secondo quanto emerge da questa ricerca, la maggior parte dei giovani americani usano la rete per intensificare il rapporto che hanno con persone che già conoscono. Telefoni cellulari ed Internet (in particolare messaggistica istantanea e siti di social network) contribuiscono a ristrutturare la relazione con i pari che diventa “always on” ed ha luogo nell’inedito spazio “pubblico di rete”. A questa partecipazione guidata dall’amicizia (assimilata al divertirsi con gli amici o “hang out”) viene contrapposto un tipo diverso di partecipazione legata all’interesse.

Una parte meno cospicua di questi giovani usa infatti questi strumenti per creare e gestire nuove relazioni in ambiti verso i quali nutrono specifici interessi. Spesso, e soprattutto nelle zone rurali, Internet diventa un mezzo per estendere la rete di interesse oltre la propria comunità locale o scolastica. Il caso trattato da Mimi Ito relativo alla comunità che produce i sotto-titoli degli anime giapponesi è esemplare in questo senso. Questa estensione mirata della propria rete di contatti avviene sia al momento della produzione di contenuti, sia all’atto della pubblicazione e distribuzione di questi stessi contenuti.

In entrambi i casi l’approccio all’apprendimento è destrutturato, basato su prove ed errori (“messing around”) e trae giovamento dal feedback che è possibile ricevere in rete dagli altri. Un modo di apprendere in autonomia molto diverso da quello proposto dalle istituzioni educative.

Quando l’interesse verso un tema supera una certa soglia può portare allo sviluppo di relazioni particolari con comunità di utenti esperti (“geek out”). Anche in questo caso si tratta di un’attività profondamente sociale e tutt’altro che solitaria (come di solito si pensa in relazione alla parola geek o peggio nerd). L’obiettivo è quello di migliorare le proprie conoscenze ed acquisire una reputazione nella comunità degli esperti. In queste comunità la relazione con gli eventuali adulti che partecipano è legata dalle capacità e della reputazione del singolo presso la comunità e non dall’età, dallo status o dal ruolo sociale. In un certo senso dentro queste comunità geek ognuno deve conquistare la sua reputazione da zero senza poter capitalizzare il suo status acquisito altrove.

In definitiva mi sembra un report tutto da leggere che sistematizza in modo interessante alcune idee non del tutto inedite.

Potete farvi approfondire e farvi un’idea da soli.

Questa è il sommario:

Notes on the Text
Acknowledgments
Introduction
Media Ecologies Lead Authors: Heather A. Horst, Becky Herr-Stephenson, and Laura Robinson
Friendship Lead Author: danah boyd
Intimacy Lead Author: C.J. Pascoe
Families Lead Author: Heather A. Horst
Gaming Lead Authors: Mizuko Ito and Matteo Bittanti
Creative Production Lead Authors: Patricia G. Lange and Mizuko Ito
Work Lead Author: Mizuko Ito
Conclusion
Bibliography

Buona lettura 🙂

P.S. Questa settimana, visto il digiuno di quella precedente, doppia razione di What’s next. Domani sera o sabato mattina pubblicherò infatti un post con le slide del mio intervento al RomeCamp durante il quale presenterò alcuni risultati dello studio comparativo fra Facebook e Badoo in Italia.

Ieri, come anticipato da Mimi Ito a Copenaghen, è stato pubblicato il report relativo al Digital Youth Project. L’obiettivo del progetto di ricerca è comprendere le pratiche d’uso dei new media fra i giovani americani.

Pur affrontando una tematica tutt’altro che inedita, il Digital Youth Project è un progetto piuttosto unico nel suo genere per ambizione e dimensioni. Una ricerca etnografica in grande scala (800 giovani e giovani adulti intervistati ed un totale di oltre 5000 ore di osservazione online) che ha coinvolto un team di 28 ricercatori in tutti gli Stati Uniti (mi piace ricordare la presenza dell’italiano Matteo Bittanti). Il progetto è stato reso possibile dalla mai abbastanza lodata MacArthur Foundation nell’ambito del programma Digital Media and Learning.

I risultati della ricerca saranno pubblicati in un volume edito da MiT Press e intitolato Hanging Out, Messing Around, Geeking Out: Living and Learning with New Media. L’uscita è prevista per la seconda parte del 2009.

Il report della ricerca (che altro non è che la bozza del libro) è tuttavia già disponibile da ieri sul sito del progetto insieme ad un paio di documenti che riassumono i principali risultati ottenuti (two-page summary of the report, summary white paper – poco più di 50 pagine).

Uno dei punti interessanti che mi pare emerga è la distinzione fra partecipazione guidata dall’amicizia e partecipazione guidata dall’interesse.

Secondo quanto emerge da questa ricerca, la maggior parte dei giovani americani usano la rete per intensificare il rapporto che hanno con persone che già conoscono. Telefoni cellulari ed Internet (in particolare messaggistica istantanea e siti di social network) contribuiscono a ristrutturare la relazione con i pari che diventa “always on” ed ha luogo nell’inedito spazio “pubblico di rete”. A questa partecipazione guidata dall’amicizia (assimilata al divertirsi con gli amici o “hang out”) viene contrapposto un tipo diverso di partecipazione legata all’interesse.

Una parte meno cospicua di questi giovani usa infatti questi strumenti per creare e gestire nuove relazioni in ambiti verso i quali nutrono specifici interessi. Spesso, e soprattutto nelle zone rurali, Internet diventa un mezzo per estendere la rete di interesse oltre la propria comunità locale o scolastica. Il caso trattato da Mimi Ito relativo alla comunità che produce i sotto-titoli degli anime giapponesi è esemplare in questo senso. Questa estensione mirata della propria rete di contatti avviene sia al momento della produzione di contenuti, sia all’atto della pubblicazione e distribuzione di questi stessi contenuti.

In entrambi i casi l’approccio all’apprendimento è destrutturato, basato su prove ed errori (“messing around”) e trae giovamento dal feedback che è possibile ricevere in rete dagli altri. Un modo di apprendere in autonomia molto diverso da quello proposto dalle istituzioni educative.

Quando l’interesse verso un tema supera una certa soglia può portare allo sviluppo di relazioni particolari con comunità di utenti esperti (“geek out”). Anche in questo caso si tratta di un’attività profondamente sociale e tutt’altro che solitaria (come di solito si pensa in relazione alla parola geek o peggio nerd). L’obiettivo è quello di migliorare le proprie conoscenze ed acquisire una reputazione nella comunità degli esperti. In queste comunità la relazione con gli eventuali adulti che partecipano è legata dalle capacità e della reputazione del singolo presso la comunità e non dall’età, dallo status o dal ruolo sociale. In un certo senso dentro queste comunità geek ognuno deve conquistare la sua reputazione da zero senza poter capitalizzare il suo status acquisito altrove.

In definitiva mi sembra un report tutto da leggere che sistematizza in modo interessante alcune idee non del tutto inedite.

Potete farvi approfondire e farvi un’idea da soli.

Questa è il sommario:

Notes on the Text
Acknowledgments
Introduction
Media Ecologies Lead Authors: Heather A. Horst, Becky Herr-Stephenson, and Laura Robinson
Friendship Lead Author: danah boyd
Intimacy Lead Author: C.J. Pascoe
Families Lead Author: Heather A. Horst
Gaming Lead Authors: Mizuko Ito and Matteo Bittanti
Creative Production Lead Authors: Patricia G. Lange and Mizuko Ito
Work Lead Author: Mizuko Ito
Conclusion
Bibliography

Buona lettura 🙂

P.S. Questa settimana, visto il digiuno di quella precedente, doppia razione di What’s next. Domani sera o sabato mattina pubblicherò infatti un post con le slide del mio intervento al RomeCamp durante il quale presenterò alcuni risultati dello studio comparativo fra Facebook e Badoo in Italia.

What's next #8: Le impostazioni di privacy nel contesto d'uso (in Facebook e altrove)

danah boyd spiega sul suo blog alcuni segreti delle impostazioni di privacy ci Facebook ed invita gli sviluppatori a rendere più semplice e chiara la percezione di visibilità di un contenuto pubblicato da un utente. Ne scaturisce una riflessione ricca di stimoli ed una lettura istruttiva per chiunque abbia un account su un sito di social network.danah boyd spiega sul suo blog alcuni segreti delle impostazioni di privacy ci Facebook ed invita gli sviluppatori a rendere più semplice e chiara la percezione di visibilità di un contenuto pubblicato da un utente. Ne scaturisce una riflessione ricca di stimoli ed una lettura istruttiva per chiunque abbia un account su un sito di social network.danah boyd spiega sul suo blog alcuni segreti delle impostazioni di privacy ci Facebook ed invita gli sviluppatori a rendere più semplice e chiara la percezione di visibilità di un contenuto pubblicato da un utente. Ne scaturisce una riflessione ricca di stimoli ed una lettura istruttiva per chiunque abbia un account su un sito di social network.


Questo articolo è una traduzione del post pubblicato da danah boyd sul suo blog sotto il titolo “Putting Privacy Settings in the Context of Use (in Facebook and elsewhere)“.
Alcuni giorni fa gli occhi di Gilad si sono spalancati e mi ha chiamato per dare uno sguardo al suo computer. Era su Facebook ed aveva appena scoperto un buco nel sistema di privacy. Aveva massimizzato il suo news feed per ricevere quante più informazioni possibili sulle fotografie. Come risultato veniva regolarmente aggiornato quando i suoi Amici commentavano sulle foto degli altri compreso le foto di persone di cui non era amico o nello stesso network. Questo è corretto e va bene. Tuttavia ha anche scoperto che poteva cliccare su queste foto e, da lì, guardare l’intero album delle foto degli Amici dei suoi Amici. Una volta uno dei suo Amici era stato taggato in uno di questi album, lui poteva vedere l’intero album, anche se non l’intero profilo del possessore dell’album. Questo gli ha provocato una certa delirante felicità perché sentiva di poter accedere a delle fotografie alle quali non avrebbe dovuto accedere… e gli è piaciuto.
Ci sono molte spiegazioni del perché questo avvenga. Potrebbe essere un bug di Facebook. Più probabilmente si tratta del risultato delle scelte di persone che, attraverso il troppo complesso sistema di impostazioni della privacy di Facebook – che neanche Gilad conosceva – consentono alle fotografie in cui sono taggati di essere visibili agli Amici degli Amici. In entrambi i casi Gilad si è sentito come se stesse guardando foto che non erano state pensate per lui. Allo stesso modo scommetterei che gli Amici dei figli di sua sorella non immaginavano che taggando queste foto con i loro nomi avrebbero reso disponibile l’intero album al fratello.
Le impostazioni delle privacy di Facebook sono i più flessibili e confusionari dell’intera industria del settore. Più e più volte mi capita di intervistare teenagers (ed adulti) che pensano di aver scelto impostazioni di privacy che facessero una cosa e che rimangono sorpresi (e a volte spaventati) di apprendere che le impostazioni scelte fanno in realtà altro. Oltretutto, per via di cose come il tagging delle foto, la gente spesso non è a conoscenza della visibilità di un contenuto al quale non hanno direttamente contribuito.  La gente continua a mettersi nei casini perché manca il controllo che pensano di avere. E questo non riguarda solo i ragazzini. Maestri e professori  -siete proprio sicuri che le foto che i vostri amici taggano a vostro nome non siano visibili ai vostri studenti? Genitori – So che molti di voi si sono fatti un profilo per ficcare il naso nelle vite dei vostri figli… ora che i vostri ex-compagni di scuola delle superiori sono anche loro dentro non saranno mica i vostri figli a ficcare il naso nelle vostre? Le dinamiche di potere sono bastarde che tu abbia 16 o 40 anni.
Perché le impostazioni della privacy rimangono un processo astratto rimosso dal contesto del contenuto stesso? Le impostazioni della privacy non dovrebbero riguardare solo il controllo; dovrebbero essere una combinazione di consapevolezza, contesto e controllo. Bisognerebbe essere in grado di conoscere la visibilità di un atto al momento in cui esso è compiuto e quando si accede alle tracce dello stesso.
Sviluppatori di tecnologie… vi imploro…. mettere le informazioni di privacy nel contesto del contenuto stesso. Quando pubblico una foto in un album fatemi vedere una lista di TUTTI quelli che possono vedere quella foto. Quando guardo una foto in un profilo di qualcuno fatemi vedere l’elenco di tutti quelli che possono vedere quella foto prima che lasci un commento. Non riuscirete a far comprendere alla gente le dimensioni della visibilità facendogli modulare alcune impostazioni di privacy ogni qualche mese non avendo idea di cosa “Amici degli Amici” significhi in realtà. Se esistessero queste impostazioni ed uno potesse sapere prima di caricare una foto che essa sarà visibile a 5.000 persone inclusi 10 ex-amanti ci penserebbe due volte prima di farlo. Oppure andrebbero a cambiare le impostazioni di privacy.
In un mondo ideale nel quale un accesso complesso al controllo non distruggerebbe un database, avrei suggerito un sistema grazie al quale essere in grado di modificare la lista delle persone che possono accedere ad un particolare contenuto al momento del caricamento. Quindi se io posto una foto e mi accorgo che è visibile a 100 persone, potrei scorrere manualmente la lista e rimuovere 10 di queste persone senza dover creare un gruppo specifico formato da tutti meno quelli che intendo escludere. So che questo significa un disastro in un database e che non posso chiederlo… ancora. Dovremmo rendere funzioni combinatorie su grandi numeri computabili in tempi ragionevoli, giusto? ::wink:: Nel frattempo fatemi vedere almeno il livello di visibilità e datemi la possibilità di modificare le mie impostazioni generali nel contesto d’uso.
Francamente… non comprendo perché le aziende che producono sistemi informatici non lo facciano. È perché non volete che i vostri utenti scoprano quanto visibili i loro contenuti siano? È perché i vostri database relazionali sono diretti e ciò rende questa lista faticosa da calcolare? O ci sono altre ragioni che non riesco ad immaginare? Ma seriamente, se volete porre un freno a questo disastro sociale che deriva dal fatto che le persone scelgano in modo errato le loro impostazioni di privacy, perché non mettere queste informazioni nel contesto? Perché non fargli vedere quanto visibili siano i loro atti mettendo a disposizione un sistema di feedback che gli faccia vedere cosa sta succedendo? Per favore ditemi perché questo non è un approccio razionale!
Nel frattempo… per tutti gli altri… avete dato uno sguardo alle vostre impostazioni delle privacy di recente? Volete veramente che il vostro profilo venga fuori per primo quando la gente cerca il vostro nome su Google? Volete veramente che quelle foto taggate con il vostro nome siano visibili agli amici degli amici? O il vostro status update visibile a tutte le vostre network? Pensateci. Guardate le vostre impostazioni. Le vostre aspettative corrispondono a quello che queste impostazioni dicono?

Questo articolo è una traduzione del post pubblicato da danah boyd sul suo blog sotto il titolo “Putting Privacy Settings in the Context of Use (in Facebook and elsewhere)“.

Alcuni giorni fa gli occhi di Gilad si sono spalancati e mi ha chiamato per dare uno sguardo al suo computer. Era su Facebook ed aveva appena scoperto un buco nel sistema di privacy. Aveva massimizzato il suo news feed per ricevere quante più informazioni possibili sulle fotografie. Come risultato veniva regolarmente aggiornato quando i suoi Amici commentavano sulle foto degli altri compreso le foto di persone di cui non era amico o nello stesso network. Questo è corretto e va bene. Tuttavia ha anche scoperto che poteva cliccare su queste foto e, da lì, guardare l’intero album delle foto degli Amici dei suoi Amici. Una volta uno dei suo Amici era stato taggato in uno di questi album, lui poteva vedere l’intero album, anche se non l’intero profilo del possessore dell’album. Questo gli ha provocato una certa delirante felicità perché sentiva di poter accedere a delle fotografie alle quali non avrebbe dovuto accedere… e gli è piaciuto.

Ci sono molte spiegazioni del perché questo avvenga. Potrebbe essere un bug di Facebook. Più probabilmente si tratta del risultato delle scelte di persone che, attraverso il troppo complesso sistema di impostazioni della privacy di Facebook – che neanche Gilad conosceva – consentono alle fotografie in cui sono taggati di essere visibili agli Amici degli Amici. In entrambi i casi Gilad si è sentito come se stesse guardando foto che non erano state pensate per lui. Allo stesso modo scommetterei che gli Amici dei figli di sua sorella non immaginavano che taggando queste foto con i loro nomi avrebbero reso disponibile l’intero album al fratello.

Le impostazioni delle privacy di Facebook sono i più flessibili e confusionari dell’intera industria del settore. Più e più volte mi capita di intervistare teenagers (ed adulti) che pensano di aver scelto impostazioni di privacy che facessero una cosa e che rimangono sorpresi (e a volte spaventati) di apprendere che le impostazioni scelte fanno in realtà altro. Oltretutto, per via di cose come il tagging delle foto, la gente spesso non è a conoscenza della visibilità di un contenuto al quale non hanno direttamente contribuito.  La gente continua a mettersi nei casini perché manca il controllo che pensano di avere. E questo non riguarda solo i ragazzini. Maestri e professori  -siete proprio sicuri che le foto che i vostri amici taggano a vostro nome non siano visibili ai vostri studenti? Genitori – So che molti di voi si sono fatti un profilo per ficcare il naso nelle vite dei vostri figli… ora che i vostri ex-compagni di scuola delle superiori sono anche loro dentro non saranno mica i vostri figli a ficcare il naso nelle vostre? Le dinamiche di potere sono bastarde che tu abbia 16 o 40 anni.

Perché le impostazioni della privacy rimangono un processo astratto rimosso dal contesto del contenuto stesso? Le impostazioni della privacy non dovrebbero riguardare solo il controllo; dovrebbero essere una combinazione di consapevolezza, contesto e controllo. Bisognerebbe essere in grado di conoscere la visibilità di un atto al momento in cui esso è compiuto e quando si accede alle tracce dello stesso.

Sviluppatori di tecnologie… vi imploro…. mettere le informazioni di privacy nel contesto del contenuto stesso. Quando pubblico una foto in un album fatemi vedere una lista di TUTTI quelli che possono vedere quella foto. Quando guardo una foto in un profilo di qualcuno fatemi vedere l’elenco di tutti quelli che possono vedere quella foto prima che lasci un commento. Non riuscirete a far comprendere alla gente le dimensioni della visibilità facendogli modulare alcune impostazioni di privacy ogni qualche mese non avendo idea di cosa “Amici degli Amici” significhi in realtà. Se esistessero queste impostazioni ed uno potesse sapere prima di caricare una foto che essa sarà visibile a 5.000 persone inclusi 10 ex-amanti ci penserebbe due volte prima di farlo. Oppure andrebbero a cambiare le impostazioni di privacy.

In un mondo ideale nel quale un accesso complesso al controllo non distruggerebbe un database, avrei suggerito un sistema grazie al quale essere in grado di modificare la lista delle persone che possono accedere ad un particolare contenuto al momento del caricamento. Quindi se io posto una foto e mi accorgo che è visibile a 100 persone, potrei scorrere manualmente la lista e rimuovere 10 di queste persone senza dover creare un gruppo specifico formato da tutti meno quelli che intendo escludere. So che questo significa un disastro in un database e che non posso chiederlo… ancora. Dovremmo rendere funzioni combinatorie su grandi numeri computabili in tempi ragionevoli, giusto? ::wink:: Nel frattempo fatemi vedere almeno il livello di visibilità e datemi la possibilità di modificare le mie impostazioni generali nel contesto d’uso.

Francamente… non comprendo perché le aziende che producono sistemi informatici non lo facciano. È perché non volete che i vostri utenti scoprano quanto visibili i loro contenuti siano? È perché i vostri database relazionali sono diretti e ciò rende questa lista faticosa da calcolare? O ci sono altre ragioni che non riesco ad immaginare? Ma seriamente, se volete porre un freno a questo disastro sociale che deriva dal fatto che le persone scelgano in modo errato le loro impostazioni di privacy, perché non mettere queste informazioni nel contesto? Perché non fargli vedere quanto visibili siano i loro atti mettendo a disposizione un sistema di feedback che gli faccia vedere cosa sta succedendo? Per favore ditemi perché questo non è un approccio razionale!

Nel frattempo… per tutti gli altri… avete dato uno sguardo alle vostre impostazioni delle privacy di recente? Volete veramente che il vostro profilo venga fuori per primo quando la gente cerca il vostro nome su Google? Volete veramente che quelle foto taggate con il vostro nome siano visibili agli amici degli amici? O il vostro status update visibile a tutte le vostre network? Pensateci. Guardate le vostre impostazioni. Le vostre aspettative corrispondono a quello che queste impostazioni dicono?

Questo articolo è una traduzione del post pubblicato da danah boyd sul suo blog sotto il titolo “Putting Privacy Settings in the Context of Use (in Facebook and elsewhere)“.

Alcuni giorni fa gli occhi di Gilad si sono spalancati e mi ha chiamato per dare uno sguardo al suo computer. Era su Facebook ed aveva appena scoperto un buco nel sistema di privacy. Aveva massimizzato il suo news feed per ricevere quante più informazioni possibili sulle fotografie. Come risultato veniva regolarmente aggiornato quando i suoi Amici commentavano sulle foto degli altri compreso le foto di persone di cui non era amico o nello stesso network. Questo è corretto e va bene. Tuttavia ha anche scoperto che poteva cliccare su queste foto e, da lì, guardare l’intero album delle foto degli Amici dei suoi Amici. Una volta uno dei suo Amici era stato taggato in uno di questi album, lui poteva vedere l’intero album, anche se non l’intero profilo del possessore dell’album. Questo gli ha provocato una certa delirante felicità perché sentiva di poter accedere a delle fotografie alle quali non avrebbe dovuto accedere… e gli è piaciuto.

Ci sono molte spiegazioni del perché questo avvenga. Potrebbe essere un bug di Facebook. Più probabilmente si tratta del risultato delle scelte di persone che, attraverso il troppo complesso sistema di impostazioni della privacy di Facebook – che neanche Gilad conosceva – consentono alle fotografie in cui sono taggati di essere visibili agli Amici degli Amici. In entrambi i casi Gilad si è sentito come se stesse guardando foto che non erano state pensate per lui. Allo stesso modo scommetterei che gli Amici dei figli di sua sorella non immaginavano che taggando queste foto con i loro nomi avrebbero reso disponibile l’intero album al fratello.

Le impostazioni delle privacy di Facebook sono i più flessibili e confusionari dell’intera industria del settore. Più e più volte mi capita di intervistare teenagers (ed adulti) che pensano di aver scelto impostazioni di privacy che facessero una cosa e che rimangono sorpresi (e a volte spaventati) di apprendere che le impostazioni scelte fanno in realtà altro. Oltretutto, per via di cose come il tagging delle foto, la gente spesso non è a conoscenza della visibilità di un contenuto al quale non hanno direttamente contribuito.  La gente continua a mettersi nei casini perché manca il controllo che pensano di avere. E questo non riguarda solo i ragazzini. Maestri e professori  -siete proprio sicuri che le foto che i vostri amici taggano a vostro nome non siano visibili ai vostri studenti? Genitori – So che molti di voi si sono fatti un profilo per ficcare il naso nelle vite dei vostri figli… ora che i vostri ex-compagni di scuola delle superiori sono anche loro dentro non saranno mica i vostri figli a ficcare il naso nelle vostre? Le dinamiche di potere sono bastarde che tu abbia 16 o 40 anni.

Perché le impostazioni della privacy rimangono un processo astratto rimosso dal contesto del contenuto stesso? Le impostazioni della privacy non dovrebbero riguardare solo il controllo; dovrebbero essere una combinazione di consapevolezza, contesto e controllo. Bisognerebbe essere in grado di conoscere la visibilità di un atto al momento in cui esso è compiuto e quando si accede alle tracce dello stesso.

Sviluppatori di tecnologie… vi imploro…. mettere le informazioni di privacy nel contesto del contenuto stesso. Quando pubblico una foto in un album fatemi vedere una lista di TUTTI quelli che possono vedere quella foto. Quando guardo una foto in un profilo di qualcuno fatemi vedere l’elenco di tutti quelli che possono vedere quella foto prima che lasci un commento. Non riuscirete a far comprendere alla gente le dimensioni della visibilità facendogli modulare alcune impostazioni di privacy ogni qualche mese non avendo idea di cosa “Amici degli Amici” significhi in realtà. Se esistessero queste impostazioni ed uno potesse sapere prima di caricare una foto che essa sarà visibile a 5.000 persone inclusi 10 ex-amanti ci penserebbe due volte prima di farlo. Oppure andrebbero a cambiare le impostazioni di privacy.

In un mondo ideale nel quale un accesso complesso al controllo non distruggerebbe un database, avrei suggerito un sistema grazie al quale essere in grado di modificare la lista delle persone che possono accedere ad un particolare contenuto al momento del caricamento. Quindi se io posto una foto e mi accorgo che è visibile a 100 persone, potrei scorrere manualmente la lista e rimuovere 10 di queste persone senza dover creare un gruppo specifico formato da tutti meno quelli che intendo escludere. So che questo significa un disastro in un database e che non posso chiederlo… ancora. Dovremmo rendere funzioni combinatorie su grandi numeri computabili in tempi ragionevoli, giusto? ::wink:: Nel frattempo fatemi vedere almeno il livello di visibilità e datemi la possibilità di modificare le mie impostazioni generali nel contesto d’uso.

Francamente… non comprendo perché le aziende che producono sistemi informatici non lo facciano. È perché non volete che i vostri utenti scoprano quanto visibili i loro contenuti siano? È perché i vostri database relazionali sono diretti e ciò rende questa lista faticosa da calcolare? O ci sono altre ragioni che non riesco ad immaginare? Ma seriamente, se volete porre un freno a questo disastro sociale che deriva dal fatto che le persone scelgano in modo errato le loro impostazioni di privacy, perché non mettere queste informazioni nel contesto? Perché non fargli vedere quanto visibili siano i loro atti mettendo a disposizione un sistema di feedback che gli faccia vedere cosa sta succedendo? Per favore ditemi perché questo non è un approccio razionale!

Nel frattempo… per tutti gli altri… avete dato uno sguardo alle vostre impostazioni delle privacy di recente? Volete veramente che il vostro profilo venga fuori per primo quando la gente cerca il vostro nome su Google? Volete veramente che quelle foto taggate con il vostro nome siano visibili agli amici degli amici? O il vostro status update visibile a tutte le vostre network? Pensateci. Guardate le vostre impostazioni. Le vostre aspettative corrispondono a quello che queste impostazioni dicono?

What's next #3: “Farsi media. Mezzi di comunicazione di massa per le masse”

L’accesso di massa alla comunicazione verso un pubblico indistinto è a fondamento della rivoluzione dei social media. Permanenza, replicabilità, pubblico indistinto e cercabilità, rilette in una prospettiva storica di evoluzione dei media, descrivono i lineamenti della società che verrà.L’accesso di massa alla comunicazione verso un pubblico indistinto è a fondamento della rivoluzione dei social media. Permanenza, replicabilità, pubblico indistinto e cercabilità, rilette in una prospettiva storica di evoluzione dei media, descrivono i lineamenti della società che verrà.L’accesso di massa alla comunicazione verso un pubblico indistinto è a fondamento della rivoluzione dei social media. Permanenza, replicabilità, pubblico indistinto e cercabilità, rilette in una prospettiva storica di evoluzione dei media, descrivono i lineamenti della società che verrà.

Era una serata di fine estate del 2005 quella durante la quale, con Luca e Giovanni, abbiamo iniziato a riflettere sul processo del “farsi media”.
Da allora non abbiamo più smesso di parlarne anche se il libro che avevamo progettato insieme quella sera (di cui dovrebbero esistere ancora degli appunti da qualche parte) e che forse un giorno scriveremo, non è mai stato in realtà scritto.
Non che non ci fosse materiale. Piuttosto le idee e le riflessioni intorno al “farsi media” sono confluite nei post dei nostri blog ed in molti articoli scientifici che abbiamo pubblicato da allora. I tempi della pubblicazione di un libro sono sempre più inconciliabili con i tempi della ricerca su fenomeni in continuo mutamento come il web.
Nel frattempo molto è cambiato.
Se avessi scritto questo post nel 2005 avrei dovuto iniziare spiegando perché Internet sta cambiano in modo profondo la nostra società. Oggi anche gli scettici (e ne ho incontrati tanti in questi anni) non possono negare che la società dei “mezzi di comunicazione di massa per le masse” (questo sarebbe stato il sottotitolo del libro) è strutturalmente diversa dalla società sviluppatasi a partire dall’invenzione della stampa ed evolutati attraverso radio e TV.
L’accesso di massa alle comunicazioni di massa è un classico esempio di differenza quantitativa che diventa qualitativa. Ma cosa si intende per “accesso di massa alle comunicazioni di massa”?
Per spiegare questo gioco di parole è necessario comprendere l’essenza stessa della comunicazione di massa: ovvero la radicale separazione fra autore e fruitore.
Un giornalista, così come uno scrittore o l’autore di un programma televisivo, non può mai conoscere con precisione e certezza il pubblico al quale si sta rivolgendo.
La comunicazione di massa è per definizione una comunicazione verso una massa ovvero un pubblico indistinto.
Comunicare con qualcuno che non si conosce è estremamente difficile. Per farlo è necessario comunque avere in mente un’idea di chi sarà il nostro pubblico per poter scegliere cosa dire e come dirlo. Per questo motivo chi si rivolge ad un pubblico costruisce, per approssimazione e sulla base dei dati che conosce e che può conoscere, il pubblico nella sua mente.
Oggi l’accesso alla comunicazione verso un pubblico indistinto non è più ristretto ad una élite di professionisti. Chiunque, attraverso la pubblicazione dei propri contenuti in rete, può conversare con le “audience invisibili”.
A pensarci bene il processo di scrittura di un post in un blog è analogo, da questo punto di vista, a quello della scrittura di un articolo di un giornale.
Ogni autore di un blog ha in mente il suo pubblico e questo pubblico è sempre strutturalmente diverso da quello che ti puoi immaginare (avete mai dato uno sguardo alle keywords di ricerca usate dai visitatori del vostro blog?).
Pensare di conoscere il proprio pubblico è una presunzione rischiosa.
Lo sanno bene quei ragazzi che hanno fatto esperienza di scrivere sul proprio blog pensando di rivolgersi alla propria cerchia di amici e scoperto in seguito con sgomento di essere stati letti dai professori o dai genitori. Un’esperienza tanto traumatica quanto formativa che serve più di mille spiegazioni scientifiche a far comprendere istantaneamente quanto indistinto, imprevedibile ed inconoscibile sia l’audience di un contenuto pubblicato in rete. Credo che sia quello strano senso di invasione di un privato che non è tale che spiega la necessità di cercare ambienti più protetti per pubblicare in rete in propri contenuti come i siti di social network. La consapevolezza di avere di fronte un pubblico indistinto è, con tutta probabilità, uno degli skills della new media literacy che si dovrebbe insegnare a chi usa la rete per la prima volta.
La consapevolezza di avere di fronte un pubblico indistinto può atterrire ma è anche alla base della potenzialità trasformative della rete. Lo sanno bene i blogger professionisti che hanno compreso per primi come sfruttare a proprio vantaggio il nuovo accesso alla comunicazione di massa (si veda, uno per tutti, il recente caso sollevato dal post “Email che fanno male”).
Quello che a volte sfugge a chi ha compreso le potenzialità connesse alla visibilità verso un pubblico indistinto, è che esiste un’utenza che di questa visibilità farebbe volentieri a meno.
Non a caso che l’invisibile audience sia una delle quattro proprietà che danah boyd attribuisce alla comunicazione che avviene nello spazio mediato di rete.
Secondo danah boyd lo spazio mediato di rete si affianca senza sostituirlo allo spazio geografico. Mentre le distanze nello spazio geografico sono misurante in metri, nello spazio mediato di rete contano i nodi della rete sociale che devi percorrere per raggiungere la risorsa di cui hai bisogno. Lo spazio di rete è mediato nel senso che ha caratteristiche analoghe a quelle della comunicazione mediata (come ad esempio le invisible audiences e la persistence). Al tempo stesso ha una dimensione di rete grazie alla replicability (propria di tutti i contenuti digitali) e alla searchability.
Guardando alle quattro proprietà in una prospettiva storica potremmo descrivere con questo schema lo scenario della società moderna caratterizzata dall’avvento dei mezzi di comunicazione di massa fino all’avvento delle tecnologie della replicabilità digitale (anche se la replicabilità meccanica, come ci ha insegnato Walter Benjamin inizia molto prima).

Per la prima volta nella storia un gruppo limitato di persone (few) accede alla comunicazione di massa (ovvero verso un pubblico indistinto).
Non mi soffermerò qui sulle conseguenze di questo passaggio epocale perché, come noto, si tratta di uno dei fenomeni più studiati della storia dei media e della società (si veda per tutti il capitolo sul così detto piano del sociale del libro i media-mondo).
L’avvento del web ha poi reso i contenuti prodotti dai professionisti delle comunicazioni di massa ricercabili.
Si pensi, ad esempio, al caso di Google Book Search o di Google News.

Ma questo era solo l’inizio.
Poi è venuto il così detto Web 2.0 che, abbattendo i costi di produzione e distribuzione, ha portato alle masse (many) la comunicazione verso un pubblico indistinto e la ricercabilità di questi contenuti.

Penso che questa sequenza di schemi (che uso da qualche mese nelle mie presentazioni) spieghi bene il processo che abbiamo chiamato “Farsi Media” su un piano sociale.
Cosa ne pensate?
***
Lo so che avevo promesso di parlare della conferenza e-Research ’08 della scorsa settimana ma sinceramente non avevo molto da dire. L’evento si è dimostrato alquanto deludente e l’Oxford Internet Institute stesso, per quel poco che ho potuto vedere, non mi ha impressionato particolarmente. L’e-social science è in pratica l’applicazione degli strumenti computerizzati allo studio delle scienze sociali ed il risultato “sorprendente” a cui sono giunti dopo un programma di investimenti in ricerca che ci è parso molto ingente (a giudicare dai gadget che i vari progetti distribuivano) è che, applicando questi metodi, le scienze sociali si trovano ad affrontare gli stessi problemi di complessità con cui sono alle prese le discipline scientifiche dalla meccanica statistica in poi 😮
L’unico progetto degno di nota è questo social network per ricercatori: http://www.myexperiment.org/.
***
Prossimo appuntamento con What’s Next #4 è per venerdì 26 settembre.
Racconterò i dietro le quinte dell’organizzazione degli eventi della serie “Conversazioni dal Basso” ed in particolare del Festival dei Blog approfittandone per fare una riflessione più generale a partire dalle riflessioni contenute nell’ultimo libro di Clay Shirky Here Comes Everybody: The Power of Organizing Without Organizations.
Per chi non può aspettare una settimana consiglio, come al solito, di seguire FriendFeed.

Era una serata di fine estate del 2005 quella durante la quale, con Luca e Giovanni, abbiamo iniziato a riflettere sul processo del “farsi media”.

Da allora non abbiamo più smesso di parlarne anche se il libro che avevamo progettato insieme quella sera (di cui dovrebbero esistere ancora degli appunti da qualche parte) e che forse un giorno scriveremo, non è mai stato in realtà scritto.

Non che non ci fosse materiale. Piuttosto le idee e le riflessioni intorno al “farsi media” sono confluite nei post dei nostri blog ed in molti articoli scientifici che abbiamo pubblicato da allora. I tempi della pubblicazione di un libro sono sempre più inconciliabili con i tempi della ricerca su fenomeni in continuo mutamento come il web.

Nel frattempo molto è cambiato.

Se avessi scritto questo post nel 2005 avrei dovuto iniziare spiegando perché Internet sta cambiano in modo profondo la nostra società. Oggi anche gli scettici (e ne ho incontrati tanti in questi anni) non possono negare che la società dei “mezzi di comunicazione di massa per le masse” (questo sarebbe stato il sottotitolo del libro) è strutturalmente diversa dalla società sviluppatasi a partire dall’invenzione della stampa ed evolutati attraverso radio e TV.

L’accesso di massa alle comunicazioni di massa è un classico esempio di differenza quantitativa che diventa qualitativa. Ma cosa si intende per “accesso di massa alle comunicazioni di massa”?

Per spiegare questo gioco di parole è necessario comprendere l’essenza stessa della comunicazione di massa: ovvero la radicale separazione fra autore e fruitore.

Un giornalista, così come uno scrittore o l’autore di un programma televisivo, non può mai conoscere con precisione e certezza il pubblico al quale si sta rivolgendo.

La comunicazione di massa è per definizione una comunicazione verso una massa ovvero un pubblico indistinto.

Comunicare con qualcuno che non si conosce è estremamente difficile. Per farlo è necessario comunque avere in mente un’idea di chi sarà il nostro pubblico per poter scegliere cosa dire e come dirlo. Per questo motivo chi si rivolge ad un pubblico costruisce, per approssimazione e sulla base dei dati che conosce e che può conoscere, il pubblico nella sua mente.

Oggi l’accesso alla comunicazione verso un pubblico indistinto non è più ristretto ad una élite di professionisti. Chiunque, attraverso la pubblicazione dei propri contenuti in rete, può conversare con le “audience invisibili”.

A pensarci bene il processo di scrittura di un post in un blog è analogo, da questo punto di vista, a quello della scrittura di un articolo di un giornale.

Ogni autore di un blog ha in mente il suo pubblico e questo pubblico è sempre strutturalmente diverso da quello che ti puoi immaginare (avete mai dato uno sguardo alle keywords di ricerca usate dai visitatori del vostro blog?).

Pensare di conoscere il proprio pubblico è una presunzione rischiosa.

Lo sanno bene quei ragazzi che hanno fatto esperienza di scrivere sul proprio blog pensando di rivolgersi alla propria cerchia di amici e scoperto in seguito con sgomento di essere stati letti dai professori o dai genitori. Un’esperienza tanto traumatica quanto formativa che serve più di mille spiegazioni scientifiche a far comprendere istantaneamente quanto indistinto, imprevedibile ed inconoscibile sia l’audience di un contenuto pubblicato in rete. Credo che sia quello strano senso di invasione di un privato che non è tale che spiega la necessità di cercare ambienti più protetti per pubblicare in rete in propri contenuti come i siti di social network. La consapevolezza di avere di fronte un pubblico indistinto è, con tutta probabilità, uno degli skills della new media literacy che si dovrebbe insegnare a chi usa la rete per la prima volta.

La consapevolezza di avere di fronte un pubblico indistinto può atterrire ma è anche alla base della potenzialità trasformative della rete. Lo sanno bene i blogger professionisti che hanno compreso per primi come sfruttare a proprio vantaggio il nuovo accesso alla comunicazione di massa (si veda, uno per tutti, il recente caso sollevato dal post “Email che fanno male”).

Quello che a volte sfugge a chi ha compreso le potenzialità connesse alla visibilità verso un pubblico indistinto, è che esiste un’utenza che di questa visibilità farebbe volentieri a meno.

Non a caso che l’invisibile audience sia una delle quattro proprietà che danah boyd attribuisce alla comunicazione che avviene nello spazio mediato di rete.

Secondo danah boyd lo spazio mediato di rete si affianca senza sostituirlo allo spazio geografico. Mentre le distanze nello spazio geografico sono misurante in metri, nello spazio mediato di rete contano i nodi della rete sociale che devi percorrere per raggiungere la risorsa di cui hai bisogno. Lo spazio di rete è mediato nel senso che ha caratteristiche analoghe a quelle della comunicazione mediata (come ad esempio le invisible audiences e la persistence). Al tempo stesso ha una dimensione di rete grazie alla replicability (propria di tutti i contenuti digitali) e alla searchability.

Guardando alle quattro proprietà in una prospettiva storica potremmo descrivere con questo schema lo scenario della società moderna caratterizzata dall’avvento dei mezzi di comunicazione di massa fino all’avvento delle tecnologie della replicabilità digitale (anche se la replicabilità meccanica, come ci ha insegnato Walter Benjamin inizia molto prima).

Per la prima volta nella storia un gruppo limitato di persone (few) accede alla comunicazione di massa (ovvero verso un pubblico indistinto).

Non mi soffermerò qui sulle conseguenze di questo passaggio epocale perché, come noto, si tratta di uno dei fenomeni più studiati della storia dei media e della società (si veda per tutti il capitolo sul così detto piano del sociale del libro i media-mondo).

L’avvento del web ha poi reso i contenuti prodotti dai professionisti delle comunicazioni di massa ricercabili.

Si pensi, ad esempio, al caso di Google Book Search o di Google News.

Ma questo era solo l’inizio.

Poi è venuto il così detto Web 2.0 che, abbattendo i costi di produzione e distribuzione, ha portato alle masse (many) la comunicazione verso un pubblico indistinto e la ricercabilità di questi contenuti.

Penso che questa sequenza di schemi (che uso da qualche mese nelle mie presentazioni) spieghi bene il processo che abbiamo chiamato “Farsi Media” su un piano sociale.

Cosa ne pensate?

***

Lo so che avevo promesso di parlare della conferenza e-Research ’08 della scorsa settimana ma sinceramente non avevo molto da dire. L’evento si è dimostrato alquanto deludente e l’Oxford Internet Institute stesso, per quel poco che ho potuto vedere, non mi ha impressionato particolarmente. L’e-social science è in pratica l’applicazione degli strumenti computerizzati allo studio delle scienze sociali ed il risultato “sorprendente” a cui sono giunti dopo un programma di investimenti in ricerca che ci è parso molto ingente (a giudicare dai gadget che i vari progetti distribuivano) è che, applicando questi metodi, le scienze sociali si trovano ad affrontare gli stessi problemi di complessità con cui sono alle prese le discipline scientifiche dalla meccanica statistica in poi 😮

L’unico progetto degno di nota è questo social network per ricercatori: http://www.myexperiment.org/.

***

Prossimo appuntamento con What’s Next #4 è per venerdì 26 settembre.

Racconterò i dietro le quinte dell’organizzazione degli eventi della serie “Conversazioni dal Basso” ed in particolare del Festival dei Blog approfittandone per fare una riflessione più generale a partire dalle riflessioni contenute nell’ultimo libro di Clay Shirky Here Comes Everybody: The Power of Organizing Without Organizations.

Per chi non può aspettare una settimana consiglio, come al solito, di seguire FriendFeed.

Era una serata di fine estate del 2005 quella durante la quale, con Luca e Giovanni, abbiamo iniziato a riflettere sul processo del “farsi media”.

Da allora non abbiamo più smesso di parlarne anche se il libro che avevamo progettato insieme quella sera (di cui dovrebbero esistere ancora degli appunti da qualche parte) e che forse un giorno scriveremo, non è mai stato in realtà scritto.

Non che non ci fosse materiale. Piuttosto le idee e le riflessioni intorno al “farsi media” sono confluite nei post dei nostri blog ed in molti articoli scientifici che abbiamo pubblicato da allora. I tempi della pubblicazione di un libro sono sempre più inconciliabili con i tempi della ricerca su fenomeni in continuo mutamento come il web.

Nel frattempo molto è cambiato.

Se avessi scritto questo post nel 2005 avrei dovuto iniziare spiegando perché Internet sta cambiano in modo profondo la nostra società. Oggi anche gli scettici (e ne ho incontrati tanti in questi anni) non possono negare che la società dei “mezzi di comunicazione di massa per le masse” (questo sarebbe stato il sottotitolo del libro) è strutturalmente diversa dalla società sviluppatasi a partire dall’invenzione della stampa ed evolutati attraverso radio e TV.

L’accesso di massa alle comunicazioni di massa è un classico esempio di differenza quantitativa che diventa qualitativa. Ma cosa si intende per “accesso di massa alle comunicazioni di massa”?

Per spiegare questo gioco di parole è necessario comprendere l’essenza stessa della comunicazione di massa: ovvero la radicale separazione fra autore e fruitore.

Un giornalista, così come uno scrittore o l’autore di un programma televisivo, non può mai conoscere con precisione e certezza il pubblico al quale si sta rivolgendo.

La comunicazione di massa è per definizione una comunicazione verso una massa ovvero un pubblico indistinto.

Comunicare con qualcuno che non si conosce è estremamente difficile. Per farlo è necessario comunque avere in mente un’idea di chi sarà il nostro pubblico per poter scegliere cosa dire e come dirlo. Per questo motivo chi si rivolge ad un pubblico costruisce, per approssimazione e sulla base dei dati che conosce e che può conoscere, il pubblico nella sua mente.

Oggi l’accesso alla comunicazione verso un pubblico indistinto non è più ristretto ad una élite di professionisti. Chiunque, attraverso la pubblicazione dei propri contenuti in rete, può conversare con le “audience invisibili”.

A pensarci bene il processo di scrittura di un post in un blog è analogo, da questo punto di vista, a quello della scrittura di un articolo di un giornale.

Ogni autore di un blog ha in mente il suo pubblico e questo pubblico è sempre strutturalmente diverso da quello che ti puoi immaginare (avete mai dato uno sguardo alle keywords di ricerca usate dai visitatori del vostro blog?).

Pensare di conoscere il proprio pubblico è una presunzione rischiosa.

Lo sanno bene quei ragazzi che hanno fatto esperienza di scrivere sul proprio blog pensando di rivolgersi alla propria cerchia di amici e scoperto in seguito con sgomento di essere stati letti dai professori o dai genitori. Un’esperienza tanto traumatica quanto formativa che serve più di mille spiegazioni scientifiche a far comprendere istantaneamente quanto indistinto, imprevedibile ed inconoscibile sia l’audience di un contenuto pubblicato in rete. Credo che sia quello strano senso di invasione di un privato che non è tale che spiega la necessità di cercare ambienti più protetti per pubblicare in rete in propri contenuti come i siti di social network. La consapevolezza di avere di fronte un pubblico indistinto è, con tutta probabilità, uno degli skills della new media literacy che si dovrebbe insegnare a chi usa la rete per la prima volta.

La consapevolezza di avere di fronte un pubblico indistinto può atterrire ma è anche alla base della potenzialità trasformative della rete. Lo sanno bene i blogger professionisti che hanno compreso per primi come sfruttare a proprio vantaggio il nuovo accesso alla comunicazione di massa (si veda, uno per tutti, il recente caso sollevato dal post “Email che fanno male”).

Quello che a volte sfugge a chi ha compreso le potenzialità connesse alla visibilità verso un pubblico indistinto, è che esiste un’utenza che di questa visibilità farebbe volentieri a meno.

Non a caso che l’invisibile audience sia una delle quattro proprietà che danah boyd attribuisce alla comunicazione che avviene nello spazio mediato di rete.

Secondo danah boyd lo spazio mediato di rete si affianca senza sostituirlo allo spazio geografico. Mentre le distanze nello spazio geografico sono misurante in metri, nello spazio mediato di rete contano i nodi della rete sociale che devi percorrere per raggiungere la risorsa di cui hai bisogno. Lo spazio di rete è mediato nel senso che ha caratteristiche analoghe a quelle della comunicazione mediata (come ad esempio le invisible audiences e la persistence). Al tempo stesso ha una dimensione di rete grazie alla replicability (propria di tutti i contenuti digitali) e alla searchability.

Guardando alle quattro proprietà in una prospettiva storica potremmo descrivere con questo schema lo scenario della società moderna caratterizzata dall’avvento dei mezzi di comunicazione di massa fino all’avvento delle tecnologie della replicabilità digitale (anche se la replicabilità meccanica, come ci ha insegnato Walter Benjamin inizia molto prima).

Per la prima volta nella storia un gruppo limitato di persone (few) accede alla comunicazione di massa (ovvero verso un pubblico indistinto).

Non mi soffermerò qui sulle conseguenze di questo passaggio epocale perché, come noto, si tratta di uno dei fenomeni più studiati della storia dei media e della società (si veda per tutti il capitolo sul così detto piano del sociale del libro i media-mondo).

L’avvento del web ha poi reso i contenuti prodotti dai professionisti delle comunicazioni di massa ricercabili.

Si pensi, ad esempio, al caso di Google Book Search o di Google News.

Ma questo era solo l’inizio.

Poi è venuto il così detto Web 2.0 che, abbattendo i costi di produzione e distribuzione, ha portato alle masse (many) la comunicazione verso un pubblico indistinto e la ricercabilità di questi contenuti.

Penso che questa sequenza di schemi (che uso da qualche mese nelle mie presentazioni) spieghi bene il processo che abbiamo chiamato “Farsi Media” su un piano sociale.

Cosa ne pensate?

***

Lo so che avevo promesso di parlare della conferenza e-Research ’08 della scorsa settimana ma sinceramente non avevo molto da dire. L’evento si è dimostrato alquanto deludente e l’Oxford Internet Institute stesso, per quel poco che ho potuto vedere, non mi ha impressionato particolarmente. L’e-social science è in pratica l’applicazione degli strumenti computerizzati allo studio delle scienze sociali ed il risultato “sorprendente” a cui sono giunti dopo un programma di investimenti in ricerca che ci è parso molto ingente (a giudicare dai gadget che i vari progetti distribuivano) è che, applicando questi metodi, le scienze sociali si trovano ad affrontare gli stessi problemi di complessità con cui sono alle prese le discipline scientifiche dalla meccanica statistica in poi 😮

L’unico progetto degno di nota è questo social network per ricercatori: http://www.myexperiment.org/.

***

Prossimo appuntamento con What’s Next #4 è per venerdì 26 settembre.

Racconterò i dietro le quinte dell’organizzazione degli eventi della serie “Conversazioni dal Basso” ed in particolare del Festival dei Blog approfittandone per fare una riflessione più generale a partire dalle riflessioni contenute nell’ultimo libro di Clay Shirky Here Comes Everybody: The Power of Organizing Without Organizations.

Per chi non può aspettare una settimana consiglio, come al solito, di seguire FriendFeed.