Come prevedere l'audience di un talk show politico con Twitter

Modello previsionale dell’audience di un talk show basato sull’analisi dell’attività su Twitter

…o almeno come provare a farlo.

Da fine agosto abbiamo (collabora al progetto Donatella Selva) raccolto tutti i Tweet contenenti almeno uno dei seguenti hashtag: #agorai#agorarai, #ballarò, #piazzapulita, #ottoemezzo, #infedele (e variante #linfedele), #omnibus, #inonda, #portaaporta, #inmezzora, #ultimaparola e #serviziopubblico.

Lo scopo del progetto è studiare l’emergere delle forme di social tv in Italia concentrando l’attenzione su quei programmi che, trattando della cosa pubblica, dovrebbero generare un maggior volume di conversazioni su un social network con le caratteristiche di Twitter.

Approfitto dunque della pausa di natale per fare il punto su quanto abbiamo fatto fino a questo momento. Fra il 30 Agosto ed il 23 Dicembre 2012 abbiamo raccolto e archiviato per programma 610,013 Tweet. Abbiamo inoltre segmentato gli archivi in corrispondenza della messa in onda delle trasmissioni ottenendo 367 sotto-archivi corrispondenti a tutte le puntate (esclusi i pochi casi in cui non erano ospiti politici) di tutte le trasmissioni prese in esame andate in onda in questa prima parte della stagione televisiva. Parallelamente abbiamo raccolto l’audience e lo share di ciascun episodio trasmesso.

Valori medi per programma
Tab. 1. Valori medi per programma

Come si può vedere ci sono tre trasmissioni che si contendono la palma della più discussa in rete: ServizioPubblico, PiazzaPulita e Ballarò. Quest’ultima è invece di gran lunga la trasmissione più seguita con una media di quasi quattro milioni di spettatori. Ovviamente il numero di Tweet medio dipende dalla popolarità della trasmissione (che a sua volta può dipendere dall’orario di messa in onda) e dalla lunghezza della trasmissione stessa. Per ovviare a questo problema abbiamo calcolato rispettivamente 1. il rapporto fra Tweet medi per puntata e audience media e 2. la media dei Tweet per minuto. Rispetto all’average audience engagement PiazzaPulita risulta essere la trasmissione con l’audience più attiva, mentre è nuovamente ServizioPubblico a far registrare il valore più alto in relazione alla media di Tweet per minuto di trasmissione. La puntata che ha fatto registrare il maggior volume di Tweet al minuto (67.45) appartiene invece alla trasmissione Porta a Porta ed è andata in onda il 18 Dicembre (ospite Silvio Berlusconi).

A questo punto ci siamo chiesti se fosse possibile costruire un modello in grado di prevedere l’audience di una puntata sulla base del volume di attività su Twitter. Il semplice volume di Tweet fa registrare una correlazione pari a 0.6957124, mentre prendendo in considerazione la media di Tweet per minuto si arriva ad una correlazione di 0.7590615.

Scatterplot audience e Tweet al minuto
Fig. 1. Scatterplot audience e Tweet al minuto

Sulla base di questi risultati abbiamo costruito un modello di regressione lineare semplice mirato a stimare l’audience di un episodio sulla base del numero medio di Tweet scambiati al minuto durante la messa in onda.

Residuals:
     Min       1Q   Median       3Q      Max
-2249545  -343077  -178238   441166  1837812
Coefficients:
            Estimate Std. Error t value Pr(>|t|)
(Intercept)   539764      36556   14.77
showdata$tm    49737       2206   22.55
---
Signif. codes:  0 ‘***’ 0.001 ‘**’ 0.01 ‘*’ 0.05 ‘.’ 0.1 ‘ ’ 1
Residual standard error: 578100 on 374 degrees of freedom
Multiple R-squared: 0.5762,    Adjusted R-squared: 0.575
F-statistic: 508.4 on 1 and 374 DF,  p-value: < 2.2e-16

Il modello non brilla particolarmente per capacità predittive con un residual standard error di 578,100 spettatori ed un mutiple R-squared di poco superiore a 0.5. A questo punto abbiamo deciso di aggiungere una nuova variabile al modello. Di fatto costruire un modello previsionale unico per tutti i talk show non è cosa semplice. Cito solo due esempi: 1. Le trasmissioni che vanno in onda la mattina difficilmente possono beneficiare di una vasta presenza di quel pubblico connesso (prevalentemente giovane e dunque impegnato la mattina a scuola, università o lavoro), 2. Ogni trasmissione fa un uso diverso dei Tweet. Talvolta sono trasmessi nel sottopancia, talvolta sono citati, talvolta si invita il pubblico ad usare l’hashtag ufficiale e talvolta sono del tutto ignorati. Tutto questo non può non avere un impatto sul modello. Per questo motivo abbiamo deciso di arricchirlo inserendo l’average audience engagement come indice sintetico della capacità della trasmissione di attirare o stimolare la presenza di un pubblico attivo. Il nuovo modello è dunque basato su una regressione lineare multipla le cui due variabili indipendenti sono il numero di Tweet/minuto della puntata e l’ultimo valore di average audience engagement della trasmissione.

Residuals:
     Min       1Q   Median       3Q      Max
-2868842  -399567  -102448   375619  1722195
Coefficients:
                             Estimate Std. Error t value Pr(>|t|)
(Intercept)                    700355      35174   19.91
showdata$tm                     68615       2595   26.45
showdata$networked_publics -352324911   32458632  -10.86
---
Signif. codes:  0 ‘***’ 0.001 ‘**’ 0.01 ‘*’ 0.05 ‘.’ 0.1 ‘ ’ 1
Residual standard error: 504600 on 373 degrees of freedom
Multiple R-squared: 0.6779,        Adjusted R-squared: 0.6762
F-statistic: 392.5 on 2 and 373 DF,  p-value: < 2.2e-16

Il nuovo modello è effettivamente più efficace del precedente. Il Residual standard error è sceso a 504,600 ed il valore Adjusted R-squared è aumentato allo 0.6762. Ecco infine gli scarti previsionali medi dei due modelli rispetto ai singoli programmi.

Scarti fra valori di audience previsti ed osservati nei due modelli
Tab. 2. Scarti fra valori di audience previsti ed osservati nei due modelli

Questa è solo una piccola anticipazione di quello che abbiamo in mente. Nei prossimi mesi continueremo a raccogliere i dati e perfezionare il modello sperimentando altre metriche di misura dell’attività su Twitter (ad esempio il numero di Tweet originali esclusi replay e RT). Quali sono, secondo voi, gli altri fattori che possono influenzare il rapporto fra attività su Twitter e audience?

 

…o almeno come provare a farlo. Da fine agosto abbiamo (collabora al progetto Donatella Selva) raccolto tutti i Tweet contenenti almeno uno dei seguenti hashtag: #agorai, #ballarò, #piazzapulita, #ottoemezzo, #infedele (e variante #linfedele), #omnibus, #inonda, #portaaporta, #inmezzora, #ultimaparola e #serviziopubblico. Lo scopo del progetto è studiare l’emergere delle forme di social tv in Italia concentrando l’attenzione su quei programmi che, trattando della cosa pubblica, dovrebbero generare un maggior volume di conversazioni su un social network con le caratteristiche di Twitter. Approfitto dunque della pausa di natale per fare il punto su quanto abbiamo fatto fino a questo momento. Fra il 30 Agosto ed il 23 Dicembre 2012 abbiamo raccolto e archiviato per programma 610,013 Tweet. Abbiamo inoltre segmentato gli archivi in corrispondenza della messa in onda delle trasmissioni ottenendo 367 sotto-archivi corrispondenti a tutte le puntate (esclusi i pochi casi in cui non erano ospiti politici) di tutte le trasmissioni prese in esame andate in onda in questa prima parte della stagione televisiva. Parallelamente abbiamo raccolto l’audience e lo share di ciascun episodio trasmesso.

Valori medi per programma
Tab. 1. Valori medi per programma

Come si può vedere ci sono tre trasmissioni che si contendono la palma della più discussa in rete: ServizioPubblico, PiazzaPulita e Ballarò. Quest’ultima è invece di gran lunga la trasmissione più seguita con una media di quasi quattro milioni di spettatori. Ovviamente il numero di Tweet medio dipende dalla popolarità della trasmissione (che a sua volta può dipendere dall’orario di messa in onda) e dalla lunghezza della trasmissione stessa. Per ovviare a questo problema abbiamo calcolato rispettivamente 1. il rapporto fra Tweet medi per puntata e audience media e 2. la media dei Tweet per minuto. Rispetto all’average audience engagement PiazzaPulita risulta essere la trasmissione con l’audience più attiva, mentre è nuovamente ServizioPubblico a far registrare il valore più alto in relazione alla media di Tweet per minuto di trasmissione. La puntata che ha fatto registrare il maggior volume di Tweet al minuto (67.45) appartiene invece alla trasmissione Porta a Porta ed è andata in onda il 18 Dicembre (ospite Silvio Berlusconi).

A questo punto ci siamo chiesti se fosse possibile costruire un modello in grado di prevedere l’audience di una puntata sulla base del volume di attività su Twitter. Il semplice volume di Tweet fa registrare una correlazione pari a 0.6957124, mentre prendendo in considerazione la media di Tweet per minuto si arriva ad una correlazione di 0.7590615.

Scatterplot audience e Tweet al minuto
Fig. 1. Scatterplot audience e Tweet al minuto

Sulla base di questi risultati abbiamo costruito un modello di regressione lineare semplice mirato a stimare l’audience di un episodio sulla base del numero medio di Tweet scambiati al minuto durante la messa in onda.

Residuals:
     Min       1Q   Median       3Q      Max
-2249545  -343077  -178238   441166  1837812
Coefficients:
            Estimate Std. Error t value Pr(>|t|)
(Intercept)   539764      36556   14.77
showdata$tm    49737       2206   22.55
---
Signif. codes:  0 ‘***’ 0.001 ‘**’ 0.01 ‘*’ 0.05 ‘.’ 0.1 ‘ ’ 1
Residual standard error: 578100 on 374 degrees of freedom
Multiple R-squared: 0.5762,    Adjusted R-squared: 0.575
F-statistic: 508.4 on 1 and 374 DF,  p-value: < 2.2e-16

Il modello non brilla particolarmente per capacità predittive con un residual standard error di 578,100 spettatori ed un mutiple R-squared di poco superiore a 0.5. A questo punto abbiamo deciso di aggiungere una nuova variabile al modello. Di fatto costruire un modello previsionale unico per tutti i talk show non è cosa semplice. Cito solo due esempi: 1. Le trasmissioni che vanno in onda la mattina difficilmente possono beneficiare di una vasta presenza di quel pubblico connesso (prevalentemente giovane e dunque impegnato la mattina a scuola, università o lavoro), 2. Ogni trasmissione fa un uso diverso dei Tweet. Talvolta sono trasmessi nel sottopancia, talvolta sono citati, talvolta si invita il pubblico ad usare l’hashtag ufficiale e talvolta sono del tutto ignorati. Tutto questo non può non avere un impatto sul modello. Per questo motivo abbiamo deciso di arricchirlo inserendo l’average audience engagement come indice sintetico della capacità della trasmissione di attirare o stimolare la presenza di un pubblico attivo. Il nuovo modello è dunque basato su una regressione lineare multipla le cui due variabili indipendenti sono il numero di Tweet/minuto della puntata e l’ultimo valore di average audience engagement della trasmissione.

Residuals:
     Min       1Q   Median       3Q      Max
-2868842  -399567  -102448   375619  1722195
Coefficients:
                             Estimate Std. Error t value Pr(>|t|)
(Intercept)                    700355      35174   19.91
showdata$tm                     68615       2595   26.45
showdata$networked_publics -352324911   32458632  -10.86
---
Signif. codes:  0 ‘***’ 0.001 ‘**’ 0.01 ‘*’ 0.05 ‘.’ 0.1 ‘ ’ 1
Residual standard error: 504600 on 373 degrees of freedom
Multiple R-squared: 0.6779,        Adjusted R-squared: 0.6762
F-statistic: 392.5 on 2 and 373 DF,  p-value: < 2.2e-16

Il nuovo modello è effettivamente più efficace del precedente. Il Residual standard error è sceso a 504,600 ed il valore Adjusted R-squared è aumentato allo 0.6762. Ecco infine gli scarti previsionali medi dei due modelli rispetto ai singoli programmi.

Scarti fra valori di audience previsti ed osservati nei due modelli
Tab. 2. Scarti fra valori di audience previsti ed osservati nei due modelli

Questa è solo una piccola anticipazione di quello che abbiamo in mente. Nei prossimi mesi continueremo a raccogliere i dati e perfezionare il modello sperimentando altre metriche di misura dell'attività su Twitter (ad esempio il numero di Tweet originali esclusi replay e RT). Quali sono, secondo voi, gli altri fattori che possono influenzare il rapporto fra attività su Twitter e audience?

...o almeno come provare a farlo. Da fine agosto abbiamo (collabora al progetto Donatella Selva) raccolto tutti i Tweet contenenti almeno uno dei seguenti hashtag: #agorai, #ballarò, #piazzapulita, #ottoemezzo, #infedele (e variante #linfedele), #omnibus, #inonda, #portaaporta, #inmezzora, #ultimaparola e #serviziopubblico. Lo scopo del progetto è studiare l’emergere delle forme di social tv in Italia concentrando l’attenzione su quei programmi che, trattando della cosa pubblica, dovrebbero generare un maggior volume di conversazioni su un social network con le caratteristiche di Twitter. Approfitto dunque della pausa di natale per fare il punto su quanto abbiamo fatto fino a questo momento. Fra il 30 Agosto ed il 23 Dicembre 2012 abbiamo raccolto e archiviato per programma 610,013 Tweet. Abbiamo inoltre segmentato gli archivi in corrispondenza della messa in onda delle trasmissioni ottenendo 367 sotto-archivi corrispondenti a tutte le puntate (esclusi i pochi casi in cui non erano ospiti politici) di tutte le trasmissioni prese in esame andate in onda in questa prima parte della stagione televisiva. Parallelamente abbiamo raccolto l’audience e lo share di ciascun episodio trasmesso.

Valori medi per programma
Tab. 1. Valori medi per programma

Come si può vedere ci sono tre trasmissioni che si contendono la palma della più discussa in rete: ServizioPubblico, PiazzaPulita e Ballarò. Quest’ultima è invece di gran lunga la trasmissione più seguita con una media di quasi quattro milioni di spettatori. Ovviamente il numero di Tweet medio dipende dalla popolarità della trasmissione (che a sua volta può dipendere dall’orario di messa in onda) e dalla lunghezza della trasmissione stessa. Per ovviare a questo problema abbiamo calcolato rispettivamente 1. il rapporto fra Tweet medi per puntata e audience media e 2. la media dei Tweet per minuto. Rispetto all’average audience engagement PiazzaPulita risulta essere la trasmissione con l’audience più attiva, mentre è nuovamente ServizioPubblico a far registrare il valore più alto in relazione alla media di Tweet per minuto di trasmissione. La puntata che ha fatto registrare il maggior volume di Tweet al minuto (67.45) appartiene invece alla trasmissione Porta a Porta ed è andata in onda il 18 Dicembre (ospite Silvio Berlusconi).

A questo punto ci siamo chiesti se fosse possibile costruire un modello in grado di prevedere l’audience di una puntata sulla base del volume di attività su Twitter. Il semplice volume di Tweet fa registrare una correlazione pari a 0.6957124, mentre prendendo in considerazione la media di Tweet per minuto si arriva ad una correlazione di 0.7590615.

Scatterplot audience e Tweet al minuto
Fig. 1. Scatterplot audience e Tweet al minuto

Sulla base di questi risultati abbiamo costruito un modello di regressione lineare semplice mirato a stimare l’audience di un episodio sulla base del numero medio di Tweet scambiati al minuto durante la messa in onda.

Residuals:
     Min       1Q   Median       3Q      Max
-2249545  -343077  -178238   441166  1837812
Coefficients:
            Estimate Std. Error t value Pr(>|t|)
(Intercept)   539764      36556   14.77
showdata$tm    49737       2206   22.55
---
Signif. codes:  0 ‘***’ 0.001 ‘**’ 0.01 ‘*’ 0.05 ‘.’ 0.1 ‘ ’ 1
Residual standard error: 578100 on 374 degrees of freedom
Multiple R-squared: 0.5762,    Adjusted R-squared: 0.575
F-statistic: 508.4 on 1 and 374 DF,  p-value: < 2.2e-16

Il modello non brilla particolarmente per capacità predittive con un residual standard error di 578,100 spettatori ed un mutiple R-squared di poco superiore a 0.5. A questo punto abbiamo deciso di aggiungere una nuova variabile al modello. Di fatto costruire un modello previsionale unico per tutti i talk show non è cosa semplice. Cito solo due esempi: 1. Le trasmissioni che vanno in onda la mattina difficilmente possono beneficiare di una vasta presenza di quel pubblico connesso (prevalentemente giovane e dunque impegnato la mattina a scuola, università o lavoro), 2. Ogni trasmissione fa un uso diverso dei Tweet. Talvolta sono trasmessi nel sottopancia, talvolta sono citati, talvolta si invita il pubblico ad usare l’hashtag ufficiale e talvolta sono del tutto ignorati. Tutto questo non può non avere un impatto sul modello. Per questo motivo abbiamo deciso di arricchirlo inserendo l’average audience engagement come indice sintetico della capacità della trasmissione di attirare o stimolare la presenza di un pubblico attivo. Il nuovo modello è dunque basato su una regressione lineare multipla le cui due variabili indipendenti sono il numero di Tweet/minuto della puntata e l’ultimo valore di average audience engagement della trasmissione.

Residuals:
     Min       1Q   Median       3Q      Max
-2868842  -399567  -102448   375619  1722195
Coefficients:
                             Estimate Std. Error t value Pr(>|t|)
(Intercept)                    700355      35174   19.91
showdata$tm                     68615       2595   26.45
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---
Signif. codes:  0 ‘***’ 0.001 ‘**’ 0.01 ‘*’ 0.05 ‘.’ 0.1 ‘ ’ 1
Residual standard error: 504600 on 373 degrees of freedom
Multiple R-squared: 0.6779,        Adjusted R-squared: 0.6762
F-statistic: 392.5 on 2 and 373 DF,  p-value: < 2.2e-16

Il nuovo modello è effettivamente più efficace del precedente. Il Residual standard error è sceso a 504,600 ed il valore Adjusted R-squared è aumentato allo 0.6762. Ecco infine gli scarti previsionali medi dei due modelli rispetto ai singoli programmi.

Scarti fra valori di audience previsti ed osservati nei due modelli
Tab. 2. Scarti fra valori di audience previsti ed osservati nei due modelli

Questa è solo una piccola anticipazione di quello che abbiamo in mente. Nei prossimi mesi continueremo a raccogliere i dati e perfezionare il modello sperimentando altre metriche di misura dell'attività su Twitter (ad esempio il numero di Tweet originali esclusi replay e RT). Quali sono, secondo voi, gli altri fattori che possono influenzare il rapporto fra attività su Twitter e audience?

Performance e diffusione dei social media nelle Università italiane

Uno studio empirico su come le Università italiane usano Facebook, YouTube e Twitter

Alessandro Lovari, durante la scuola di dottorato Meris, mi ha proposto, avendo letto il post sulla popolarità delle pagine Facebook delle Università italiane, di sviluppare insieme l’idea di analizzare se e come gli atenei italiani usassero i social media.
Dopo un paio di incontri in Skype, qualche telefonata e diverse ore di lavoro abbiamo completato la scrittura di questo articolo che prende in esame le presenze ufficiali sui media sociali di tutte i 95 atenei italiani. Poco più della metà degli atenei è presente su almeno un social media. Facebook è il più diffuso seguito da YouTube e Twitter. Gli atenei di medie dimensioni e le università private sono più presenti ed attive. Per valutare meglio le performance delle Università sui social media abbiamo sviluppato un indice che abbiamo denominato USMPI ovvero “university social media performance index”. Questo indice valuta la presenza e le performance degli atenei sui social media usando combinando una serie di metriche e rapportando alcune di esse alla dimensione dell’ateneo (i dettagli metodologici sono nel paragrafo 4.1 dell’articolo).
I dieci atenei che hanno fatto registrare le migliori performance sono:
Ateneo, USMPI
Libera Univ. Inter.le Studi Sociali “Guido Carli” LUISS-ROMA, 0.31
Università Commerciale “Luigi Bocconi” MILANO, 0.31
Politecnico di MILANO, 0.25
Università degli Studi di MILANO-BICOCCA, 0.24
Università degli Studi di URBINO “Carlo BO”, 0.19
Libera Univ. degli Studi “Maria SS.Assunta” – LUMSA – Roma, 0.19
Università “Cà Foscari” VENEZIA, 0.17
Libera Università di lingue e comunicazione IULM-MI, 0.17
Università degli Studi di PAVIA, 0.16
Università degli Studi di UDINE, 0.16
USMPI nel complesso varia da un minimo di 0 ad un massimo di 0.31. La media è 0.0502 e la deviazione standard 0.07351.
L’indice è stato realizzato con l’intento di essere facilmente calcolabile con un intervento umano minimo o nullo. Tutte le metriche analizzate sono basate su dati esposti pubblicamente dalle API delle piattaforme di social media.
Maggiori dettagli sull’indice e su tutta la ricerca sono disponibili nell’articolo (in inglese) che abbiamo pubblicato, in versione pre-print, su ssrn.
Lovari, Alessandro and Giglietto, Fabio, Social Media and Italian Universities: An Empirical Study on the Adoption and Use of Facebook, Twitter and Youtube (January 2, 2012). Available at SSRN: http://ssrn.com/abstract=1978393.
Consigli e suggerimenti sono più che benvenuti 🙂

Urbino su Facebook

o come Facebook rende visibili le relazioni in una comunità

Visto l’interesse destato dall’analisi del gruppo Facebook dell’Università di Urbino ho deciso di estendere questa visualizzazione per includere più gruppi. L’idea è quella di rappresentare le relazioni di amicizia dei più rappresentativi gruppi Facebook di Urbino.
In una prima fase ho dunque dovuto cercare e selezionare i gruppi da prendere in considerazione.
Sono dunque partito da una semplice ricerca con la chiave urbino nel motore interno di Facebook limitando i risultati ai soli gruppi. Degli oltre 364 gruppi restituiti, ho deciso di escludere tutti quelli che, dal titolo, sembravano chiaramente riferirsi a realtà più grandi (ad esempio tutti quelli Pesaro e Urbino). Ho inoltre deciso di prendere in considerazione solo i gruppi con oltre 50 membri. Di questi alcuni erano aperti ed altri chiusi. Per quelli aperti mi sono semplicemente unito al gruppo, per quelli chiusi ho richiesto l’autorizzazione a diventare membro (solo in un caso mi è stato chiesto il perché ed ho spiegato che stavo conducendo una ricerca). Ho avuto così accesso ai dati di 72 gruppi. Per ciascuno di essi ho scaricato il grafo delle relazioni intergruppo (usando netvizz) e aggregato i risultati in un unico file .gdf copiando in questo file la lista dei membri del gruppo e quella delle loro relazioni. Questa procedura ha causato ovviamente la duplicazione di molti nodi con il rispettivo numero identificativo. Questa duplicazione non ha tuttavia causato problemi all’atto dell’importazione in Gephi durante la quale i nodi duplicati sono stati automaticamente eliminati.
Il grafo risultato dall’aggregazione di tutte le relazioni fra i membri dei gruppi presi in considerazione consiste alla fine di 14014 nodi e 175188 archi.
Su questo grafo ho calcolato i soliti indici di centralità (eigenvector, betweenness, closeness ed eccentricity) e la modularity per individuare le comunità.
Ho inoltre posizionato i nodi utilizzando l’algortimo ForceAtlas 2 (con il paramento Gravity a 100 per evitare una eccessiva disgregazione).
L’analisi della modularità, definita come una misura di quanto bene una rete possa essere scomposta in comunità modulari, si attesta intorno allo 0,6 ed il numero di comunità identificato oscilla (si tratta di algoritmo randomizzato che genera risultati diversi ogni volta che viene eseguito) intorno alle 1000.

Da questo migliaio di comunità ne emergono tre che da sole raccolgono quasi il 50% dei nodi.
Si tratta di quelle che ho identificato come UNIURB (15,5% e colore Verde), URBINATI (15,02% Blu) e MOVIDA (13,15% Rosso). Significativa inoltre la dimensione del gruppo del COLLEGI (7,34% Giallo), GIURISPRUDENZA (5,41% Azzurro), ANNUNCI E RICHIESTE (5,35% Grigio), LICEO CLASSICO RAFFAELLO (5,26% Fucsia). Fra le altre comunità che ho identificato figurano inoltre quella dell’ISIA, dell’Istituto d’Arte, dell’Istituto per la Formazione al Giornalismo e quella degli studenti Greci.

Nelle immagini che seguono due visualizzazioni dei 250 utenti meglio connessi secondo, rispettivamente, la metrica della betweenness centrality e dell’eigenvector centrality.


Infine, visto che zoom.it si rifiuta di creare l’immagine zoommabile, potete scaricare le visualizzazioni totali in formto pdf con la dimensione dei nodi legate alla betweenness e all’eigenvector centrality (i nomi, in queste visualizzazioni complessive, sono stati volutamente rimossi per questioni di privacy).Visto l’interesse destato dall’analisi del gruppo Facebook dell’Università di Urbino ho deciso di estendere questa visualizzazione per includere più gruppi. L’idea è quella di rappresentare le relazioni di amicizia dei più rappresentativi gruppi Facebook di Urbino.
In una prima fase ho dunque dovuto cercare e selezionare i gruppi da prendere in considerazione.
Sono dunque partito da una semplice ricerca con la chiave urbino nel motore interno di Facebook limitando i risultati ai soli gruppi. Degli oltre 364 gruppi restituiti, ho deciso di escludere tutti quelli che, dal titolo, sembravano chiaramente riferirsi a realtà più grandi (ad esempio tutti quelli Pesaro e Urbino). Ho inoltre deciso di prendere in considerazione solo i gruppi con oltre 50 membri. Di questi alcuni erano aperti ed altri chiusi. Per quelli aperti mi sono semplicemente unito al gruppo, per quelli chiusi ho richiesto l’autorizzazione a diventare membro (solo in un caso mi è stato chiesto il perché ed ho spiegato che stavo conducendo una ricerca). Ho avuto così accesso ai dati di 72 gruppi. Per ciascuno di essi ho scaricato il grafo delle relazioni intergruppo (usando netvizz) e aggregato i risultati in un unico file .gdf copiando in questo file la lista dei membri del gruppo e quella delle loro relazioni. Questa procedura ha causato ovviamente la duplicazione di molti nodi con il rispettivo numero identificativo. Questa duplicazione non ha tuttavia causato problemi all’atto dell’importazione in Gephi durante la quale i nodi duplicati sono stati automaticamente eliminati.
Il grafo risultato dall’aggregazione di tutte le relazioni fra i membri dei gruppi presi in considerazione consiste alla fine di 14014 nodi e 175188 archi.
Su questo grafo ho calcolato i soliti indici di centralità (eigenvector, betweenness, closeness ed eccentricity) e la modularity per individuare le comunità.
Ho inoltre posizionato i nodi utilizzando l’algortimo ForceAtlas 2 (con il paramento Gravity a 100 per evitare una eccessiva disgregazione).
L’analisi della modularità, definita come una misura di quanto bene una rete possa essere scomposta in comunità modulari, si attesta intorno allo 0,6 ed il numero di comunità identificato oscilla (si tratta di algoritmo randomizzato che genera risultati diversi ogni volta che viene eseguito) intorno alle 1000.
Da questo migliaio di comunità ne emergono tre che da sole raccolgono quasi il 50% dei nodi.
Si tratta di quelle che ho identificato come UNIURB (15,5% e colore Verde), URBINATI (15,02% Blu) e MOVIDA (13,15% Rosso). Significativa inoltre la dimensione del gruppo del COLLEGI (7,34% Giallo), GIURISPRUDENZA (5,41% Azzurro), ANNUNCI E RICHIESTE (5,35% Grigio), LICEO CLASSICO RAFFAELLO (5,26% Fucsia). Fra le altre comunità che ho identificato figurano inoltre quella dell’ISIA, dell’Istituto d’Arte, dell’Istituto per la Formazione al Giornalismo e quella degli studenti Greci.
Nelle immagini che seguono due visualizzazioni dei 250 utenti meglio connessi secondo, rispettivamente, la metrica della betweenness centrality e dell’eigenvector centrality.


Infine, visto che zoom.it si rifiuta di creare l’immagine zoommabile, potete scaricare le visualizzazioni total in pdf con la dimensione dei nodi legate alla betweenness e all’eigenvector centrality (i nomi, in queste visualizzazioni complessive, sono stati volutamente rimossi per questioni di privacy).Visto l’interesse destato dall’analisi del gruppo Facebook dell’Università di Urbino ho deciso di estendere questa visualizzazione per includere più gruppi. L’idea è quella di rappresentare le relazioni di amicizia dei più rappresentativi gruppi Facebook di Urbino.
In una prima fase ho dunque dovuto cercare e selezionare i gruppi da prendere in considerazione.
Sono dunque partito da una semplice ricerca con la chiave urbino nel motore interno di Facebook limitando i risultati ai soli gruppi. Degli oltre 364 gruppi restituiti, ho deciso di escludere tutti quelli che, dal titolo, sembravano chiaramente riferirsi a realtà più grandi (ad esempio tutti quelli Pesaro e Urbino). Ho inoltre deciso di prendere in considerazione solo i gruppi con oltre 50 membri. Di questi alcuni erano aperti ed altri chiusi. Per quelli aperti mi sono semplicemente unito al gruppo, per quelli chiusi ho richiesto l’autorizzazione a diventare membro (solo in un caso mi è stato chiesto il perché ed ho spiegato che stavo conducendo una ricerca). Ho avuto così accesso ai dati di 72 gruppi. Per ciascuno di essi ho scaricato il grafo delle relazioni intergruppo (usando netvizz) e aggregato i risultati in un unico file .gdf copiando in questo file la lista dei membri del gruppo e quella delle loro relazioni. Questa procedura ha causato ovviamente la duplicazione di molti nodi con il rispettivo numero identificativo. Questa duplicazione non ha tuttavia causato problemi all’atto dell’importazione in Gephi durante la quale i nodi duplicati sono stati automaticamente eliminati.
Il grafo risultato dall’aggregazione di tutte le relazioni fra i membri dei gruppi presi in considerazione consiste alla fine di 14014 nodi e 175188 archi.
Su questo grafo ho calcolato i soliti indici di centralità (eigenvector, betweenness, closeness ed eccentricity) e la modularity per individuare le comunità.
Ho inoltre posizionato i nodi utilizzando l’algortimo ForceAtlas 2 (con il paramento Gravity a 100 per evitare una eccessiva disgregazione).
L’analisi della modularità, definita come una misura di quanto bene una rete possa essere scomposta in comunità modulari, si attesta intorno allo 0,6 ed il numero di comunità identificato oscilla (si tratta di algoritmo randomizzato che genera risultati diversi ogni volta che viene eseguito) intorno alle 1000.
Da questo migliaio di comunità ne emergono tre che da sole raccolgono quasi il 50% dei nodi.
Si tratta di quelle che ho identificato come UNIURB (15,5% e colore Verde), URBINATI (15,02% Blu) e MOVIDA (13,15% Rosso). Significativa inoltre la dimensione del gruppo del COLLEGI (7,34% Giallo), GIURISPRUDENZA (5,41% Azzurro), ANNUNCI E RICHIESTE (5,35% Grigio), LICEO CLASSICO RAFFAELLO (5,26% Fucsia). Fra le altre comunità che ho identificato figurano inoltre quella dell’ISIA, dell’Istituto d’Arte, dell’Istituto per la Formazione al Giornalismo e quella degli studenti Greci.
Nelle immagini che seguono due visualizzazioni dei 250 utenti meglio connessi secondo, rispettivamente, la metrica della betweenness centrality e dell’eigenvector centrality.


Infine, visto che zoom.it si rifiuta di creare l’immagine zoommabile, potete scaricare le visualizzazioni total in pdf con la dimensione dei nodi legate alla betweenness e all’eigenvector centrality (i nomi, in queste visualizzazioni complessive, sono stati volutamente rimossi per questioni di privacy).

Storifying IR12

Visto che non sono a Seattle per partecipare all’annuale conferenza dell’Associazione dei Ricercatori che Studiano Internet ho deciso di sperimentare storify per provare a raccontare, a partire da contenuti trovati in rete, la conferenza.
Since this year I’ll not be able to attend the annual conference of the Association of Internet Researchers I’ll try to collect and curate interesting contents with storify.

Come gestire citazioni e bibliografie con Mendeley

Guida introduttiva alla gestione della bibliografia con Mendeley

Parlando con studenti, dottorandi e colleghi mi pare di capire che ci sia ancora qualcuno – per non dire la maggioranza – che crea a mano citazioni e bibliografie per le sue pubblicazioni. A loro è dedicato questo post 🙂
Una volta costruire la bibliografia per un articolo era un lavoro che richiedeva tempo e dedizione. Oggi ci sono software che rendono questo lavoro estremamente semplice producendo al tempo stesso citazioni e bibliografie più corrette.
Questi software fanno sotto il nome di Reference Manager. I più popolari sono EndNote, Zotero e l’ultimo arrivato, Mendeley.
Mendeley ha un approccio leggermente diverso rispetto ai predecessori. Oltre ad essere un Reference Manager è infatti anche un social network per ricercatori. Per il momento vorrei tuttavia soffermarmi sulle caratteristiche di Mendeley come Reference Manager.
Tutte queste applicazioni si basano su una semplice idea. Ogni volta che leggiamo una pubblicazione che ci interessa ne facciamo una sorta di scheda bibliografica da archiviare in un database. Questo database in Mendeley è costituito dall’applicazione Mendeley Desktop (disponibile per Windows, Mac OS X e Linux).
Ma come popolare questo database? Inserire a mano centinaia di schede non è certo un’attività semplice o divertente. Per questo motivo è possibile lasciar fare a Mendeley il lavoro sporco. Ci sono due modi per farlo. Il primo consiste nel trascinare l’articolo pdf direttamente dalla cartella del proprio computer a Mendeley Desktop e lui farà il possibile per reperire le informazioni essenziali per costruire la scheda (autore, titolo, anno di pubblicazione, editore, rivista, etc). Per esperienza vi posso dire che non sempre funziona come dovrebbe, ma che per gli articoli in digitale scaricati dai siti delle riviste fa adeguatamente il suo dovere. Alternativamente c’è un altro metodo che è forse anche più semplice ed efficace. Si può installare sul proprio browser, non importa quale, un bottone chiamato Import to Mendeley. Una volta trovato l’articolo o il libro che ci interessa (per i libri io utilizzo WorldCat ma va bene anche Amazon) basta premere quel bottone per ottenere, a patto di essere su uno dei moltissimi siti supportati, un’analisi della pagina e la creazione automatica di una scheda con tutti i dati nel nostro database.
Una volta creato il vostro database, potete farlo anche poco per volta a partire dai riferimenti che vi servono per le cose che state scrivendo ora, si tratta di capire come creare citazioni e bibliografie.
Dipende dal programma che usate per scrivere i vostri articoli/saggi/tesi. La maggior parte di voi userà una qualche versione di Microsoft Word e altri Open Office e qualcuno BibText. Il plug-in di Mendeley supporta Windows Word 2003, 2007, 2010, Mac Word 2008, 2011, OpenOffice 3.2, BibTeX. Il plug-in giusto viene installato automaticamente con Mendeley Desktop.

In tutti i casi si tratta di poter scegliere dal database dei vostri riferimenti bibliografici quello che volete inserire (c’è una mascherina di ricerca dove si può cercare per autore o titolo), selezionarlo ed inserirlo dove preferite nel testo che state scrivendo. A seconda dello stile di citazione, Mendeley ne supporta – come tutti i Reference Manager – centinaia ed alcune riviste consentono all’autore di scaricare il proprio stile specifico da installare, apparirà la citazione richiesta nel testo.
E la bibliografia? Anche questa è un gioco da ragazzi. Basta cliccare su inserisci bibliografia, vi conviene posizionarla alla fine di ciò che state scrivendo e dopo aver inserito almeno una citazione, e magicamente apparirà la bibliografia completa, formattata secondo lo stile di citazione scelto dei riferimenti citati fino a quel momento. Aggiungete un riferimento e la bibliografia si aggiornerà di conseguenza. Semplice no?
Ma cosa fare se si usano diversi computer? Come faccio ad avere il database della mia biblioteca personale sempre a disposizione? Anche questo è semplice. Mendeley si occupa di sincronizzare il vostro database creandone una copia sul vostro profilo sul sito (qui entra in gioco l’aspetto di social network) e replicando le modifiche su tutti i vostri computer.
Queste sono solo una minima parte delle funzioni messe a disposizione da Mendeley. Vi invito a scoprire le altre da soli.

Fra tutte le soluzioni che ho provato Mendeley è quella che io ed alcuni miei colleghi del LaRiCA abbiamo scelto di usare (ebbene si… anche fra di noi c’è chi scrive le bibliografie a mano 🙂 ).
Una cosa è certa, almeno che non sia costretto con la forza, non perderò più ore ad inserire a mano citazioni e costruire bibliografie. Non posso che consigliarvi di fare, appena possibile, altrettanto 😉

Disclosure: Da alcuni mesi sono advisor di Mendeley. In pratica significa che ho accettato di diffondere gratuitamente informazioni su questo prodotto come forma riconoscimento al lavoro svolto dagli sviluppatori, per mantenere il prodotto gratuito e per contribuire per le mia capacità ad un progetto che ammiro.Parlando con studenti, dottorandi e colleghi mi pare di capire che ci sia ancora qualcuno – per non dire la maggioranza – che crea a mano citazioni e bibliografie per le sue pubblicazioni. A loro è dedicato questo post 🙂
Una volta costruire la bibliografia per un articolo era un lavoro che richiedeva tempo e dedizione. Oggi ci sono software che rendono questo lavoro estremamente semplice producendo al tempo stesso citazioni e bibliografie più corrette.
Questi software fanno sotto il nome di Reference Manager. I più popolari sono EndNote, Zotero e l’ultimo arrivato, Mendeley.
Mendeley ha un approccio leggermente diverso rispetto ai predecessori. Oltre ad essere un Reference Manager è infatti anche un social network per ricercatori. Per il momento vorrei tuttavia soffermarmi sulle caratteristiche di Mendeley come Reference Manager.
Tutte queste applicazioni si basano su una semplice idea. Ogni volta che leggiamo una pubblicazione che ci interessa ne facciamo una sorta di scheda bibliografica da archiviare in un database. Questo database in Mendeley è costituito dall’applicazione Mendeley Desktop (disponibile per Windows, Mac OS X e Linux).
Ma come popolare questo database? Inserire a mano centinaia di schede non è certo un’attività semplice o divertente. Per questo motivo è possibile lasciar fare a Mendeley il lavoro sporco. Ci sono due modi per farlo. Il primo consiste nel trascinare l’articolo pdf direttamente dalla cartella del proprio computer a Mendeley Desktop e lui farà il possibile per reperire le informazioni essenziali per costruire la scheda (autore, titolo, anno di pubblicazione, editore, rivista, etc). Per esperienza vi posso dire che non sempre funziona come dovrebbe, ma che per gli articoli in digitale scaricati dai siti delle riviste fa adeguatamente il suo dovere. Alternativamente c’è un altro metodo che è forse anche più semplice ed efficace. Si può installare sul proprio browser, non importa quale, un bottone chiamato Import to Mendeley. Una volta trovato l’articolo o il libro che ci interessa (per i libri io utilizzo WorldCat ma va bene anche Amazon) basta premere quel bottone per ottenere, a patto di essere su uno dei moltissimi siti supportati, un’analisi della pagina e la creazione automatica di una scheda con tutti i dati nel nostro database.
Una volta creato il vostro database, potete farlo anche poco per volta a partire dai riferimenti che vi servono per le cose che state scrivendo ora, si tratta di capire come creare citazioni e bibliografie.
Dipende dal programma che usate per scrivere i vostri articoli/saggi/tesi. La maggior parte di voi userà una qualche versione di Microsoft Word e altri Open Office e qualcuno BibText. Il plug-in di Mendeley supporta Windows Word 2003, 2007, 2010, Mac Word 2008, 2011, OpenOffice 3.2, BibTeX. Il plug-in giusto viene installato automaticamente con Mendeley Desktop.

In tutti i casi si tratta di poter scegliere dal database dei vostri riferimenti bibliografici quello che volete inserire (c’è una mascherina di ricerca dove si può cercare per autore o titolo), selezionarlo ed inserirlo dove preferite nel testo che state scrivendo. A seconda dello stile di citazione, Mendeley ne supporta – come tutti i Reference Manager – centinaia ed alcune riviste consentono all’autore di scaricare il proprio stile specifico da installare, apparirà la citazione richiesta nel testo.
E la bibliografia? Anche questa è un gioco da ragazzi. Basta cliccare su inserisci bibliografia, vi conviene posizionarla alla fine di ciò che state scrivendo e dopo aver inserito almeno una citazione, e magicamente apparirà la bibliografia completa, formattata secondo lo stile di citazione scelto dei riferimenti citati fino a quel momento. Aggiungete un riferimento e la bibliografia si aggiornerà di conseguenza. Semplice no?
Ma cosa fare se si usano diversi computer? Come faccio ad avere il database della mia biblioteca personale sempre a disposizione? Anche questo è semplice. Mendeley si occupa di sincronizzare il vostro database creandone una copia sul vostro profilo sul sito (qui entra in gioco l’aspetto di social network) e replicando le modifiche su tutti i vostri computer.
Queste sono solo una minima parte delle funzioni messe a disposizione da Mendeley. Vi invito a scoprire le altre da soli.

Fra tutte le soluzioni che ho provato Mendeley è quella che io ed alcuni miei colleghi del LaRiCA abbiamo scelto di usare (ebbene si… anche fra di noi c’è chi scrive le bibliografie a mano 🙂 ).
Una cosa è certa, almeno che non sia costretto con la forza, non perderò più ore ad inserire a mano citazioni e costruire bibliografie. Non posso che consigliarvi di fare, appena possibile, altrettanto 😉

Disclosure: Da alcuni mesi sono advisor di Mendeley. In pratica significa che ho accettato di diffondere gratuitamente informazioni su questo prodotto come forma riconoscimento al lavoro svolto dagli sviluppatori, per mantenere il prodotto gratuito e per contribuire per le mia capacità ad un progetto che ammiro.Parlando con studenti, dottorandi e colleghi mi pare di capire che ci sia ancora qualcuno – per non dire la maggioranza – che crea a mano citazioni e bibliografie per le sue pubblicazioni. A loro è dedicato questo post 🙂
Una volta costruire la bibliografia per un articolo era un lavoro che richiedeva tempo e dedizione. Oggi ci sono software che rendono questo lavoro estremamente semplice producendo al tempo stesso citazioni e bibliografie più corrette.
Questi software fanno sotto il nome di Reference Manager. I più popolari sono EndNote, Zotero e l’ultimo arrivato, Mendeley.
Mendeley ha un approccio leggermente diverso rispetto ai predecessori. Oltre ad essere un Reference Manager è infatti anche un social network per ricercatori. Per il momento vorrei tuttavia soffermarmi sulle caratteristiche di Mendeley come Reference Manager.
Tutte queste applicazioni si basano su una semplice idea. Ogni volta che leggiamo una pubblicazione che ci interessa ne facciamo una sorta di scheda bibliografica da archiviare in un database. Questo database in Mendeley è costituito dall’applicazione Mendeley Desktop (disponibile per Windows, Mac OS X e Linux).
Ma come popolare questo database? Inserire a mano centinaia di schede non è certo un’attività semplice o divertente. Per questo motivo è possibile lasciar fare a Mendeley il lavoro sporco. Ci sono due modi per farlo. Il primo consiste nel trascinare l’articolo pdf direttamente dalla cartella del proprio computer a Mendeley Desktop e lui farà il possibile per reperire le informazioni essenziali per costruire la scheda (autore, titolo, anno di pubblicazione, editore, rivista, etc). Per esperienza vi posso dire che non sempre funziona come dovrebbe, ma che per gli articoli in digitale scaricati dai siti delle riviste fa adeguatamente il suo dovere. Alternativamente c’è un altro metodo che è forse anche più semplice ed efficace. Si può installare sul proprio browser, non importa quale, un bottone chiamato Import to Mendeley. Una volta trovato l’articolo o il libro che ci interessa (per i libri io utilizzo WorldCat ma va bene anche Amazon) basta premere quel bottone per ottenere, a patto di essere su uno dei moltissimi siti supportati, un’analisi della pagina e la creazione automatica di una scheda con tutti i dati nel nostro database.
Una volta creato il vostro database, potete farlo anche poco per volta a partire dai riferimenti che vi servono per le cose che state scrivendo ora, si tratta di capire come creare citazioni e bibliografie.
Dipende dal programma che usate per scrivere i vostri articoli/saggi/tesi. La maggior parte di voi userà una qualche versione di Microsoft Word e altri Open Office e qualcuno BibText. Il plug-in di Mendeley supporta Windows Word 2003, 2007, 2010, Mac Word 2008, 2011, OpenOffice 3.2, BibTeX. Il plug-in giusto viene installato automaticamente con Mendeley Desktop.

In tutti i casi si tratta di poter scegliere dal database dei vostri riferimenti bibliografici quello che volete inserire (c’è una mascherina di ricerca dove si può cercare per autore o titolo), selezionarlo ed inserirlo dove preferite nel testo che state scrivendo. A seconda dello stile di citazione, Mendeley ne supporta – come tutti i Reference Manager – centinaia ed alcune riviste consentono all’autore di scaricare il proprio stile specifico da installare, apparirà la citazione richiesta nel testo.
E la bibliografia? Anche questa è un gioco da ragazzi. Basta cliccare su inserisci bibliografia, vi conviene posizionarla alla fine di ciò che state scrivendo e dopo aver inserito almeno una citazione, e magicamente apparirà la bibliografia completa, formattata secondo lo stile di citazione scelto dei riferimenti citati fino a quel momento. Aggiungete un riferimento e la bibliografia si aggiornerà di conseguenza. Semplice no?
Ma cosa fare se si usano diversi computer? Come faccio ad avere il database della mia biblioteca personale sempre a disposizione? Anche questo è semplice. Mendeley si occupa di sincronizzare il vostro database creandone una copia sul vostro profilo sul sito (qui entra in gioco l’aspetto di social network) e replicando le modifiche su tutti i vostri computer.
Queste sono solo una minima parte delle funzioni messe a disposizione da Mendeley. Vi invito a scoprire le altre da soli.

Fra tutte le soluzioni che ho provato Mendeley è quella che io ed alcuni miei colleghi del LaRiCA abbiamo scelto di usare (ebbene si… anche fra di noi c’è chi scrive le bibliografie a mano 🙂 ).
Una cosa è certa, almeno che non sia costretto con la forza, non perderò più ore ad inserire a mano citazioni e costruire bibliografie. Non posso che consigliarvi di fare, appena possibile, altrettanto 😉

Disclosure: Da alcuni mesi sono advisor di Mendeley. In pratica significa che ho accettato di diffondere gratuitamente informazioni su questo prodotto come forma riconoscimento al lavoro svolto dagli sviluppatori, per mantenere il prodotto gratuito e per contribuire per le mia capacità ad un progetto che ammiro.

Internet in Italia secondo il 9° Rapporto Censis/Ucsi sulla comunicazione

Internet in Italia secondo il 9° Rapporto Censis/Ucsi sulla comunicazione

Dal rapporto di sintesi disponibile sul sito Internet del Censis e presentato oggi emerge che:
– crescita dell’utenza di Internet, che nel 2011 supera la soglia del 50% della popolazione italiana, attestandosi per l’esattezza al 53,1% (+6,1% rispetto al 2009). Il dato complessivo si spacca tra l’87,4% dei giovani (14-29 anni) e il 15,1% degli anziani (65-80 anni), tra il 72,2% dei soggetti più istruiti e il 37,7% di quelli meno scolarizzati;
– I siti web di informazione sono usati dal 36,6% degli italiani;
– Il 17,6% degli italiani ha usato uno smartphone almeno una volta a settimana;
– Alla metà del decennio si era verificato un primo importante fenomeno di svuotamento dell’area di quanti si servono di soli strumenti audiovisivi, cioè tv e radio (il 46,6% nel 2002, il 28,2% nel 2006), che aveva portato a uno spostamento sia verso l’area dei fruitori dei mezzi a stampa (che salivano al 42,8%), sia verso quella degli utenti di Internet (al 29%). Da allora si è verificata la crescita dei “digitali” (fino al 48% del 2011), ma solo a discapito dei “lettori” (scesi nel 2011 al 23,3%), non degli “audiovisivi”, che sono rimasti praticamente stabili (il 28,7% nel 2011);
– Una metà del Paese ha dunque compiuto stabilmente il salto oltre la soglia del digital divide. Non si tratta però di una metà omogenea. Si può osservare che il 48% del totale è costituito molto più da uomini (52,5%) che da donne (43,7%), con una netta preponderanza di persone istruite (66,7%) rispetto a quelle con bassi livelli di istruzione (32,8%), per non parlare dei giovani (84,6%) in confronto agli adulti (46,5%) e agli anziani (11,4%);
– I giovani (14-29 anni) vivono abitualmente in rete (l’84,6%), ma sono proprio loro, con una quota del 53,3%, ad abbandonare maggiormente la lettura di testi a stampa. Nel 2009 quest’ultima quota si fermava al 35,8% della popolazione giovanile;
– Persone con diete aperte a Internet, ma prive dei mezzi a stampa 5,7 (2006) | 12,9 (2009) | 17,0 (2011);
– Indipendentemente dall’uso del televisore, il 12,3% della popolazione (24,7 dei giovani 14-29) attinge ai siti Internet delle emittenti tv per seguire i programmi prescelti, il 22,7% (47,6 14-29) utilizza YouTube, il 17,5% (36,2% 14-29) segue programmi scaricati tramite il web da altre persone;
– Preferenze del pubblico che scarica programmi televisivi da Internet. Musica (18,3%), sport (11,7%) e film (9,9%) sono ai vertici dell’interesse complessivo. Scorrendo invece la colonna relativa alle preferenze dei giovani, si può osservare che viene scaricato di tutto e anche con una notevole continuità. La musica rimane sempre al vertice, con il 46,2% di preferenze, seguita dai film (27,1%), dallo sport (25,6%), dalle fiction (21,2%) e poi i cartoni animati (14,3%), la cronaca (13,4%), i reality (11,6%), ma anche gli approfondimenti giornalistici (10%) e i telegiornali (8,7%);
–  Nel mondo dell’informazione, la centralità dei telegiornali è ancora fuori discussione, visto che l’80,9% degli italiani vi fa ricorso come fonte. Tra i giovani, però, il dato scende al 69,2%, avvicinandosi molto al 65,7% raggiunto dai motori di ricerca su Internet e al 61,5% di Facebook;
– Fra le fonti indicate dal pubblico emergono anche i motori di ricerca come Google (41,4%), i siti web di informazione (29,5%), Facebook (26,8%), i quotidiani on line (21,8%). Le “app” per gli smartphone sono al 7,3% di utenza e Twitter al 2,5%;
– Internet è il mezzo di comunicazione considerato più credibile;
– Il 67,8% degli italiani (91,8% 14-29) conosce almeno un social network tra quelli più noti (Facebook, Twitter, Messenger, YouTube, fino a Skype). Si tratta di 33,5 milioni di persone, in crescita rispetto ai 32,9 milioni del 2009. Facebook (65,3%) risulta essere il più conosciuto insieme a YouTube (53%); seguono Messenger (41%), Skype (37,4%) e Twitter (21,3%);
– Facebook è, oltre che il social network più conosciuto, anche tra quelli più utilizzati (dal 49% degli italiani che accedono a Internet, l’88,1% tra i giovani), insieme a YouTube (54,5%, l’86,5% tra i giovani);
– Funzione di Internet maggiormente utilizzata nella vita quotidiana direttamente o per interposta persona: [1] Mappe: 37,9% lo ha fatto almeno una volta nell’ultimo mese (60,5% nei centri con più di 500mila abitanti). [2] Ascoltare musica (26,5%). [3] Home banking (22,5%);
– Effettua telefonate attraverso Internet (tramite Skype o altri servizi voip) il 10,1% degli italiani che si connettono, soprattutto i giovani (14,8%) e le persone più istruite (14,5%);
– L’83,8% del campione (94,1% dei giovani e 87,1% dei soggetti più istruiti) riconosce a Internet il merito di permettere a chiunque di esprimersi liberamente. Al tempo stesso, l’83,3% lamenta il fatto che nel web circola troppa “spazzatura”;
– Per il 76,9% degli italiani (82,9% dei giovani e 81,2% dei soggetti più istruiti) la rete è un potente mezzo al servizio della democrazia.
In estrema sintesi emerge, rispetto a Internet, un paese spaccato in due. Il divario si ritrova costantemente sia a livello generazionale che a livello di titoli di studio. Uno scenario non dissimile da quello che avevamo descritto qualche mese fa con la ricerca LaRiCA sulle news e gli italiani.
Il report di sintesi che contiene dati più completi e riguardanti tutti i mezzi di comunicazione è disponibile gratuitamente sul sito del Censis (previa registrazione).
UPDATE: Sullo stesso tema consiglio la lettura del post con infografica di Vincenzo Cosenza e del commento di Juan Carlos De Martin su La Stampa.

Chi usa Facebook ha più fiducia negli altri

Le conclusioni di un recente studio smentiscono molti luoghi comuni

Questa è una delle conclusioni a cui sono giunti i ricercatori del Pew Internet nel loro ultimo studio intitolato Social networking sites and our lives.
Il report è particolarmente interessante perché affronta temi che spesso affiorano quando si parla di Internet e Siti di Social Network: Saremo tutti più isolati e individualisti? Ci rinchiuderemo nella cerchia delle persone che condividono le nostre stesse opinioni ed interessi?
Queste ipotesi appaiono largamente smentite dai dati e dall’analisi che ne fanno i ricercatori americani.

  • Alla domanda che chiedeva di indicare il grado di accordo sull’affermazione “sento che la maggior parte delle persone sono degne di fiducia” gli utenti di Internet hanno risposto affermativamente nel doppio dei casi rispetto ai non utenti di Internet. Inoltre un utente di Facebook che usa la piattaforma diverse volte al giorno ha il 43% di possibilità in più rispetto agli utenti di Internet di esprimere accordo con questa affermazione. I dati sono stati depurati dal fattore demografico (ovvero i ricercatori hanno tenuto conto del fatto che il grado di accordo ad una domanda simile può essere correlato con l’età della persona ed essendo gli utenti di siti di social network più giovani del resto della popolazione…);
  • Gli utenti di Facebook hanno un numero maggiore di legami sociali forti. La media US è di 2.16 amici con cui ci si confida (in crescita rispetto al 1.93 della rilevazione 2008). Gli utenti Facebook che usano la piattaforma più volte al giorno hanno in media il 9% in più di legami forti rispetto agli altri utenti Internet;
  • Calcolando il supporto sociale (emotivo, compagnia e strumentale) che si riceve dai propri legami sociali su una scala dove il massimo è 100, gli americani in media fanno registrare i seguenti dati: 75/100 supporto, 75/100 supporto emotivo, 76/100 compagnia, 75/100 strumentale. Gli utenti internet superano di 3 punti la media sul supporto totale e di 6 punti la media sulla compagnia. Gli utenti Facebook che usano la piattaforma più volte al giorno ottengono altri 5 punti (rispetto agli Internet users) sul supporto totale, 5 punti sul supporto emotivo e 5 punti sulla compagnia. Per dare un’idea di cosa significhi la differenza in questa scala i ricercatori fanno notare che l’incremento di punteggio fatto registrare dagli utenti Facebook è paragonabile per entità a sposarsi o andare a vivere con un partner;
  • Dati relativi alle elezioni di MidTerm 2010. Su una media di 10 Americani su 100 che dichiarano di aver partecipato ad una dimostrazione politica, 23% che ha provato a convincere altri a supportare uno specifico candidato e 66% che hanno dichiarato di essere intenzionati a votare, l’utente Internet ha il doppio di possibilità di aver partecipato ad un evento politico, il 78% di possibilità in più di aver cercato di convincere altri a supportare un certo candidato ed il 53% in più di dichiarare di aver intenzione di votare. Rispetto agli utenti Internet, gli utenti Facebook che usano la piattaforma più volte al giorno hanno due volte e mezzo la possibilità che ha un utente Internet di aver partecipato ad una manifestazione politica, il 57% in più di aver cercato di persuadere qualcuno a votare in un certo modo e un 43% di possibilità in più di aver dichiarato l’intenzione di partecipare al voto.

Altri dati interessanti:

  • il 79& degli Americani adulti ha usato Internet ed il 47% (59% degli Internet Users) almeno un sito di social network. In Italia secondo una ricerca svolta con metodologia analoga a Dicembre 2010 dal laboratorio di ricerca LaRiCA erano 58% di Italiani adulti ad aver usato Internet e 32% (55% degli Internet Users) ad aver usato un sito di social network;
  • Solo il 3% dei contatti su Facebook degli utenti Americani è costituito da persone che l’utente non ha mai conosciuto ed il 7% da persone incontrate una sola volta.

Come al solito vorrei sottolineare quanto sarebbe importante, utile e relativamente semplice riproporre uno studio identico in Italia. Se qualcuno vuole finanziare l’operazione io mi metto a disposizione per lavorarci gratuitamente anche da domani 😉

What’s next #S02E03: facebook.com/uniurbit

Breve storia dei primi mesi di vita pagina Facebook dell’Università di Urbino “Carlo Bo”Breve storia dei primi mesi di vita pagina Facebook dell’Università di Urbino “Carlo Bo”Breve storia dei primi mesi di vita pagina Facebook dell’Università di Urbino “Carlo Bo”

Era una mattina di aprile e mi trovavo nel mio ufficio, al LaRiCA.
Leggevo, come di solito, le news dal mondo della tecnologia ed una fra le altre attirò la mia attenzione… Facebook introduce le community page. Pagine per le comunità distinte dalle pagine ufficiali degli artisti, dei brand e delle organizzazioni. Mi sembrava mancasse uno spazio digitale proprio della comunità di uniurb e senza pensarci due volte ho creato una pagina dal titolo Università di Urbino “Carlo Bo”.
Subito dopo ho invitato Donatello e Tano a entrare nel gruppo degli admin. Nessuno dei tre aveva idea di quello che sarebbe successo dopo. Da quel giorno di aprile i frequentatori della pagina hanno iniziato a crescere prima in modo esponenziale (oltre 3400 nel primo mese) e poi in modo più graduale ma costante fino a superare quota 5000 (al momento sono 5367). La maggior parte sono donne (62%) e la fascia d’età più rappresentata è quella fra i 18 ed i 24 anni (45%). Uno sguardo alle città di provenienza vede in testa alla classifica Ancona e Roma (che superano entrambe i 1000 like) seguite da Ivrea, Milano, Rimini, Pescara a Taranto. Durante il mese di dicembre si è toccato il picco di quasi 3500 utenti attivi in un mese (Monthly Active Users). In particolare il 15 dicembre si sono registrati 1861 utenti attivi in un solo giorno. In media ci sono ogni mese circa 1400 “utenti attivi” e poco meno di un centinaio, fra questi, visitano la pagina quotidianamente ponendo quesiti, rispondendo a quelli degli altri e condividendo esperienze come una vera e propria comunità.
Nulla che non si facesse già prima per le strade di Urbino. Ora però tutto avviene più rapidamente. E questo è solo l’inizio.
Visita la pagina Facebook dell’Università di Urbino Carlo Bo
[extended version dell’articolo che potete leggere sul numero in distribuzione della rivista Open House]
[Photo by davidsilver]
Era una mattina di aprile e mi trovavo nel mio ufficio, al LaRiCA. Leggevo, come di solito, le news dal mondo della tecnologia ed una fra le altre attirò la mia attenzione… Facebook introduce le community page. Pagine per le comunità distinte dalle pagine ufficiali degli artisti, dei brand e delle organizzazioni. Mi sembrava mancasse uno spazio digitale proprio della comunità di uniurb e senza pensarci due volte ho creato una pagina dal titolo Università di Urbino “Carlo Bo”. Subito dopo ho invitato Donatello e Tano a entrare nel gruppo degli admin. Nessuno dei tre aveva idea di quello che sarebbe successo dopo. Da quel giorno di aprile i frequentatori della pagina hanno iniziato a crescere prima in modo esponenziale (oltre 3400 nel primo mese) e poi in modo più graduale ma costante fino a sfiorare quota 5000 (soglia probabilmente già superata quando leggerete questo pezzo). La maggior parte sono donne (62%) e la fascia d’età più rappresentata è quella fra i 18 ed i 24 anni (45%). Uno sguardo alle città di provenienza vede in testa alla classifica Ancona e Roma (che superano entrambe i 1000 like) seguite da Ivrea, Milano e Urbino. Ogni mese ci sono circa 1400 “utenti attivi” e poco meno di un centinaio, fra questi, visitano la pagina quotidianamente ponendo quesiti, rispondendo a quelli degli altri e condividendo esperienze come una vera e propria comunità. Nulla che non si facesse già prima per le strade di Urbino. Ora però tutto avviene più rapidamente. E questo è solo l’inizio.
Era una mattina di aprile e mi trovavo nel mio ufficio, al LaRiCA. Leggevo, come di solito, le news dal mondo della tecnologia ed una fra le altre attirò la mia attenzione… Facebook introduce le community page. Pagine per le comunità distinte dalle pagine ufficiali degli artisti, dei brand e delle organizzazioni. Mi sembrava mancasse uno spazio digitale proprio della comunità di uniurb e senza pensarci due volte ho creato una pagina dal titolo Università di Urbino “Carlo Bo”. Subito dopo ho invitato Donatello e Tano a entrare nel gruppo degli admin. Nessuno dei tre aveva idea di quello che sarebbe successo dopo. Da quel giorno di aprile i frequentatori della pagina hanno iniziato a crescere prima in modo esponenziale (oltre 3400 nel primo mese) e poi in modo più graduale ma costante fino a sfiorare quota 5000 (soglia probabilmente già superata quando leggerete questo pezzo). La maggior parte sono donne (62%) e la fascia d’età più rappresentata è quella fra i 18 ed i 24 anni (45%). Uno sguardo alle città di provenienza vede in testa alla classifica Ancona e Roma (che superano entrambe i 1000 like) seguite da Ivrea, Milano e Urbino. Ogni mese ci sono circa 1400 “utenti attivi” e poco meno di un centinaio, fra questi, visitano la pagina quotidianamente ponendo quesiti, rispondendo a quelli degli altri e condividendo esperienze come una vera e propria comunità. Nulla che non si facesse già prima per le strade di Urbino. Ora però tutto avviene più rapidamente. E questo è solo l’inizio.
 

The Facebook Effect: dal dormitorio di Harvard al mezzo miliardo di utenti

L’intrecciarsi della storia personale del fondatore e quella della piattaforma rendono The Facebook Effect: The Inside Story of the Company That Is Connecting the World una lettura piacevole e fortemente consigliataL’intrecciarsi della storia personale del fondatore e quella della piattaforma rendono The Facebook Effect: The Inside Story of the Company That Is Connecting the World una lettura piacevole e fortemente consigliataL’intrecciarsi della storia personale del fondatore e quella della piattaforma rendono The Facebook Effect: The Inside Story of the Company That Is Connecting the World una lettura piacevole e fortemente consigliata

Ho appena finito di leggere The Facebook Effect: The Inside Story of the Company That Is Connecting the World (da non confondersi con Network Effect: quando la rete diventa pop 😉 ).
Il libro, scritto dal giornalista del New York Times David Kirkpatrick, racconta in modo ben organizzato ed affascinante la storia di Facebook dal lancio nel campus di Harvard fino ai giorni nostri. Ne viene fuori un interessante e per certi versi inedito ritratto del fondatore e attuale CEO Mark Zuckerberg.
Il libro si apre con un prologo che racconta la storia di Oscar Morales, fondatore del gruppo Un Millon de Voces Contra Las FARC, che da singolo cittadino indignato si è ritrovato a coordinare una marcia di protesta che ha coinvolto dieci milioni di colombiani.
Potere di Facebook o come direbbe l’autore del libro, effetto Facebook.


Non sono tuttavia gli episodi come quello di Oscar Morales (o gli altri raccontati nel capitolo 15 Changing Our Institution) a lasciare la sensazione di aver letto una storia straordinaria. Tutti questi fenomeni erano possibili anche con internet prima di Facebook. Quello che veramente colpisce è il tasso di crescita che il servizio ha avuto fin dall’inizio, segno di un bisogno profondo e globale, e la figura di Mark Zuckerberg.

Quando nel 2004 tutto è iniziato, Mark Zuckerberg, oggi ventiseienne, era una matricola di Harvard. I suoi compagni di stanza (Chris HugesEduardo SaverinDustin Moskovitz) diventarono subito parte del progetto Facebook. Uno di questi, Chris Huges, diventò ben presto il portavoce dell’azienda anche per sollevare Zuckerberg da questo impegno che trovava gravoso e poco interessante. Nel 2008 Huges ha coordinato la campagna in rete di Barack Obama.
“Cambieremo il mondo rendendolo un luogo più aperto”. Era questa una delle frasi che più spesso si sentiva pronunciare prima nei corridoi del dormitorio e poi nel nuovo quartier generale di Palo Alto (un’appartamento affittato per le vacanze estive dal quale i fondatori non fecero più ritorno ad Harvard). Una delle cose che colpisce leggendo il libro è proprio questa adesione alla missione specialmente da parte del fondatore che in più occasioni ha rifiutato importanti contratti pubblicitari perché richiedevano di modificare la forma e la posizione dei banner sulla piattaforma. In più passi emerge chiaramente questo tratto. Non è tanto importante fare soldi (altrimenti avrebbe accettato una delle tante cospicue offerte d’acquisto) quanto lavorare per migliorare l’esperienza che l’utente ha del servizio. Aumentare il numero degli utenti ed il loro livello di coinvolgimento (in termini di attività e minuti spesi).
Basti pensare che durante la prima settimana dal lancio (il 4 febbraio 2004) metà degli studenti di Harvard era iscritta a Facebook (o Thefacebook come si chiamava fino al 20 settembre 2005) e lo stesso livello di entusiasmo fu registrato in quasi tutti i campus dove il servizio veniva via via reso disponibile.

Over the summer, Zuckerberg, Moskovitz, and Parker had coined a term for how students seemed to use the site. They called it “the trance.” Once you started combing through Thefacebook it was very easy to just keep going. “It was hypnotic,” says Parker. “You’d just keep clicking and clicking and clicking from profile to profile, viewing the data.” The wall was intended to keep users even more transfixed by giving them more to see inside the service. It seemed to work. Almost immediately the wall became Thefacebook’s most popular feature.

Thefacebook era molto diverso da quello che oggi è Facebook perché consisteva essenzialmente di semplici profili corredati da foto ed interessi (niente foto oltre quella del profilo, messaggi interni e persino il wall fu aggiunto solo in seguito). Nonostante questo il servizio aveva un potere ipnotico sugli studenti (l’ 80% dei quali ritornava quotidianamente sul sito) che passavano ore navigando da un profilo a quello successivo.
Alla fine di Marzo 2004 Thefacebook aveva 30.000 utenti registrati. Il servizio costava $450 al mese per il noleggio dei server. Alla fine di maggio il social network di Mark Zuckerberg era presente in 34 atenei per un totale di 100.000 utenti. Facebook è oggi il social network più utilizzato in 111 dei 131 paesi analizzati da Vicenzo Cosenza nella sua mappa World Map of Social Networks. A sei anni dal lancio il servizio è prossimo al superamento 500.000.000 di utenti nel mondo.
Un momento di svolta fu il lancio dell’applicazione per le foto con la possibilità di taggare i propri amici.
Un mese dopo l’85% degli utenti di Facebook erano stati taggati in almeno una foto. Dopo sei settimane l’applicazione per le foto aveva consumato tutto lo spazio disco che era stato programmato per i successivi sei mesi. Ma la cosa più importante fu che per la prima volta si era capita l’importanza del grafo sociale per connettere persone e contenuti fra di loro.

Would people accept low-resolution photos? Would they use the tags? On the day in late October when the team turned the Photos application on, they nervously watched a big monitor that displayed every picture as it was uploaded. The first image was a cartoon of a cat. They looked at each other worriedly. Then in a minute or so they started seeing photos of girls—girls in groups, girls at parties, girls shooting photos of other girls. And these photos were being tagged! The girls just kept coming.

Lo sviluppo del contestatissimo News Feed fu il logico passo successivo. Incorporare la logica del flusso RSS in Facebook facendo in modo che fossero le informazioni sugli aggiornamenti ad arrivare agli utenti e non viceversa. L’introduzione del News Feed fu inoltre un importante banco di prova per la gestione delle relazioni fra utenti e sviluppatori del servizio. Il giorno stesso del lancio del News Feed uno studente della Northwestern University dell’Illinois creò il gruppo “Students Against Facebook news feed”. In tre ore il gruppo raggiunse i 13.000 iscritti. Alla fine della settimana il gruppo poteva contava 700.000 membri. Circa il 10% degli utenti di Facebook stava usando gli strumenti messi a disposizione della piattaforma per protestare contro Facebook. Solo l’aggiunta di nuove impostazioni di privacy che consentivano agli utenti di decidere cosa mostrare o nascondere nel News Feed, placò le ire e scongiurò la minaccia di una manifestazione (che si sarebbe dovuta tenere di fronte a Palo Alto) auto-convocata attraverso i numerosi gruppi creati in segno di protesta.
Da quel primo episodio di poi tutte le continue innovazioni proposte da Facebook verranno accolte dalle proteste degli utenti. In uno specifico caso, quello di Facebook Beacon – un servizio che notificava automaticamente gli amici alcune attività svolte su siti esterni a Facebook, gli sviluppatori furono costretti a tornare sui loro passi ammettendo l’errore di implementazione e rendendo la funzione disponibile solo a richiesta. Oggi a diversi anni di distanza caratteristiche analoghe a quelle di Facebook Beacon sono state lentamente re-introdotte attraverso funzionalità quali Facebook Connect.
Nel libro si raccontano tanti piccoli e grandi episodi come questi (da non perdere la crisi di pianto di Zuckerberg nei bagni del Village Pub, a nord di Palo Alto e quello nel quale il CEO di Facebook domandò, durante una cena a Davos, a Lerry Page – co-fondatore di Google – se lui usasse Facebook).
Si tratta di una lettura piacevole ed interessante. La sensazione a tratti è che l’immagine che emerge del fondatore e della società sia troppo positiva. Nell’ultima parte del libro David Kirkpatrick dichiara di non aver ricevuto nessuna pressione da parte di Facebook e non c’è motivo di non credergli. In altre pagine tuttavia l’autore racconta in modo aperto della sua partecipazione ad eventi promozionali come il tour europeo di Zuckerberg. Questa vicinanza non può non aver influenzato le sue idee. Non tutto quello che luccica è oro, ma questo lo sapete già.
Al di là di questo, la straordinaria storia di una società fondata da un diciannovenne e portata nel giro di 6 anni ad un valore stimato di oltre due milioni di dollari, rimane una lettura avvincente e totalmente consigliata.
Leggetevi il libro e fatevi la vostra idea.
P.S. The Facebook Effect è stato il primo libro che ho acquistato per Kindle. L’esperienza di lettura è stata eccellente. La possibilità di leggere in piena luce, di continuare la lettura su PC dalla pagina alla quale ci si era fermati sul lettore e viceversa, le possibilità di annotare parti del testo e di condividerle, grazie al nuovo firmware, via Twitter e Facebook mi hanno veramente entusiasmato. E da ieri il Kindle è anche disponibile a prezzo ribassato a poco più di € 150. Cosa aspettate a comprarlo?

Ho appena finito di leggere The Facebook Effect: The Inside Story of the Company That Is Connecting the World (da non confondersi con Network Effect: quando la rete diventa pop 😉 ).

Il libro, scritto dal giornalista del New York Times David Kirkpatrick, racconta in modo ben organizzato ed affascinante la storia di Facebook dal lancio nel campus di Harvard fino ai giorni nostri. Ne viene fuori un interessante e per certi versi inedito ritratto del fondatore e attuale CEO Mark Zuckerberg.

Il libro si apre con un prologo che racconta la storia di Oscar Morales, fondatore del gruppo Un Millon de Voces Contra Las FARC, che da singolo cittadino indignato si è ritrovato a coordinare una marcia di protesta che ha coinvolto dieci milioni di colombiani.

Potere di Facebook o come direbbe l’autore del libro, effetto Facebook.

the facebook effect

Non sono tuttavia gli episodi come quello di Oscar Morales (o gli altri raccontati nel capitolo 15 Changing Our Institution) a lasciare la sensazione di aver letto una storia straordinaria. Tutti questi fenomeni erano possibili anche con internet prima di Facebook. Quello che veramente colpisce è il tasso di crescita che il servizio ha avuto fin dall’inizio, segno di un bisogno profondo e globale, e la figura di Mark Zuckerberg.

Quando nel 2004 tutto è iniziato, Mark Zuckerberg, oggi ventiseienne, era una matricola di Harvard. I suoi compagni di stanza (Chris HugesEduardo SaverinDustin Moskovitz) diventarono subito parte del progetto Facebook. Uno di questi, Chris Huges, diventò ben presto il portavoce dell’azienda anche per sollevare Zuckerberg da questo impegno che trovava gravoso e poco interessante. Nel 2008 Huges ha coordinato la campagna in rete di Barack Obama.

“Cambieremo il mondo rendendolo un luogo più aperto”. Era questa una delle frasi che più spesso si sentiva pronunciare prima nei corridoi del dormitorio e poi nel nuovo quartier generale di Palo Alto (un’appartamento affittato per le vacanze estive dal quale i fondatori non fecero più ritorno ad Harvard). Una delle cose che colpisce leggendo il libro è proprio questa adesione alla missione specialmente da parte del fondatore che in più occasioni ha rifiutato importanti contratti pubblicitari perché richiedevano di modificare la forma e la posizione dei banner sulla piattaforma. In più passi emerge chiaramente questo tratto. Non è tanto importante fare soldi (altrimenti avrebbe accettato una delle tante cospicue offerte d’acquisto) quanto lavorare per migliorare l’esperienza che l’utente ha del servizio. Aumentare il numero degli utenti ed il loro livello di coinvolgimento (in termini di attività e minuti spesi).

Basti pensare che durante la prima settimana dal lancio (il 4 febbraio 2004) metà degli studenti di Harvard era iscritta a Facebook (o Thefacebook come si chiamava fino al 20 settembre 2005) e lo stesso livello di entusiasmo fu registrato in quasi tutti i campus dove il servizio veniva via via reso disponibile.

Over the summer, Zuckerberg, Moskovitz, and Parker had coined a term for how students seemed to use the site. They called it “the trance.” Once you started combing through Thefacebook it was very easy to just keep going. “It was hypnotic,” says Parker. “You’d just keep clicking and clicking and clicking from profile to profile, viewing the data.” The wall was intended to keep users even more transfixed by giving them more to see inside the service. It seemed to work. Almost immediately the wall became Thefacebook’s most popular feature.

Thefacebook era molto diverso da quello che oggi è Facebook perché consisteva essenzialmente di semplici profili corredati da foto ed interessi (niente foto oltre quella del profilo, messaggi interni e persino il wall fu aggiunto solo in seguito). Nonostante questo il servizio aveva un potere ipnotico sugli studenti (l’ 80% dei quali ritornava quotidianamente sul sito) che passavano ore navigando da un profilo a quello successivo.

Alla fine di Marzo 2004 Thefacebook aveva 30.000 utenti registrati. Il servizio costava $450 al mese per il noleggio dei server. Alla fine di maggio il social network di Mark Zuckerberg era presente in 34 atenei per un totale di 100.000 utenti. Facebook è oggi il social network più utilizzato in 111 dei 131 paesi analizzati da Vicenzo Cosenza nella sua mappa World Map of Social Networks. A sei anni dal lancio il servizio è prossimo al superamento 500.000.000 di utenti nel mondo.

Un momento di svolta fu il lancio dell’applicazione per le foto con la possibilità di taggare i propri amici.

Un mese dopo l’85% degli utenti di Facebook erano stati taggati in almeno una foto. Dopo sei settimane l’applicazione per le foto aveva consumato tutto lo spazio disco che era stato programmato per i successivi sei mesi. Ma la cosa più importante fu che per la prima volta si era capita l’importanza del grafo sociale per connettere persone e contenuti fra di loro.

Would people accept low-resolution photos? Would they use the tags? On the day in late October when the team turned the Photos application on, they nervously watched a big monitor that displayed every picture as it was uploaded. The first image was a cartoon of a cat. They looked at each other worriedly. Then in a minute or so they started seeing photos of girls—girls in groups, girls at parties, girls shooting photos of other girls. And these photos were being tagged! The girls just kept coming.

Lo sviluppo del contestatissimo News Feed fu il logico passo successivo. Incorporare la logica del flusso RSS in Facebook facendo in modo che fossero le informazioni sugli aggiornamenti ad arrivare agli utenti e non viceversa. L’introduzione del News Feed fu inoltre un importante banco di prova per la gestione delle relazioni fra utenti e sviluppatori del servizio. Il giorno stesso del lancio del News Feed uno studente della Northwestern University dell’Illinois creò il gruppo “Students Against Facebook news feed”. In tre ore il gruppo raggiunse i 13.000 iscritti. Alla fine della settimana il gruppo poteva contava 700.000 membri. Circa il 10% degli utenti di Facebook stava usando gli strumenti messi a disposizione della piattaforma per protestare contro Facebook. Solo l’aggiunta di nuove impostazioni di privacy che consentivano agli utenti di decidere cosa mostrare o nascondere nel News Feed, placò le ire e scongiurò la minaccia di una manifestazione (che si sarebbe dovuta tenere di fronte a Palo Alto) auto-convocata attraverso i numerosi gruppi creati in segno di protesta.

Da quel primo episodio di poi tutte le continue innovazioni proposte da Facebook verranno accolte dalle proteste degli utenti. In uno specifico caso, quello di Facebook Beacon – un servizio che notificava automaticamente gli amici alcune attività svolte su siti esterni a Facebook, gli sviluppatori furono costretti a tornare sui loro passi ammettendo l’errore di implementazione e rendendo la funzione disponibile solo a richiesta. Oggi a diversi anni di distanza caratteristiche analoghe a quelle di Facebook Beacon sono state lentamente re-introdotte attraverso funzionalità quali Facebook Connect.

Nel libro si raccontano tanti piccoli e grandi episodi come questi (da non perdere la crisi di pianto di Zuckerberg nei bagni del Village Pub, a nord di Palo Alto e quello nel quale il CEO di Facebook domandò, durante una cena a Davos, a Lerry Page – co-fondatore di Google – se lui usasse Facebook).

Si tratta di una lettura piacevole ed interessante. La sensazione a tratti è che l’immagine che emerge del fondatore e della società sia troppo positiva. Nell’ultima parte del libro David Kirkpatrick dichiara di non aver ricevuto nessuna pressione da parte di Facebook e non c’è motivo di non credergli. In altre pagine tuttavia l’autore racconta in modo aperto della sua partecipazione ad eventi promozionali come il tour europeo di Zuckerberg. Questa vicinanza non può non aver influenzato le sue idee. Non tutto quello che luccica è oro, ma questo lo sapete già.

Al di là di questo, la straordinaria storia di una società fondata da un diciannovenne e portata nel giro di 6 anni ad un valore stimato di oltre due milioni di dollari, rimane una lettura avvincente e totalmente consigliata.

Leggetevi il libro e fatevi la vostra idea.

P.S. The Facebook Effect è stato il primo libro che ho acquistato per Kindle. L’esperienza di lettura è stata eccellente. La possibilità di leggere in piena luce, di continuare la lettura su PC dalla pagina alla quale ci si era fermati sul lettore e viceversa, le possibilità di annotare parti del testo e di condividerle, grazie al nuovo firmware, via Twitter e Facebook mi hanno veramente entusiasmato. E da ieri il Kindle è anche disponibile a prezzo ribassato a poco più di € 150. Cosa aspettate a comprarlo?

Update nuovi Kindle

Ho appena finito di leggere The Facebook Effect: The Inside Story of the Company That Is Connecting the World (da non confondersi con Network Effect: quando la rete diventa pop 😉 ).

Il libro, scritto dal giornalista del New York Times David Kirkpatrick, racconta in modo ben organizzato ed affascinante la storia di Facebook dal lancio nel campus di Harvard fino ai giorni nostri. Ne viene fuori un interessante e per certi versi inedito ritratto del fondatore e attuale CEO Mark Zuckerberg.

Il libro si apre con un prologo che racconta la storia di Oscar Morales, fondatore del gruppo Un Millon de Voces Contra Las FARC, che da singolo cittadino indignato si è ritrovato a coordinare una marcia di protesta che ha coinvolto dieci milioni di colombiani.

Potere di Facebook o come direbbe l’autore del libro, effetto Facebook.

the facebook effect

Non sono tuttavia gli episodi come quello di Oscar Morales (o gli altri raccontati nel capitolo 15 Changing Our Institution) a lasciare la sensazione di aver letto una storia straordinaria. Tutti questi fenomeni erano possibili anche con internet prima di Facebook. Quello che veramente colpisce è il tasso di crescita che il servizio ha avuto fin dall’inizio, segno di un bisogno profondo e globale, e la figura di Mark Zuckerberg.

Quando nel 2004 tutto è iniziato, Mark Zuckerberg, oggi ventiseienne, era una matricola di Harvard. I suoi compagni di stanza (Chris HugesEduardo SaverinDustin Moskovitz) diventarono subito parte del progetto Facebook. Uno di questi, Chris Huges, diventò ben presto il portavoce dell’azienda anche per sollevare Zuckerberg da questo impegno che trovava gravoso e poco interessante. Nel 2008 Huges ha coordinato la campagna in rete di Barack Obama.

“Cambieremo il mondo rendendolo un luogo più aperto”. Era questa una delle frasi che più spesso si sentiva pronunciare prima nei corridoi del dormitorio e poi nel nuovo quartier generale di Palo Alto (un’appartamento affittato per le vacanze estive dal quale i fondatori non fecero più ritorno ad Harvard). Una delle cose che colpisce leggendo il libro è proprio questa adesione alla missione specialmente da parte del fondatore che in più occasioni ha rifiutato importanti contratti pubblicitari perché richiedevano di modificare la forma e la posizione dei banner sulla piattaforma. In più passi emerge chiaramente questo tratto. Non è tanto importante fare soldi (altrimenti avrebbe accettato una delle tante cospicue offerte d’acquisto) quanto lavorare per migliorare l’esperienza che l’utente ha del servizio. Aumentare il numero degli utenti ed il loro livello di coinvolgimento (in termini di attività e minuti spesi).

Basti pensare che durante la prima settimana dal lancio (il 4 febbraio 2004) metà degli studenti di Harvard era iscritta a Facebook (o Thefacebook come si chiamava fino al 20 settembre 2005) e lo stesso livello di entusiasmo fu registrato in quasi tutti i campus dove il servizio veniva via via reso disponibile.

Over the summer, Zuckerberg, Moskovitz, and Parker had coined a term for how students seemed to use the site. They called it “the trance.” Once you started combing through Thefacebook it was very easy to just keep going. “It was hypnotic,” says Parker. “You’d just keep clicking and clicking and clicking from profile to profile, viewing the data.” The wall was intended to keep users even more transfixed by giving them more to see inside the service. It seemed to work. Almost immediately the wall became Thefacebook’s most popular feature.

Thefacebook era molto diverso da quello che oggi è Facebook perché consisteva essenzialmente di semplici profili corredati da foto ed interessi (niente foto oltre quella del profilo, messaggi interni e persino il wall fu aggiunto solo in seguito). Nonostante questo il servizio aveva un potere ipnotico sugli studenti (l’ 80% dei quali ritornava quotidianamente sul sito) che passavano ore navigando da un profilo a quello successivo.

Alla fine di Marzo 2004 Thefacebook aveva 30.000 utenti registrati. Il servizio costava $450 al mese per il noleggio dei server. Alla fine di maggio il social network di Mark Zuckerberg era presente in 34 atenei per un totale di 100.000 utenti. Facebook è oggi il social network più utilizzato in 111 dei 131 paesi analizzati da Vicenzo Cosenza nella sua mappa World Map of Social Networks. A sei anni dal lancio il servizio è prossimo al superamento 500.000.000 di utenti nel mondo.

Un momento di svolta fu il lancio dell’applicazione per le foto con la possibilità di taggare i propri amici.

Un mese dopo l’85% degli utenti di Facebook erano stati taggati in almeno una foto. Dopo sei settimane l’applicazione per le foto aveva consumato tutto lo spazio disco che era stato programmato per i successivi sei mesi. Ma la cosa più importante fu che per la prima volta si era capita l’importanza del grafo sociale per connettere persone e contenuti fra di loro.

Would people accept low-resolution photos? Would they use the tags? On the day in late October when the team turned the Photos application on, they nervously watched a big monitor that displayed every picture as it was uploaded. The first image was a cartoon of a cat. They looked at each other worriedly. Then in a minute or so they started seeing photos of girls—girls in groups, girls at parties, girls shooting photos of other girls. And these photos were being tagged! The girls just kept coming.

Lo sviluppo del contestatissimo News Feed fu il logico passo successivo. Incorporare la logica del flusso RSS in Facebook facendo in modo che fossero le informazioni sugli aggiornamenti ad arrivare agli utenti e non viceversa. L’introduzione del News Feed fu inoltre un importante banco di prova per la gestione delle relazioni fra utenti e sviluppatori del servizio. Il giorno stesso del lancio del News Feed uno studente della Northwestern University dell’Illinois creò il gruppo “Students Against Facebook news feed”. In tre ore il gruppo raggiunse i 13.000 iscritti. Alla fine della settimana il gruppo poteva contava 700.000 membri. Circa il 10% degli utenti di Facebook stava usando gli strumenti messi a disposizione della piattaforma per protestare contro Facebook. Solo l’aggiunta di nuove impostazioni di privacy che consentivano agli utenti di decidere cosa mostrare o nascondere nel News Feed, placò le ire e scongiurò la minaccia di una manifestazione (che si sarebbe dovuta tenere di fronte a Palo Alto) auto-convocata attraverso i numerosi gruppi creati in segno di protesta.

Da quel primo episodio di poi tutte le continue innovazioni proposte da Facebook verranno accolte dalle proteste degli utenti. In uno specifico caso, quello di Facebook Beacon – un servizio che notificava automaticamente gli amici alcune attività svolte su siti esterni a Facebook, gli sviluppatori furono costretti a tornare sui loro passi ammettendo l’errore di implementazione e rendendo la funzione disponibile solo a richiesta. Oggi a diversi anni di distanza caratteristiche analoghe a quelle di Facebook Beacon sono state lentamente re-introdotte attraverso funzionalità quali Facebook Connect.

Nel libro si raccontano tanti piccoli e grandi episodi come questi (da non perdere la crisi di pianto di Zuckerberg nei bagni del Village Pub, a nord di Palo Alto e quello nel quale il CEO di Facebook domandò, durante una cena a Davos, a Lerry Page – co-fondatore di Google – se lui usasse Facebook).

Si tratta di una lettura piacevole ed interessante. La sensazione a tratti è che l’immagine che emerge del fondatore e della società sia troppo positiva. Nell’ultima parte del libro David Kirkpatrick dichiara di non aver ricevuto nessuna pressione da parte di Facebook e non c’è motivo di non credergli. In altre pagine tuttavia l’autore racconta in modo aperto della sua partecipazione ad eventi promozionali come il tour europeo di Zuckerberg. Questa vicinanza non può non aver influenzato le sue idee. Non tutto quello che luccica è oro, ma questo lo sapete già.

Al di là di questo, la straordinaria storia di una società fondata da un diciannovenne e portata nel giro di 6 anni ad un valore stimato di oltre due milioni di dollari, rimane una lettura avvincente e totalmente consigliata.

Leggetevi il libro e fatevi la vostra idea.

P.S. The Facebook Effect è stato il primo libro che ho acquistato per Kindle. L’esperienza di lettura è stata eccellente. La possibilità di leggere in piena luce, di continuare la lettura su PC dalla pagina alla quale ci si era fermati sul lettore e viceversa, le possibilità di annotare parti del testo e di condividerle, grazie al nuovo firmware, via Twitter e Facebook mi hanno veramente entusiasmato. E da ieri il Kindle è anche disponibile a prezzo ribassato a poco più di € 150. Cosa aspettate a comprarlo?

Update nuovi Kindle

What’s next #S02E01: quando finisce un amore… ai tempi di Facebook

Che ci piaccia o no certe relazioni sono destinate a finire. Non è mai facile gestire il passaggio, ma con Facebook la cosa può trasformarsi in un vero e proprio incubo. Ecco una breve guida a cosa fare e non fare… Che ci piaccia o no certe relazioni sono destinate a finire. Non è mai facile gestire il passaggio, ma con Facebook la cosa può trasformarsi in un vero e proprio incubo. Ecco una breve guida a cosa fare e non fare…

E tutti vissero felici e contenti.
Capita. Non solo nelle favole. Trovare l’anima gemella, passare la vita insieme.
Purtroppo non sempre. Alcune relazioni finiscono.
Non è mai facile ma Facebook può rendere, se possibile, questa fase ancora più dura. Rimanere “amici” con il/la proprio ex? E gli amici in comune? Ma soprattutto chi è quell’individuo che continua a commentare i contenuti e comparire nelle foto con il/la tua ex?
Ogni relazione è diversa ma ecco tre semplici suggerimenti che potrebbero tornare utili:
1. Non cancellare l’amicizia e lasciare che eventualmente sia l’altro a farlo (non avete idea di quanto alcune persone possano vivere male quello che a voi sembra un semplice gesto di buon senso);

[come farlo?]
2. Se leggere della sua vita senza di voi vi infastidisce, usate il bottoncino nascondi e non vedrete più comparire i suoi aggiornamenti (sta a voi poi avere la forza di non andare a visitare il suo profilo). In ogni caso continuerete a vedere i commenti sui contenuti degli amici in comune. L’unico rimedio per questo è rimuovere tutti gli amici in comune o usare la funzione blocca;
How to Hide
[come farlo? Hide, Block]
3. Create una lista apposita dove mettere il/la vostra ex: in questo modo potrete decidere strategicamente cosa mostrare o nascondere dei vostri aggiornamenti ed apparire selettivamente offline in chat.
Facebook Friend Lists
[come farlo?]
E voi? Qual è la vostra esperienza? Avete strategie di sopravvivenza da condividere?
[extended version dell’articolo che potete leggere sul prossimo numero della rivista Open House]
[Photo originally uploaded on November 28, 2005 by signalstation]
E tutti vissero felici e contenti.
Capita. Non solo nelle favole. Trovare l’anima gemella, passare la vita insieme.
Purtroppo non sempre. Alcune relazioni finiscono.
Non è mai facile ma Facebook può rendere, se possibile, questa fase ancora più dura. Rimanere “amici” con il/la proprio ex? E gli amici in comune? Ma soprattutto chi è quell’individuo che continua a commentare i contenuti e comparire nelle foto con il/la tua ex?
Ogni relazione è diversa ma ecco tre semplici suggerimenti che potrebbero tornare utili:
1. Non cancellare l’amicizia e lasciare che eventualmente sia l’altro a farlo (non avete idea di quanto alcune persone possano vivere male quello che a voi sembra un semplice gesto di buon senso);

[come farlo?]
2. Se leggere della sua vita senza di voi vi infastidisce, usate il bottoncino nascondi e non vedrete più comparire i suoi aggiornamenti (sta a voi poi avere la forza di non andare a visitare il suo profilo). In ogni caso continuerete a vedere i commenti sui contenuti degli amici in comune. L’unico rimedio per questo è rimuovere tutti gli amici in comune o usare la funzione blocca;
How to Hide
[come farlo? Hide, Block]
3. Create una lista apposita dove mettere il/la vostra ex: in questo modo potrete decidere strategicamente cosa mostrare o nascondere dei vostri aggiornamenti ed apparire selettivamente offline in chat.
Facebook Friend Lists
[come farlo?]
E voi? Qual è la vostra esperienza? Avete strategie di sopravvivenza da condividere?
[extended version dell’articolo che potete leggere sul prossimo numero della rivista Open House]
[Photo originally uploaded on November 28, 2005 by signalstation]
E tutti vissero felici e contenti.
Capita. Non solo nelle favole. Trovare l’anima gemella, passare la vita insieme.
Purtroppo non sempre. Alcune relazioni finiscono.
Non è mai facile ma Facebook può rendere, se possibile, questa fase ancora più dura. Rimanere “amici” con il/la proprio ex? E gli amici in comune? Ma soprattutto chi è quell’individuo che continua a commentare i contenuti e comparire nelle foto con il/la tua ex?
Ogni relazione è diversa ma ecco tre semplici suggerimenti che potrebbero tornare utili:
1. Non cancellare l’amicizia e lasciare che eventualmente sia l’altro a farlo (non avete idea di quanto alcune persone possano vivere male quello che a voi sembra un semplice gesto di buon senso);

[come farlo?]
2. Se leggere della sua vita senza di voi vi infastidisce, usate il bottoncino nascondi e non vedrete più comparire i suoi aggiornamenti (sta a voi poi avere la forza di non andare a visitare il suo profilo). In ogni caso continuerete a vedere i commenti sui contenuti degli amici in comune. L’unico rimedio per questo è rimuovere tutti gli amici in comune o usare la funzione blocca;
How to Hide
[come farlo? Hide, Block]
3. Create una lista apposita dove mettere il/la vostra ex: in questo modo potrete decidere strategicamente cosa mostrare o nascondere dei vostri aggiornamenti ed apparire selettivamente offline in chat.
Facebook Friend Lists
[come farlo?]
E voi? Qual è la vostra esperienza? Avete strategie di sopravvivenza da condividere?
[extended version dell’articolo che potete leggere sul prossimo numero della rivista Open House]
[Photo originally uploaded on November 28, 2005 by signalstation]