Adozione ed utilizzo dei social media negli atenei italiani

Oltre il 60% (+11% rispetto al 2011) delle homepage dei siti web degli atenei italiani linkano Facebook, Twitter, YouTube o un altro media sociale. Ma quale social media è più utilizzato? E quale ateneo utilizza al meglio queste presenze?

Anche quest’anno, con Alessandro Lovari, abbiamo analizzato le home page dei siti internet di tutti gli atenei italiani alla ricerca dei link agli spazi ufficiali sui social media. Da questi abbiamo raccolto tutti i dati disponibili attraverso le API delle diverse piattaforme e calcolato le performance dei diversi atenei sulle diverse piattaforme. Infine abbiamo calcolato il così detto University Social Media Performance Index (descritto brevemente qui e nel dettaglio qui).

I dati di maggiore interesse sono riassunti in questa info-grafica:

Ho anche aggiornato l’Osservatorio Università Italiane su Facebook con gli indirizzi di tutte le pagine rintracciate con la rilevazione 2012.

Performance e diffusione dei social media nelle Università italiane

Uno studio empirico su come le Università italiane usano Facebook, YouTube e Twitter

Alessandro Lovari, durante la scuola di dottorato Meris, mi ha proposto, avendo letto il post sulla popolarità delle pagine Facebook delle Università italiane, di sviluppare insieme l’idea di analizzare se e come gli atenei italiani usassero i social media.
Dopo un paio di incontri in Skype, qualche telefonata e diverse ore di lavoro abbiamo completato la scrittura di questo articolo che prende in esame le presenze ufficiali sui media sociali di tutte i 95 atenei italiani. Poco più della metà degli atenei è presente su almeno un social media. Facebook è il più diffuso seguito da YouTube e Twitter. Gli atenei di medie dimensioni e le università private sono più presenti ed attive. Per valutare meglio le performance delle Università sui social media abbiamo sviluppato un indice che abbiamo denominato USMPI ovvero “university social media performance index”. Questo indice valuta la presenza e le performance degli atenei sui social media usando combinando una serie di metriche e rapportando alcune di esse alla dimensione dell’ateneo (i dettagli metodologici sono nel paragrafo 4.1 dell’articolo).
I dieci atenei che hanno fatto registrare le migliori performance sono:
Ateneo, USMPI
Libera Univ. Inter.le Studi Sociali “Guido Carli” LUISS-ROMA, 0.31
Università Commerciale “Luigi Bocconi” MILANO, 0.31
Politecnico di MILANO, 0.25
Università degli Studi di MILANO-BICOCCA, 0.24
Università degli Studi di URBINO “Carlo BO”, 0.19
Libera Univ. degli Studi “Maria SS.Assunta” – LUMSA – Roma, 0.19
Università “Cà Foscari” VENEZIA, 0.17
Libera Università di lingue e comunicazione IULM-MI, 0.17
Università degli Studi di PAVIA, 0.16
Università degli Studi di UDINE, 0.16
USMPI nel complesso varia da un minimo di 0 ad un massimo di 0.31. La media è 0.0502 e la deviazione standard 0.07351.
L’indice è stato realizzato con l’intento di essere facilmente calcolabile con un intervento umano minimo o nullo. Tutte le metriche analizzate sono basate su dati esposti pubblicamente dalle API delle piattaforme di social media.
Maggiori dettagli sull’indice e su tutta la ricerca sono disponibili nell’articolo (in inglese) che abbiamo pubblicato, in versione pre-print, su ssrn.
Lovari, Alessandro and Giglietto, Fabio, Social Media and Italian Universities: An Empirical Study on the Adoption and Use of Facebook, Twitter and Youtube (January 2, 2012). Available at SSRN: http://ssrn.com/abstract=1978393.
Consigli e suggerimenti sono più che benvenuti 🙂

Realtà digitali #7: Il successo ai tempi della cultura convergente

Lo straordinario caso di Susan Boyle è lo spunto per parlare ci cultura convergente e “spreadable media”.Lo straordinario caso di Susan Boyle è lo spunto per parlare ci cultura convergente e “spreadable media”.Lo straordinario caso di Susan Boyle è lo spunto per parlare ci cultura convergente e “spreadable media”.

Susan Boyle è una cantante non professionista. Ha quarantotto anni ed è balzata di recente agli onori delle cronache per la sua partecipazione allo show televisivo britannico Britain’s Got Talent (un reality show simile a X Factor). L’audizione di Susan Boyle, trasmessa l’11 aprile 2009 sul canale inglese itv, ha originato, grazie al passaparola in rete, un fenomeno mediatico globale di dimensioni e caratteristiche inedite. Solo su YouTube esistono centinaia di video di questa esibizione e filmati legati a questo personaggio. Per dare un’idea delle dimensioni del fenomeno si consideri che il video più popolare fra quelli legati al caso Boyle, conta oggi, a circa due settimane dalla pubblicazione, oltre quarantacinque milioni di visualizzazioni contro i meno di venti milioni fatti registrare fino ad oggi dal discorso della vittoria pronunciato da Barack Obama la notte del 4 novembre 2008.
Nulla prima di oggi aveva mai raggiunto con la stessa rapidità una popolarità così vasta presso i pubblici di rete. Ma non sono solo dimensioni e rapidità del fenomeno a destare interesse. Susan Boyle sarà ricordata nei libri di scuola come un caso esemplare di cultura convergente. Di quella cultura, cioè, che nell’inedito spazio reso possibile dalla rete, fa incontrare il produttore e il consumatore attivo, il professionista e l’amatore, la comunicazione personale e quella di massa. Una cultura che, superando la tradizionale dicotomia fra produzioni dall’alto e conversazioni dal basso, si sviluppa proprio grazie alle caratteristiche di questo nuovo ecosistema. Grazie alla professionalità con la quale la storia e il personaggio sono stati raccontati dai produttori dello show. Grazie alle migliaia di persone che decidono di condividere con i propri amici il video dell’esibizione. E grazie, infine, alla cassa di risonanza che i media tradizionali creano occupandosi della straordinaria popolarità in rete del fenomeno. Ciò che alimenta questo circolo virtuoso spingendo persone a condividere esperienze attraverso la rete, rappresenta la chiave dei futuri successi nel sistema dei media nel “dopo-rete”.
Si parla spesso, in questi casi, di “video virali” per porre l’accento sulle capacità di rapida diffusione di questi video in rete (simili a quelle di un virus). A ben guardare, come ha acutamente fatto notare il guru della cultura convergente Henry Jenkins, la diffusione di questi video prevede un atto di libera scelta da parte di chi condivide il contenuto. Questa importante caratteristica rende la condivisione sociale profondamente diversa dalla diffusione di un virus che avviene invece a prescindere e spesso contro la volontà di chi infetta e di chi è infettato.
Comprendere, stimolare e supportare una moltitudine di scelte individuali. Spostare l’attenzione dal prodotto alla conversazione. Il futuro del successo dipenderà sempre più da tutto questo.
[potete leggere questo articolo anche a pag. 16 de “Il Corriere Adriatico” di Martedì 28 Aprile. Il prossimo appuntamento con “Realtà digitali” è per Martedì 12 Maggio]
[Photo originally uploaded on February 28, 2009 by EssG]

Susan Boyle è una cantante non professionista. Ha quarantotto anni ed è balzata di recente agli onori delle cronache per la sua partecipazione allo show televisivo britannico Britain’s Got Talent (un reality show simile a X Factor). L’audizione di Susan Boyle, trasmessa l’11 aprile 2009 sul canale inglese itv, ha originato, grazie al passaparola in rete, un fenomeno mediatico globale di dimensioni e caratteristiche inedite. Solo su YouTube esistono centinaia di video di questa esibizione e filmati legati a questo personaggio. Per dare un’idea delle dimensioni del fenomeno si consideri che il video più popolare fra quelli legati al caso Boyle, conta oggi, a circa due settimane dalla pubblicazione, oltre quarantacinque milioni di visualizzazioni contro i meno di venti milioni fatti registrare fino ad oggi dal discorso della vittoria pronunciato da Barack Obama la notte del 4 novembre 2008.

Nulla prima di oggi aveva mai raggiunto con la stessa rapidità una popolarità così vasta presso i pubblici di rete. Ma non sono solo dimensioni e rapidità del fenomeno a destare interesse. Susan Boyle sarà ricordata nei libri di scuola come un caso esemplare di cultura convergente. Di quella cultura, cioè, che nell’inedito spazio reso possibile dalla rete, fa incontrare il produttore e il consumatore attivo, il professionista e l’amatore, la comunicazione personale e quella di massa. Una cultura che, superando la tradizionale dicotomia fra produzioni dall’alto e conversazioni dal basso, si sviluppa proprio grazie alle caratteristiche di questo nuovo ecosistema. Grazie alla professionalità con la quale la storia e il personaggio sono stati raccontati dai produttori dello show. Grazie alle migliaia di persone che decidono di condividere con i propri amici il video dell’esibizione. E grazie, infine, alla cassa di risonanza che i media tradizionali creano occupandosi della straordinaria popolarità in rete del fenomeno. Ciò che alimenta questo circolo virtuoso spingendo persone a condividere esperienze attraverso la rete, rappresenta la chiave dei futuri successi nel sistema dei media nel “dopo-rete”.

Si parla spesso, in questi casi, di “video virali” per porre l’accento sulle capacità di rapida diffusione di questi video in rete (simili a quelle di un virus). A ben guardare, come ha acutamente fatto notare il guru della cultura convergente Henry Jenkins, la diffusione di questi video prevede un atto di libera scelta da parte di chi condivide il contenuto. Questa importante caratteristica rende la condivisione sociale profondamente diversa dalla diffusione di un virus che avviene invece a prescindere e spesso contro la volontà di chi infetta e di chi è infettato.

Comprendere, stimolare e supportare una moltitudine di scelte individuali. Spostare l’attenzione dal prodotto alla conversazione. Il futuro del successo dipenderà sempre più da tutto questo.

[potete leggere questo articolo anche a pag. 16 de “Il Corriere Adriatico” di Martedì 28 Aprile. Il prossimo appuntamento con “Realtà digitali” è per Martedì 12 Maggio]

[Photo originally uploaded on February 28, 2009 by EssG]

Susan Boyle è una cantante non professionista. Ha quarantotto anni ed è balzata di recente agli onori delle cronache per la sua partecipazione allo show televisivo britannico Britain’s Got Talent (un reality show simile a X Factor). L’audizione di Susan Boyle, trasmessa l’11 aprile 2009 sul canale inglese itv, ha originato, grazie al passaparola in rete, un fenomeno mediatico globale di dimensioni e caratteristiche inedite. Solo su YouTube esistono centinaia di video di questa esibizione e filmati legati a questo personaggio. Per dare un’idea delle dimensioni del fenomeno si consideri che il video più popolare fra quelli legati al caso Boyle, conta oggi, a circa due settimane dalla pubblicazione, oltre quarantacinque milioni di visualizzazioni contro i meno di venti milioni fatti registrare fino ad oggi dal discorso della vittoria pronunciato da Barack Obama la notte del 4 novembre 2008.

Nulla prima di oggi aveva mai raggiunto con la stessa rapidità una popolarità così vasta presso i pubblici di rete. Ma non sono solo dimensioni e rapidità del fenomeno a destare interesse. Susan Boyle sarà ricordata nei libri di scuola come un caso esemplare di cultura convergente. Di quella cultura, cioè, che nell’inedito spazio reso possibile dalla rete, fa incontrare il produttore e il consumatore attivo, il professionista e l’amatore, la comunicazione personale e quella di massa. Una cultura che, superando la tradizionale dicotomia fra produzioni dall’alto e conversazioni dal basso, si sviluppa proprio grazie alle caratteristiche di questo nuovo ecosistema. Grazie alla professionalità con la quale la storia e il personaggio sono stati raccontati dai produttori dello show. Grazie alle migliaia di persone che decidono di condividere con i propri amici il video dell’esibizione. E grazie, infine, alla cassa di risonanza che i media tradizionali creano occupandosi della straordinaria popolarità in rete del fenomeno. Ciò che alimenta questo circolo virtuoso spingendo persone a condividere esperienze attraverso la rete, rappresenta la chiave dei futuri successi nel sistema dei media nel “dopo-rete”.

Si parla spesso, in questi casi, di “video virali” per porre l’accento sulle capacità di rapida diffusione di questi video in rete (simili a quelle di un virus). A ben guardare, come ha acutamente fatto notare il guru della cultura convergente Henry Jenkins, la diffusione di questi video prevede un atto di libera scelta da parte di chi condivide il contenuto. Questa importante caratteristica rende la condivisione sociale profondamente diversa dalla diffusione di un virus che avviene invece a prescindere e spesso contro la volontà di chi infetta e di chi è infettato.

Comprendere, stimolare e supportare una moltitudine di scelte individuali. Spostare l’attenzione dal prodotto alla conversazione. Il futuro del successo dipenderà sempre più da tutto questo.

[potete leggere questo articolo anche a pag. 16 de “Il Corriere Adriatico” di Martedì 28 Aprile. Il prossimo appuntamento con “Realtà digitali” è per Martedì 12 Maggio]

[Photo originally uploaded on February 28, 2009 by EssG]

Realtà digitali #2: Ferrovie, saggezza delle folle e controllo della rete

“Chiudereste una ferrovia per un graffito sconveniente in una stazione?” In questa domanda retorica è racchiusa la reazione ufficiale di Facebook all’approvazione dell’emendamento “Repressione di attività di apologia o istigazione a delinquere compiuta a mezzo internet”.“Chiudereste una ferrovia per un graffito sconveniente in una stazione?” In questa domanda retorica è racchiusa la reazione ufficiale di Facebook all’approvazione dell’emendamento “Repressione di attività di apologia o istigazione a delinquere compiuta a mezzo internet”.“Chiudereste una ferrovia per un graffito sconveniente in una stazione?” In questa domanda retorica è racchiusa la reazione ufficiale di Facebook all’approvazione dell’emendamento “Repressione di attività di apologia o istigazione a delinquere compiuta a mezzo internet”.

“Chiudereste una ferrovia per un graffito sconveniente in una stazione?” In questa domanda retorica è racchiusa la reazione ufficiale di Facebook alla notizia che l’Italia sta per approvare una legge che conferisce al Ministro degli Interni il potere di ordinare l’oscuramento di un sito che ospiti contenuti che istighino a delinquere, a disobbedire alle leggi o apologia di reato. Ma cosa c’entrano i graffiti con un gruppo che usa Internet per inneggiare a Bernardo Provenzano e Salvatore Riina? Apparentemente nulla. Per comprendere il paragone è infatti necessaria una conoscenza di base sui siti che ospitano contenuti generati dagli utenti come Facebook, YouTube o Wikipedia. Prendiamo Facebook. Se la proposta di legge fosse approvata, il Ministro degli Interni potrebbe ordinare ai provider di rendere inaccessibile dall’Italia l’intero sito di Facebook (la ferrovia) con lo scopo di oscurare uno specifico contenuto (il graffito) creato o caricato da uno dei 175 milioni utenti registrati. Ora la soluzione può apparire eccessiva e non priva di controindicazioni – si pensi ad esempio al contraccolpo per chi ha investito nella pubblicità su Facebook – ma se non esistesse altro modo di far rimuovere quel contenuto essa avrebbe il merito di risolvere alla radice una questione di indiscutibile gravità.
Mi chiedo tuttavia se prima di scegliere un percorso lungo che ci conduca con certezza alla nostra meta non valga la pena provare ad esplorare eventuali scorciatoie che comportano minimo sforzo ed ottime opportunità di successo. I siti come Facebook, YouTube o Wikipedia si sono infatti da tempo posti il problema di come controllare i contenuti che essi veicolano.
Non si tratta di una questione di semplice soluzione. L’approccio radicale suggerirebbe un’approvazione prima della pubblicazione da parte dei gestori del sito. Questa soluzione, oltre a sollevare dubbi sul rispetto della libertà d’espressione, è di fatto impraticabile perchè richiederebbe un enorme sforzo in termini di risorse umane. Quante persone servirebbero per controllare manualmente, ad esempio, i 5 milioni di video pubblicati ogni mese su Facebook?
Le strategie adottate sono due: il controllo automatico e l’auto-controllo. YouTube, ad esempio, è in grado di identificare automaticamente la presenza in un video di una colonna sonora protetta da copyright e rimuoverla in caso di violazione. Facebook consente ad ogni utente di segnalare ai gestori un contenuto offensivo. Wikipedia si spinge oltre consentendo agli utenti di intervenire direttamente modificando un lemma quando contiene inesattezze.
Perché dunque fermare la ferrovia quando basta cancellare (o far cancellare) il graffito? Non dovrebbe forse l’oscuramento essere solo l’estrema conseguenza nei confronti di un gestore che si rifiuti di rimuovere un contenuto segnalato? Non sarebbe meglio educare all’auto-controllo che promuovere la censura?
[potete leggere questo articolo anche a pag. 12 de “Il Corriere Adriatico” di Martedì 17 Febbraio. Il prossimo appuntamento con “Realtà digitali” è per Martedì 3 Marzo]
[Photo originally uploaded on April 21, 2008 by Steve Webel]

“Chiudereste una ferrovia per un graffito sconveniente in una stazione?” In questa domanda retorica è racchiusa la reazione ufficiale di Facebook alla notizia che l’Italia sta per approvare una legge che conferisce al Ministro degli Interni il potere di ordinare l’oscuramento di un sito che ospiti contenuti che istighino a delinquere, a disobbedire alle leggi o apologia di reato. Ma cosa c’entrano i graffiti con un gruppo che usa Internet per inneggiare a Bernardo Provenzano e Salvatore Riina? Apparentemente nulla. Per comprendere il paragone è infatti necessaria una conoscenza di base sui siti che ospitano contenuti generati dagli utenti come Facebook, YouTube o Wikipedia. Prendiamo Facebook. Se la proposta di legge fosse approvata, il Ministro degli Interni potrebbe ordinare ai provider di rendere inaccessibile dall’Italia l’intero sito di Facebook (la ferrovia) con lo scopo di oscurare uno specifico contenuto (il graffito) creato o caricato da uno dei 175 milioni utenti registrati. Ora la soluzione può apparire eccessiva e non priva di controindicazioni – si pensi ad esempio al contraccolpo per chi ha investito nella pubblicità su Facebook – ma se non esistesse altro modo di far rimuovere quel contenuto essa avrebbe il merito di risolvere alla radice una questione di indiscutibile gravità.

Mi chiedo tuttavia se prima di scegliere un percorso lungo che ci conduca con certezza alla nostra meta non valga la pena provare ad esplorare eventuali scorciatoie che comportano minimo sforzo ed ottime opportunità di successo. I siti come Facebook, YouTube o Wikipedia si sono infatti da tempo posti il problema di come controllare i contenuti che essi veicolano.

Non si tratta di una questione di semplice soluzione. L’approccio radicale suggerirebbe un’approvazione prima della pubblicazione da parte dei gestori del sito. Questa soluzione, oltre a sollevare dubbi sul rispetto della libertà d’espressione, è di fatto impraticabile perchè richiederebbe un enorme sforzo in termini di risorse umane. Quante persone servirebbero per controllare manualmente, ad esempio, i 5 milioni di video pubblicati ogni mese su Facebook?

Le strategie adottate sono due: il controllo automatico e l’auto-controllo. YouTube, ad esempio, è in grado di identificare automaticamente la presenza in un video di una colonna sonora protetta da copyright e rimuoverla in caso di violazione. Facebook consente ad ogni utente di segnalare ai gestori un contenuto offensivo. Wikipedia si spinge oltre consentendo agli utenti di intervenire direttamente modificando un lemma quando contiene inesattezze.

Perché dunque fermare la ferrovia quando basta cancellare (o far cancellare) il graffito? Non dovrebbe forse l’oscuramento essere solo l’estrema conseguenza nei confronti di un gestore che si rifiuti di rimuovere un contenuto segnalato? Non sarebbe meglio educare all’auto-controllo che promuovere la censura?

[potete leggere questo articolo anche a pag. 12 de “Il Corriere Adriatico” di Martedì 17 Febbraio. Il prossimo appuntamento con “Realtà digitali” è per Martedì 3 Marzo]

[Photo originally uploaded on April 21, 2008 by Steve Webel]

“Chiudereste una ferrovia per un graffito sconveniente in una stazione?” In questa domanda retorica è racchiusa la reazione ufficiale di Facebook alla notizia che l’Italia sta per approvare una legge che conferisce al Ministro degli Interni il potere di ordinare l’oscuramento di un sito che ospiti contenuti che istighino a delinquere, a disobbedire alle leggi o apologia di reato. Ma cosa c’entrano i graffiti con un gruppo che usa Internet per inneggiare a Bernardo Provenzano e Salvatore Riina? Apparentemente nulla. Per comprendere il paragone è infatti necessaria una conoscenza di base sui siti che ospitano contenuti generati dagli utenti come Facebook, YouTube o Wikipedia. Prendiamo Facebook. Se la proposta di legge fosse approvata, il Ministro degli Interni potrebbe ordinare ai provider di rendere inaccessibile dall’Italia l’intero sito di Facebook (la ferrovia) con lo scopo di oscurare uno specifico contenuto (il graffito) creato o caricato da uno dei 175 milioni utenti registrati. Ora la soluzione può apparire eccessiva e non priva di controindicazioni – si pensi ad esempio al contraccolpo per chi ha investito nella pubblicità su Facebook – ma se non esistesse altro modo di far rimuovere quel contenuto essa avrebbe il merito di risolvere alla radice una questione di indiscutibile gravità.

Mi chiedo tuttavia se prima di scegliere un percorso lungo che ci conduca con certezza alla nostra meta non valga la pena provare ad esplorare eventuali scorciatoie che comportano minimo sforzo ed ottime opportunità di successo. I siti come Facebook, YouTube o Wikipedia si sono infatti da tempo posti il problema di come controllare i contenuti che essi veicolano.

Non si tratta di una questione di semplice soluzione. L’approccio radicale suggerirebbe un’approvazione prima della pubblicazione da parte dei gestori del sito. Questa soluzione, oltre a sollevare dubbi sul rispetto della libertà d’espressione, è di fatto impraticabile perchè richiederebbe un enorme sforzo in termini di risorse umane. Quante persone servirebbero per controllare manualmente, ad esempio, i 5 milioni di video pubblicati ogni mese su Facebook?

Le strategie adottate sono due: il controllo automatico e l’auto-controllo. YouTube, ad esempio, è in grado di identificare automaticamente la presenza in un video di una colonna sonora protetta da copyright e rimuoverla in caso di violazione. Facebook consente ad ogni utente di segnalare ai gestori un contenuto offensivo. Wikipedia si spinge oltre consentendo agli utenti di intervenire direttamente modificando un lemma quando contiene inesattezze.

Perché dunque fermare la ferrovia quando basta cancellare (o far cancellare) il graffito? Non dovrebbe forse l’oscuramento essere solo l’estrema conseguenza nei confronti di un gestore che si rifiuti di rimuovere un contenuto segnalato? Non sarebbe meglio educare all’auto-controllo che promuovere la censura?

[potete leggere questo articolo anche a pag. 12 de “Il Corriere Adriatico” di Martedì 17 Febbraio. Il prossimo appuntamento con “Realtà digitali” è per Martedì 3 Marzo]

[Photo originally uploaded on April 21, 2008 by Steve Webel]