Realtà digitali #8: L’eresia di una cultura convergente

Quando si parla di rete aleggia spesso una diffusa convinzione che tende a separare in modo netto le esperienze che hanno luogo nel mondo “virtuale” di internet da quelle che hanno invece luogo nel mondo “reale” della vita quotidiana. Questa diffusa convinzione richiede uno sguardo eretico per poter essere superata.Quando si parla di rete aleggia spesso una diffusa convinzione che tende a separare in modo netto le esperienze che hanno luogo nel mondo “virtuale” di internet da quelle che hanno invece luogo nel mondo “reale” della vita quotidiana. Questa diffusa convinzione richiede uno sguardo eretico per poter essere superata.Quando si parla di rete aleggia spesso una diffusa convinzione che tende a separare in modo netto le esperienze che hanno luogo nel mondo “virtuale” di internet da quelle che hanno invece luogo nel mondo “reale” della vita quotidiana. Questa diffusa convinzione richiede uno sguardo eretico per poter essere superata.

Quando si parla di rete aleggia spesso una diffusa convinzione che tende a separare in modo netto le esperienze che hanno luogo nel mondo “virtuale” di internet da quelle che hanno invece luogo nel mondo “reale” della vita quotidiana. Senso comune basato sull’inesperienza, una certa letteratura, saggistica e cinematografia tipica degli albori della rete e più di recente servizi Second Life, hanno prima delineato e poi marcato il confine del cyber/spazio.
Dalla letteratura cyberpunk fino a produzioni cinematografiche come Il Tagliaerbe, da “Essere digitali” di Nicholas Negroponte con la sua distinzione fra atomi e bit, fino a “La vita sullo schermo” di Sherry Turkle con le sue straordinarie descrizioni di identità alternative sperimentate negli ambienti digitali basati sul solo testo negli anni ’90, il nostro immaginario del digitale si è formato, più o meno consapevolmente, a partire dal mito della rete come spazio altro.
Non si spiegherebbe altrimenti l’infatuazione mediatica per il mondo digitale di Second Life. Basato sulla metafora di una seconda vita sintetica ed alternativa idealmente contrapposta e separata – fin dalla scelta del nome stesso dell’ambiente – dalla prima vita “reale”. Il mondo virtuale di Second Life è facile da comprendere anche a chi non frequenta la rete proprio perché poggia su questa convinzione largamente condivisa.
La distinzione fra spazio e cyberspazio ha dato luogo nel tempo all’emergere di una retorica della contrapposizione fra i due mondi che ancora oggi fatica ad essere superata. Al neo-luddismo di chi non frequenta e teme la rete si contrappone l’apologia di internet come spazio intrinsecamente meritocratico e democratico. Alla delega politica si contrappone la partecipazione diretta. Ai nativi, gli immigrati del digitale. Al consumo la produzione. Ai mezzi di comunicazione di massa le conversazioni dal basso.
Tutte queste tensioni hanno contribuito a lacerare i residui brandelli di dialogo fra questi due mondi generando un effetto macchia cieca su quanto di interessante stava nel frattempo avvenendo nella terra di mezzo. Per questo è essenziale guardare al mito del cyber/spazio con uno sguardo eretico. Uno sguardo che cala la rete nel mondo reale ed il mondo reale nella rete. Uno sguardo impostato ad una continuità che non nega le differenze. Uno sguardo, infondo, ispirato dall’uso che i nostri figli fanno quotidianamente dello strumento internet.
Comprendere che il futuro è nella convergenza fra queste culture rappresenta oggi un vantaggio strategico in ogni settore perché anticipa ciò che non è comunque evitabile. Per questo motivo iniziative come il manifesto degli Eretici digitali promosso dai giornalisti Massimo Russo e Vittorio Zambardino meritano tutta l’attenzione e l’appoggio possibili.
Molto spesso è indispensabile essere eretici per capire il futuro.
[potete leggere questo articolo anche a pag. 16 de “Il Corriere Adriatico” di Martedì 12 Maggio. Il prossimo appuntamento con “Realtà digitali” è per Martedì 26 Maggio]
[Photo originally uploaded on July 19, 2008 by ecatoncheires]
P.S. Si so che l’immagine è quella di RD#7… I’m working on it 🙂

Quando si parla di rete aleggia spesso una diffusa convinzione che tende a separare in modo netto le esperienze che hanno luogo nel mondo “virtuale” di internet da quelle che hanno invece luogo nel mondo “reale” della vita quotidiana. Senso comune basato sull’inesperienza, una certa letteratura, saggistica e cinematografia tipica degli albori della rete e più di recente servizi Second Life, hanno prima delineato e poi marcato il confine del cyber/spazio.

Dalla letteratura cyberpunk fino a produzioni cinematografiche come Il Tagliaerbe, da “Essere digitali” di Nicholas Negroponte con la sua distinzione fra atomi e bit, fino a “La vita sullo schermo” di Sherry Turkle con le sue straordinarie descrizioni di identità alternative sperimentate negli ambienti digitali basati sul solo testo negli anni ’90, il nostro immaginario del digitale si è formato, più o meno consapevolmente, a partire dal mito della rete come spazio altro.

Non si spiegherebbe altrimenti l’infatuazione mediatica per il mondo digitale di Second Life. Basato sulla metafora di una seconda vita sintetica ed alternativa idealmente contrapposta e separata – fin dalla scelta del nome stesso dell’ambiente – dalla prima vita “reale”. Il mondo virtuale di Second Life è facile da comprendere anche a chi non frequenta la rete proprio perché poggia su questa convinzione largamente condivisa.

La distinzione fra spazio e cyberspazio ha dato luogo nel tempo all’emergere di una retorica della contrapposizione fra i due mondi che ancora oggi fatica ad essere superata. Al neo-luddismo di chi non frequenta e teme la rete si contrappone l’apologia di internet come spazio intrinsecamente meritocratico e democratico. Alla delega politica si contrappone la partecipazione diretta. Ai nativi, gli immigrati del digitale. Al consumo la produzione. Ai mezzi di comunicazione di massa le conversazioni dal basso.

Tutte queste tensioni hanno contribuito a lacerare i residui brandelli di dialogo fra questi due mondi generando un effetto macchia cieca su quanto di interessante stava nel frattempo avvenendo nella terra di mezzo. Per questo è essenziale guardare al mito del cyber/spazio con uno sguardo eretico. Uno sguardo che cala la rete nel mondo reale ed il mondo reale nella rete. Uno sguardo impostato ad una continuità che non nega le differenze. Uno sguardo, infondo, ispirato dall’uso che i nostri figli fanno quotidianamente dello strumento internet.

Comprendere che il futuro è nella convergenza fra queste culture rappresenta oggi un vantaggio strategico in ogni settore perché anticipa ciò che non è comunque evitabile. Per questo motivo iniziative come il manifesto degli Eretici digitali promosso dai giornalisti Massimo Russo e Vittorio Zambardino meritano tutta l’attenzione e l’appoggio possibili.

Molto spesso è indispensabile essere eretici per capire il futuro.

[potete leggere questo articolo anche a pag. 16 de “Il Corriere Adriatico” di Martedì 12 Maggio. Il prossimo appuntamento con “Realtà digitali” è per Martedì 26 Maggio]

[Photo originally uploaded on July 19, 2008 by ecatoncheires]

P.S. Si so che l’immagine è quella di RD#7… I’m working on it 🙂

Quando si parla di rete aleggia spesso una diffusa convinzione che tende a separare in modo netto le esperienze che hanno luogo nel mondo “virtuale” di internet da quelle che hanno invece luogo nel mondo “reale” della vita quotidiana. Senso comune basato sull’inesperienza, una certa letteratura, saggistica e cinematografia tipica degli albori della rete e più di recente servizi Second Life, hanno prima delineato e poi marcato il confine del cyber/spazio.

Dalla letteratura cyberpunk fino a produzioni cinematografiche come Il Tagliaerbe, da “Essere digitali” di Nicholas Negroponte con la sua distinzione fra atomi e bit, fino a “La vita sullo schermo” di Sherry Turkle con le sue straordinarie descrizioni di identità alternative sperimentate negli ambienti digitali basati sul solo testo negli anni ’90, il nostro immaginario del digitale si è formato, più o meno consapevolmente, a partire dal mito della rete come spazio altro.

Non si spiegherebbe altrimenti l’infatuazione mediatica per il mondo digitale di Second Life. Basato sulla metafora di una seconda vita sintetica ed alternativa idealmente contrapposta e separata – fin dalla scelta del nome stesso dell’ambiente – dalla prima vita “reale”. Il mondo virtuale di Second Life è facile da comprendere anche a chi non frequenta la rete proprio perché poggia su questa convinzione largamente condivisa.

La distinzione fra spazio e cyberspazio ha dato luogo nel tempo all’emergere di una retorica della contrapposizione fra i due mondi che ancora oggi fatica ad essere superata. Al neo-luddismo di chi non frequenta e teme la rete si contrappone l’apologia di internet come spazio intrinsecamente meritocratico e democratico. Alla delega politica si contrappone la partecipazione diretta. Ai nativi, gli immigrati del digitale. Al consumo la produzione. Ai mezzi di comunicazione di massa le conversazioni dal basso.

Tutte queste tensioni hanno contribuito a lacerare i residui brandelli di dialogo fra questi due mondi generando un effetto macchia cieca su quanto di interessante stava nel frattempo avvenendo nella terra di mezzo. Per questo è essenziale guardare al mito del cyber/spazio con uno sguardo eretico. Uno sguardo che cala la rete nel mondo reale ed il mondo reale nella rete. Uno sguardo impostato ad una continuità che non nega le differenze. Uno sguardo, infondo, ispirato dall’uso che i nostri figli fanno quotidianamente dello strumento internet.

Comprendere che il futuro è nella convergenza fra queste culture rappresenta oggi un vantaggio strategico in ogni settore perché anticipa ciò che non è comunque evitabile. Per questo motivo iniziative come il manifesto degli Eretici digitali promosso dai giornalisti Massimo Russo e Vittorio Zambardino meritano tutta l’attenzione e l’appoggio possibili.

Molto spesso è indispensabile essere eretici per capire il futuro.

[potete leggere questo articolo anche a pag. 16 de “Il Corriere Adriatico” di Martedì 12 Maggio. Il prossimo appuntamento con “Realtà digitali” è per Martedì 26 Maggio]

[Photo originally uploaded on July 19, 2008 by ecatoncheires]

P.S. Si so che l’immagine è quella di RD#7… I’m working on it 🙂

Realtà digitali #7: Il successo ai tempi della cultura convergente

Lo straordinario caso di Susan Boyle è lo spunto per parlare ci cultura convergente e “spreadable media”.Lo straordinario caso di Susan Boyle è lo spunto per parlare ci cultura convergente e “spreadable media”.Lo straordinario caso di Susan Boyle è lo spunto per parlare ci cultura convergente e “spreadable media”.

Susan Boyle è una cantante non professionista. Ha quarantotto anni ed è balzata di recente agli onori delle cronache per la sua partecipazione allo show televisivo britannico Britain’s Got Talent (un reality show simile a X Factor). L’audizione di Susan Boyle, trasmessa l’11 aprile 2009 sul canale inglese itv, ha originato, grazie al passaparola in rete, un fenomeno mediatico globale di dimensioni e caratteristiche inedite. Solo su YouTube esistono centinaia di video di questa esibizione e filmati legati a questo personaggio. Per dare un’idea delle dimensioni del fenomeno si consideri che il video più popolare fra quelli legati al caso Boyle, conta oggi, a circa due settimane dalla pubblicazione, oltre quarantacinque milioni di visualizzazioni contro i meno di venti milioni fatti registrare fino ad oggi dal discorso della vittoria pronunciato da Barack Obama la notte del 4 novembre 2008.
Nulla prima di oggi aveva mai raggiunto con la stessa rapidità una popolarità così vasta presso i pubblici di rete. Ma non sono solo dimensioni e rapidità del fenomeno a destare interesse. Susan Boyle sarà ricordata nei libri di scuola come un caso esemplare di cultura convergente. Di quella cultura, cioè, che nell’inedito spazio reso possibile dalla rete, fa incontrare il produttore e il consumatore attivo, il professionista e l’amatore, la comunicazione personale e quella di massa. Una cultura che, superando la tradizionale dicotomia fra produzioni dall’alto e conversazioni dal basso, si sviluppa proprio grazie alle caratteristiche di questo nuovo ecosistema. Grazie alla professionalità con la quale la storia e il personaggio sono stati raccontati dai produttori dello show. Grazie alle migliaia di persone che decidono di condividere con i propri amici il video dell’esibizione. E grazie, infine, alla cassa di risonanza che i media tradizionali creano occupandosi della straordinaria popolarità in rete del fenomeno. Ciò che alimenta questo circolo virtuoso spingendo persone a condividere esperienze attraverso la rete, rappresenta la chiave dei futuri successi nel sistema dei media nel “dopo-rete”.
Si parla spesso, in questi casi, di “video virali” per porre l’accento sulle capacità di rapida diffusione di questi video in rete (simili a quelle di un virus). A ben guardare, come ha acutamente fatto notare il guru della cultura convergente Henry Jenkins, la diffusione di questi video prevede un atto di libera scelta da parte di chi condivide il contenuto. Questa importante caratteristica rende la condivisione sociale profondamente diversa dalla diffusione di un virus che avviene invece a prescindere e spesso contro la volontà di chi infetta e di chi è infettato.
Comprendere, stimolare e supportare una moltitudine di scelte individuali. Spostare l’attenzione dal prodotto alla conversazione. Il futuro del successo dipenderà sempre più da tutto questo.
[potete leggere questo articolo anche a pag. 16 de “Il Corriere Adriatico” di Martedì 28 Aprile. Il prossimo appuntamento con “Realtà digitali” è per Martedì 12 Maggio]
[Photo originally uploaded on February 28, 2009 by EssG]

Susan Boyle è una cantante non professionista. Ha quarantotto anni ed è balzata di recente agli onori delle cronache per la sua partecipazione allo show televisivo britannico Britain’s Got Talent (un reality show simile a X Factor). L’audizione di Susan Boyle, trasmessa l’11 aprile 2009 sul canale inglese itv, ha originato, grazie al passaparola in rete, un fenomeno mediatico globale di dimensioni e caratteristiche inedite. Solo su YouTube esistono centinaia di video di questa esibizione e filmati legati a questo personaggio. Per dare un’idea delle dimensioni del fenomeno si consideri che il video più popolare fra quelli legati al caso Boyle, conta oggi, a circa due settimane dalla pubblicazione, oltre quarantacinque milioni di visualizzazioni contro i meno di venti milioni fatti registrare fino ad oggi dal discorso della vittoria pronunciato da Barack Obama la notte del 4 novembre 2008.

Nulla prima di oggi aveva mai raggiunto con la stessa rapidità una popolarità così vasta presso i pubblici di rete. Ma non sono solo dimensioni e rapidità del fenomeno a destare interesse. Susan Boyle sarà ricordata nei libri di scuola come un caso esemplare di cultura convergente. Di quella cultura, cioè, che nell’inedito spazio reso possibile dalla rete, fa incontrare il produttore e il consumatore attivo, il professionista e l’amatore, la comunicazione personale e quella di massa. Una cultura che, superando la tradizionale dicotomia fra produzioni dall’alto e conversazioni dal basso, si sviluppa proprio grazie alle caratteristiche di questo nuovo ecosistema. Grazie alla professionalità con la quale la storia e il personaggio sono stati raccontati dai produttori dello show. Grazie alle migliaia di persone che decidono di condividere con i propri amici il video dell’esibizione. E grazie, infine, alla cassa di risonanza che i media tradizionali creano occupandosi della straordinaria popolarità in rete del fenomeno. Ciò che alimenta questo circolo virtuoso spingendo persone a condividere esperienze attraverso la rete, rappresenta la chiave dei futuri successi nel sistema dei media nel “dopo-rete”.

Si parla spesso, in questi casi, di “video virali” per porre l’accento sulle capacità di rapida diffusione di questi video in rete (simili a quelle di un virus). A ben guardare, come ha acutamente fatto notare il guru della cultura convergente Henry Jenkins, la diffusione di questi video prevede un atto di libera scelta da parte di chi condivide il contenuto. Questa importante caratteristica rende la condivisione sociale profondamente diversa dalla diffusione di un virus che avviene invece a prescindere e spesso contro la volontà di chi infetta e di chi è infettato.

Comprendere, stimolare e supportare una moltitudine di scelte individuali. Spostare l’attenzione dal prodotto alla conversazione. Il futuro del successo dipenderà sempre più da tutto questo.

[potete leggere questo articolo anche a pag. 16 de “Il Corriere Adriatico” di Martedì 28 Aprile. Il prossimo appuntamento con “Realtà digitali” è per Martedì 12 Maggio]

[Photo originally uploaded on February 28, 2009 by EssG]

Susan Boyle è una cantante non professionista. Ha quarantotto anni ed è balzata di recente agli onori delle cronache per la sua partecipazione allo show televisivo britannico Britain’s Got Talent (un reality show simile a X Factor). L’audizione di Susan Boyle, trasmessa l’11 aprile 2009 sul canale inglese itv, ha originato, grazie al passaparola in rete, un fenomeno mediatico globale di dimensioni e caratteristiche inedite. Solo su YouTube esistono centinaia di video di questa esibizione e filmati legati a questo personaggio. Per dare un’idea delle dimensioni del fenomeno si consideri che il video più popolare fra quelli legati al caso Boyle, conta oggi, a circa due settimane dalla pubblicazione, oltre quarantacinque milioni di visualizzazioni contro i meno di venti milioni fatti registrare fino ad oggi dal discorso della vittoria pronunciato da Barack Obama la notte del 4 novembre 2008.

Nulla prima di oggi aveva mai raggiunto con la stessa rapidità una popolarità così vasta presso i pubblici di rete. Ma non sono solo dimensioni e rapidità del fenomeno a destare interesse. Susan Boyle sarà ricordata nei libri di scuola come un caso esemplare di cultura convergente. Di quella cultura, cioè, che nell’inedito spazio reso possibile dalla rete, fa incontrare il produttore e il consumatore attivo, il professionista e l’amatore, la comunicazione personale e quella di massa. Una cultura che, superando la tradizionale dicotomia fra produzioni dall’alto e conversazioni dal basso, si sviluppa proprio grazie alle caratteristiche di questo nuovo ecosistema. Grazie alla professionalità con la quale la storia e il personaggio sono stati raccontati dai produttori dello show. Grazie alle migliaia di persone che decidono di condividere con i propri amici il video dell’esibizione. E grazie, infine, alla cassa di risonanza che i media tradizionali creano occupandosi della straordinaria popolarità in rete del fenomeno. Ciò che alimenta questo circolo virtuoso spingendo persone a condividere esperienze attraverso la rete, rappresenta la chiave dei futuri successi nel sistema dei media nel “dopo-rete”.

Si parla spesso, in questi casi, di “video virali” per porre l’accento sulle capacità di rapida diffusione di questi video in rete (simili a quelle di un virus). A ben guardare, come ha acutamente fatto notare il guru della cultura convergente Henry Jenkins, la diffusione di questi video prevede un atto di libera scelta da parte di chi condivide il contenuto. Questa importante caratteristica rende la condivisione sociale profondamente diversa dalla diffusione di un virus che avviene invece a prescindere e spesso contro la volontà di chi infetta e di chi è infettato.

Comprendere, stimolare e supportare una moltitudine di scelte individuali. Spostare l’attenzione dal prodotto alla conversazione. Il futuro del successo dipenderà sempre più da tutto questo.

[potete leggere questo articolo anche a pag. 16 de “Il Corriere Adriatico” di Martedì 28 Aprile. Il prossimo appuntamento con “Realtà digitali” è per Martedì 12 Maggio]

[Photo originally uploaded on February 28, 2009 by EssG]