Lost e i 7 principi del transmedia storytelling

L’epilogo della saga dei naufraghi del volo Oceanic 815 offre lo spunto per parlare dei sette principi del transmedia storytelling di Henry JenkinsL’epilogo della saga dei naufraghi del volo Oceanic 815 offre lo spunto per parlare dei sette principi del transmedia storytelling di Henry JenkinsL’epilogo della saga dei naufraghi del volo Oceanic 815 offre lo spunto per parlare dei sette principi del transmedia storytelling di Henry Jenkins

[spoiler free]
Ieri notte (o stamattina per chi è in Italia) è andata in onda la puntata finale della sesta ed ultima stagione di Lost (non c’è bisogno che vi spieghi cos’è Lost vero?).
Per celebrare degnamente questo evento, vi propongo una mia personale traduzione e sintesi dei sette principi del transmedia storytelling (narrativa trans-mediale) enunciati da Henry Jenkins durante il suo intervento “Revenge of the Origami Unicorn” al Futures of Entertainment 4 (per chi volesse leggere l’originale, oltre al video, c’è anche una traccia in due parti della relazione sul suo blog: parte 1, parte 2). La sintesi è corredata da esempi tratti da Lost.
Ma partiamo dalla definizione.
Si tratta, secondo Jenkins, di “un processo nel quale elementi integrali di una fiction vengono sistematicamente dispersi su molteplici canali di distribuzione con lo scopo di creare una esperienza di intrattenimento unificata e coordinata. Ogni medium, idealmente, offre il proprio specifico contributo allo sviluppo della storia”. Questo processo è arricchito e complicato dalla produzione di contenuti da parte dei fan. Questi contenuti talvolta potenziano, talvolta complicano l’idea di “esperienza di intrattenimento unificata e coordinata”.
Ed ecco i sette principi:
1. Spreadability vs. Drillability
Il concetto di spreadability (che potremmo tradurre come capacità di un contenuto di diffondersi attraverso le reti sociali) è proposto da Jenkins come alternativa all’idea di viralità. Secondo l’autore, la metafora della viralità è infatti forviante perché lascia supporre che il contenuto si diffonda nelle reti sociali a prescindere dalla (e talvolta contro la) volontà dei singoli nodi (come avviene appunto per i virus). Il concetto di drillability, come proposto da Jason Mittell, mette invece in luce la capacità di un contenuto mediale di invogliare il pubblico ad approfondire la storia scavando nella sua complessità. Se la spreadabilty agisce orizzontalmente consentendo di aumentare rapidamente il numero di visualizzazioni senza necessariamente aumentare il coinvolgimento dello spettatore, la drillabity agisce invece su un vettore della profondità che si pone in un certo senso trasversalmente rispetto al primo (in un’ideale piano cartesiano del cultural engagement).
Pensando a Lost mi viene in mente, sul lato della spreadabilty il diffondersi delle registrazioni attraverso i network peer to peer (ma anche nel passaggio di mano in mano dei cd contenenti le puntate delle diverse stagioni) e su quello della drillabity l’esempio di Lostpedia (fra gli oltre 6,884 articoli presenti guardate in particolare questa timeline delle 6 stagioni).
2. Continuity vs. Multiplicity
La continuity rappresenta il principio di coerenza e plausibilità all’interno di un contenuto o di una serie di contenuti appartenenti ad uno stesso universo di riferimento. Pensando ai fumetti, gli universi dei supereroi della DC e della Marvel rappresentano perfettamente questo principio. Ma Jenkins nota anche una recente tendenza a ciò che lui chiama multiplicity. Sempre restando nel campo dei fumetti, si pensi ad esempio al caso di Ultimate Spider-Man, Spider-Man India (che sposta l’ambientazione dai grattaceli di New York alle strade di Mumbai) o Spider-Man Loves Mary Jane (che sviluppa la storia d’amore strizzando l’occhio al pubblico femminile). La multiplicity si sposa bene con i contributi generati dagli utenti che in qualche modo possono essere resi liberi di entrare, più coerentemente e con meno vincoli, a far parte di queste forme di narrazione trans-mediale.
In riferimento a Lost è abbastanza ovvio pensare al principio forte di coerenza interna che caratterizza la personalità dei vari personaggi e gli intrecci delle loro relazioni tanto sull’isola quanto nei numerosi flash back e flash forward. Nell’ultima stagione abbiamo tuttavia anche visto al lavoro il principio della multiplicity laddove i racconti dell’isola si sono alternati a quelli della vita quotidiana dei personaggi (le versioni alternative dei naufraghi che si vedono nei così detti flash-sideways che caratterizzano la sesta stagione).
3. Immersion vs. Extractability
Jack Action Figure
Il principio dell’immersion guida lo spettatore all’esplorazione del mondo della fiction. Non c’è bisogno di pensare a giochi come World of Warcraft per comprendere un principio non nuovo e proprio di tutte le realtà finzionali a partire dal romanzo. Il lettore/spettatore entra in un altro mondo. Al tempo stesso capita sempre più di frequente che elementi di questi mondi creati dalla narrazione escano entrando a far parte del mondo degli spettatori. Spesso sono gli stessi fan che contribuiscono attivamente a questo processo disseminando il proprio mondo di elementi tratti dagli universi finzionali che amano. Si pensi, ad esempio, a tutti quei negozi dove si possono acquistare costumi ed elementi scenografici per il cosplay o le action figures dei personaggi.
Anche Lost come tutte le narrazioni tende a portare lo spettatore all’interno del suo mondo. Al tempo stesso non mancano esempi di extractability come queste action figures dei personaggi principali della serie.
4. Worldbuilding
Una volta, come racconta uno sceneggiatore di Hollywood citato in Convergence Culture, “si sceglieva una storia perché senza una buona storia non si poteva fare un film. In seguito, quando hanno preso piede i sequel, si è iniziato a cercare un buon personaggio che supportasse molteplici storie. Oggi l’attenzione è sulla scelta di un mondo che possa supportare molteplici personaggi e storie attraverso diversi media”. Anche il principio del worldbuilding non è una novità recente. Jenkins fa notare che si tratta di un principio molto diffuso nella letteratura fantascientifica. Un altro esempio può essere rintracciato nello sviluppo che l’autore del Mago di Oz ha impresso ai personaggi e alle location della novella negli oltre venti volumi che costituiscono in realtà  The Wizard of Oz. La tensione al worldbuilding, al pari dell’immersion e della extractability, rappresenta una modalità attraverso la quali gli spettatori si relazionano con il prodotto mediale considerandolo come uno spazio che può talvolta entrare in relazione con lo spazio della vita quotidiana. A questo proposito Jenkins cita l’esempio dei poster realizzati dai fan che pubblicizzano viaggi verso località esistenti solo negli spazi finzionali e quello degli adesivi applicati sulle panchine dei parchi per promuovere il film District 9.
Rispetto a Lost… non saprei… idee? (forse c’è qualcosa del genere in relazione a Flash Forward)?
5. Seriality
Il principio della serialità, anche esso non nuovo, può essere compreso attraverso la distinzione fra storia e la trama. La storia si riferisce alla nostra costruzione mentale di ciò che accade che può formarsi solo dopo aver assorbito tutti i pezzetti di informazione disponibili?. La trama, invece, prende questi pezzetti di informazione e li organizza in un percorso che definisce la sequenza con la quale questi pezzi di informazione saranno resi disponibili agli spettatori. Il serial crea invece pezzi di storie avvincenti e sensate e disperde la storia complessiva sui diversi episodi facendo in modo che il precedente rimandi al successivo. Il racconto transmediale è una serialità portata alle estreme conseguenze dove i pezzi di storia non sono dispersi su diversi segmenti sullo stesso medium, quanto piuttosto su media diversi.
Un buon esempio di questo sono i diversi alternate reality game (ARG) creati dagli autori di LOST per mantenere alto il livello di coinvolgimento degli spettatori nelle pause fra le diverse stagioni: The Lost Experience, Find 815 e Dharma Initiative Recruiting Project.
6. Subjectivity
Una storia può essere raccontata da diversi punti di vista ed il principio di subjectivity sfrutta questa caratteristica affidando, nella forma ad esempio del diario, ad un personaggio secondario la responsabilità di un racconto parallelo. Il cambiamento di punto di vista può aiutare lo sviluppo della storia e la comprensione più approfondita del personaggio autore del racconto. Questo principio si sposa perfettamente con il racconto trans-mediale che può affidare il racconto dalla soggettiva di ciascun personaggio ad un medium diverso (come il caso dei fumetti della serie Heroes o i canali Twitter dei personaggi di The Big Bang Theory)
Sito della della Oceanic Airlines (poi utilizzato per l’ARG Find 815) è uno splendido esempio di utilizzo della soggettività (in questo caso la compagnia aerea stessa) per lo sviluppo della narrazione trans-mediale.
7. Performance
A partire dalla distinzione fra cultural attractors (elementi condivisi intorno ai quali si crea la comunità) e cultural activators (che danno alla comunità qualcosa da fare). Per esemplificare i cultural activators Jenkins fa riferimento alla mappa che apparve brevemente in alcune puntate della seconda stagione di Lost attivando la creatività dei fan che hanno provato a ridisegnare questa mappa alla ricerca di indizi sullo sviluppo della storia. Alle volte questi attivatori culturali sono posizionati strategicamente dagli autori, ma anche in mancanza di una strategia esplicita i fan tenderanno comunque ad interpretare performativamente alcuni aspetti della storia (guardate ad esempio questi opening credits alternativi di Lost generati dai fan). Per questo motivo è da tempo attiva una riflessione su come promuovere (ma a volte anche come bloccare) questa attività creativa da parte dei fan.

P.S. Preciso di non essere particolarmente esperto di Lost. Suppongo quindi che, oltre agli esempi che ho proposto, possano essercene altri ed anche migliori di quelli da me scelti. Se avete proposte o suggerimenti non esitate a lasciare un commento.
[Photo uploaded on January 23, 2008 by Subspace]

[spoiler free]

Ieri notte (o stamattina per chi è in Italia) è andata in onda la puntata finale della sesta ed ultima stagione di Lost (non c’è bisogno che vi spieghi cos’è Lost vero?).

Per celebrare degnamente questo evento, vi propongo una mia personale traduzione e sintesi dei sette principi del transmedia storytelling (narrativa trans-mediale) enunciati da Henry Jenkins durante il suo intervento “Revenge of the Origami Unicorn” al Futures of Entertainment 4 (per chi volesse leggere l’originale, oltre al video, c’è anche una traccia in due parti della relazione sul suo blog: parte 1, parte 2). La sintesi è corredata da esempi tratti da Lost.

Ma partiamo dalla definizione.

Si tratta, secondo Jenkins, di “un processo nel quale elementi integrali di una fiction vengono sistematicamente dispersi su molteplici canali di distribuzione con lo scopo di creare una esperienza di intrattenimento unificata e coordinata. Ogni medium, idealmente, offre il proprio specifico contributo allo sviluppo della storia”. Questo processo è arricchito e complicato dalla produzione di contenuti da parte dei fan. Questi contenuti talvolta potenziano, talvolta complicano l’idea di “esperienza di intrattenimento unificata e coordinata”.

Ed ecco i sette principi:

1. Spreadability vs. Drillability

Il concetto di spreadability (che potremmo tradurre come capacità di un contenuto di diffondersi attraverso le reti sociali) è proposto da Jenkins come alternativa all’idea di viralità. Secondo l’autore, la metafora della viralità è infatti forviante perché lascia supporre che il contenuto si diffonda nelle reti sociali a prescindere dalla (e talvolta contro la) volontà dei singoli nodi (come avviene appunto per i virus). Il concetto di drillability, come proposto da Jason Mittell, mette invece in luce la capacità di un contenuto mediale di invogliare il pubblico ad approfondire la storia scavando nella sua complessità. Se la spreadabilty agisce orizzontalmente consentendo di aumentare rapidamente il numero di visualizzazioni senza necessariamente aumentare il coinvolgimento dello spettatore, la drillabity agisce invece su un vettore della profondità che si pone in un certo senso trasversalmente rispetto al primo (in un’ideale piano cartesiano del cultural engagement).

Pensando a Lost mi viene in mente, sul lato della spreadabilty il diffondersi delle registrazioni attraverso i network peer to peer (ma anche nel passaggio di mano in mano dei cd contenenti le puntate delle diverse stagioni) e su quello della drillabity l’esempio di Lostpedia (fra gli oltre 6,884 articoli presenti guardate in particolare questa timeline delle 6 stagioni).

2. Continuity vs. Multiplicity

La continuity rappresenta il principio di coerenza e plausibilità all’interno di un contenuto o di una serie di contenuti appartenenti ad uno stesso universo di riferimento. Pensando ai fumetti, gli universi dei supereroi della DC e della Marvel rappresentano perfettamente questo principio. Ma Jenkins nota anche una recente tendenza a ciò che lui chiama multiplicity. Sempre restando nel campo dei fumetti, si pensi ad esempio al caso di Ultimate Spider-Man, Spider-Man India (che sposta l’ambientazione dai grattaceli di New York alle strade di Mumbai) o Spider-Man Loves Mary Jane (che sviluppa la storia d’amore strizzando l’occhio al pubblico femminile). La multiplicity si sposa bene con i contributi generati dagli utenti che in qualche modo possono essere resi liberi di entrare, più coerentemente e con meno vincoli, a far parte di queste forme di narrazione trans-mediale.

In riferimento a Lost è abbastanza ovvio pensare al principio forte di coerenza interna che caratterizza la personalità dei vari personaggi e gli intrecci delle loro relazioni tanto sull’isola quanto nei numerosi flash back e flash forward. Nell’ultima stagione abbiamo tuttavia anche visto al lavoro il principio della multiplicity laddove i racconti dell’isola si sono alternati a quelli della vita quotidiana dei personaggi (le versioni alternative dei naufraghi che si vedono nei così detti flash-sideways che caratterizzano la sesta stagione).

3. Immersion vs. Extractability

Jack Action Figure

Il principio dell’immersion guida lo spettatore all’esplorazione del mondo della fiction. Non c’è bisogno di pensare a giochi come World of Warcraft per comprendere un principio non nuovo e proprio di tutte le realtà finzionali a partire dal romanzo. Il lettore/spettatore entra in un altro mondo. Al tempo stesso capita sempre più di frequente che elementi di questi mondi creati dalla narrazione escano entrando a far parte del mondo degli spettatori. Spesso sono gli stessi fan che contribuiscono attivamente a questo processo disseminando il proprio mondo di elementi tratti dagli universi finzionali che amano. Si pensi, ad esempio, a tutti quei negozi dove si possono acquistare costumi ed elementi scenografici per il cosplay o le action figures dei personaggi.

Anche Lost come tutte le narrazioni tende a portare lo spettatore all’interno del suo mondo. Al tempo stesso non mancano esempi di extractability come queste action figures dei personaggi principali della serie.

4. Worldbuilding

Una volta, come racconta uno sceneggiatore di Hollywood citato in Convergence Culture, “si sceglieva una storia perché senza una buona storia non si poteva fare un film. In seguito, quando hanno preso piede i sequel, si è iniziato a cercare un buon personaggio che supportasse molteplici storie. Oggi l’attenzione è sulla scelta di un mondo che possa supportare molteplici personaggi e storie attraverso diversi media”. Anche il principio del worldbuilding non è una novità recente. Jenkins fa notare che si tratta di un principio molto diffuso nella letteratura fantascientifica. Un altro esempio può essere rintracciato nello sviluppo che l’autore del Mago di Oz ha impresso ai personaggi e alle location della novella negli oltre venti volumi che costituiscono in realtà  The Wizard of Oz. La tensione al worldbuilding, al pari dell’immersion e della extractability, rappresenta una modalità attraverso la quali gli spettatori si relazionano con il prodotto mediale considerandolo come uno spazio che può talvolta entrare in relazione con lo spazio della vita quotidiana. A questo proposito Jenkins cita l’esempio dei poster realizzati dai fan che pubblicizzano viaggi verso località esistenti solo negli spazi finzionali e quello degli adesivi applicati sulle panchine dei parchi per promuovere il film District 9.

Rispetto a Lost… non saprei… idee? (forse c’è qualcosa del genere in relazione a Flash Forward)?

5. Seriality

Il principio della serialità, anche esso non nuovo, può essere compreso attraverso la distinzione fra storia e la trama. La storia si riferisce alla nostra costruzione mentale di ciò che accade che può formarsi solo dopo aver assorbito tutti i pezzetti di informazione disponibili?. La trama, invece, prende questi pezzetti di informazione e li organizza in un percorso che definisce la sequenza con la quale questi pezzi di informazione saranno resi disponibili agli spettatori. Il serial crea invece pezzi di storie avvincenti e sensate e disperde la storia complessiva sui diversi episodi facendo in modo che il precedente rimandi al successivo. Il racconto transmediale è una serialità portata alle estreme conseguenze dove i pezzi di storia non sono dispersi su diversi segmenti sullo stesso medium, quanto piuttosto su media diversi.

Un buon esempio di questo sono i diversi alternate reality game (ARG) creati dagli autori di LOST per mantenere alto il livello di coinvolgimento degli spettatori nelle pause fra le diverse stagioni: The Lost Experience, Find 815 e Dharma Initiative Recruiting Project.

6. Subjectivity

Una storia può essere raccontata da diversi punti di vista ed il principio di subjectivity sfrutta questa caratteristica affidando, nella forma ad esempio del diario, ad un personaggio secondario la responsabilità di un racconto parallelo. Il cambiamento di punto di vista può aiutare lo sviluppo della storia e la comprensione più approfondita del personaggio autore del racconto. Questo principio si sposa perfettamente con il racconto trans-mediale che può affidare il racconto dalla soggettiva di ciascun personaggio ad un medium diverso (come il caso dei fumetti della serie Heroes o i canali Twitter dei personaggi di The Big Bang Theory)

Sito della della Oceanic Airlines (poi utilizzato per l’ARG Find 815) è uno splendido esempio di utilizzo della soggettività (in questo caso la compagnia aerea stessa) per lo sviluppo della narrazione trans-mediale.

7. Performance

A partire dalla distinzione fra cultural attractors (elementi condivisi intorno ai quali si crea la comunità) e cultural activators (che danno alla comunità qualcosa da fare). Per esemplificare i cultural activators Jenkins fa riferimento alla mappa che apparve brevemente in alcune puntate della seconda stagione di Lost attivando la creatività dei fan che hanno provato a ridisegnare questa mappa alla ricerca di indizi sullo sviluppo della storia. Alle volte questi attivatori culturali sono posizionati strategicamente dagli autori, ma anche in mancanza di una strategia esplicita i fan tenderanno comunque ad interpretare performativamente alcuni aspetti della storia (guardate ad esempio questi opening credits alternativi di Lost generati dai fan). Per questo motivo è da tempo attiva una riflessione su come promuovere (ma a volte anche come bloccare) questa attività creativa da parte dei fan.

P.S. Preciso di non essere particolarmente esperto di Lost. Suppongo quindi che, oltre agli esempi che ho proposto, possano essercene altri ed anche migliori di quelli da me scelti. Se avete proposte o suggerimenti non esitate a lasciare un commento.

[Photo uploaded on January 23, 2008 by Subspace]

[spoiler free]

Ieri notte (o stamattina per chi è in Italia) è andata in onda la puntata finale della sesta ed ultima stagione di Lost (non c’è bisogno che vi spieghi cos’è Lost vero?).

Per celebrare degnamente questo evento, vi propongo una mia personale traduzione e sintesi dei sette principi del transmedia storytelling (narrativa trans-mediale) enunciati da Henry Jenkins durante il suo intervento “Revenge of the Origami Unicorn” al Futures of Entertainment 4 (per chi volesse leggere l’originale, oltre al video, c’è anche una traccia in due parti della relazione sul suo blog: parte 1, parte 2). La sintesi è corredata da esempi tratti da Lost.

Ma partiamo dalla definizione.

Si tratta, secondo Jenkins, di “un processo nel quale elementi integrali di una fiction vengono sistematicamente dispersi su molteplici canali di distribuzione con lo scopo di creare una esperienza di intrattenimento unificata e coordinata. Ogni medium, idealmente, offre il proprio specifico contributo allo sviluppo della storia”. Questo processo è arricchito e complicato dalla produzione di contenuti da parte dei fan. Questi contenuti talvolta potenziano, talvolta complicano l’idea di “esperienza di intrattenimento unificata e coordinata”.

Ed ecco i sette principi:

1. Spreadability vs. Drillability

Il concetto di spreadability (che potremmo tradurre come capacità di un contenuto di diffondersi attraverso le reti sociali) è proposto da Jenkins come alternativa all’idea di viralità. Secondo l’autore, la metafora della viralità è infatti forviante perché lascia supporre che il contenuto si diffonda nelle reti sociali a prescindere dalla (e talvolta contro la) volontà dei singoli nodi (come avviene appunto per i virus). Il concetto di drillability, come proposto da Jason Mittell, mette invece in luce la capacità di un contenuto mediale di invogliare il pubblico ad approfondire la storia scavando nella sua complessità. Se la spreadabilty agisce orizzontalmente consentendo di aumentare rapidamente il numero di visualizzazioni senza necessariamente aumentare il coinvolgimento dello spettatore, la drillabity agisce invece su un vettore della profondità che si pone in un certo senso trasversalmente rispetto al primo (in un’ideale piano cartesiano del cultural engagement).

Pensando a Lost mi viene in mente, sul lato della spreadabilty il diffondersi delle registrazioni attraverso i network peer to peer (ma anche nel passaggio di mano in mano dei cd contenenti le puntate delle diverse stagioni) e su quello della drillabity l’esempio di Lostpedia (fra gli oltre 6,884 articoli presenti guardate in particolare questa timeline delle 6 stagioni).

2. Continuity vs. Multiplicity

La continuity rappresenta il principio di coerenza e plausibilità all’interno di un contenuto o di una serie di contenuti appartenenti ad uno stesso universo di riferimento. Pensando ai fumetti, gli universi dei supereroi della DC e della Marvel rappresentano perfettamente questo principio. Ma Jenkins nota anche una recente tendenza a ciò che lui chiama multiplicity. Sempre restando nel campo dei fumetti, si pensi ad esempio al caso di Ultimate Spider-Man, Spider-Man India (che sposta l’ambientazione dai grattaceli di New York alle strade di Mumbai) o Spider-Man Loves Mary Jane (che sviluppa la storia d’amore strizzando l’occhio al pubblico femminile). La multiplicity si sposa bene con i contributi generati dagli utenti che in qualche modo possono essere resi liberi di entrare, più coerentemente e con meno vincoli, a far parte di queste forme di narrazione trans-mediale.

In riferimento a Lost è abbastanza ovvio pensare al principio forte di coerenza interna che caratterizza la personalità dei vari personaggi e gli intrecci delle loro relazioni tanto sull’isola quanto nei numerosi flash back e flash forward. Nell’ultima stagione abbiamo tuttavia anche visto al lavoro il principio della multiplicity laddove i racconti dell’isola si sono alternati a quelli della vita quotidiana dei personaggi (le versioni alternative dei naufraghi che si vedono nei così detti flash-sideways che caratterizzano la sesta stagione).

3. Immersion vs. Extractability

Jack Action Figure

Il principio dell’immersion guida lo spettatore all’esplorazione del mondo della fiction. Non c’è bisogno di pensare a giochi come World of Warcraft per comprendere un principio non nuovo e proprio di tutte le realtà finzionali a partire dal romanzo. Il lettore/spettatore entra in un altro mondo. Al tempo stesso capita sempre più di frequente che elementi di questi mondi creati dalla narrazione escano entrando a far parte del mondo degli spettatori. Spesso sono gli stessi fan che contribuiscono attivamente a questo processo disseminando il proprio mondo di elementi tratti dagli universi finzionali che amano. Si pensi, ad esempio, a tutti quei negozi dove si possono acquistare costumi ed elementi scenografici per il cosplay o le action figures dei personaggi.

Anche Lost come tutte le narrazioni tende a portare lo spettatore all’interno del suo mondo. Al tempo stesso non mancano esempi di extractability come queste action figures dei personaggi principali della serie.

4. Worldbuilding

Una volta, come racconta uno sceneggiatore di Hollywood citato in Convergence Culture, “si sceglieva una storia perché senza una buona storia non si poteva fare un film. In seguito, quando hanno preso piede i sequel, si è iniziato a cercare un buon personaggio che supportasse molteplici storie. Oggi l’attenzione è sulla scelta di un mondo che possa supportare molteplici personaggi e storie attraverso diversi media”. Anche il principio del worldbuilding non è una novità recente. Jenkins fa notare che si tratta di un principio molto diffuso nella letteratura fantascientifica. Un altro esempio può essere rintracciato nello sviluppo che l’autore del Mago di Oz ha impresso ai personaggi e alle location della novella negli oltre venti volumi che costituiscono in realtà  The Wizard of Oz. La tensione al worldbuilding, al pari dell’immersion e della extractability, rappresenta una modalità attraverso la quali gli spettatori si relazionano con il prodotto mediale considerandolo come uno spazio che può talvolta entrare in relazione con lo spazio della vita quotidiana. A questo proposito Jenkins cita l’esempio dei poster realizzati dai fan che pubblicizzano viaggi verso località esistenti solo negli spazi finzionali e quello degli adesivi applicati sulle panchine dei parchi per promuovere il film District 9.

Rispetto a Lost… non saprei… idee? (forse c’è qualcosa del genere in relazione a Flash Forward)?

5. Seriality

Il principio della serialità, anche esso non nuovo, può essere compreso attraverso la distinzione fra storia e la trama. La storia si riferisce alla nostra costruzione mentale di ciò che accade che può formarsi solo dopo aver assorbito tutti i pezzetti di informazione disponibili?. La trama, invece, prende questi pezzetti di informazione e li organizza in un percorso che definisce la sequenza con la quale questi pezzi di informazione saranno resi disponibili agli spettatori. Il serial crea invece pezzi di storie avvincenti e sensate e disperde la storia complessiva sui diversi episodi facendo in modo che il precedente rimandi al successivo. Il racconto transmediale è una serialità portata alle estreme conseguenze dove i pezzi di storia non sono dispersi su diversi segmenti sullo stesso medium, quanto piuttosto su media diversi.

Un buon esempio di questo sono i diversi alternate reality game (ARG) creati dagli autori di LOST per mantenere alto il livello di coinvolgimento degli spettatori nelle pause fra le diverse stagioni: The Lost Experience, Find 815 e Dharma Initiative Recruiting Project.

6. Subjectivity

Una storia può essere raccontata da diversi punti di vista ed il principio di subjectivity sfrutta questa caratteristica affidando, nella forma ad esempio del diario, ad un personaggio secondario la responsabilità di un racconto parallelo. Il cambiamento di punto di vista può aiutare lo sviluppo della storia e la comprensione più approfondita del personaggio autore del racconto. Questo principio si sposa perfettamente con il racconto trans-mediale che può affidare il racconto dalla soggettiva di ciascun personaggio ad un medium diverso (come il caso dei fumetti della serie Heroes o i canali Twitter dei personaggi di The Big Bang Theory)

Sito della della Oceanic Airlines (poi utilizzato per l’ARG Find 815) è uno splendido esempio di utilizzo della soggettività (in questo caso la compagnia aerea stessa) per lo sviluppo della narrazione trans-mediale.

7. Performance

A partire dalla distinzione fra cultural attractors (elementi condivisi intorno ai quali si crea la comunità) e cultural activators (che danno alla comunità qualcosa da fare). Per esemplificare i cultural activators Jenkins fa riferimento alla mappa che apparve brevemente in alcune puntate della seconda stagione di Lost attivando la creatività dei fan che hanno provato a ridisegnare questa mappa alla ricerca di indizi sullo sviluppo della storia. Alle volte questi attivatori culturali sono posizionati strategicamente dagli autori, ma anche in mancanza di una strategia esplicita i fan tenderanno comunque ad interpretare performativamente alcuni aspetti della storia (guardate ad esempio questi opening credits alternativi di Lost generati dai fan). Per questo motivo è da tempo attiva una riflessione su come promuovere (ma a volte anche come bloccare) questa attività creativa da parte dei fan.

P.S. Preciso di non essere particolarmente esperto di Lost. Suppongo quindi che, oltre agli esempi che ho proposto, possano essercene altri ed anche migliori di quelli da me scelti. Se avete proposte o suggerimenti non esitate a lasciare un commento.

[Photo uploaded on January 23, 2008 by Subspace]

Realtà digitali #7: Il successo ai tempi della cultura convergente

Lo straordinario caso di Susan Boyle è lo spunto per parlare ci cultura convergente e “spreadable media”.Lo straordinario caso di Susan Boyle è lo spunto per parlare ci cultura convergente e “spreadable media”.Lo straordinario caso di Susan Boyle è lo spunto per parlare ci cultura convergente e “spreadable media”.

Susan Boyle è una cantante non professionista. Ha quarantotto anni ed è balzata di recente agli onori delle cronache per la sua partecipazione allo show televisivo britannico Britain’s Got Talent (un reality show simile a X Factor). L’audizione di Susan Boyle, trasmessa l’11 aprile 2009 sul canale inglese itv, ha originato, grazie al passaparola in rete, un fenomeno mediatico globale di dimensioni e caratteristiche inedite. Solo su YouTube esistono centinaia di video di questa esibizione e filmati legati a questo personaggio. Per dare un’idea delle dimensioni del fenomeno si consideri che il video più popolare fra quelli legati al caso Boyle, conta oggi, a circa due settimane dalla pubblicazione, oltre quarantacinque milioni di visualizzazioni contro i meno di venti milioni fatti registrare fino ad oggi dal discorso della vittoria pronunciato da Barack Obama la notte del 4 novembre 2008.
Nulla prima di oggi aveva mai raggiunto con la stessa rapidità una popolarità così vasta presso i pubblici di rete. Ma non sono solo dimensioni e rapidità del fenomeno a destare interesse. Susan Boyle sarà ricordata nei libri di scuola come un caso esemplare di cultura convergente. Di quella cultura, cioè, che nell’inedito spazio reso possibile dalla rete, fa incontrare il produttore e il consumatore attivo, il professionista e l’amatore, la comunicazione personale e quella di massa. Una cultura che, superando la tradizionale dicotomia fra produzioni dall’alto e conversazioni dal basso, si sviluppa proprio grazie alle caratteristiche di questo nuovo ecosistema. Grazie alla professionalità con la quale la storia e il personaggio sono stati raccontati dai produttori dello show. Grazie alle migliaia di persone che decidono di condividere con i propri amici il video dell’esibizione. E grazie, infine, alla cassa di risonanza che i media tradizionali creano occupandosi della straordinaria popolarità in rete del fenomeno. Ciò che alimenta questo circolo virtuoso spingendo persone a condividere esperienze attraverso la rete, rappresenta la chiave dei futuri successi nel sistema dei media nel “dopo-rete”.
Si parla spesso, in questi casi, di “video virali” per porre l’accento sulle capacità di rapida diffusione di questi video in rete (simili a quelle di un virus). A ben guardare, come ha acutamente fatto notare il guru della cultura convergente Henry Jenkins, la diffusione di questi video prevede un atto di libera scelta da parte di chi condivide il contenuto. Questa importante caratteristica rende la condivisione sociale profondamente diversa dalla diffusione di un virus che avviene invece a prescindere e spesso contro la volontà di chi infetta e di chi è infettato.
Comprendere, stimolare e supportare una moltitudine di scelte individuali. Spostare l’attenzione dal prodotto alla conversazione. Il futuro del successo dipenderà sempre più da tutto questo.
[potete leggere questo articolo anche a pag. 16 de “Il Corriere Adriatico” di Martedì 28 Aprile. Il prossimo appuntamento con “Realtà digitali” è per Martedì 12 Maggio]
[Photo originally uploaded on February 28, 2009 by EssG]

Susan Boyle è una cantante non professionista. Ha quarantotto anni ed è balzata di recente agli onori delle cronache per la sua partecipazione allo show televisivo britannico Britain’s Got Talent (un reality show simile a X Factor). L’audizione di Susan Boyle, trasmessa l’11 aprile 2009 sul canale inglese itv, ha originato, grazie al passaparola in rete, un fenomeno mediatico globale di dimensioni e caratteristiche inedite. Solo su YouTube esistono centinaia di video di questa esibizione e filmati legati a questo personaggio. Per dare un’idea delle dimensioni del fenomeno si consideri che il video più popolare fra quelli legati al caso Boyle, conta oggi, a circa due settimane dalla pubblicazione, oltre quarantacinque milioni di visualizzazioni contro i meno di venti milioni fatti registrare fino ad oggi dal discorso della vittoria pronunciato da Barack Obama la notte del 4 novembre 2008.

Nulla prima di oggi aveva mai raggiunto con la stessa rapidità una popolarità così vasta presso i pubblici di rete. Ma non sono solo dimensioni e rapidità del fenomeno a destare interesse. Susan Boyle sarà ricordata nei libri di scuola come un caso esemplare di cultura convergente. Di quella cultura, cioè, che nell’inedito spazio reso possibile dalla rete, fa incontrare il produttore e il consumatore attivo, il professionista e l’amatore, la comunicazione personale e quella di massa. Una cultura che, superando la tradizionale dicotomia fra produzioni dall’alto e conversazioni dal basso, si sviluppa proprio grazie alle caratteristiche di questo nuovo ecosistema. Grazie alla professionalità con la quale la storia e il personaggio sono stati raccontati dai produttori dello show. Grazie alle migliaia di persone che decidono di condividere con i propri amici il video dell’esibizione. E grazie, infine, alla cassa di risonanza che i media tradizionali creano occupandosi della straordinaria popolarità in rete del fenomeno. Ciò che alimenta questo circolo virtuoso spingendo persone a condividere esperienze attraverso la rete, rappresenta la chiave dei futuri successi nel sistema dei media nel “dopo-rete”.

Si parla spesso, in questi casi, di “video virali” per porre l’accento sulle capacità di rapida diffusione di questi video in rete (simili a quelle di un virus). A ben guardare, come ha acutamente fatto notare il guru della cultura convergente Henry Jenkins, la diffusione di questi video prevede un atto di libera scelta da parte di chi condivide il contenuto. Questa importante caratteristica rende la condivisione sociale profondamente diversa dalla diffusione di un virus che avviene invece a prescindere e spesso contro la volontà di chi infetta e di chi è infettato.

Comprendere, stimolare e supportare una moltitudine di scelte individuali. Spostare l’attenzione dal prodotto alla conversazione. Il futuro del successo dipenderà sempre più da tutto questo.

[potete leggere questo articolo anche a pag. 16 de “Il Corriere Adriatico” di Martedì 28 Aprile. Il prossimo appuntamento con “Realtà digitali” è per Martedì 12 Maggio]

[Photo originally uploaded on February 28, 2009 by EssG]

Susan Boyle è una cantante non professionista. Ha quarantotto anni ed è balzata di recente agli onori delle cronache per la sua partecipazione allo show televisivo britannico Britain’s Got Talent (un reality show simile a X Factor). L’audizione di Susan Boyle, trasmessa l’11 aprile 2009 sul canale inglese itv, ha originato, grazie al passaparola in rete, un fenomeno mediatico globale di dimensioni e caratteristiche inedite. Solo su YouTube esistono centinaia di video di questa esibizione e filmati legati a questo personaggio. Per dare un’idea delle dimensioni del fenomeno si consideri che il video più popolare fra quelli legati al caso Boyle, conta oggi, a circa due settimane dalla pubblicazione, oltre quarantacinque milioni di visualizzazioni contro i meno di venti milioni fatti registrare fino ad oggi dal discorso della vittoria pronunciato da Barack Obama la notte del 4 novembre 2008.

Nulla prima di oggi aveva mai raggiunto con la stessa rapidità una popolarità così vasta presso i pubblici di rete. Ma non sono solo dimensioni e rapidità del fenomeno a destare interesse. Susan Boyle sarà ricordata nei libri di scuola come un caso esemplare di cultura convergente. Di quella cultura, cioè, che nell’inedito spazio reso possibile dalla rete, fa incontrare il produttore e il consumatore attivo, il professionista e l’amatore, la comunicazione personale e quella di massa. Una cultura che, superando la tradizionale dicotomia fra produzioni dall’alto e conversazioni dal basso, si sviluppa proprio grazie alle caratteristiche di questo nuovo ecosistema. Grazie alla professionalità con la quale la storia e il personaggio sono stati raccontati dai produttori dello show. Grazie alle migliaia di persone che decidono di condividere con i propri amici il video dell’esibizione. E grazie, infine, alla cassa di risonanza che i media tradizionali creano occupandosi della straordinaria popolarità in rete del fenomeno. Ciò che alimenta questo circolo virtuoso spingendo persone a condividere esperienze attraverso la rete, rappresenta la chiave dei futuri successi nel sistema dei media nel “dopo-rete”.

Si parla spesso, in questi casi, di “video virali” per porre l’accento sulle capacità di rapida diffusione di questi video in rete (simili a quelle di un virus). A ben guardare, come ha acutamente fatto notare il guru della cultura convergente Henry Jenkins, la diffusione di questi video prevede un atto di libera scelta da parte di chi condivide il contenuto. Questa importante caratteristica rende la condivisione sociale profondamente diversa dalla diffusione di un virus che avviene invece a prescindere e spesso contro la volontà di chi infetta e di chi è infettato.

Comprendere, stimolare e supportare una moltitudine di scelte individuali. Spostare l’attenzione dal prodotto alla conversazione. Il futuro del successo dipenderà sempre più da tutto questo.

[potete leggere questo articolo anche a pag. 16 de “Il Corriere Adriatico” di Martedì 28 Aprile. Il prossimo appuntamento con “Realtà digitali” è per Martedì 12 Maggio]

[Photo originally uploaded on February 28, 2009 by EssG]

What's next #4: Dietro le quinte di "conversazioni dal basso"

Nelle puntante precedenti di “Conversazioni dal Basso”….
In occasione del secondo compleanno del Festival dei Blog facciamo il punto su successi e fallimenti di un format sperimentale per l’organizzazione di eventi su e con il web.Nelle puntante precedenti di “Conversazioni dal Basso”….
In occasione del secondo compleanno del Festival dei Blog facciamo il punto su successi e fallimenti di un format sperimentale per l’organizzazione di eventi su e con il web.Nelle puntante precedenti di “Conversazioni dal Basso”….
In occasione del secondo compleanno del Festival dei Blog facciamo il punto su successi e fallimenti di un format sperimentale per l’organizzazione di eventi su e con il web.

A raccontarla oggi sembra quasi un’idea scontata. Organizzare in un contesto accademico un evento sui blog con protagonisti i blogger.
L’idea ci è balenata nella mente sul finire del 2006 durante una delle sessioni di procrastinazione strutturata che organizziamo periodicamente al LaRiCA.
Subito dopo è venuto fuori il nome “Conversazioni dal Basso”. Una sorta di traduzione creativa dell’aggettivo inglese grassroots diventato popolare in associazione con il termine journalism grazie a We the Media.
Poco dopo ci sono arrivate delle proposte di logo.
Fin dall’inizio è stato chiaro che “Conversazioni dal Basso” non avrebbe dovuto semplicemente parlare di blog e social media ma che avrebbe invece dovuto farlo secondo le logiche stesse della cultura partecipativa.
Per questo abbiamo realizzato un blog per raccontare l’evento ma anche un wiki per promuovere la forma di collaborazione più aperta e destrutturata possibile.
Solo in questo modo sarebbe stato qualcosa di più di una semplice conferenza, qualcosa di più di una mera vetrina per i nostri studi sui media sociali.
Certo doveva essere anche questo, ma al tempo stesso rappresentare un laboratorio per studiare quei processi vivendoli da protagonisti e non da semplici spettatori.
Si perché contrariamente alla tradizione dell’oggettività scientifica, esistono fenomeni che non possono essere compresi se non si è disposti ad entrare nel fenomeno stesso vivendolo dall’interno (si veda il bel pezzo Brave New World of Digital Intimacy sul New York Times).
Ad un certo punto il nostro background sociocibernetico di studi sui sistemi sociali, complessità e logiche dell’osservazione di secondo ordine, la prospettiva dell’AcaFan di cui parla Henry Jenkins, il coordinamento di comunità online finalizzate ad uno scopo ed i fenomeni che volevamo studiare stavano convergendo tutti verso un’unica prospettiva alla luce della quale il tempo dedicato ad organizzare un evento o – come si sarebbe rivelato in seguito – una serie di eventi, poteva essere considerato, anche da una prospettiva di ricerca, ben speso.
Prima abbiamo sperimentato il coinvolgimento dei blogger organizzando un workshop dove sarebbero stati protagonisti e co-organizzatori e non semplici comparse. Poi abbiamo deciso di allargare ancora di più la nostra comunità includendo alcuni nostri studenti ed un numero ancora più vasto di blogger.
Sono nati così il primo ed secondo workshop (dedicato alla politica) “Conversazioni dal Basso” ed il primo Festival dei Blog a Urbino.
Nel tempo il gruppo di volontari che co-organizzano attivamente gli eventi è cresciuto da una decina a circa trenta persone e al tempo stesso abbiamo iniziato ad usare un numero di strumenti web sempre più vasto ed eterogeneo.
Per la collaborazione stiamo usando il Basecamp di 37signals, per la condivisione di file drop.io, per la promozione gli eventi di Facebook, per le dirette web UStream, per le iscrizioni il bellissimo EventBrite, per i video un canale di YouTube. Questo senza considerare le quasi mille foto etichettate “conversazionidalbasso” su Flickr.
Ovviamente portare le logiche di apertura e dell’auto-organizzazione nell’ambito di una struttura spesso gerarchica e chiusa come l’accademia (non che altre organizzazioni che abbia visto in Italia lo siano meno) non è stato facile e non lo è tuttora. Conciliare la creatività ed i ritmi lavorativi di un gruppo di digital natives (fra l’altro volontari) con l’esigenza di promuovere delicatissime quanto necessarie forme di collaborazione intra ed inter-universitarie è un lavoro stimolante ma non facile.
In questo senso il Festival dei Blog di Urbino è molto diverso dalla Blog Fest di Riva del Garda (lo dico anche a beneficio della giornalista di Italia 1 che mi ha telefonato circa un mese fa).
Nessuno di noi è un professionista dell’organizzazione di eventi, il budget complessivo del Festival dei Blog ’07 è stato di molto inferiore a 10.000 euro e quello di quest’anno, grazie agli sponsor e alle donazioni dei singoli, non graverà che in piccolissima parte sulle tasche dell’istituzione che organizza l’evento.
Ovviamente nè io nè altri miei colleghi guadagna un euro dagli eventi “Conversazioni dal Basso”.
Però in esperienza, conoscenza di persone smart e visibilità abbiamo guadagnato nel corso di questi anni una cifra inestimabile.
Parte di questa cifra proviamo a restituirla alla comunità cercando con impegno di organizzare ogni anno eventi più interessanti, divertenti ed innovativi.
Fare la stessa cosa due volte non ci piace.
Ecco perchè nonostante il Treasure Hunt Wireless Game di ottobre 2007 sia stato molto divertente, abbiamo deciso di rilanciare con i Giochi Olimpici dei Blogger.
Ecco perchè abbiamo pensato di ospitare la prima Girl Geek Dinner non metropolitana affidandone l’organizzazione all’entusiasmo di quattro giovanissime ragazze geek.
Ecco perchè abbiamo proposto ad un gruppo di studenti di organizzare in completa autonomia il concorso fotografico “Living in a Wireless Campus”.
Ecco perché abbiamo deciso di sperimentare un format di BarCamp Accademico che fa della contraddizione fra questi due termini la sua stessa ragione di esistenza e nel farlo condensa simbolicamente in sè stesso lo spirito delle “Conversazioni dal Basso”.
Anche quest’anno sono sicuro che mi stancherò e mi divertirò.
Ci vediamo li?
P.S. Se stai leggendo questo articolo e sei una “blogstar” di quelle che vivono raccontando alle aziende le potenzialità della cultura partecipativa e del web, questo è il tuo momento per restituire qualcosa alla comunità. Partecipa e diffondi la campagna di auto-finanziamento 🙂
CROWD FUNDING: Acquista un “Supporters Ticket” a donazione libera ed aiutaci a finanziare l’Academic BarCamp. Bastano anche solo 5 €.

A raccontarla oggi sembra quasi un’idea scontata. Organizzare in un contesto accademico un evento sui blog con protagonisti i blogger.

L’idea ci è balenata nella mente sul finire del 2006 durante una delle sessioni di procrastinazione strutturata che organizziamo periodicamente al LaRiCA.

Subito dopo è venuto fuori il nome “Conversazioni dal Basso”. Una sorta di traduzione creativa dell’aggettivo inglese grassroots diventato popolare in associazione con il termine journalism grazie a We the Media.

Poco dopo ci sono arrivate delle proposte di logo.

Fin dall’inizio è stato chiaro che “Conversazioni dal Basso” non avrebbe dovuto semplicemente parlare di blog e social media ma che avrebbe invece dovuto farlo secondo le logiche stesse della cultura partecipativa.

Per questo abbiamo realizzato un blog per raccontare l’evento ma anche un wiki per promuovere la forma di collaborazione più aperta e destrutturata possibile.

Solo in questo modo sarebbe stato qualcosa di più di una semplice conferenza, qualcosa di più di una mera vetrina per i nostri studi sui media sociali.

Certo doveva essere anche questo, ma al tempo stesso rappresentare un laboratorio per studiare quei processi vivendoli da protagonisti e non da semplici spettatori.

Si perché contrariamente alla tradizione dell’oggettività scientifica, esistono fenomeni che non possono essere compresi se non si è disposti ad entrare nel fenomeno stesso vivendolo dall’interno (si veda il bel pezzo Brave New World of Digital Intimacy sul New York Times).

Ad un certo punto il nostro background sociocibernetico di studi sui sistemi sociali, complessità e logiche dell’osservazione di secondo ordine, la prospettiva dell’AcaFan di cui parla Henry Jenkins, il coordinamento di comunità online finalizzate ad uno scopo ed i fenomeni che volevamo studiare stavano convergendo tutti verso un’unica prospettiva alla luce della quale il tempo dedicato ad organizzare un evento o – come si sarebbe rivelato in seguito – una serie di eventi, poteva essere considerato, anche da una prospettiva di ricerca, ben speso.

Prima abbiamo sperimentato il coinvolgimento dei blogger organizzando un workshop dove sarebbero stati protagonisti e co-organizzatori e non semplici comparse. Poi abbiamo deciso di allargare ancora di più la nostra comunità includendo alcuni nostri studenti ed un numero ancora più vasto di blogger.

Sono nati così il primo ed secondo workshop (dedicato alla politica) “Conversazioni dal Basso” ed il primo Festival dei Blog a Urbino.

Nel tempo il gruppo di volontari che co-organizzano attivamente gli eventi è cresciuto da una decina a circa trenta persone e al tempo stesso abbiamo iniziato ad usare un numero di strumenti web sempre più vasto ed eterogeneo.

Per la collaborazione stiamo usando il Basecamp di 37signals, per la condivisione di file drop.io, per la promozione gli eventi di Facebook, per le dirette web UStream, per le iscrizioni il bellissimo EventBrite, per i video un canale di YouTube. Questo senza considerare le quasi mille foto etichettate “conversazionidalbasso” su Flickr.

Ovviamente portare le logiche di apertura e dell’auto-organizzazione nell’ambito di una struttura spesso gerarchica e chiusa come l’accademia (non che altre organizzazioni che abbia visto in Italia lo siano meno) non è stato facile e non lo è tuttora. Conciliare la creatività ed i ritmi lavorativi di un gruppo di digital natives (fra l’altro volontari) con l’esigenza di promuovere delicatissime quanto necessarie forme di collaborazione intra ed inter-universitarie è un lavoro stimolante ma non facile.

In questo senso il Festival dei Blog di Urbino è molto diverso dalla Blog Fest di Riva del Garda (lo dico anche a beneficio della giornalista di Italia 1 che mi ha telefonato circa un mese fa).

Nessuno di noi è un professionista dell’organizzazione di eventi, il budget complessivo del Festival dei Blog ’07 è stato di molto inferiore a 10.000 euro e quello di quest’anno, grazie agli sponsor e alle donazioni dei singoli, non graverà che in piccolissima parte sulle tasche dell’istituzione che organizza l’evento.

Ovviamente nè io nè altri miei colleghi guadagna un euro dagli eventi “Conversazioni dal Basso”.

Però in esperienza, conoscenza di persone smart e visibilità abbiamo guadagnato nel corso di questi anni una cifra inestimabile.

Parte di questa cifra proviamo a restituirla alla comunità cercando con impegno di organizzare ogni anno eventi più interessanti, divertenti ed innovativi.

Fare la stessa cosa due volte non ci piace.

Ecco perchè nonostante il Treasure Hunt Wireless Game di ottobre 2007 sia stato molto divertente, abbiamo deciso di rilanciare con i Giochi Olimpici dei Blogger.

Ecco perchè abbiamo pensato di ospitare la prima Girl Geek Dinner non metropolitana affidandone l’organizzazione all’entusiasmo di quattro giovanissime ragazze geek.

Ecco perchè abbiamo proposto ad un gruppo di studenti di organizzare in completa autonomia il concorso fotografico “Living in a Wireless Campus”.

Ecco perché abbiamo deciso di sperimentare un format di BarCamp Accademico che fa della contraddizione fra questi due termini la sua stessa ragione di esistenza e nel farlo condensa simbolicamente in sè stesso lo spirito delle “Conversazioni dal Basso”.

Anche quest’anno sono sicuro che mi stancherò e mi divertirò.

Ci vediamo li?

P.S. Se stai leggendo questo articolo e sei una “blogstar” di quelle che vivono raccontando alle aziende le potenzialità della cultura partecipativa e del web, questo è il tuo momento per restituire qualcosa alla comunità. Partecipa e diffondi la campagna di auto-finanziamento 🙂

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A raccontarla oggi sembra quasi un’idea scontata. Organizzare in un contesto accademico un evento sui blog con protagonisti i blogger.

L’idea ci è balenata nella mente sul finire del 2006 durante una delle sessioni di procrastinazione strutturata che organizziamo periodicamente al LaRiCA.

Subito dopo è venuto fuori il nome “Conversazioni dal Basso”. Una sorta di traduzione creativa dell’aggettivo inglese grassroots diventato popolare in associazione con il termine journalism grazie a We the Media.

Poco dopo ci sono arrivate delle proposte di logo.

Fin dall’inizio è stato chiaro che “Conversazioni dal Basso” non avrebbe dovuto semplicemente parlare di blog e social media ma che avrebbe invece dovuto farlo secondo le logiche stesse della cultura partecipativa.

Per questo abbiamo realizzato un blog per raccontare l’evento ma anche un wiki per promuovere la forma di collaborazione più aperta e destrutturata possibile.

Solo in questo modo sarebbe stato qualcosa di più di una semplice conferenza, qualcosa di più di una mera vetrina per i nostri studi sui media sociali.

Certo doveva essere anche questo, ma al tempo stesso rappresentare un laboratorio per studiare quei processi vivendoli da protagonisti e non da semplici spettatori.

Si perché contrariamente alla tradizione dell’oggettività scientifica, esistono fenomeni che non possono essere compresi se non si è disposti ad entrare nel fenomeno stesso vivendolo dall’interno (si veda il bel pezzo Brave New World of Digital Intimacy sul New York Times).

Ad un certo punto il nostro background sociocibernetico di studi sui sistemi sociali, complessità e logiche dell’osservazione di secondo ordine, la prospettiva dell’AcaFan di cui parla Henry Jenkins, il coordinamento di comunità online finalizzate ad uno scopo ed i fenomeni che volevamo studiare stavano convergendo tutti verso un’unica prospettiva alla luce della quale il tempo dedicato ad organizzare un evento o – come si sarebbe rivelato in seguito – una serie di eventi, poteva essere considerato, anche da una prospettiva di ricerca, ben speso.

Prima abbiamo sperimentato il coinvolgimento dei blogger organizzando un workshop dove sarebbero stati protagonisti e co-organizzatori e non semplici comparse. Poi abbiamo deciso di allargare ancora di più la nostra comunità includendo alcuni nostri studenti ed un numero ancora più vasto di blogger.

Sono nati così il primo ed secondo workshop (dedicato alla politica) “Conversazioni dal Basso” ed il primo Festival dei Blog a Urbino.

Nel tempo il gruppo di volontari che co-organizzano attivamente gli eventi è cresciuto da una decina a circa trenta persone e al tempo stesso abbiamo iniziato ad usare un numero di strumenti web sempre più vasto ed eterogeneo.

Per la collaborazione stiamo usando il Basecamp di 37signals, per la condivisione di file drop.io, per la promozione gli eventi di Facebook, per le dirette web UStream, per le iscrizioni il bellissimo EventBrite, per i video un canale di YouTube. Questo senza considerare le quasi mille foto etichettate “conversazionidalbasso” su Flickr.

Ovviamente portare le logiche di apertura e dell’auto-organizzazione nell’ambito di una struttura spesso gerarchica e chiusa come l’accademia (non che altre organizzazioni che abbia visto in Italia lo siano meno) non è stato facile e non lo è tuttora. Conciliare la creatività ed i ritmi lavorativi di un gruppo di digital natives (fra l’altro volontari) con l’esigenza di promuovere delicatissime quanto necessarie forme di collaborazione intra ed inter-universitarie è un lavoro stimolante ma non facile.

In questo senso il Festival dei Blog di Urbino è molto diverso dalla Blog Fest di Riva del Garda (lo dico anche a beneficio della giornalista di Italia 1 che mi ha telefonato circa un mese fa).

Nessuno di noi è un professionista dell’organizzazione di eventi, il budget complessivo del Festival dei Blog ’07 è stato di molto inferiore a 10.000 euro e quello di quest’anno, grazie agli sponsor e alle donazioni dei singoli, non graverà che in piccolissima parte sulle tasche dell’istituzione che organizza l’evento.

Ovviamente nè io nè altri miei colleghi guadagna un euro dagli eventi “Conversazioni dal Basso”.

Però in esperienza, conoscenza di persone smart e visibilità abbiamo guadagnato nel corso di questi anni una cifra inestimabile.

Parte di questa cifra proviamo a restituirla alla comunità cercando con impegno di organizzare ogni anno eventi più interessanti, divertenti ed innovativi.

Fare la stessa cosa due volte non ci piace.

Ecco perchè nonostante il Treasure Hunt Wireless Game di ottobre 2007 sia stato molto divertente, abbiamo deciso di rilanciare con i Giochi Olimpici dei Blogger.

Ecco perchè abbiamo pensato di ospitare la prima Girl Geek Dinner non metropolitana affidandone l’organizzazione all’entusiasmo di quattro giovanissime ragazze geek.

Ecco perchè abbiamo proposto ad un gruppo di studenti di organizzare in completa autonomia il concorso fotografico “Living in a Wireless Campus”.

Ecco perché abbiamo deciso di sperimentare un format di BarCamp Accademico che fa della contraddizione fra questi due termini la sua stessa ragione di esistenza e nel farlo condensa simbolicamente in sè stesso lo spirito delle “Conversazioni dal Basso”.

Anche quest’anno sono sicuro che mi stancherò e mi divertirò.

Ci vediamo li?

P.S. Se stai leggendo questo articolo e sei una “blogstar” di quelle che vivono raccontando alle aziende le potenzialità della cultura partecipativa e del web, questo è il tuo momento per restituire qualcosa alla comunità. Partecipa e diffondi la campagna di auto-finanziamento 🙂

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