Verso una definizione di sostenibilità sociale di una tecnologia

Verso una definizione operativa di sostenibilità sociale

Secondo articolo della serie dedicata al progetto ULOOP curato da Erica Giambitto.
Dopo la panoramica sul progetto ULOOP pubblicata qualche settimana fa, cerchiamo ora di definire meglio il campo di ricerca  e di arricchirlo. Ci eravamo posti la domanda di ricerca “ULOOP è una tecnologia socialmente sostenibile?”, abbiamo delineato alcuni aspetti della sostenibilità sociale, come ad esempio una gestione delle risorse che mantenga l’equilibrio del sistema, ed anche una idea di sostenibilità sociale intesa come risorsa, come capitale sociale, che emerge da una rete collaborativa di relazioni. Questi, però, sono  solo alcuni aspetti della sostenibilità sociale che rimane un concetto che difficilmente può essere racchiuso in una definizione univoca e che può invece essere pensato come un concetto sfaccettato, come suggerito da Stephen McKenzie nel suo articolo Social Sustainability: Towards some definitions” (S. McKenzie, Social sustainability: Towards some definitions, Hawke Research Institute Working Paper Series n.27, Hawke Research Insitute, University of South Australia, Magill 2004). Per questo è stato osservato da un’ampia serie di punti di vista diversi.
Come possono esserci utili questi approcci nella nostra ricerca sulla sostenibilità sociale di ULOOP?
Innanzitutto nel delineare in modo sempre più preciso questo duplice aspetto della sostenibilità sociale che la vede, da un lato, come gestione, azione e quindi un processo in atto in una comunità e, dall’altro lato la vede come risorsa, come capitale sociale emergente dalle relazioni che legano la comunità. È importante, però, tenere a mente che quando parliamo di sistema e di relazioni in ULOOP stiamo parlando di diversi tipi di soggetti che entrano in relazione. Come indicato nel white paper 03 gli attori in gioco sono molteplici (ULOOP users, End-Users, Users, Subscribers, Consumers, Service Providers, Operators) e  quindi la sostenibilità sociale dovrebbe essere legata alla relazione fra questi soggetti.
Come vedremo, di per sé la sostenibilità sociale è un concetto complesso dunque cercheremo dapprima di comprenderlo meglio e in seguito di cercare dei legami con ULOOP.
Verso uno studio della sostenibilità sociale

<<When discussing social sustainability, ‘What is…’ or ‘What do we mean by…’ are immediate and automatic responses>> (McKenzie, 2004)

Il problema di definizione della sostenibilità sociale nasce dall’origine stessa del concetto. Frutto di un lungo processo scaturito dai primi interrogativi sull’impatto ambientale di un’industrializzazione del mondo sempre più spinta, può essere considerata una conseguenza degli interrogativi sulla sostenibilità economica e sulla sostenibilità ambientale in un’ottica di sviluppo sostenibile. La ricerca sulla sostenibilità sociale è ancora molto legata ad aspetti economici ed ambientali, e non deve esserne svincolata, ma per poterla comprendere e analizzare veramente e per poterla valorizzare adeguatamente è necessario, secondo McKenzie focalizzarsi su di essa attraverso un approccio specifico realizzato dalle scienze sociali.
Negli anni Sessanta sorgevano i primi problemi di sostenibilità ambientale delle imprese e delle economie e, per questo, iniziava a sentirsi la necessità di elaborare delle politiche di sviluppo che permettessero una crescita economica non deleteria per l’ambiente e che migliorasse le qualità della vita delle persone. Nacque per questo l’Organizzazione per lo Sviluppo e la Cooperazione Economica (OECD).
Negli anni Ottanta si fece un notevole passo avanti nell’agenda della sostenibilità. La Commissione delle Nazioni Unite su Sviluppo e Ambiente (fondata nel 1983 dalle Nazioni Unite) inizia il suo lavoro per una nuova era di crescita economica basata su politiche che sostengono e proteggono le risorse ambientali. Viene riconosciuto da un lato l’aggravarsi dei problemi ambientali e, dall’altro, che questi problemi ambientali potevano essere dovuti anche a fattori sociali: degrado, povertà, pressione demografica e diseguaglianza sociale sono alcuni dei fattori sociali individuati come maggiore causa di degrado ambientale.
Si comincia a parlare di sviluppo sostenibile come mantenimento di <<processi ecologici essenziali e sistemi di supporto alla vita>> . (IUCN/UNEP/WWF, World conservation strategy: living resource conservation for sustainable development, IUCN/UNEP/WWF, Gland, Switzerland, 1980. Citato in McKenzie 2004, p. 4).
Da qui il passo successivo è rappresentato dal rapporto Brundtland, il quale definisce lo sviluppo sostenibile come

<<uno sviluppo che incontra i bisogni del presente senza compromettere le capacità delle future generazioni di soddisfare i propri bisogni>> (WCED, Brundtland G.H , Mansour  K.,  1987 common future,  Oxford University Press, Oxford, GB; Citato in Canu 2011).

Il fattore sociale viene di fatto inserito nell’agenda della sostenibilità, ma nonostante questo le critiche mosse a questo approccio mostrano alcune perplessità.
McKenzie fa notare che il fattore sociale, sebbene incluso nell’agenda di ricerca è ancora “subordinato” all’idea dello sviluppo economico di tipo “colonialista”, le stesse perplessità che sollevava Latouche e che abbiamo considerato nel nostro precedente articolo.
L’idea secondo cui portando sviluppo economico nelle aree con basso capitale sociale e cioè con scarsa coesione sociale e povertà, si può invertire la tendenza riducendo così l’impatto ambientale, è fortemente criticata poiché rispecchia, secondo Joshi, un’ottica colonialista e non un vero interesse per l’ambiente e per una società più equa (M M Joshi, Sustainable consumption: issues of a paradigm shift, Indian Council of Social Science Research, Occasional Monograph Series, No 1, New Delhi, 2002, p 7; Citato in McKenzie 2004, p. 4). Un’altra critica è stata mossa alla “vaghezza” della definizione: spesso questa si trasforma in una cortina di fumo dietro la quale si nascondono le imprese per non realizzare realmente uno sviluppo più equo. (Michael Jacobs, ‘Sustainable development: a contested concept’ in A Dobson, ed, Fairness and futurity: essays on environmental sustainability and social justice, Oxford University Press, Oxford, 1999, p 24; Citato in McKenzie 2004).
Il problema più importante ai fini della nostra ricerca continua ad essere il fatto che i principali “soggetti” considerati rimangono l’ambiente e lo sviluppo economico. Il tentativo di creare un equilibrio tra questi due fattori, considerati come contrapposti, non ha permesso di considerare il fattore sociale come altrettanto importante.
Negli anni Novanta le Università Australiane e la ricerca Australiana, si sono mosse per realizzare un approccio sempre più interdisciplinare alla sostenibilità. Dove per interdisciplinare si intende una sinergia tra dipartimenti di ricerca, dedicati ognuno ad un aspetto delle scienze sociali. Tra queste il Group of Eight cioè la rete delle otto università più antiche e prestigiose dell’Australia, la University of Queensland Faculty of Social and Behavioural Sciences; la Australian Academy of, the Humanities; l’Academy of the Social Sciences; la University of New South Wales Social Policy Research Centre e la University of New England Institute for Rural Futures.
Da qui, la University of South Australia ha lavorato sulla definizione di sostenibilità:

<<Sustainability—including sustainable environments, sustainable societies and sustainable economies. This priority would mean attention inter alia to issues relating to water use, renewable energy, democratic citizenship, social justice, equity, impact of globalised economies on work and triple bottom line approaches.>> (intervento della University of South Australia durante il processo consultativo sulle priorità di ricerca nazionali Australiane, citato da McKenzie 2004 )

Successivamente ha dato vita all’Hawke Research Institute proprio per dedicarsi in modo specifico ai fattori sociali che incidono sulla sostenibilità. Nonostante questi sforzi, l’impronta di ricerca a livello nazionale era ancora molto legata alle scienze economiche e tecniche, per questo la National Academy of the Humanities ha cercato di specificare riorganizzare gli obiettivi di ricerca:

<< We believe that the existing priority goals need to be re-drafted to acknowledge the fundamental human origins of environmental problems>> (National Academy of the Humanities,The humanities and Australia’s National Research Priorities p.13, citato in McKenzie 2004)

La sostenibilità ambientale è, secondo questa idea, anche una questione sociale, dal momento che i problemi ambientali hanno origine dal comportamento dell’uomo. Questo ha permesso finalmente di riconoscere il ruolo centrale degli elementi sociali e culturali nella questione della sostenibilità. La ricerca delle scienze sociali si sta affermando come campo autonomo di analisi, anche se al momento ancora risente di questa consapevolezza giunta in un secondo momento. Le scienze sociali sono ancora considerate come qualcosa da integrare in un processo già cominciato, come supporto ad un processo di analisi già iniziato.
Per McKenzie, dunque è sì necessaria una ricerca interdisciplinare sul concetto di sostenibilità ma, prima di tutto, è necessario che le scienze sociali si interroghino in maniera autonoma e indipendente sul concetto di sostenibilità sociale. Una volta definita la sostenibilità sociale come un campo indipendente di studi, una volta elaborati dei modelli di analisi, allora la ricerca sociale, quella ambientale ed economica potranno lavorare in sinergia per lo sviluppo di una sostenibilità che vede i fattori ambientali, sociali ed economici come equivalenti.
Verso una definizione di sostenibilità sociale
Nel suo testo McKenzie fornisce una definizione operativa di sostenibilità sociale:

<<Social sustainability is: a life-enhancing condition within communities, and a process within communities that can achieve that condition.>> (S. McKenzie, Social sustainability: Towards some definitions, Hawke Research Institute Working Paper Series n.27, Hawke Research Insitute, University of South Australia, Magill 2004, p. 12.)

La sostenibilità sociale è dunque vista come una condizione descritta da alcune caratteristiche che, quando presenti, sono considerate come indicatori della condizione stessa. Gli ultimi tre elementi sono invece dei meccanismi, essi descrivono delle azioni che rendono possibile il processo di sostenibilità sociale:

  • Equità d’accesso ai servizi chiave (incluse salute, educazione, trasporti, casa e svaghi);
  • Equità tra le generazioni (le future generazioni non saranno svantaggiate dalle attività della generazione attuale);
  • Un sistema di relazioni culturali in cui gli aspetti positivi di culture diverse sono valorizzati e protetti, e in cui l’integrazione culturale è supportata e promossa quando è desiderata da individui e gruppi;
  • La diffusa partecipazione politica dei cittadini non solo nelle procedure elettorali ma anche nelle altre aree dell’attività politica, particolarmente a livello locale;
  • Un sistema per trasmettere consapevolezza sulla sostenibilità sociale da una generazione alla successiva;
  • Un senso di responsabilità di comunità per mantenere quel sistema di trasmissione;
  • Meccanismi che permettono ad una comunità di identificare collettivamente le sue capacità e i suoi bisogni;
  • Meccanismi che permettono ad una comunità di soddisfare i suoi stessi bisogni dove possibile attraverso  un’azione di comunità;
  • Meccanismi di difesa politica per soddisfare le esigenze che non possono essere soddisfatte con l’azione della comunità.

Sostenibilità come condizione misurabile e come capitale sociale emergente
La sostenibilità è qui intesa come una condizione misurabile in base alla presenza o all’assenza di questi indicatori, al momento riduttivi e non esaustivi, attraverso cui è possibile, per McKenzie, sviluppare un’agenda di ricerca della sostenibilità sociale che faccia esclusivo riferimento all’aspetto sociale.
Un altro studio in questo senso è quello compiuto da Cocklin e Alston per la  Academy of the Social Sciences realizzata all’interno del progetto Australia’s Community Sustainability (Chris Cocklin and Margaret Alston, eds., Community sustainability in rural Australia: a question of capital, Centre for Rural Social Research, Wagga Wagga, NSW, 2003; Citato in McKenzie 2004). Lo scopo degli autori è quello di misurare e valutare le variazioni del capitale sociale in una comunità monitorando le variazioni all’interno dei cinque sottoinsiemi che lo compongono: capitale naturale (risorse naturali), umano (conoscenza e abilità dei singoli individui), sociale (reti produttive e valori condivisi), istituzionale (strutture istituzionali nel privato, nel pubblico e nel terzo settore) e di prodotto (costruzioni, beni prodotti, risorse monetarie). L’ipotesi di lavoro è che la sostenibilità sociale di una comunità sia misurabile rispetto alla presenza e al valore di questi “stock” di capitale in diversi settori.
Nel nostro primo articolo avevamo visto come ULOOP potesse configurarsi come una rete di relazioni da cui emerge capitale sociale e, quindi, tenendo come riferimento il modello di sviluppo fornito nel white paper 03 e non avendo ancora un caso reale su cui lavorare, potremmo utilizzare le caratteristiche distintive di ULOOP per ipotizzare delle sottocategorie: Capitale di Risorse (ampiezza di banda, potere computazionale, livello di energia, stampanti); Capitale di Informazioni (info turistiche, pubblicità, opinioni, localizzazioni); Capitale Potenziale (o di Disponibilità:  risorse computazionali, di connessione internet, di servizi, di informazioni); Capitale di Sicurezza (supporto alla mobilità, trasferimenti trasparenti); potremmo aggiungere una sottocategoria dedicata al Capitale Umano (conoscenze, abilità, disponibilità di diventare nodi) e una sottocategoria dedicata al Capitale di Struttura (fornita da operatori e da service provider).
L’ipotesi di Cocklin e Alston viene approfondita da Pepperdine (Sharon Pepperdine, Social Indicators of Rural Community Sustainability: An Example from the Woady Yaloak Catchment, 2000, Department of Geography & Environmental Studies, The University of Melbourne), che  in uno studio specifico sulla comunità di Woady Yaloak Catchmen (comunità di rinnovamento del territorio attraverso uno sviluppo sostenibile, portato avanti grazie a contributi “bottom up” della popolazione), cerca di sviluppare degli indicatori sociali che descrivano la sostenibilità sociale, anche grazie alla partecipazione degli appartenenti alla comunità. Attraverso interviste, sondaggi e questionari ha identificato degli importanti temi ritenuti rilevanti che ha successivamente raggruppato in 15 indicatori chiave della sostenibilità sociale.

  1. Coesione: coordinamento, abilità di lavorare insieme
  2. Senso di comunità: vita di comunità, partecipazione attiva
  3. Prosperità: ricambio della popolazione inclusi i giovani adulti, mentalità positiva, rivendita di proprietà
  4. Senso del vicinato: comunità amichevole e di supporto
  5. Accettazione: differenti punti di vista, di idee, di nuovi arrivati; conoscenza dei vicini
  6. Opportunità di partecipare alle attività sociali (intrattenimento, culturale, ricreazionale e sport) e affari pubblici; presenza di persone motivate ed entusiaste
  7. Opportunità d’impiego che includano giovani e adulti
  8. Scarsa integrazione sociale: separazioni di famiglie, droga e crimine, suicidio
  9. Attaccamento all’area
  10. Apertura mentale: apertura verso “estranei” e donne
  11. Vitalità economica: tempo per vacanze e svago, pensionamento, sicurezza finanziaria
  12. Input di comunità: gruppi di comunità, negozi locali, fiducia della comunità in se stessa
  13. Comunicazione: quotidiano locale
  14. Unità: volontariato, valori comuni
  15. Stabilità della popolazione

Questi indicatori forniscono, secondo Pepperdine uno strumento per ottenere una visione soggettiva, dall’interno di una comunità sulla sua sostenibilità misurando la realtà in cui vivono. Sono indicatori sociali soggettivi e possono essere usati a fianco degli indicatori “oggettivi”, come ad esempio i dati di censimento, per dare un’immagine più ampia delle tendenze nella sostenibilità e che la svincolano da indicatori legati principalmente allo sviluppo economico.
Un fatto importante da mettere in evidenza secondo Pepperdine è che gli indicatori ritenuti più rilevanti dalla popolazione riguardano la coesione sociale, il senso di appartenenza, il senso del vicinato e l’accettazione della diversità; indicatori molto diversi da quelli considerati tradizionalmente come “oggettivi” (prosperità economica, possibilità d’impiego e vitalità economica) e che, secondo la popolazione, consentono alla comunità di proseguire e di migliorare nel suo progetto di riqualificazione sostenibile del territorio.
Lo studio di Pepperdine fa riferimento ad una specifica comunità rurale e ci rendiamo conto dei limiti che questo comporta nella nostra ricerca.  È importante, infatti, esplicitare che gli indicatori così sviluppati sono specifici di quella comunità, sebbene siano abbastanza generali da poter essere utilizzati anche in altri luoghi. Credo, dunque, che sia necessario sviluppare degli indicatori specifici per il nostro progetto. Visto però lo stato dell’arte nella ricerca sulla sostenibilità sociale e la sua, ancora forte, subordinazione al concetto di sostenibilità ambientale in relazione ad un territorio, una così selettiva attenzione agli aspetti sociali messa in atto dalla comunità stessa ci sembra particolarmente interessante. È necessario anche considerare che qui si fa riferimento ad un territorio specifico e al suo sviluppo reso possibile dal senso di comunità interno e dalla vicinanza fisica.
Nel caso di ULOOP, invece, sebbene ci sia un legame con il luogo fisico (per citare alcuni esempi legati allo spazio: geolocalizzazione, estensione della copertura tra nodi vicini, advertising di prossimità, informazioni turistiche fornite dagli abitanti locali) potrebbe non svilupparsi quella percezione di territorio fisico da condividere e valorizzare con uno sforzo comune. Ma se consideriamo un altro tipo di territorio, un altro tipo di luogo che è quello prodotto dalla comunicazione (scambi comunicativi, di relazione e di dati), ULOOP potrebbe essere percepito come uno spazio, sì virtuale, ma da tenere “in vita” attraverso la partecipazione di ogni singolo individuo coinvolto.
Potremmo, seguendo questa direzione,  dire che questa partecipazione per essere efficace, e dunque garantire come effetto il funzionamento della rete ULOOP, dovrebbe possedere e rispecchiare gli indicatori di sostenibilità sociale sopra proposti. Potremmo, quindi, ricercare nei casi d’uso previsti dal progetto, quei temi identificati da Pepperdine:

  1. Coesione, Senso di comunità, Input di comunità, Unità – tourist community services, attack detection by cooperation, coordination of group activities, trust driven access control;
  2. Prosperità, Senso del vicinato, Accettazione, Apertura mentale verso “estranei” – extended broadband coverage, 3G offloading, liability support, load balancing and adaptation, Shared devices;
  3. Opportunità di partecipare alle attività sociali, Opportunità d’impiego, Vitalità economica – shared device, proximity advertising;
  4. Comunicazione – intra ULOOP communication

Come poco sopra accennato, un’altra strada da seguire in questo lavoro  potrebbe essere quella di elaborare, con un contributo di tipo bottom up, degli indicatori di sostenibilità sociale specifici di ULOOP. Non avendo ancora un prototipo su cui lavorare, però, potremmo seguire questa strada su una comunità che rispecchi in qualche modo il modello di funzionamento di ULOOP.
Sostenibilità come Processo 
Tornando alla definizione di sostenibilità sociale data da McKenzie, egli ne parla sì come una condizione di miglioramento della vita in una comunità, descrivibile attraverso delle caratteristiche, ma anche come un processo interno alla comunità che serve a raggiungere quella condizione di equilibrio e realizzato attraverso dei meccanismi.
Meccanismi che contribuiscono nell’identificazione collettiva dei punti di forza della comunità e dei suoi bisogni; meccanismi interni di soddisfazione dei bisogni della comunità attraverso azioni collettive e meccanismi di azione politica per soddisfare le esigenze che non possono essere soddisfatte con l’azione della comunità.
Anche ULOOP prevede dei meccanismi, chiamati meccanismi di incentivo alla cooperazione, necessari per motivare le persone in modo che prendano parte a ULOOP, e dunque per far raggiungere una condizione di sostenibilità che ne permetta il funzionamento. I meccanismi di incentivo possono essere di vario tipo, in particolare: benefici che vengono dall’utilizzo di ULOOP per ogni soggetto, il coinvolgimento nella creazione di valore per sé e per gli altri, lo scambio di ruoli che permette un’equa distribuzione di vantaggi e svantaggi il meccanismo di creazione della reputazione, e aspetti più tecnici come la monetizzazione del valore prodotto. Seguendo il ragionamento di McKenzie, se la sostenibilità sociale considerata come risorsa o come quantità misurabile è descritta e definita da una serie di indicatori, per osservarla come processo dobbiamo, invece, rivolgere la nostra attenzione a quelle azioni prodotte dalla comunità stessa che danno forma e sviluppo al processo.
Trovo utile, dunque, approfondire la riflessione sugli stessi interrogativi di ricerca che si pone McKenzie a questo punto della sua analisi e cioè:

  • What are the main mechanisms by which the community collectively identifies its own needs?
  • How have these mechanisms developed?
  • Is the community satisfied with these mechanisms, and what are some ways in which they think these might be improved?
  • Does this community’s means to identify its needs provide a suitable model for consideration by other communities?
Ancora, dunque, non abbiamo risposte ma il nostro sguardo per osservare ULOOP si è allargato, oltre che approfondito.
È un processo che si sviluppa di volta in volta, perciò per gli step successivi, stay tuned! 😉

Secondo articolo della serie dedicata al progetto ULOOP curato da Erica Giambitto.
Dopo la panoramica sul progetto ULOOP pubblicata qualche settimana fa, cerchiamo ora di definire meglio il campo di ricerca  e di arricchirlo. Ci eravamo posti la domanda di ricerca “ULOOP è una tecnologia socialmente sostenibile?”, abbiamo delineato alcuni aspetti della sostenibilità sociale, come ad esempio una gestione delle risorse che mantenga l’equilibrio del sistema, ed anche una idea di sostenibilità sociale intesa come risorsa, come capitale sociale, che emerge da una rete collaborativa di relazioni. Questi, però, sono  solo alcuni aspetti della sostenibilità sociale che rimane un concetto che difficilmente può essere racchiuso in una definizione univoca e che può invece essere pensato come un concetto sfaccettato, come suggerito da Stephen McKenzie nel suo articolo Social Sustainability: Towards some definitions” (S. McKenzie, Social sustainability: Towards some definitions, Hawke Research Institute Working Paper Series n.27, Hawke Research Insitute, University of South Australia, Magill 2004). Per questo è stato osservato da un’ampia serie di punti di vista diversi.
Come possono esserci utili questi approcci nella nostra ricerca sulla sostenibilità sociale di ULOOP?
Innanzitutto nel delineare in modo sempre più preciso questo duplice aspetto della sostenibilità sociale che la vede, da un lato, come gestione, azione e quindi un processo in atto in una comunità e, dall’altro lato la vede come risorsa, come capitale sociale emergente dalle relazioni che legano la comunità. È importante, però, tenere a mente che quando parliamo di sistema e di relazioni in ULOOP stiamo parlando di diversi tipi di soggetti che entrano in relazione. Come indicato nel white paper 03 gli attori in gioco sono molteplici (ULOOP users, End-Users, Users, Subscribers, Consumers, Service Providers, Operators) e  quindi la sostenibilità sociale dovrebbe essere legata alla relazione fra questi soggetti.
Come vedremo, di per sé la sostenibilità sociale è un concetto complesso dunque cercheremo dapprima di comprenderlo meglio e in seguito di cercare dei legami con ULOOP.
Verso uno studio della sostenibilità sociale

<<When discussing social sustainability, ‘What is…’ or ‘What do we mean by…’ are immediate and automatic responses>> (McKenzie, 2004)

Il problema di definizione della sostenibilità sociale nasce dall’origine stessa del concetto. Frutto di un lungo processo scaturito dai primi interrogativi sull’impatto ambientale di un’industrializzazione del mondo sempre più spinta, può essere considerata una conseguenza degli interrogativi sulla sostenibilità economica e sulla sostenibilità ambientale in un’ottica di sviluppo sostenibile. La ricerca sulla sostenibilità sociale è ancora molto legata ad aspetti economici ed ambientali, e non deve esserne svincolata, ma per poterla comprendere e analizzare veramente e per poterla valorizzare adeguatamente è necessario, secondo McKenzie focalizzarsi su di essa attraverso un approccio specifico realizzato dalle scienze sociali.
Negli anni Sessanta sorgevano i primi problemi di sostenibilità ambientale delle imprese e delle economie e, per questo, iniziava a sentirsi la necessità di elaborare delle politiche di sviluppo che permettessero una crescita economica non deleteria per l’ambiente e che migliorasse le qualità della vita delle persone. Nacque per questo l’Organizzazione per lo Sviluppo e la Cooperazione Economica (OECD).
Negli anni Ottanta si fece un notevole passo avanti nell’agenda della sostenibilità. La Commissione delle Nazioni Unite su Sviluppo e Ambiente (fondata nel 1983 dalle Nazioni Unite) inizia il suo lavoro per una nuova era di crescita economica basata su politiche che sostengono e proteggono le risorse ambientali. Viene riconosciuto da un lato l’aggravarsi dei problemi ambientali e, dall’altro, che questi problemi ambientali potevano essere dovuti anche a fattori sociali: degrado, povertà, pressione demografica e diseguaglianza sociale sono alcuni dei fattori sociali individuati come maggiore causa di degrado ambientale.
Si comincia a parlare di sviluppo sostenibile come mantenimento di <<processi ecologici essenziali e sistemi di supporto alla vita>> . (IUCN/UNEP/WWF, World conservation strategy: living resource conservation for sustainable development, IUCN/UNEP/WWF, Gland, Switzerland, 1980. Citato in McKenzie 2004, p. 4).
Da qui il passo successivo è rappresentato dal rapporto Brundtland, il quale definisce lo sviluppo sostenibile come

<<uno sviluppo che incontra i bisogni del presente senza compromettere le capacità delle future generazioni di soddisfare i propri bisogni>> (WCED, Brundtland G.H , Mansour  K.,  1987 common future,  Oxford University Press, Oxford, GB; Citato in Canu 2011).

Il fattore sociale viene di fatto inserito nell’agenda della sostenibilità, ma nonostante questo le critiche mosse a questo approccio mostrano alcune perplessità.
McKenzie fa notare che il fattore sociale, sebbene incluso nell’agenda di ricerca è ancora “subordinato” all’idea dello sviluppo economico di tipo “colonialista”, le stesse perplessità che sollevava Latouche e che abbiamo considerato nel nostro precedente articolo.
L’idea secondo cui portando sviluppo economico nelle aree con basso capitale sociale e cioè con scarsa coesione sociale e povertà, si può invertire la tendenza riducendo così l’impatto ambientale, è fortemente criticata poiché rispecchia, secondo Joshi, un’ottica colonialista e non un vero interesse per l’ambiente e per una società più equa (M M Joshi, Sustainable consumption: issues of a paradigm shift, Indian Council of Social Science Research, Occasional Monograph Series, No 1, New Delhi, 2002, p 7; Citato in McKenzie 2004, p. 4). Un’altra critica è stata mossa alla “vaghezza” della definizione: spesso questa si trasforma in una cortina di fumo dietro la quale si nascondono le imprese per non realizzare realmente uno sviluppo più equo. (Michael Jacobs, ‘Sustainable development: a contested concept’ in A Dobson, ed, Fairness and futurity: essays on environmental sustainability and social justice, Oxford University Press, Oxford, 1999, p 24; Citato in McKenzie 2004).
Il problema più importante ai fini della nostra ricerca continua ad essere il fatto che i principali “soggetti” considerati rimangono l’ambiente e lo sviluppo economico. Il tentativo di creare un equilibrio tra questi due fattori, considerati come contrapposti, non ha permesso di considerare il fattore sociale come altrettanto importante.
Negli anni Novanta le Università Australiane e la ricerca Australiana, si sono mosse per realizzare un approccio sempre più interdisciplinare alla sostenibilità. Dove per interdisciplinare si intende una sinergia tra dipartimenti di ricerca, dedicati ognuno ad un aspetto delle scienze sociali. Tra queste il Group of Eight cioè la rete delle otto università più antiche e prestigiose dell’Australia, la University of Queensland Faculty of Social and Behavioural Sciences; la Australian Academy of, the Humanities; l’Academy of the Social Sciences; la University of New South Wales Social Policy Research Centre e la University of New England Institute for Rural Futures.
Da qui, la University of South Australia ha lavorato sulla definizione di sostenibilità:

<<Sustainability—including sustainable environments, sustainable societies and sustainable economies. This priority would mean attention inter alia to issues relating to water use, renewable energy, democratic citizenship, social justice, equity, impact of globalised economies on work and triple bottom line approaches.>> (intervento della University of South Australia durante il processo consultativo sulle priorità di ricerca nazionali Australiane, citato da McKenzie 2004 )

Successivamente ha dato vita all’Hawke Research Institute proprio per dedicarsi in modo specifico ai fattori sociali che incidono sulla sostenibilità. Nonostante questi sforzi, l’impronta di ricerca a livello nazionale era ancora molto legata alle scienze economiche e tecniche, per questo la National Academy of the Humanities ha cercato di specificare riorganizzare gli obiettivi di ricerca:

<< We believe that the existing priority goals need to be re-drafted to acknowledge the fundamental human origins of environmental problems>> (National Academy of the Humanities,The humanities and Australia’s National Research Priorities p.13, citato in McKenzie 2004)

La sostenibilità ambientale è, secondo questa idea, anche una questione sociale, dal momento che i problemi ambientali hanno origine dal comportamento dell’uomo. Questo ha permesso finalmente di riconoscere il ruolo centrale degli elementi sociali e culturali nella questione della sostenibilità. La ricerca delle scienze sociali si sta affermando come campo autonomo di analisi, anche se al momento ancora risente di questa consapevolezza giunta in un secondo momento. Le scienze sociali sono ancora considerate come qualcosa da integrare in un processo già cominciato, come supporto ad un processo di analisi già iniziato.
Per McKenzie, dunque è sì necessaria una ricerca interdisciplinare sul concetto di sostenibilità ma, prima di tutto, è necessario che le scienze sociali si interroghino in maniera autonoma e indipendente sul concetto di sostenibilità sociale. Una volta definita la sostenibilità sociale come un campo indipendente di studi, una volta elaborati dei modelli di analisi, allora la ricerca sociale, quella ambientale ed economica potranno lavorare in sinergia per lo sviluppo di una sostenibilità che vede i fattori ambientali, sociali ed economici come equivalenti.
Verso una definizione di sostenibilità sociale
Nel suo testo McKenzie fornisce una definizione operativa di sostenibilità sociale:

<<Social sustainability is: a life-enhancing condition within communities, and a process within communities that can achieve that condition.>> (S. McKenzie, Social sustainability: Towards some definitions, Hawke Research Institute Working Paper Series n.27, Hawke Research Insitute, University of South Australia, Magill 2004, p. 12.)

La sostenibilità sociale è dunque vista come una condizione descritta da alcune caratteristiche che, quando presenti, sono considerate come indicatori della condizione stessa. Gli ultimi tre elementi sono invece dei meccanismi, essi descrivono delle azioni che rendono possibile il processo di sostenibilità sociale:

  • Equità d’accesso ai servizi chiave (incluse salute, educazione, trasporti, casa e svaghi);
  • Equità tra le generazioni (le future generazioni non saranno svantaggiate dalle attività della generazione attuale);
  • Un sistema di relazioni culturali in cui gli aspetti positivi di culture diverse sono valorizzati e protetti, e in cui l’integrazione culturale è supportata e promossa quando è desiderata da individui e gruppi;
  • La diffusa partecipazione politica dei cittadini non solo nelle procedure elettorali ma anche nelle altre aree dell’attività politica, particolarmente a livello locale;
  • Un sistema per trasmettere consapevolezza sulla sostenibilità sociale da una generazione alla successiva;
  • Un senso di responsabilità di comunità per mantenere quel sistema di trasmissione;
  • Meccanismi che permettono ad una comunità di identificare collettivamente le sue capacità e i suoi bisogni;
  • Meccanismi che permettono ad una comunità di soddisfare i suoi stessi bisogni dove possibile attraverso  un’azione di comunità;
  • Meccanismi di difesa politica per soddisfare le esigenze che non possono essere soddisfatte con l’azione della comunità.

Sostenibilità come condizione misurabile e come capitale sociale emergente
La sostenibilità è qui intesa come una condizione misurabile in base alla presenza o all’assenza di questi indicatori, al momento riduttivi e non esaustivi, attraverso cui è possibile, per McKenzie, sviluppare un’agenda di ricerca della sostenibilità sociale che faccia esclusivo riferimento all’aspetto sociale.
Un altro studio in questo senso è quello compiuto da Cocklin e Alston per la  Academy of the Social Sciences realizzata all’interno del progetto Australia’s Community Sustainability (Chris Cocklin and Margaret Alston, eds., Community sustainability in rural Australia: a question of capital, Centre for Rural Social Research, Wagga Wagga, NSW, 2003; Citato in McKenzie 2004). Lo scopo degli autori è quello di misurare e valutare le variazioni del capitale sociale in una comunità monitorando le variazioni all’interno dei cinque sottoinsiemi che lo compongono: capitale naturale (risorse naturali), umano (conoscenza e abilità dei singoli individui), sociale (reti produttive e valori condivisi), istituzionale (strutture istituzionali nel privato, nel pubblico e nel terzo settore) e di prodotto (costruzioni, beni prodotti, risorse monetarie). L’ipotesi di lavoro è che la sostenibilità sociale di una comunità sia misurabile rispetto alla presenza e al valore di questi “stock” di capitale in diversi settori.
Nel nostro primo articolo avevamo visto come ULOOP potesse configurarsi come una rete di relazioni da cui emerge capitale sociale e, quindi, tenendo come riferimento il modello di sviluppo fornito nel white paper 03 e non avendo ancora un caso reale su cui lavorare, potremmo utilizzare le caratteristiche distintive di ULOOP per ipotizzare delle sottocategorie: Capitale di Risorse (ampiezza di banda, potere computazionale, livello di energia, stampanti); Capitale di Informazioni (info turistiche, pubblicità, opinioni, localizzazioni); Capitale Potenziale (o di Disponibilità:  risorse computazionali, di connessione internet, di servizi, di informazioni); Capitale di Sicurezza (supporto alla mobilità, trasferimenti trasparenti); potremmo aggiungere una sottocategoria dedicata al Capitale Umano (conoscenze, abilità, disponibilità di diventare nodi) e una sottocategoria dedicata al Capitale di Struttura (fornita da operatori e da service provider).
L’ipotesi di Cocklin e Alston viene approfondita da Pepperdine (Sharon Pepperdine, Social Indicators of Rural Community Sustainability: An Example from the Woady Yaloak Catchment, 2000, Department of Geography & Environmental Studies, The University of Melbourne), che  in uno studio specifico sulla comunità di Woady Yaloak Catchmen (comunità di rinnovamento del territorio attraverso uno sviluppo sostenibile, portato avanti grazie a contributi “bottom up” della popolazione), cerca di sviluppare degli indicatori sociali che descrivano la sostenibilità sociale, anche grazie alla partecipazione degli appartenenti alla comunità. Attraverso interviste, sondaggi e questionari ha identificato degli importanti temi ritenuti rilevanti che ha successivamente raggruppato in 15 indicatori chiave della sostenibilità sociale.

  1. Coesione: coordinamento, abilità di lavorare insieme
  2. Senso di comunità: vita di comunità, partecipazione attiva
  3. Prosperità: ricambio della popolazione inclusi i giovani adulti, mentalità positiva, rivendita di proprietà
  4. Senso del vicinato: comunità amichevole e di supporto
  5. Accettazione: differenti punti di vista, di idee, di nuovi arrivati; conoscenza dei vicini
  6. Opportunità di partecipare alle attività sociali (intrattenimento, culturale, ricreazionale e sport) e affari pubblici; presenza di persone motivate ed entusiaste
  7. Opportunità d’impiego che includano giovani e adulti
  8. Scarsa integrazione sociale: separazioni di famiglie, droga e crimine, suicidio
  9. Attaccamento all’area
  10. Apertura mentale: apertura verso “estranei” e donne
  11. Vitalità economica: tempo per vacanze e svago, pensionamento, sicurezza finanziaria
  12. Input di comunità: gruppi di comunità, negozi locali, fiducia della comunità in se stessa
  13. Comunicazione: quotidiano locale
  14. Unità: volontariato, valori comuni
  15. Stabilità della popolazione

Questi indicatori forniscono, secondo Pepperdine uno strumento per ottenere una visione soggettiva, dall’interno di una comunità sulla sua sostenibilità misurando la realtà in cui vivono. Sono indicatori sociali soggettivi e possono essere usati a fianco degli indicatori “oggettivi”, come ad esempio i dati di censimento, per dare un’immagine più ampia delle tendenze nella sostenibilità e che la svincolano da indicatori legati principalmente allo sviluppo economico.
Un fatto importante da mettere in evidenza secondo Pepperdine è che gli indicatori ritenuti più rilevanti dalla popolazione riguardano la coesione sociale, il senso di appartenenza, il senso del vicinato e l’accettazione della diversità; indicatori molto diversi da quelli considerati tradizionalmente come “oggettivi” (prosperità economica, possibilità d’impiego e vitalità economica) e che, secondo la popolazione, consentono alla comunità di proseguire e di migliorare nel suo progetto di riqualificazione sostenibile del territorio.
Lo studio di Pepperdine fa riferimento ad una specifica comunità rurale e ci rendiamo conto dei limiti che questo comporta nella nostra ricerca.  È importante, infatti, esplicitare che gli indicatori così sviluppati sono specifici di quella comunità, sebbene siano abbastanza generali da poter essere utilizzati anche in altri luoghi. Credo, dunque, che sia necessario sviluppare degli indicatori specifici per il nostro progetto. Visto però lo stato dell’arte nella ricerca sulla sostenibilità sociale e la sua, ancora forte, subordinazione al concetto di sostenibilità ambientale in relazione ad un territorio, una così selettiva attenzione agli aspetti sociali messa in atto dalla comunità stessa ci sembra particolarmente interessante. È necessario anche considerare che qui si fa riferimento ad un territorio specifico e al suo sviluppo reso possibile dal senso di comunità interno e dalla vicinanza fisica.
Nel caso di ULOOP, invece, sebbene ci sia un legame con il luogo fisico (per citare alcuni esempi legati allo spazio: geolocalizzazione, estensione della copertura tra nodi vicini, advertising di prossimità, informazioni turistiche fornite dagli abitanti locali) potrebbe non svilupparsi quella percezione di territorio fisico da condividere e valorizzare con uno sforzo comune. Ma se consideriamo un altro tipo di territorio, un altro tipo di luogo che è quello prodotto dalla comunicazione (scambi comunicativi, di relazione e di dati), ULOOP potrebbe essere percepito come uno spazio, sì virtuale, ma da tenere “in vita” attraverso la partecipazione di ogni singolo individuo coinvolto.
Potremmo, seguendo questa direzione,  dire che questa partecipazione per essere efficace, e dunque garantire come effetto il funzionamento della rete ULOOP, dovrebbe possedere e rispecchiare gli indicatori di sostenibilità sociale sopra proposti. Potremmo, quindi, ricercare nei casi d’uso previsti dal progetto, quei temi identificati da Pepperdine:

  1. Coesione, Senso di comunità, Input di comunità, Unità – tourist community services, attack detection by cooperation, coordination of group activities, trust driven access control;
  2. Prosperità, Senso del vicinato, Accettazione, Apertura mentale verso “estranei” – extended broadband coverage, 3G offloading, liability support, load balancing and adaptation, Shared devices;
  3. Opportunità di partecipare alle attività sociali, Opportunità d’impiego, Vitalità economica – shared device, proximity advertising;
  4. Comunicazione – intra ULOOP communication

Come poco sopra accennato, un’altra strada da seguire in questo lavoro  potrebbe essere quella di elaborare, con un contributo di tipo bottom up, degli indicatori di sostenibilità sociale specifici di ULOOP. Non avendo ancora un prototipo su cui lavorare, però, potremmo seguire questa strada su una comunità che rispecchi in qualche modo il modello di funzionamento di ULOOP.
Sostenibilità come Processo 
Tornando alla definizione di sostenibilità sociale data da McKenzie, egli ne parla sì come una condizione di miglioramento della vita in una comunità, descrivibile attraverso delle caratteristiche, ma anche come un processo interno alla comunità che serve a raggiungere quella condizione di equilibrio e realizzato attraverso dei meccanismi.
Meccanismi che contribuiscono nell’identificazione collettiva dei punti di forza della comunità e dei suoi bisogni; meccanismi interni di soddisfazione dei bisogni della comunità attraverso azioni collettive e meccanismi di azione politica per soddisfare le esigenze che non possono essere soddisfatte con l’azione della comunità.
Anche ULOOP prevede dei meccanismi, chiamati meccanismi di incentivo alla cooperazione, necessari per motivare le persone in modo che prendano parte a ULOOP, e dunque per far raggiungere una condizione di sostenibilità che ne permetta il funzionamento. I meccanismi di incentivo possono essere di vario tipo, in particolare: benefici che vengono dall’utilizzo di ULOOP per ogni soggetto, il coinvolgimento nella creazione di valore per sé e per gli altri, lo scambio di ruoli che permette un’equa distribuzione di vantaggi e svantaggi il meccanismo di creazione della reputazione, e aspetti più tecnici come la monetizzazione del valore prodotto. Seguendo il ragionamento di McKenzie, se la sostenibilità sociale considerata come risorsa o come quantità misurabile è descritta e definita da una serie di indicatori, per osservarla come processo dobbiamo, invece, rivolgere la nostra attenzione a quelle azioni prodotte dalla comunità stessa che danno forma e sviluppo al processo.
Trovo utile, dunque, approfondire la riflessione sugli stessi interrogativi di ricerca che si pone McKenzie a questo punto della sua analisi e cioè:

  • What are the main mechanisms by which the community collectively identifies its own needs?
  • How have these mechanisms developed?
  • Is the community satisfied with these mechanisms, and what are some ways in which they think these might be improved?
  • Does this community’s means to identify its needs provide a suitable model for consideration by other communities?
Ancora, dunque, non abbiamo risposte ma il nostro sguardo per osservare ULOOP si è allargato, oltre che approfondito.
È un processo che si sviluppa di volta in volta, perciò per gli step successivi, stay tuned! 😉

Secondo articolo della serie dedicata al progetto ULOOP curato da Erica Giambitto.
Dopo la panoramica sul progetto ULOOP pubblicata qualche settimana fa, cerchiamo ora di definire meglio il campo di ricerca  e di arricchirlo. Ci eravamo posti la domanda di ricerca “ULOOP è una tecnologia socialmente sostenibile?”, abbiamo delineato alcuni aspetti della sostenibilità sociale, come ad esempio una gestione delle risorse che mantenga l’equilibrio del sistema, ed anche una idea di sostenibilità sociale intesa come risorsa, come capitale sociale, che emerge da una rete collaborativa di relazioni. Questi, però, sono  solo alcuni aspetti della sostenibilità sociale che rimane un concetto che difficilmente può essere racchiuso in una definizione univoca e che può invece essere pensato come un concetto sfaccettato, come suggerito da Stephen McKenzie nel suo articolo Social Sustainability: Towards some definitions” (S. McKenzie, Social sustainability: Towards some definitions, Hawke Research Institute Working Paper Series n.27, Hawke Research Insitute, University of South Australia, Magill 2004). Per questo è stato osservato da un’ampia serie di punti di vista diversi.
Come possono esserci utili questi approcci nella nostra ricerca sulla sostenibilità sociale di ULOOP?
Innanzitutto nel delineare in modo sempre più preciso questo duplice aspetto della sostenibilità sociale che la vede, da un lato, come gestione, azione e quindi un processo in atto in una comunità e, dall’altro lato la vede come risorsa, come capitale sociale emergente dalle relazioni che legano la comunità. È importante, però, tenere a mente che quando parliamo di sistema e di relazioni in ULOOP stiamo parlando di diversi tipi di soggetti che entrano in relazione. Come indicato nel white paper 03 gli attori in gioco sono molteplici (ULOOP users, End-Users, Users, Subscribers, Consumers, Service Providers, Operators) e  quindi la sostenibilità sociale dovrebbe essere legata alla relazione fra questi soggetti.
Come vedremo, di per sé la sostenibilità sociale è un concetto complesso dunque cercheremo dapprima di comprenderlo meglio e in seguito di cercare dei legami con ULOOP.
Verso uno studio della sostenibilità sociale

<<When discussing social sustainability, ‘What is…’ or ‘What do we mean by…’ are immediate and automatic responses>> (McKenzie, 2004)

Il problema di definizione della sostenibilità sociale nasce dall’origine stessa del concetto. Frutto di un lungo processo scaturito dai primi interrogativi sull’impatto ambientale di un’industrializzazione del mondo sempre più spinta, può essere considerata una conseguenza degli interrogativi sulla sostenibilità economica e sulla sostenibilità ambientale in un’ottica di sviluppo sostenibile. La ricerca sulla sostenibilità sociale è ancora molto legata ad aspetti economici ed ambientali, e non deve esserne svincolata, ma per poterla comprendere e analizzare veramente e per poterla valorizzare adeguatamente è necessario, secondo McKenzie focalizzarsi su di essa attraverso un approccio specifico realizzato dalle scienze sociali.
Negli anni Sessanta sorgevano i primi problemi di sostenibilità ambientale delle imprese e delle economie e, per questo, iniziava a sentirsi la necessità di elaborare delle politiche di sviluppo che permettessero una crescita economica non deleteria per l’ambiente e che migliorasse le qualità della vita delle persone. Nacque per questo l’Organizzazione per lo Sviluppo e la Cooperazione Economica (OECD).
Negli anni Ottanta si fece un notevole passo avanti nell’agenda della sostenibilità. La Commissione delle Nazioni Unite su Sviluppo e Ambiente (fondata nel 1983 dalle Nazioni Unite) inizia il suo lavoro per una nuova era di crescita economica basata su politiche che sostengono e proteggono le risorse ambientali. Viene riconosciuto da un lato l’aggravarsi dei problemi ambientali e, dall’altro, che questi problemi ambientali potevano essere dovuti anche a fattori sociali: degrado, povertà, pressione demografica e diseguaglianza sociale sono alcuni dei fattori sociali individuati come maggiore causa di degrado ambientale.
Si comincia a parlare di sviluppo sostenibile come mantenimento di <<processi ecologici essenziali e sistemi di supporto alla vita>> . (IUCN/UNEP/WWF, World conservation strategy: living resource conservation for sustainable development, IUCN/UNEP/WWF, Gland, Switzerland, 1980. Citato in McKenzie 2004, p. 4).
Da qui il passo successivo è rappresentato dal rapporto Brundtland, il quale definisce lo sviluppo sostenibile come

<<uno sviluppo che incontra i bisogni del presente senza compromettere le capacità delle future generazioni di soddisfare i propri bisogni>> (WCED, Brundtland G.H , Mansour  K.,  1987 common future,  Oxford University Press, Oxford, GB; Citato in Canu 2011).

Il fattore sociale viene di fatto inserito nell’agenda della sostenibilità, ma nonostante questo le critiche mosse a questo approccio mostrano alcune perplessità.
McKenzie fa notare che il fattore sociale, sebbene incluso nell’agenda di ricerca è ancora “subordinato” all’idea dello sviluppo economico di tipo “colonialista”, le stesse perplessità che sollevava Latouche e che abbiamo considerato nel nostro precedente articolo.
L’idea secondo cui portando sviluppo economico nelle aree con basso capitale sociale e cioè con scarsa coesione sociale e povertà, si può invertire la tendenza riducendo così l’impatto ambientale, è fortemente criticata poiché rispecchia, secondo Joshi, un’ottica colonialista e non un vero interesse per l’ambiente e per una società più equa (M M Joshi, Sustainable consumption: issues of a paradigm shift, Indian Council of Social Science Research, Occasional Monograph Series, No 1, New Delhi, 2002, p 7; Citato in McKenzie 2004, p. 4). Un’altra critica è stata mossa alla “vaghezza” della definizione: spesso questa si trasforma in una cortina di fumo dietro la quale si nascondono le imprese per non realizzare realmente uno sviluppo più equo. (Michael Jacobs, ‘Sustainable development: a contested concept’ in A Dobson, ed, Fairness and futurity: essays on environmental sustainability and social justice, Oxford University Press, Oxford, 1999, p 24; Citato in McKenzie 2004).
Il problema più importante ai fini della nostra ricerca continua ad essere il fatto che i principali “soggetti” considerati rimangono l’ambiente e lo sviluppo economico. Il tentativo di creare un equilibrio tra questi due fattori, considerati come contrapposti, non ha permesso di considerare il fattore sociale come altrettanto importante.
Negli anni Novanta le Università Australiane e la ricerca Australiana, si sono mosse per realizzare un approccio sempre più interdisciplinare alla sostenibilità. Dove per interdisciplinare si intende una sinergia tra dipartimenti di ricerca, dedicati ognuno ad un aspetto delle scienze sociali. Tra queste il Group of Eight cioè la rete delle otto università più antiche e prestigiose dell’Australia, la University of Queensland Faculty of Social and Behavioural Sciences; la Australian Academy of, the Humanities; l’Academy of the Social Sciences; la University of New South Wales Social Policy Research Centre e la University of New England Institute for Rural Futures.
Da qui, la University of South Australia ha lavorato sulla definizione di sostenibilità:

<<Sustainability—including sustainable environments, sustainable societies and sustainable economies. This priority would mean attention inter alia to issues relating to water use, renewable energy, democratic citizenship, social justice, equity, impact of globalised economies on work and triple bottom line approaches.>> (intervento della University of South Australia durante il processo consultativo sulle priorità di ricerca nazionali Australiane, citato da McKenzie 2004 )

Successivamente ha dato vita all’Hawke Research Institute proprio per dedicarsi in modo specifico ai fattori sociali che incidono sulla sostenibilità. Nonostante questi sforzi, l’impronta di ricerca a livello nazionale era ancora molto legata alle scienze economiche e tecniche, per questo la National Academy of the Humanities ha cercato di specificare riorganizzare gli obiettivi di ricerca:

<< We believe that the existing priority goals need to be re-drafted to acknowledge the fundamental human origins of environmental problems>> (National Academy of the Humanities,The humanities and Australia’s National Research Priorities p.13, citato in McKenzie 2004)

La sostenibilità ambientale è, secondo questa idea, anche una questione sociale, dal momento che i problemi ambientali hanno origine dal comportamento dell’uomo. Questo ha permesso finalmente di riconoscere il ruolo centrale degli elementi sociali e culturali nella questione della sostenibilità. La ricerca delle scienze sociali si sta affermando come campo autonomo di analisi, anche se al momento ancora risente di questa consapevolezza giunta in un secondo momento. Le scienze sociali sono ancora considerate come qualcosa da integrare in un processo già cominciato, come supporto ad un processo di analisi già iniziato.
Per McKenzie, dunque è sì necessaria una ricerca interdisciplinare sul concetto di sostenibilità ma, prima di tutto, è necessario che le scienze sociali si interroghino in maniera autonoma e indipendente sul concetto di sostenibilità sociale. Una volta definita la sostenibilità sociale come un campo indipendente di studi, una volta elaborati dei modelli di analisi, allora la ricerca sociale, quella ambientale ed economica potranno lavorare in sinergia per lo sviluppo di una sostenibilità che vede i fattori ambientali, sociali ed economici come equivalenti.
Verso una definizione di sostenibilità sociale
Nel suo testo McKenzie fornisce una definizione operativa di sostenibilità sociale:

<<Social sustainability is: a life-enhancing condition within communities, and a process within communities that can achieve that condition.>> (S. McKenzie, Social sustainability: Towards some definitions, Hawke Research Institute Working Paper Series n.27, Hawke Research Insitute, University of South Australia, Magill 2004, p. 12.)

La sostenibilità sociale è dunque vista come una condizione descritta da alcune caratteristiche che, quando presenti, sono considerate come indicatori della condizione stessa. Gli ultimi tre elementi sono invece dei meccanismi, essi descrivono delle azioni che rendono possibile il processo di sostenibilità sociale:

  • Equità d’accesso ai servizi chiave (incluse salute, educazione, trasporti, casa e svaghi);
  • Equità tra le generazioni (le future generazioni non saranno svantaggiate dalle attività della generazione attuale);
  • Un sistema di relazioni culturali in cui gli aspetti positivi di culture diverse sono valorizzati e protetti, e in cui l’integrazione culturale è supportata e promossa quando è desiderata da individui e gruppi;
  • La diffusa partecipazione politica dei cittadini non solo nelle procedure elettorali ma anche nelle altre aree dell’attività politica, particolarmente a livello locale;
  • Un sistema per trasmettere consapevolezza sulla sostenibilità sociale da una generazione alla successiva;
  • Un senso di responsabilità di comunità per mantenere quel sistema di trasmissione;
  • Meccanismi che permettono ad una comunità di identificare collettivamente le sue capacità e i suoi bisogni;
  • Meccanismi che permettono ad una comunità di soddisfare i suoi stessi bisogni dove possibile attraverso  un’azione di comunità;
  • Meccanismi di difesa politica per soddisfare le esigenze che non possono essere soddisfatte con l’azione della comunità.

Sostenibilità come condizione misurabile e come capitale sociale emergente
La sostenibilità è qui intesa come una condizione misurabile in base alla presenza o all’assenza di questi indicatori, al momento riduttivi e non esaustivi, attraverso cui è possibile, per McKenzie, sviluppare un’agenda di ricerca della sostenibilità sociale che faccia esclusivo riferimento all’aspetto sociale.
Un altro studio in questo senso è quello compiuto da Cocklin e Alston per la  Academy of the Social Sciences realizzata all’interno del progetto Australia’s Community Sustainability (Chris Cocklin and Margaret Alston, eds., Community sustainability in rural Australia: a question of capital, Centre for Rural Social Research, Wagga Wagga, NSW, 2003; Citato in McKenzie 2004). Lo scopo degli autori è quello di misurare e valutare le variazioni del capitale sociale in una comunità monitorando le variazioni all’interno dei cinque sottoinsiemi che lo compongono: capitale naturale (risorse naturali), umano (conoscenza e abilità dei singoli individui), sociale (reti produttive e valori condivisi), istituzionale (strutture istituzionali nel privato, nel pubblico e nel terzo settore) e di prodotto (costruzioni, beni prodotti, risorse monetarie). L’ipotesi di lavoro è che la sostenibilità sociale di una comunità sia misurabile rispetto alla presenza e al valore di questi “stock” di capitale in diversi settori.
Nel nostro primo articolo avevamo visto come ULOOP potesse configurarsi come una rete di relazioni da cui emerge capitale sociale e, quindi, tenendo come riferimento il modello di sviluppo fornito nel white paper 03 e non avendo ancora un caso reale su cui lavorare, potremmo utilizzare le caratteristiche distintive di ULOOP per ipotizzare delle sottocategorie: Capitale di Risorse (ampiezza di banda, potere computazionale, livello di energia, stampanti); Capitale di Informazioni (info turistiche, pubblicità, opinioni, localizzazioni); Capitale Potenziale (o di Disponibilità:  risorse computazionali, di connessione internet, di servizi, di informazioni); Capitale di Sicurezza (supporto alla mobilità, trasferimenti trasparenti); potremmo aggiungere una sottocategoria dedicata al Capitale Umano (conoscenze, abilità, disponibilità di diventare nodi) e una sottocategoria dedicata al Capitale di Struttura (fornita da operatori e da service provider).
L’ipotesi di Cocklin e Alston viene approfondita da Pepperdine (Sharon Pepperdine, Social Indicators of Rural Community Sustainability: An Example from the Woady Yaloak Catchment, 2000, Department of Geography & Environmental Studies, The University of Melbourne), che  in uno studio specifico sulla comunità di Woady Yaloak Catchmen (comunità di rinnovamento del territorio attraverso uno sviluppo sostenibile, portato avanti grazie a contributi “bottom up” della popolazione), cerca di sviluppare degli indicatori sociali che descrivano la sostenibilità sociale, anche grazie alla partecipazione degli appartenenti alla comunità. Attraverso interviste, sondaggi e questionari ha identificato degli importanti temi ritenuti rilevanti che ha successivamente raggruppato in 15 indicatori chiave della sostenibilità sociale.

  1. Coesione: coordinamento, abilità di lavorare insieme
  2. Senso di comunità: vita di comunità, partecipazione attiva
  3. Prosperità: ricambio della popolazione inclusi i giovani adulti, mentalità positiva, rivendita di proprietà
  4. Senso del vicinato: comunità amichevole e di supporto
  5. Accettazione: differenti punti di vista, di idee, di nuovi arrivati; conoscenza dei vicini
  6. Opportunità di partecipare alle attività sociali (intrattenimento, culturale, ricreazionale e sport) e affari pubblici; presenza di persone motivate ed entusiaste
  7. Opportunità d’impiego che includano giovani e adulti
  8. Scarsa integrazione sociale: separazioni di famiglie, droga e crimine, suicidio
  9. Attaccamento all’area
  10. Apertura mentale: apertura verso “estranei” e donne
  11. Vitalità economica: tempo per vacanze e svago, pensionamento, sicurezza finanziaria
  12. Input di comunità: gruppi di comunità, negozi locali, fiducia della comunità in se stessa
  13. Comunicazione: quotidiano locale
  14. Unità: volontariato, valori comuni
  15. Stabilità della popolazione

Questi indicatori forniscono, secondo Pepperdine uno strumento per ottenere una visione soggettiva, dall’interno di una comunità sulla sua sostenibilità misurando la realtà in cui vivono. Sono indicatori sociali soggettivi e possono essere usati a fianco degli indicatori “oggettivi”, come ad esempio i dati di censimento, per dare un’immagine più ampia delle tendenze nella sostenibilità e che la svincolano da indicatori legati principalmente allo sviluppo economico.
Un fatto importante da mettere in evidenza secondo Pepperdine è che gli indicatori ritenuti più rilevanti dalla popolazione riguardano la coesione sociale, il senso di appartenenza, il senso del vicinato e l’accettazione della diversità; indicatori molto diversi da quelli considerati tradizionalmente come “oggettivi” (prosperità economica, possibilità d’impiego e vitalità economica) e che, secondo la popolazione, consentono alla comunità di proseguire e di migliorare nel suo progetto di riqualificazione sostenibile del territorio.
Lo studio di Pepperdine fa riferimento ad una specifica comunità rurale e ci rendiamo conto dei limiti che questo comporta nella nostra ricerca.  È importante, infatti, esplicitare che gli indicatori così sviluppati sono specifici di quella comunità, sebbene siano abbastanza generali da poter essere utilizzati anche in altri luoghi. Credo, dunque, che sia necessario sviluppare degli indicatori specifici per il nostro progetto. Visto però lo stato dell’arte nella ricerca sulla sostenibilità sociale e la sua, ancora forte, subordinazione al concetto di sostenibilità ambientale in relazione ad un territorio, una così selettiva attenzione agli aspetti sociali messa in atto dalla comunità stessa ci sembra particolarmente interessante. È necessario anche considerare che qui si fa riferimento ad un territorio specifico e al suo sviluppo reso possibile dal senso di comunità interno e dalla vicinanza fisica.
Nel caso di ULOOP, invece, sebbene ci sia un legame con il luogo fisico (per citare alcuni esempi legati allo spazio: geolocalizzazione, estensione della copertura tra nodi vicini, advertising di prossimità, informazioni turistiche fornite dagli abitanti locali) potrebbe non svilupparsi quella percezione di territorio fisico da condividere e valorizzare con uno sforzo comune. Ma se consideriamo un altro tipo di territorio, un altro tipo di luogo che è quello prodotto dalla comunicazione (scambi comunicativi, di relazione e di dati), ULOOP potrebbe essere percepito come uno spazio, sì virtuale, ma da tenere “in vita” attraverso la partecipazione di ogni singolo individuo coinvolto.
Potremmo, seguendo questa direzione,  dire che questa partecipazione per essere efficace, e dunque garantire come effetto il funzionamento della rete ULOOP, dovrebbe possedere e rispecchiare gli indicatori di sostenibilità sociale sopra proposti. Potremmo, quindi, ricercare nei casi d’uso previsti dal progetto, quei temi identificati da Pepperdine:

  1. Coesione, Senso di comunità, Input di comunità, Unità – tourist community services, attack detection by cooperation, coordination of group activities, trust driven access control;
  2. Prosperità, Senso del vicinato, Accettazione, Apertura mentale verso “estranei” – extended broadband coverage, 3G offloading, liability support, load balancing and adaptation, Shared devices;
  3. Opportunità di partecipare alle attività sociali, Opportunità d’impiego, Vitalità economica – shared device, proximity advertising;
  4. Comunicazione – intra ULOOP communication

Come poco sopra accennato, un’altra strada da seguire in questo lavoro  potrebbe essere quella di elaborare, con un contributo di tipo bottom up, degli indicatori di sostenibilità sociale specifici di ULOOP. Non avendo ancora un prototipo su cui lavorare, però, potremmo seguire questa strada su una comunità che rispecchi in qualche modo il modello di funzionamento di ULOOP.
Sostenibilità come Processo 
Tornando alla definizione di sostenibilità sociale data da McKenzie, egli ne parla sì come una condizione di miglioramento della vita in una comunità, descrivibile attraverso delle caratteristiche, ma anche come un processo interno alla comunità che serve a raggiungere quella condizione di equilibrio e realizzato attraverso dei meccanismi.
Meccanismi che contribuiscono nell’identificazione collettiva dei punti di forza della comunità e dei suoi bisogni; meccanismi interni di soddisfazione dei bisogni della comunità attraverso azioni collettive e meccanismi di azione politica per soddisfare le esigenze che non possono essere soddisfatte con l’azione della comunità.
Anche ULOOP prevede dei meccanismi, chiamati meccanismi di incentivo alla cooperazione, necessari per motivare le persone in modo che prendano parte a ULOOP, e dunque per far raggiungere una condizione di sostenibilità che ne permetta il funzionamento. I meccanismi di incentivo possono essere di vario tipo, in particolare: benefici che vengono dall’utilizzo di ULOOP per ogni soggetto, il coinvolgimento nella creazione di valore per sé e per gli altri, lo scambio di ruoli che permette un’equa distribuzione di vantaggi e svantaggi il meccanismo di creazione della reputazione, e aspetti più tecnici come la monetizzazione del valore prodotto. Seguendo il ragionamento di McKenzie, se la sostenibilità sociale considerata come risorsa o come quantità misurabile è descritta e definita da una serie di indicatori, per osservarla come processo dobbiamo, invece, rivolgere la nostra attenzione a quelle azioni prodotte dalla comunità stessa che danno forma e sviluppo al processo.
Trovo utile, dunque, approfondire la riflessione sugli stessi interrogativi di ricerca che si pone McKenzie a questo punto della sua analisi e cioè:

  • What are the main mechanisms by which the community collectively identifies its own needs?
  • How have these mechanisms developed?
  • Is the community satisfied with these mechanisms, and what are some ways in which they think these might be improved?
  • Does this community’s means to identify its needs provide a suitable model for consideration by other communities?
Ancora, dunque, non abbiamo risposte ma il nostro sguardo per osservare ULOOP si è allargato, oltre che approfondito.
È un processo che si sviluppa di volta in volta, perciò per gli step successivi, stay tuned! 😉

Un primo sguardo a ULOOP: alcuni spunti per formulare le domande di ricerca

Sulla sostenibilità sociale di una nuova tecnologia

Questo post è il primo di una serie di articoli curati da Erica Giambitto e dedicati al progetto ULOOP.
Inizia  il nostro lavoro di ricerca nell’ambito del progetto ULOOP (User-centric Wireless Local Loop), che sarà principalmente orientato all’analisi della sostenibilità socio-economica di questa nuova tecnologia, e più in generale, ai suoi possibili impatti sociali.
ULOOP è un progetto triennale finanziato dall’Unione Europea nell’ambito del settimo programma quadro. Per l’Università di Urbino coordina il team interdisciplinare che lavora al progetto il Prof. Alessandro Bogliolo.
Che cos’è ULOOP
Come suggerisce il nome “User-centric Wireless Local Loop” ULOOP è una tecnologia che coinvolge l’utente nella creazione di reti. L’idea principale è quella di sfruttare l’alta densità di reti wireless disponibili sviluppando dei meccanismi di condivisione virtuosa che permettano una gestione delle risorse dinamiche volte a creare un’architettura che si auto-organizzi in base al contesto. Una volta realizzata, consentirà agli utenti di generare una rete wireless attraverso i loro dispositivi ULOOP permettendo da un lato di accedere ad Internet sostituendosi all’”ultimo miglio” e dall’altro di offrire e usufruire vicendevolmente di servizi attraverso i propri device, come ad esempio un local-loop attivato in base a ciò che una comunità di individui (utenti finali) desidera condividere (informazioni, dati, periferiche). Collaborazione sospinta da incentivi alla cooperazione e buone regole di comportamento il sui supporto sarà integrato direttamente al livello della piattaforma.
Gli usi previsti di ULOOP sono stati ipotizzati e raccolti in due casi d’uso specifici, ciascuno dei quali prevede degli Scenari rappresentativi che illustrano, in modo dettagliato, il modo in cui funzionerà questa tecnologia.  Il primo caso d’uso, da qui ULOOP1, riguarda in particolare gli aspetti legati alle potenzialità della tecnologia come ad esempio l’estensione della copertura offerta dal wireless e lo scambio di servizi e di dati tra utenti equipaggiati con dispositivi ULOOP. Il secondo caso d’uso, da qui ULOOP2,  si basa sulle caratteristiche del primo e prevede lo sviluppo di una connessione locale, legata alla compresenza degli utenti in un’area definita, in grado di adattarsi al contesto e alle necessità degli utenti stessi, fornendo così una piattaforma di scambio di dati e informazioni basata su un modello collaborativo.
Vediamo brevemente le scene rappresentative di ogni caso d’uso:
ULOOP 1
Scenario 1.1 Estensione della copertura a banda larga:
Interfacciando i dispositivi U-Loop gli utenti saranno in grado di configurarsi come nodi connessione alla rete espandendone la copertura o di sfruttare la disponibilità offerta in questo senso da un altro utente.
Scenario1.2 Offloading 3G: 
Secondo lo stesso principio parte del traffico che normalmente viene consumato sulla rete 3G potrà essere trasferito e smaltito attraverso U-Loop.
Scenario1.3 Comunicazioni intra-U-Loop: In uno spazio definito,  gli utenti possono creare reti ad-hoc per condividere informazioni internamente senza utilizzare la connessione ad internet, risparmiando batteria e costi di connessione;
Scenario1.4 Bilanciamento e adattamento del carico:
sovraccarichi della rete in termini di numeri d’accesso saranno gestiti dal sistema in modo da consentire una velocità di connessione ottimale per ogni utente;
Scenario1.5 Controllo d’accesso basato sulla fiducia:
I permessi di aggancio tra un device e l’altro verranno gestiti automaticamente dal sistema in base alle “credenziali” degli utenti, tracciate anche attraverso le relazioni stabilite sui social network. Questo potrà essere un meccanismo auto-regolatore del comportamento: feedback positivi renderanno più facile l’accesso ad altri device mentre feedback negativi renderanno più difficile la connessione;
Scenario1.6 Supporto di responsabilità:
Controllo della responsabilità delle azioni connesse, consentendo l’accesso ai servizi attraverso il proprio device si avrà la certezza che azioni scorrette compiute da altri non saranno attribuite a chi ha permesso la connessione.
ULOOP 2
Scenario 2.1 Monitoraggio collaborativo:
gli utenti collaborano nella raccolta e ri-diffusione di dati e informazioni riguardo all’ambiente, realizzando così un monitoraggio collaborativo di situazioni contingenti (pericoli, attività);
Scenario 2.2 Advertising di prossimità: 
invio e ricezione di comunicazioni commerciali riferite al contesto;
Scenario 2.3 Servizi turistici di comunità:
condivisione di informazioni turistiche sui luoghi in cui ci si trova;
Scenario 2.4 Individuazione collaborativa di attacchi:
comportamenti anormali o dannosi di altri utenti possono essere tracciati e individuati attraverso azioni collaborative;
Scenario 2.5 Coordinamento di attività di gruppo:
che non necessitano di una connessione ad internet, e che avvengono in quel momento. Si pensi a come ad esempio flash mob, eventi, lavori di gruppo;
Scenario 2.6 Condivisione di device:
come ad esempio stampanti, possono essere rese disponibili da alcuni utenti ad altri membri della community.
Il nostro compito sarà quello di occuparci degli aspetti connessi alla sostenibilità sociale. 
Questo progetto si propone dunque di esplorare il potenziale di un local-loop wireless basato su un modello centrato sull’utente, ed è sviluppato grazie ad una collaborazione interdisciplinare volta ad approfondirne gli impatti da diverse prospettive: tecnico, di business, legislativo e sociale.
Abbiamo deciso di partire da una domanda, implicitamente parte del programma di ricerca affidatoci, che orientasse la nostra attività: ULOOP è una tecnologia che ha una sostenibilità sociale? Si tratta di una domanda non facile che necessita, prima ancora di una risposta, di alcuni chiarimenti preliminari. Dobbiamo perciò innanzitutto chiederci cosa intendiamo con sostenibilità sociale di una tecnologia.
Sostenibilità sociale come mantenimento dell’equilibrio di un sistema
In una prima concettualizzazione di sostenibilità sociale ci è stata utile la tesi di laurea di Serena Canu “Just Greener. Teoria e pratica degli eventi sostenibili in italia” la quale presenta diverse prospettive sulla sostenibilità. L’idea di sostenibilità che emerge unisce due concetti: la prima definizione di sviluppo sostenibile data nel 1987 dal rapporto Brundtland (WCED, Brundtland G.H , Mansour  K.,  1987 common future,  Oxford University Press, Oxford, GB), e cioè di uno sviluppo incentrato non solo sulla crescita economica ma anche su un aumento del benessere generale, e l’idea di sostenibilità sviluppata da Alessandro Lanza (Lanza Alessandro, Lo sviluppo sostenibile, Il Mulino, Bologna, 1997 ) che vede come necessaria una gestione delle risorse che sia compatibile con le capacità di riproduzione delle stesse. Dunque come prima idea di sostenibilità possiamo considerare uno sviluppo inteso come aumento del benessere collettivo organizzato sulla base di una gestione delle risorse che non porti a sprechi né ad un esaurimento delle stesse.
Un secondo concetto che può tornarci utile è quello di impronta ecologica secondo cui il comportamento di ognuno ha un impatto sull’ambiente ed è perciò responsabilità del singolo regolare il proprio modo di agire per rendere il suo impatto inquinante il più basso possibile.
Infine, un ulteriore punto di vista ci è offerto, sempre facendo riferimento alla tesi di Canu, da Serge Latouche il quale propone un modello basato sulla decrescita (Latouche Serge, Breve trattato sulla decrescita serena, Bollati Boringhieri, Torino, 2008) e cioè su una diminuzione dei consumi e su una migliore gestione delle risorse. Su questa base Latouche rimodella anche il concetto di impronta ecologica: descrivendola come un adeguamento dei consumi di ogni singolo individuo basato non più sulla quantità di inquinamento prodotto, bensì sulle risorse che l’ambiente ha a disposizione per ognuno. Questa nuova idea di sostenibilità ambientale può essere sviluppata, secondo Latouche, in un percorso che prevede otto tappe di cambiamento tra loro interdipendenti.
Possiamo a questo punto chiederci se i modi di utilizzo previsti da ULOOP rispettino le caratteristiche di sostenibilità citate e tracciare così le prime ipotesi sulla sostenibilità sociale di ULOOP.
Ciò che emerge dalla descrizione dei casi d’uso di ULOOP è l’idea di  una tecnologia il cui funzionamento si basa su una nuova concezione dell’utente, visto come nodo attivo della rete che contribuisce, mettendo a disposizione della collettività il proprio dispositivo per migliorare la gestione di risorse quali l’estensione di banda, la potenza di calcolo, l’utilizzo di memoria o energia, a sviluppare un sistema dinamico che sia in grado di adattarsi alle esigenze degli individui in relazione al contesto (luogo e momento di utilizzo). Il punto di forza di ULOOP  sta nella capacità del sistema di trasferire le risorse tra gli utenti in modo tale che, chi vuole, può permettere ad altri di utilizzare risorse a lui non necessarie in quel momento.
Forse a qualcuno, leggendo questa descrizione, sarà venuto in mente il progetto FON. Siete sulla buona strada perché proprio FON è uno dei partner del progetto ULOOP.
Possiamo rintracciare in questa modalità di funzionamento un sistema in grado di gestire le proprie risorse in maniera ottimale per il benessere della collettività. Un sistema che ha forti similitudini con quegli aspetti dello sviluppo sostenibile sopra evidenziati dalle teorie della sostenibilità.
Alcuni dei servizi offerti da ULOOP sembrano incarnare quelle tappe descritte da Latouche (ibidem). Un esempio è quella che l’autore chiama Rivalutazione:  e cioè la “rivalutazione di valori oggi sopraffatti”  come può essere la condivisione di risorse senza scopo di lucro. Oppure la Riconcettualizzazione e la Ridistribuzione: tappe basate sulla “ristrutturazione dei rapporti sociali e ridistribuzione delle ricchezze”, con ULOOP si può infatti mettere a disposizione il contributo del proprio device e ottimizzare il consumo di banda o di batteria agendo anche in un’ottica di Riduzione dei consumi. Ancora, possiamo considerare la Rilocalizzazione: per cui “movimenti di merci e capitali devono essere limitati all’indispensabile”, ULOOP consente uno scambio di informazioni che riguardano l’area in cui gli utenti si trovano in un determinato momento (ad esempio informazioni turistiche, di traffico o commerciali)  senza dover ricorrere ad una connessione ad internet.
ULOOP come comunità in cui emerge capitale sociale
Lo scambio reciproco di risorse e servizi che avviene tra utenti, e tra utente e sistema, può essere osservato anche attraverso il concetto di capitale sociale. Come espresso da Portes (Portes Alejandro, SOCIAL CAPITAL: Its Origins and Applications in Modern Sociology Annu. Rev. Sociol. 1998. p.1-24) il capitale sociale è la capacità di ottenere vantaggi attraverso l’appartenenza a reti e ad altre strutture sociali per cui per

possedere capitale sociale una persona deve essere relazionata ad altre, e sono quegli altri, e non lui stesso, a costituire la fonte di suoi vantaggi (ibidem, p.6).

Riportando la definizione di Bourdieu di capitale sociale e cioè

l’aggregato delle risorse attuali e potenziali legate al possesso di una rete di relazioni di reciproca conoscenza (…), in cui i vantaggi che derivano dall’appartenenza ad un gruppo sono le basi della solidarietà che lo rende possibile (Bourdieu 1985, p. 248)

l’autore evidenzia come il capitale sociale sia scomponibile in due elementi: la relazione sociale che permette agli individui di ottenere l’accesso alle risorse possedute da altri e la quantità e la qualità delle risorse in sé.
Le caratteristiche proprie di ULOOP lo rendono un luogo dinamico all’interno del quale diversi attori interagiscono per usufruire di una rete di risorse e servizi, fornendo a loro volta un servizio. ULOOP si configura, dunque, come una rete di relazioni da cui emerge capitale sociale.
Il lavoro di Portes ci aiuta anche nel tentativo di comprendere le motivazioni per cui i membri di ULOOP, dovrebbero rendere disponibili le proprie risorse a vantaggio di altri. Secondo l’autore le motivazioni di chi, attraverso il proprio contributo, fornisce ad altri l’accesso alle risorse possono essere distinte in due generi: consumatorie strumentali.
Le prime riguardano gli individui che provano senso di comunità e di appartenenza nei confronti dell’ambiente in cui agiscono, per questo saranno ben disposti nell’aiutare gli altri membri della comunità e a rispettare le regole condivise.
Le seconde vedono gli individui affidarsi al funzionamento della comunità come garanzia del fatto che saranno ripagati del loro contributo, sia in termini di restituzione del servizio o della risorsa, sia in termini di acquisizione di uno status onorevole che riscuote approvazione dalla comunità.
Alla base di questi meccanismi c’è la percezione di appartenenza ad una comunità sulla quale si struttura da un lato la bounded solidarity per cui l’identificazione con il proprio gruppo spinge a contribuire al suo benessere favorendo l’iniziativa reciproca, cortocircuitando il fenomeno del free riding (Coleman 1990, pp.273; Portes & Sensenbrenner 1993); dall’altro una enforceable trust secondo cui l’appartenenza comune ad una stessa comunità è garanzia che il proprio contributo verrà ripagato con un riconoscimento da parte della comunità e che il debito verrà ripagato.
Questi concetti possono aiutarci ad approfondire l’analisi già intrapresa (ULOOP, White Paper 03, p.5) sull’inserimento degli utenti di ULOOP nella catena del valore, per cui ogni utente in essa coinvolto deve trarre vantaggio dall’uso di ULOOP in modo da essere motivato alla partecipazione supportandone così il funzionamento.
In particolare l’analisi evidenzia diverse forme di incentivi alla partecipazione e cioè: vantaggi immediati forniti dalla partecipazione ad uno scenario; il coinvolgimento nella catena del valore per cui gli attori coinvolti devono beneficiare da ULOOP in modo da essere motivati ad attivare e supportare le caratteristiche di ULOOP; il “role swapping per cui gli eventuali svantaggi sofferti in una situazione verranno ricompensati da vantaggi ottenuti in altre situazioni; l’acquisizione di una reputazione basata sul comportamento tenuto in ULOOP e la possibilità di monetarizzazione, ovvero l’accumulazione di crediti spendibili nella catena del valore.
Sostenibilità sociale come raggiungimento di una massa critica
Un altro modo di interrogarci sulla sostenibilità sociale di ULOOP nella nostra ricerca ha a che fare con il raggiungimento della massa critica, e cioè il raggiungimento di un numero di utenti tale da permettere alla rete ULOOP di autoalimentarsi e di sostenersi.
<< La sostenibilità socio-economica di una rete ULOOP dipende dalla diffusione dei devices abilitati ULOOP che, a sua volta, dipende dalla capacità del modello di attirare le persone. Così, l’analisi di sostenibilità deve cominciare dalle caratteristiche chiave di ULOOP, che possono essere percepite come valore aggiunto dai giocatori coinvolti nel modello>> (White Paper on ULOOP Socio-Economics).
La diffusione dei device abilitati, al momento non è quantificabile essendo ULOOP una tecnologia in fase di progettazione, ma viene ipotizzata analizzando i requisiti di penetrazione necessari al funzionamento del modello. Per ognuno dei casi d’uso analizzati nel report sono stati individuati dei requisiti di penetrazione che ipotizzassero la quantità di minima, target (ottimale) e motivazionale (che stimoli la partecipazione e che invogli altri attori ad utilizzare ULOOP)  di device raggiungibili da ogni nodo della rete, necessari al funzionamento del modello.
La densità degli utenti che utilizzano ULOOP, dunque, influenza le sue possibilità di funzionamento e, di conseguenza, anche la sua qualità. Il raggiungimento di una densità motivazionale, ad esempio, può invogliare altri utenti ad attivarsi, aggiungendo così un nuovo nodo potenzialmente attivo alla rete. Inoltre, più nodi potenzialmente attivi si aggiungono alla rete, più il valore aggiunto percepito dagli utenti aumenta (si pensi a come cresce il valore di un social network con il crescere delle persone che lo utilizzano).
Possiamo così richiamare il concetto di network effect. In particolare ciò che ci interessa è l’accezione che ne dà la legge di Metcalfe secondo cui il valore di una rete è proporzionale al quadrato degli utenti della rete stessa. Il network effect, però, si sviluppa solo dopo che il numero di adesioni ha superato una certa soglia, detta massa critica.
In questo senso un’altra domanda di ricerca potrebbe essere: quali tecnologie hanno raggiunto una massa criticaQuali sono le caratteristiche che hanno in comune e hanno consentito loro di raggiungere una massa critica? E’ possibile rintracciare queste caratteristiche anche in ULOOP?
Una delle tecnologie prese in considerazione è la connessione ad internet da mobile. Secondo l’analisi di Nielsen Media (Critical Mass, The Worldwide state of the Mobile web, Nielsen Mobile, 2008), l’utilizzo di Internet da dispositivo mobile ha raggiunto una massa critica di utenti attraverso una confluenza di fattori che hanno portato ad un  miglioramento dell’esperienza di Internet da parte degli utenti, fattori  tra cui spiccano  la velocità delle reti e la disponibilità dei contenuti .
Un altro confronto utile potrebbe rivelarsi quello con Apple iPhone. Lo stesso studio di Nielsen rivela che sebbene nell’anno in cui è stato svolto lo studio iPhone fosse ancora agli esordi, l’82% di possessori di iPhone lo utilizzavano per collegarsi ad Internet. Il rapporto degli utenti con iPhone ha migliorato l’esperienza degli utenti con i device mobili, creando nuove aspettative di esperienza nell’uso di un device per collegarsi alla rete in merito alla sua usabilità e allapossibilità di condividere informazioni geolocalizzate e in tempo reale.
Miglioramento dell’esperienza nei confronti e grazie alla tecnologia, velocità, mobilità, disponibilità di contenuti e di informazioni sensibili al contesto. Caratteristiche queste che sono alla base del funzionamento dei dispositivi ULOOP: garantisce un trasferimento di dati veloce in quanto sfrutta tutte le risorse disponibili per la condivisione dei dati; consente, attraverso il bilanciamento del carico di traffico, di evitare eventuali sovraccarichi di rete e, dunque, rallentamenti; si adatta al contesto nel funzionamento in generale, nella reperibilità di servizi e nella raccolta e diffusione di informazioni.
Queste considerazioni fanno emergere un altro interrogativo per la nostra ricerca: perché si dovrebbe usare una tecnologia come ULOOP dal momento che ne esistano già di simili largamente usate? Quali sono le caratteristiche che potrebbero spingere gli utenti all’utilizzo di ULOOP?
ULOOP si differenzia da tutte le altre tecnologie nella possibilità offerta agli utenti di sviluppare local loop wireless in maniera autonoma e semplice. Come introdotto nel White Paper 01, la tecnologia di ULOOP sfrutta il recente successo di tecnologie come il Wi-Fi ponendosi come anello di passaggio nella diffusione della rete dal Wi-Fi all’utente finale.  La flessibilità del Wi-Fi sta dando nuove possibilità di connessione alla rete internet, soprattutto nello sviluppo di tecnologie che permettono all’utente di diventare un nodo attivo nella catena di distribuzione della connettività (vedi appunto FON).
Attraverso i device abilitati ULOOP gli utenti possono creare delle reti collegandosi tra di loro, anche in maniera indipendente dalla rete Internet;  oppure legate ad essa agendo come suo diretto punto di espansione della portata. Questo consente da un lato una maggiore fluidità e semplicità nello scambio di dati e informazioni e dall’altro un’estensione della  portata della rete ad un costo ridotto.
La flessibilità e la libertà offerte nella creazione di reti mettono in evidenza un altro tratto unico di ULOOP e cioè lapossibilità di sviluppare una architettura di rete “Fai-Da-Te”, caratterizzata da una infrastruttura altamente dinamica e adattabile al contesto d’uso.
Analizzando a fondo le scene rappresentative dei casi d’uso e confrontandole con tecnologie già esistenti che offrono servizi simili potremmo comprendere meglio l’unicità e l’attrattività di ULOOP dal punto di vista dell’utente. Per fare questo ci concentreremo in particolare sul caso d’uso ULOOP2 in quanto descrive effettivi comportamenti di utilizzo di ULOOP tra utenti che possono essere riscontrate anche in altre tecnologie.
Scenario 2.1 Collaborative monitoring:
attraverso ULOOP si può sviluppare un controllo sull’ambiente in tempo reale e collaborativo, in modo da fornire ad altri utenti informazioni il più possibile dettagliate. Questa caratteristica può essere confrontata con applicazioni iPhone, o più in generale per smartphone, per il controllo del traffico in tempo reale come ad esempio Wikango e Waze.
Scenario 2.2 Advertising di Prossimità:
 
e le sue potenzialità possono essere confrontate  con i check-in di foursquare oppure i facebookdeals.
Scenario 2.3 Servizi turistici alla comunità:
prevede una condivisione di informazioni turistiche all’interno della rete creata ad hoc da turisti che si trovano in una stessa zona o dagli abitanti locali per agevolare la presenza dei turisti nel territorio. Questo tipo di funzionalità può essere paragonato con applicazioni per smartphone come ad esempio TripWolf che consente di avere informazioni contestualizzate in base alla propria localizzazione e permette di scaricarle per poterle consultare offline in modo da non consumare tropo traffico in roaming nel caso di un viaggio all’estero;
Già a questo punto si può delineare una prima fondamentale differenza: tutti questi servizi sono offerti oggi attraverso delle applicazioni realizzate appositamente da diversi soggetti, che devono essere ricercate e installate sul proprio dispositivo, mentre su un dispositivo ULOOP sono delle funzionalità integrate nel modo di funzionamento della tecnologia stessa.
Scenario 2.4 Individuazione di attacchi alla rete attraverso la cooperazione:
per comprendere come questi meccanismi sociali lavorano e come potrebbero funzionare su ULOOP si è pensato di analizzare e confrontarli con i sistemi che si sviluppano negli ambienti peer-to-peer, come ad esempio Wikipedia, dove il gruppo punisce e isola quei soggetti che sfruttano il sistema senza contribuire o che addirittura lo danneggiano. Parte di questa analisi è stata già sviluppata attraverso l’analisi della catena di valore e dei meccanismi di incentivo che emergono nei modelli di interazione tra i soggetti ULOOP.
Scenario 2.5 Coordinamento di attività di gruppo:
questa Scenario rappresentativo racchiude in realtà molte possibilità di utilizzo. A partire da attività di gruppo di tipo lavorativo o di studio, fino ad attività di social networking senza la necessità di una rete internet. L’utilizzo più interessante e stimolante è però quello di poter creare un coordinamento di attività di gruppo just-in-time che sia indipendente dall’accesso alla rete, in particolare per analizzare questa caratteristica prenderemo in considerazione il caso delle manifestazioni in Egitto e il problema dell’accesso alla rete negato dalle autorità.
Scenario 2.6 Condivisione di Device:
 Attraverso i dispositivi ULOOP sarà più semplice condividere dati e informazioni, ma anche periferiche. Penseremo alle difficoltà che si riscontrano nel tentativo di una condivisione tra due pc connessi tramite wi-fi e vedremo in che modo i dispositivi ULOOP possono differenziarsi in questi utilizzi.
Primi approcci teorici: alcuni chiarimenti
La ricerca su ULOOP è veramente complessa e sfaccettata, pertanto questi sono gli interrogativi iniziali che guideranno la nostra ricerca ma data la vastità degli argomenti toccati e delle possibilità offerte da questa nuova tecnologia sicuramente emergeranno nuovi interrogativi e nuove vie da esplorare.
È necessario a questo punto fare una ulteriore considerazione. Lo sviluppo e l’evoluzione e di una tecnologia possono essere ipotizzati e tracciati in base alle caratteristiche della tecnologia e alle ipotesi di utilizzo ma, come ci suggerisce l’approccio del Social Shaping of Technologies (Williams R., Edge D. The social shaping of technology, in Research Policy vol. 25, 1996)  la natura delle tecnologie e la direzione del loro cambiamento non è predeterminata in modo lineare, né  hanno necessariamente un “impatto” determinato sulla vita sociale ed economica. L’idea di fondo  è che la creazione e l’implementazione della tecnologia è modellata da un ampio numero di fattori organizzativi, politici, economici e sociali. Il Social Shaping of Technologies (SST) non è un modello teorico unitario, ma un approccio emergente da diversi filoni di ricerca i quali condividono alcune idee di fondo, a partire dal concetto di tecnologia stesso. Secondo l’approccio SST la tecnologia non è una “scatola nera inconoscibile” né un “equipaggiamento” che viene progettato e creato in risposta ad una necessità, collocato in un ambiente e poi spinto fino alla sua adozione da parte degli utenti. La tecnologia, invece, incorpora modelli socio-economici che devono essere svelati e analizzati, sia nel contenuto sia nei suoi processi di evoluzione e innovazione.
La tecnologia è vista come un <<fenomeno inclusivo>> (ibidem, p.868) il cui processo di sviluppo procede grazie all’interazione e alla tensione continua tra elementi tecnici e sociali. Per parlare di tecnologia e del suo sviluppo è necessario, dunque, considerare tutte quelle istituzioni, assetti e organizzazioni all’interno dei quali ha luogo l’adozione, la configurazione e l’utilizzo della tecnologia. In questo insieme di fattori devono essere incluse la conoscenza e l’expertise che l’hanno creata e che si incorporano in essa, e il processo di apprendimento e di esperienza che si sviluppa nell’uso della tecnologia stessa.
Questo approccio si concentra, inoltre, sul concetto di scelta che influenza tutti i passaggi nella creazione di una tecnologia dall’ideazione, alla progettazione, alla commercializzazione all’uso. Possiamo pensare alla tecnologia come un <<giardino di traiettorie che si biforcano>> (ibid. p857) e ogni scelta compiuta da ogni attore sociale può portare a diversi esiti e a diverse implicazioni per la società e per i gruppi sociali che la usano nel suo processo di evoluzione. Questo apre a due questioni che riguardano la negoziabilità e la irreversibilità.
1. La negoziabilità riguarda lo scopo per cui alcuni gruppi sociali forzano la forma delle tecnologie per i loro fini (si pensi alla nascita dell’e-mail, in seguito alla trasformazione del modo d’uso della tecnologia di connessione sviluppata da ARPANET).
2. L’irreversibilità riguarda il radicamento di certi usi che preclude la possibilità di sviluppi diversi o alternativi di quella tecnologia.
E’ importante, inoltre, osservare il modo in cui la tecnologia si diffonde, obiettivo questo della “Teoria della diffusione delle innovazioni” (Si veda su questo il contributo di Leah A. Lievrouw, Progettazione e sviluppo dei new media: diffusione delle innovazioni e modellamento sociale della tecnologia nell’edizione italiana del manuale Capire i New Media. Culture, comunicazione, innovazione tecnologica e istituzioni sociali e anche le slide realizzate da Davide Bennato sul tema) sviluppata da Rogers e che

pone particolare attenzione alle relazioni comunicative e ai flussi di informazione che promuovono l’adozione e l’implementazione di una tecnologia

Secondo questa teoria, infatti le reti di relazioni e i significati condivisi modellano l’azione sociale, inclusa l’adozione della tecnologia ed è importante tenerne conto soprattutto in quelle tecnologie che si sviluppano su modelli informatici di comunicazione.
Dal momento che U-Loop è una tecnologia altamente flessibile e che offre innovativi modi di interazione tra utenti e tra utenti e ambiente, sarà necessario un livello di analisi che vada oltre l’idea di “previsione dell’impatto sociale” e che, piuttosto, ponga attenzione ai modi in cui la tecnologia evolve sia in fase di progettazione sia in fase di adozione, non per anticipare ma per comprenderne al meglio gli sviluppi possibili e futuri.
Quanto detto fin qui raccoglie le prime domande e le prime considerazioni che orienteranno la nostra attività di ricerca su ULOOP.
Per le risposte dovrete attendere necessariamente i post successivi 🙂Questo post è il primo di una serie di articoli curati da Erica Giambitto e dedicati al progetto ULOOP.
Inizia  il nostro lavoro di ricerca nell’ambito del progetto ULOOP (User-centric Wireless Local Loop), che sarà principalmente orientato all’analisi della sostenibilità socio-economica di questa nuova tecnologia, e più in generale, ai suoi possibili impatti sociali.
ULOOP è un progetto triennale finanziato dall’Unione Europea nell’ambito del settimo programma quadro. Per l’Università di Urbino coordina il team interdisciplinare che lavora al progetto il Prof. Alessandro Bogliolo.
Che cos’è ULOOP
Come suggerisce il nome “User-centric Wireless Local Loop” ULOOP è una tecnologia che coinvolge l’utente nella creazione di reti. L’idea principale è quella di sfruttare l’alta densità di reti wireless disponibili sviluppando dei meccanismi di condivisione virtuosa che permettano una gestione delle risorse dinamiche volte a creare un’architettura che si auto-organizzi in base al contesto. Una volta realizzata, consentirà agli utenti di generare una rete wireless attraverso i loro dispositivi ULOOP permettendo da un lato di accedere ad Internet sostituendosi all’”ultimo miglio” e dall’altro di offrire e usufruire vicendevolmente di servizi attraverso i propri device, come ad esempio un local-loop attivato in base a ciò che una comunità di individui (utenti finali) desidera condividere (informazioni, dati, periferiche). Collaborazione sospinta da incentivi alla cooperazione e buone regole di comportamento il sui supporto sarà integrato direttamente al livello della piattaforma.
Gli usi previsti di ULOOP sono stati ipotizzati e raccolti in due casi d’uso specifici, ciascuno dei quali prevede degli Scenari rappresentativi che illustrano, in modo dettagliato, il modo in cui funzionerà questa tecnologia.  Il primo caso d’uso, da qui ULOOP1, riguarda in particolare gli aspetti legati alle potenzialità della tecnologia come ad esempio l’estensione della copertura offerta dal wireless e lo scambio di servizi e di dati tra utenti equipaggiati con dispositivi ULOOP. Il secondo caso d’uso, da qui ULOOP2,  si basa sulle caratteristiche del primo e prevede lo sviluppo di una connessione locale, legata alla compresenza degli utenti in un’area definita, in grado di adattarsi al contesto e alle necessità degli utenti stessi, fornendo così una piattaforma di scambio di dati e informazioni basata su un modello collaborativo.
Vediamo brevemente le scene rappresentative di ogni caso d’uso:
ULOOP 1
Scenario 1.1 Estensione della copertura a banda larga:
Interfacciando i dispositivi U-Loop gli utenti saranno in grado di configurarsi come nodi connessione alla rete espandendone la copertura o di sfruttare la disponibilità offerta in questo senso da un altro utente.
Scenario1.2 Offloading 3G: 
Secondo lo stesso principio parte del traffico che normalmente viene consumato sulla rete 3G potrà essere trasferito e smaltito attraverso U-Loop.
Scenario1.3 Comunicazioni intra-U-Loop: In uno spazio definito,  gli utenti possono creare reti ad-hoc per condividere informazioni internamente senza utilizzare la connessione ad internet, risparmiando batteria e costi di connessione;
Scenario1.4 Bilanciamento e adattamento del carico:
sovraccarichi della rete in termini di numeri d’accesso saranno gestiti dal sistema in modo da consentire una velocità di connessione ottimale per ogni utente;
Scenario1.5 Controllo d’accesso basato sulla fiducia:
I permessi di aggancio tra un device e l’altro verranno gestiti automaticamente dal sistema in base alle “credenziali” degli utenti, tracciate anche attraverso le relazioni stabilite sui social network. Questo potrà essere un meccanismo auto-regolatore del comportamento: feedback positivi renderanno più facile l’accesso ad altri device mentre feedback negativi renderanno più difficile la connessione;
Scenario1.6 Supporto di responsabilità:
Controllo della responsabilità delle azioni connesse, consentendo l’accesso ai servizi attraverso il proprio device si avrà la certezza che azioni scorrette compiute da altri non saranno attribuite a chi ha permesso la connessione.
ULOOP 2
Scenario 2.1 Monitoraggio collaborativo:
gli utenti collaborano nella raccolta e ri-diffusione di dati e informazioni riguardo all’ambiente, realizzando così un monitoraggio collaborativo di situazioni contingenti (pericoli, attività);
Scenario 2.2 Advertising di prossimità: 
invio e ricezione di comunicazioni commerciali riferite al contesto;
Scenario 2.3 Servizi turistici di comunità:
condivisione di informazioni turistiche sui luoghi in cui ci si trova;
Scenario 2.4 Individuazione collaborativa di attacchi:
comportamenti anormali o dannosi di altri utenti possono essere tracciati e individuati attraverso azioni collaborative;
Scenario 2.5 Coordinamento di attività di gruppo:
che non necessitano di una connessione ad internet, e che avvengono in quel momento. Si pensi a come ad esempio flash mob, eventi, lavori di gruppo;
Scenario 2.6 Condivisione di device:
come ad esempio stampanti, possono essere rese disponibili da alcuni utenti ad altri membri della community.
Il nostro compito sarà quello di occuparci degli aspetti connessi alla sostenibilità sociale. 
Questo progetto si propone dunque di esplorare il potenziale di un local-loop wireless basato su un modello centrato sull’utente, ed è sviluppato grazie ad una collaborazione interdisciplinare volta ad approfondirne gli impatti da diverse prospettive: tecnico, di business, legislativo e sociale.
Abbiamo deciso di partire da una domanda, implicitamente parte del programma di ricerca affidatoci, che orientasse la nostra attività: ULOOP è una tecnologia che ha una sostenibilità sociale? Si tratta di una domanda non facile che necessita, prima ancora di una risposta, di alcuni chiarimenti preliminari. Dobbiamo perciò innanzitutto chiederci cosa intendiamo con sostenibilità sociale di una tecnologia.
Sostenibilità sociale come mantenimento dell’equilibrio di un sistema
In una prima concettualizzazione di sostenibilità sociale ci è stata utile la tesi di laurea di Serena Canu “Just Greener. Teoria e pratica degli eventi sostenibili in italia” la quale presenta diverse prospettive sulla sostenibilità. L’idea di sostenibilità che emerge unisce due concetti: la prima definizione di sviluppo sostenibile data nel 1987 dal rapporto Brundtland (WCED, Brundtland G.H , Mansour  K.,  1987 common future,  Oxford University Press, Oxford, GB), e cioè di uno sviluppo incentrato non solo sulla crescita economica ma anche su un aumento del benessere generale, e l’idea di sostenibilità sviluppata da Alessandro Lanza (Lanza Alessandro, Lo sviluppo sostenibile, Il Mulino, Bologna, 1997 ) che vede come necessaria una gestione delle risorse che sia compatibile con le capacità di riproduzione delle stesse. Dunque come prima idea di sostenibilità possiamo considerare uno sviluppo inteso come aumento del benessere collettivo organizzato sulla base di una gestione delle risorse che non porti a sprechi né ad un esaurimento delle stesse.
Un secondo concetto che può tornarci utile è quello di impronta ecologica secondo cui il comportamento di ognuno ha un impatto sull’ambiente ed è perciò responsabilità del singolo regolare il proprio modo di agire per rendere il suo impatto inquinante il più basso possibile.
Infine, un ulteriore punto di vista ci è offerto, sempre facendo riferimento alla tesi di Canu, da Serge Latouche il quale propone un modello basato sulla decrescita (Latouche Serge, Breve trattato sulla decrescita serena, Bollati Boringhieri, Torino, 2008) e cioè su una diminuzione dei consumi e su una migliore gestione delle risorse. Su questa base Latouche rimodella anche il concetto di impronta ecologica: descrivendola come un adeguamento dei consumi di ogni singolo individuo basato non più sulla quantità di inquinamento prodotto, bensì sulle risorse che l’ambiente ha a disposizione per ognuno. Questa nuova idea di sostenibilità ambientale può essere sviluppata, secondo Latouche, in un percorso che prevede otto tappe di cambiamento tra loro interdipendenti.
Possiamo a questo punto chiederci se i modi di utilizzo previsti da ULOOP rispettino le caratteristiche di sostenibilità citate e tracciare così le prime ipotesi sulla sostenibilità sociale di ULOOP.
Ciò che emerge dalla descrizione dei casi d’uso di ULOOP è l’idea di  una tecnologia il cui funzionamento si basa su una nuova concezione dell’utente, visto come nodo attivo della rete che contribuisce, mettendo a disposizione della collettività il proprio dispositivo per migliorare la gestione di risorse quali l’estensione di banda, la potenza di calcolo, l’utilizzo di memoria o energia, a sviluppare un sistema dinamico che sia in grado di adattarsi alle esigenze degli individui in relazione al contesto (luogo e momento di utilizzo). Il punto di forza di ULOOP  sta nella capacità del sistema di trasferire le risorse tra gli utenti in modo tale che, chi vuole, può permettere ad altri di utilizzare risorse a lui non necessarie in quel momento.
Forse a qualcuno, leggendo questa descrizione, sarà venuto in mente il progetto FON. Siete sulla buona strada perché proprio FON è uno dei partner del progetto ULOOP.
Possiamo rintracciare in questa modalità di funzionamento un sistema in grado di gestire le proprie risorse in maniera ottimale per il benessere della collettività. Un sistema che ha forti similitudini con quegli aspetti dello sviluppo sostenibile sopra evidenziati dalle teorie della sostenibilità.
Alcuni dei servizi offerti da ULOOP sembrano incarnare quelle tappe descritte da Latouche (ibidem). Un esempio è quella che l’autore chiama Rivalutazione:  e cioè la “rivalutazione di valori oggi sopraffatti”  come può essere la condivisione di risorse senza scopo di lucro. Oppure la Riconcettualizzazione e la Ridistribuzione: tappe basate sulla “ristrutturazione dei rapporti sociali e ridistribuzione delle ricchezze”, con ULOOP si può infatti mettere a disposizione il contributo del proprio device e ottimizzare il consumo di banda o di batteria agendo anche in un’ottica di Riduzione dei consumi. Ancora, possiamo considerare la Rilocalizzazione: per cui “movimenti di merci e capitali devono essere limitati all’indispensabile”, ULOOP consente uno scambio di informazioni che riguardano l’area in cui gli utenti si trovano in un determinato momento (ad esempio informazioni turistiche, di traffico o commerciali)  senza dover ricorrere ad una connessione ad internet.
ULOOP come comunità in cui emerge capitale sociale
Lo scambio reciproco di risorse e servizi che avviene tra utenti, e tra utente e sistema, può essere osservato anche attraverso il concetto di capitale sociale. Come espresso da Portes (Portes Alejandro, SOCIAL CAPITAL: Its Origins and Applications in Modern Sociology Annu. Rev. Sociol. 1998. p.1-24) il capitale sociale è la capacità di ottenere vantaggi attraverso l’appartenenza a reti e ad altre strutture sociali per cui per

possedere capitale sociale una persona deve essere relazionata ad altre, e sono quegli altri, e non lui stesso, a costituire la fonte di suoi vantaggi (ibidem, p.6).

Riportando la definizione di Bourdieu di capitale sociale e cioè

l’aggregato delle risorse attuali e potenziali legate al possesso di una rete di relazioni di reciproca conoscenza (…), in cui i vantaggi che derivano dall’appartenenza ad un gruppo sono le basi della solidarietà che lo rende possibile (Bourdieu 1985, p. 248)

l’autore evidenzia come il capitale sociale sia scomponibile in due elementi: la relazione sociale che permette agli individui di ottenere l’accesso alle risorse possedute da altri e la quantità e la qualità delle risorse in sé.
Le caratteristiche proprie di ULOOP lo rendono un luogo dinamico all’interno del quale diversi attori interagiscono per usufruire di una rete di risorse e servizi, fornendo a loro volta un servizio. ULOOP si configura, dunque, come una rete di relazioni da cui emerge capitale sociale.
Il lavoro di Portes ci aiuta anche nel tentativo di comprendere le motivazioni per cui i membri di ULOOP, dovrebbero rendere disponibili le proprie risorse a vantaggio di altri. Secondo l’autore le motivazioni di chi, attraverso il proprio contributo, fornisce ad altri l’accesso alle risorse possono essere distinte in due generi: consumatorie strumentali.
Le prime riguardano gli individui che provano senso di comunità e di appartenenza nei confronti dell’ambiente in cui agiscono, per questo saranno ben disposti nell’aiutare gli altri membri della comunità e a rispettare le regole condivise.
Le seconde vedono gli individui affidarsi al funzionamento della comunità come garanzia del fatto che saranno ripagati del loro contributo, sia in termini di restituzione del servizio o della risorsa, sia in termini di acquisizione di uno status onorevole che riscuote approvazione dalla comunità.
Alla base di questi meccanismi c’è la percezione di appartenenza ad una comunità sulla quale si struttura da un lato la bounded solidarity per cui l’identificazione con il proprio gruppo spinge a contribuire al suo benessere favorendo l’iniziativa reciproca, cortocircuitando il fenomeno del free riding (Coleman 1990, pp.273; Portes & Sensenbrenner 1993); dall’altro una enforceable trust secondo cui l’appartenenza comune ad una stessa comunità è garanzia che il proprio contributo verrà ripagato con un riconoscimento da parte della comunità e che il debito verrà ripagato.
Questi concetti possono aiutarci ad approfondire l’analisi già intrapresa (ULOOP, White Paper 03, p.5) sull’inserimento degli utenti di ULOOP nella catena del valore, per cui ogni utente in essa coinvolto deve trarre vantaggio dall’uso di ULOOP in modo da essere motivato alla partecipazione supportandone così il funzionamento.
In particolare l’analisi evidenzia diverse forme di incentivi alla partecipazione e cioè: vantaggi immediati forniti dalla partecipazione ad uno scenario; il coinvolgimento nella catena del valore per cui gli attori coinvolti devono beneficiare da ULOOP in modo da essere motivati ad attivare e supportare le caratteristiche di ULOOP; il “role swapping per cui gli eventuali svantaggi sofferti in una situazione verranno ricompensati da vantaggi ottenuti in altre situazioni; l’acquisizione di una reputazione basata sul comportamento tenuto in ULOOP e la possibilità di monetarizzazione, ovvero l’accumulazione di crediti spendibili nella catena del valore.
Sostenibilità sociale come raggiungimento di una massa critica
Un altro modo di interrogarci sulla sostenibilità sociale di ULOOP nella nostra ricerca ha a che fare con il raggiungimento della massa critica, e cioè il raggiungimento di un numero di utenti tale da permettere alla rete ULOOP di autoalimentarsi e di sostenersi.
<< La sostenibilità socio-economica di una rete ULOOP dipende dalla diffusione dei devices abilitati ULOOP che, a sua volta, dipende dalla capacità del modello di attirare le persone. Così, l’analisi di sostenibilità deve cominciare dalle caratteristiche chiave di ULOOP, che possono essere percepite come valore aggiunto dai giocatori coinvolti nel modello>> (White Paper on ULOOP Socio-Economics).
La diffusione dei device abilitati, al momento non è quantificabile essendo ULOOP una tecnologia in fase di progettazione, ma viene ipotizzata analizzando i requisiti di penetrazione necessari al funzionamento del modello. Per ognuno dei casi d’uso analizzati nel report sono stati individuati dei requisiti di penetrazione che ipotizzassero la quantità di minima, target (ottimale) e motivazionale (che stimoli la partecipazione e che invogli altri attori ad utilizzare ULOOP)  di device raggiungibili da ogni nodo della rete, necessari al funzionamento del modello.
La densità degli utenti che utilizzano ULOOP, dunque, influenza le sue possibilità di funzionamento e, di conseguenza, anche la sua qualità. Il raggiungimento di una densità motivazionale, ad esempio, può invogliare altri utenti ad attivarsi, aggiungendo così un nuovo nodo potenzialmente attivo alla rete. Inoltre, più nodi potenzialmente attivi si aggiungono alla rete, più il valore aggiunto percepito dagli utenti aumenta (si pensi a come cresce il valore di un social network con il crescere delle persone che lo utilizzano).
Possiamo così richiamare il concetto di network effect. In particolare ciò che ci interessa è l’accezione che ne dà la legge di Metcalfe secondo cui il valore di una rete è proporzionale al quadrato degli utenti della rete stessa. Il network effect, però, si sviluppa solo dopo che il numero di adesioni ha superato una certa soglia, detta massa critica.
In questo senso un’altra domanda di ricerca potrebbe essere: quali tecnologie hanno raggiunto una massa criticaQuali sono le caratteristiche che hanno in comune e hanno consentito loro di raggiungere una massa critica? E’ possibile rintracciare queste caratteristiche anche in ULOOP?
Una delle tecnologie prese in considerazione è la connessione ad internet da mobile. Secondo l’analisi di Nielsen Media (Critical Mass, The Worldwide state of the Mobile web, Nielsen Mobile, 2008), l’utilizzo di Internet da dispositivo mobile ha raggiunto una massa critica di utenti attraverso una confluenza di fattori che hanno portato ad un  miglioramento dell’esperienza di Internet da parte degli utenti, fattori  tra cui spiccano  la velocità delle reti e la disponibilità dei contenuti .
Un altro confronto utile potrebbe rivelarsi quello con Apple iPhone. Lo stesso studio di Nielsen rivela che sebbene nell’anno in cui è stato svolto lo studio iPhone fosse ancora agli esordi, l’82% di possessori di iPhone lo utilizzavano per collegarsi ad Internet. Il rapporto degli utenti con iPhone ha migliorato l’esperienza degli utenti con i device mobili, creando nuove aspettative di esperienza nell’uso di un device per collegarsi alla rete in merito alla sua usabilità e allapossibilità di condividere informazioni geolocalizzate e in tempo reale.
Miglioramento dell’esperienza nei confronti e grazie alla tecnologia, velocità, mobilità, disponibilità di contenuti e di informazioni sensibili al contesto. Caratteristiche queste che sono alla base del funzionamento dei dispositivi ULOOP: garantisce un trasferimento di dati veloce in quanto sfrutta tutte le risorse disponibili per la condivisione dei dati; consente, attraverso il bilanciamento del carico di traffico, di evitare eventuali sovraccarichi di rete e, dunque, rallentamenti; si adatta al contesto nel funzionamento in generale, nella reperibilità di servizi e nella raccolta e diffusione di informazioni.
Queste considerazioni fanno emergere un altro interrogativo per la nostra ricerca: perché si dovrebbe usare una tecnologia come ULOOP dal momento che ne esistano già di simili largamente usate? Quali sono le caratteristiche che potrebbero spingere gli utenti all’utilizzo di ULOOP?
ULOOP si differenzia da tutte le altre tecnologie nella possibilità offerta agli utenti di sviluppare local loop wireless in maniera autonoma e semplice. Come introdotto nel White Paper 01, la tecnologia di ULOOP sfrutta il recente successo di tecnologie come il Wi-Fi ponendosi come anello di passaggio nella diffusione della rete dal Wi-Fi all’utente finale.  La flessibilità del Wi-Fi sta dando nuove possibilità di connessione alla rete internet, soprattutto nello sviluppo di tecnologie che permettono all’utente di diventare un nodo attivo nella catena di distribuzione della connettività (vedi appunto FON).
Attraverso i device abilitati ULOOP gli utenti possono creare delle reti collegandosi tra di loro, anche in maniera indipendente dalla rete Internet;  oppure legate ad essa agendo come suo diretto punto di espansione della portata. Questo consente da un lato una maggiore fluidità e semplicità nello scambio di dati e informazioni e dall’altro un’estensione della  portata della rete ad un costo ridotto.
La flessibilità e la libertà offerte nella creazione di reti mettono in evidenza un altro tratto unico di ULOOP e cioè lapossibilità di sviluppare una architettura di rete “Fai-Da-Te”, caratterizzata da una infrastruttura altamente dinamica e adattabile al contesto d’uso.
Analizzando a fondo le scene rappresentative dei casi d’uso e confrontandole con tecnologie già esistenti che offrono servizi simili potremmo comprendere meglio l’unicità e l’attrattività di ULOOP dal punto di vista dell’utente. Per fare questo ci concentreremo in particolare sul caso d’uso ULOOP2 in quanto descrive effettivi comportamenti di utilizzo di ULOOP tra utenti che possono essere riscontrate anche in altre tecnologie.
Scenario 2.1 Collaborative monitoring:
attraverso ULOOP si può sviluppare un controllo sull’ambiente in tempo reale e collaborativo, in modo da fornire ad altri utenti informazioni il più possibile dettagliate. Questa caratteristica può essere confrontata con applicazioni iPhone, o più in generale per smartphone, per il controllo del traffico in tempo reale come ad esempio Wikango e Waze.
Scenario 2.2 Advertising di Prossimità:
 
e le sue potenzialità possono essere confrontate  con i check-in di foursquare oppure i facebookdeals.
Scenario 2.3 Servizi turistici alla comunità:
prevede una condivisione di informazioni turistiche all’interno della rete creata ad hoc da turisti che si trovano in una stessa zona o dagli abitanti locali per agevolare la presenza dei turisti nel territorio. Questo tipo di funzionalità può essere paragonato con applicazioni per smartphone come ad esempio TripWolf che consente di avere informazioni contestualizzate in base alla propria localizzazione e permette di scaricarle per poterle consultare offline in modo da non consumare tropo traffico in roaming nel caso di un viaggio all’estero;
Già a questo punto si può delineare una prima fondamentale differenza: tutti questi servizi sono offerti oggi attraverso delle applicazioni realizzate appositamente da diversi soggetti, che devono essere ricercate e installate sul proprio dispositivo, mentre su un dispositivo ULOOP sono delle funzionalità integrate nel modo di funzionamento della tecnologia stessa.
Scenario 2.4 Individuazione di attacchi alla rete attraverso la cooperazione:
per comprendere come questi meccanismi sociali lavorano e come potrebbero funzionare su ULOOP si è pensato di analizzare e confrontarli con i sistemi che si sviluppano negli ambienti peer-to-peer, come ad esempio Wikipedia, dove il gruppo punisce e isola quei soggetti che sfruttano il sistema senza contribuire o che addirittura lo danneggiano. Parte di questa analisi è stata già sviluppata attraverso l’analisi della catena di valore e dei meccanismi di incentivo che emergono nei modelli di interazione tra i soggetti ULOOP.
Scenario 2.5 Coordinamento di attività di gruppo:
questa Scenario rappresentativo racchiude in realtà molte possibilità di utilizzo. A partire da attività di gruppo di tipo lavorativo o di studio, fino ad attività di social networking senza la necessità di una rete internet. L’utilizzo più interessante e stimolante è però quello di poter creare un coordinamento di attività di gruppo just-in-time che sia indipendente dall’accesso alla rete, in particolare per analizzare questa caratteristica prenderemo in considerazione il caso delle manifestazioni in Egitto e il problema dell’accesso alla rete negato dalle autorità.
Scenario 2.6 Condivisione di Device:
 Attraverso i dispositivi ULOOP sarà più semplice condividere dati e informazioni, ma anche periferiche. Penseremo alle difficoltà che si riscontrano nel tentativo di una condivisione tra due pc connessi tramite wi-fi e vedremo in che modo i dispositivi ULOOP possono differenziarsi in questi utilizzi.
Primi approcci teorici: alcuni chiarimenti
La ricerca su ULOOP è veramente complessa e sfaccettata, pertanto questi sono gli interrogativi iniziali che guideranno la nostra ricerca ma data la vastità degli argomenti toccati e delle possibilità offerte da questa nuova tecnologia sicuramente emergeranno nuovi interrogativi e nuove vie da esplorare.
È necessario a questo punto fare una ulteriore considerazione. Lo sviluppo e l’evoluzione e di una tecnologia possono essere ipotizzati e tracciati in base alle caratteristiche della tecnologia e alle ipotesi di utilizzo ma, come ci suggerisce l’approccio del Social Shaping of Technologies (Williams R., Edge D. The social shaping of technology, in Research Policy vol. 25, 1996)  la natura delle tecnologie e la direzione del loro cambiamento non è predeterminata in modo lineare, né  hanno necessariamente un “impatto” determinato sulla vita sociale ed economica. L’idea di fondo  è che la creazione e l’implementazione della tecnologia è modellata da un ampio numero di fattori organizzativi, politici, economici e sociali. Il Social Shaping of Technologies (SST) non è un modello teorico unitario, ma un approccio emergente da diversi filoni di ricerca i quali condividono alcune idee di fondo, a partire dal concetto di tecnologia stesso. Secondo l’approccio SST la tecnologia non è una “scatola nera inconoscibile” né un “equipaggiamento” che viene progettato e creato in risposta ad una necessità, collocato in un ambiente e poi spinto fino alla sua adozione da parte degli utenti. La tecnologia, invece, incorpora modelli socio-economici che devono essere svelati e analizzati, sia nel contenuto sia nei suoi processi di evoluzione e innovazione.
La tecnologia è vista come un <<fenomeno inclusivo>> (ibidem, p.868) il cui processo di sviluppo procede grazie all’interazione e alla tensione continua tra elementi tecnici e sociali. Per parlare di tecnologia e del suo sviluppo è necessario, dunque, considerare tutte quelle istituzioni, assetti e organizzazioni all’interno dei quali ha luogo l’adozione, la configurazione e l’utilizzo della tecnologia. In questo insieme di fattori devono essere incluse la conoscenza e l’expertise che l’hanno creata e che si incorporano in essa, e il processo di apprendimento e di esperienza che si sviluppa nell’uso della tecnologia stessa.
Questo approccio si concentra, inoltre, sul concetto di scelta che influenza tutti i passaggi nella creazione di una tecnologia dall’ideazione, alla progettazione, alla commercializzazione all’uso. Possiamo pensare alla tecnologia come un <<giardino di traiettorie che si biforcano>> (ibid. p857) e ogni scelta compiuta da ogni attore sociale può portare a diversi esiti e a diverse implicazioni per la società e per i gruppi sociali che la usano nel suo processo di evoluzione. Questo apre a due questioni che riguardano la negoziabilità e la irreversibilità.
1. La negoziabilità riguarda lo scopo per cui alcuni gruppi sociali forzano la forma delle tecnologie per i loro fini (si pensi alla nascita dell’e-mail, in seguito alla trasformazione del modo d’uso della tecnologia di connessione sviluppata da ARPANET).
2. L’irreversibilità riguarda il radicamento di certi usi che preclude la possibilità di sviluppi diversi o alternativi di quella tecnologia.
E’ importante, inoltre, osservare il modo in cui la tecnologia si diffonde, obiettivo questo della “Teoria della diffusione delle innovazioni” (Si veda su questo il contributo di Leah A. Lievrouw, Progettazione e sviluppo dei new media: diffusione delle innovazioni e modellamento sociale della tecnologia nell’edizione italiana del manuale Capire i New Media. Culture, comunicazione, innovazione tecnologica e istituzioni sociali e anche le slide realizzate da Davide Bennato sul tema) sviluppata da Rogers e che

pone particolare attenzione alle relazioni comunicative e ai flussi di informazione che promuovono l’adozione e l’implementazione di una tecnologia

Secondo questa teoria, infatti le reti di relazioni e i significati condivisi modellano l’azione sociale, inclusa l’adozione della tecnologia ed è importante tenerne conto soprattutto in quelle tecnologie che si sviluppano su modelli informatici di comunicazione.
Dal momento che U-Loop è una tecnologia altamente flessibile e che offre innovativi modi di interazione tra utenti e tra utenti e ambiente, sarà necessario un livello di analisi che vada oltre l’idea di “previsione dell’impatto sociale” e che, piuttosto, ponga attenzione ai modi in cui la tecnologia evolve sia in fase di progettazione sia in fase di adozione, non per anticipare ma per comprenderne al meglio gli sviluppi possibili e futuri.
Quanto detto fin qui raccoglie le prime domande e le prime considerazioni che orienteranno la nostra attività di ricerca su ULOOP.
Per le risposte dovrete attendere necessariamente i post successivi 🙂Questo post è il primo di una serie di articoli curati da Erica Giambitto e dedicati al progetto ULOOP.
Inizia  il nostro lavoro di ricerca nell’ambito del progetto ULOOP (User-centric Wireless Local Loop), che sarà principalmente orientato all’analisi della sostenibilità socio-economica di questa nuova tecnologia, e più in generale, ai suoi possibili impatti sociali.
ULOOP è un progetto triennale finanziato dall’Unione Europea nell’ambito del settimo programma quadro. Per l’Università di Urbino coordina il team interdisciplinare che lavora al progetto il Prof. Alessandro Bogliolo.
Che cos’è ULOOP
Come suggerisce il nome “User-centric Wireless Local Loop” ULOOP è una tecnologia che coinvolge l’utente nella creazione di reti. L’idea principale è quella di sfruttare l’alta densità di reti wireless disponibili sviluppando dei meccanismi di condivisione virtuosa che permettano una gestione delle risorse dinamiche volte a creare un’architettura che si auto-organizzi in base al contesto. Una volta realizzata, consentirà agli utenti di generare una rete wireless attraverso i loro dispositivi ULOOP permettendo da un lato di accedere ad Internet sostituendosi all’”ultimo miglio” e dall’altro di offrire e usufruire vicendevolmente di servizi attraverso i propri device, come ad esempio un local-loop attivato in base a ciò che una comunità di individui (utenti finali) desidera condividere (informazioni, dati, periferiche). Collaborazione sospinta da incentivi alla cooperazione e buone regole di comportamento il sui supporto sarà integrato direttamente al livello della piattaforma.
Gli usi previsti di ULOOP sono stati ipotizzati e raccolti in due casi d’uso specifici, ciascuno dei quali prevede degli Scenari rappresentativi che illustrano, in modo dettagliato, il modo in cui funzionerà questa tecnologia.  Il primo caso d’uso, da qui ULOOP1, riguarda in particolare gli aspetti legati alle potenzialità della tecnologia come ad esempio l’estensione della copertura offerta dal wireless e lo scambio di servizi e di dati tra utenti equipaggiati con dispositivi ULOOP. Il secondo caso d’uso, da qui ULOOP2,  si basa sulle caratteristiche del primo e prevede lo sviluppo di una connessione locale, legata alla compresenza degli utenti in un’area definita, in grado di adattarsi al contesto e alle necessità degli utenti stessi, fornendo così una piattaforma di scambio di dati e informazioni basata su un modello collaborativo.
Vediamo brevemente le scene rappresentative di ogni caso d’uso:
ULOOP 1
Scenario 1.1 Estensione della copertura a banda larga:
Interfacciando i dispositivi U-Loop gli utenti saranno in grado di configurarsi come nodi connessione alla rete espandendone la copertura o di sfruttare la disponibilità offerta in questo senso da un altro utente.
Scenario1.2 Offloading 3G: 
Secondo lo stesso principio parte del traffico che normalmente viene consumato sulla rete 3G potrà essere trasferito e smaltito attraverso U-Loop.
Scenario1.3 Comunicazioni intra-U-Loop: In uno spazio definito,  gli utenti possono creare reti ad-hoc per condividere informazioni internamente senza utilizzare la connessione ad internet, risparmiando batteria e costi di connessione;
Scenario1.4 Bilanciamento e adattamento del carico:
sovraccarichi della rete in termini di numeri d’accesso saranno gestiti dal sistema in modo da consentire una velocità di connessione ottimale per ogni utente;
Scenario1.5 Controllo d’accesso basato sulla fiducia:
I permessi di aggancio tra un device e l’altro verranno gestiti automaticamente dal sistema in base alle “credenziali” degli utenti, tracciate anche attraverso le relazioni stabilite sui social network. Questo potrà essere un meccanismo auto-regolatore del comportamento: feedback positivi renderanno più facile l’accesso ad altri device mentre feedback negativi renderanno più difficile la connessione;
Scenario1.6 Supporto di responsabilità:
Controllo della responsabilità delle azioni connesse, consentendo l’accesso ai servizi attraverso il proprio device si avrà la certezza che azioni scorrette compiute da altri non saranno attribuite a chi ha permesso la connessione.
ULOOP 2
Scenario 2.1 Monitoraggio collaborativo:
gli utenti collaborano nella raccolta e ri-diffusione di dati e informazioni riguardo all’ambiente, realizzando così un monitoraggio collaborativo di situazioni contingenti (pericoli, attività);
Scenario 2.2 Advertising di prossimità: 
invio e ricezione di comunicazioni commerciali riferite al contesto;
Scenario 2.3 Servizi turistici di comunità:
condivisione di informazioni turistiche sui luoghi in cui ci si trova;
Scenario 2.4 Individuazione collaborativa di attacchi:
comportamenti anormali o dannosi di altri utenti possono essere tracciati e individuati attraverso azioni collaborative;
Scenario 2.5 Coordinamento di attività di gruppo:
che non necessitano di una connessione ad internet, e che avvengono in quel momento. Si pensi a come ad esempio flash mob, eventi, lavori di gruppo;
Scenario 2.6 Condivisione di device:
come ad esempio stampanti, possono essere rese disponibili da alcuni utenti ad altri membri della community.
Il nostro compito sarà quello di occuparci degli aspetti connessi alla sostenibilità sociale. 
Questo progetto si propone dunque di esplorare il potenziale di un local-loop wireless basato su un modello centrato sull’utente, ed è sviluppato grazie ad una collaborazione interdisciplinare volta ad approfondirne gli impatti da diverse prospettive: tecnico, di business, legislativo e sociale.
Abbiamo deciso di partire da una domanda, implicitamente parte del programma di ricerca affidatoci, che orientasse la nostra attività: ULOOP è una tecnologia che ha una sostenibilità sociale? Si tratta di una domanda non facile che necessita, prima ancora di una risposta, di alcuni chiarimenti preliminari. Dobbiamo perciò innanzitutto chiederci cosa intendiamo con sostenibilità sociale di una tecnologia.
Sostenibilità sociale come mantenimento dell’equilibrio di un sistema
In una prima concettualizzazione di sostenibilità sociale ci è stata utile la tesi di laurea di Serena Canu “Just Greener. Teoria e pratica degli eventi sostenibili in italia” la quale presenta diverse prospettive sulla sostenibilità. L’idea di sostenibilità che emerge unisce due concetti: la prima definizione di sviluppo sostenibile data nel 1987 dal rapporto Brundtland (WCED, Brundtland G.H , Mansour  K.,  1987 common future,  Oxford University Press, Oxford, GB), e cioè di uno sviluppo incentrato non solo sulla crescita economica ma anche su un aumento del benessere generale, e l’idea di sostenibilità sviluppata da Alessandro Lanza (Lanza Alessandro, Lo sviluppo sostenibile, Il Mulino, Bologna, 1997 ) che vede come necessaria una gestione delle risorse che sia compatibile con le capacità di riproduzione delle stesse. Dunque come prima idea di sostenibilità possiamo considerare uno sviluppo inteso come aumento del benessere collettivo organizzato sulla base di una gestione delle risorse che non porti a sprechi né ad un esaurimento delle stesse.
Un secondo concetto che può tornarci utile è quello di impronta ecologica secondo cui il comportamento di ognuno ha un impatto sull’ambiente ed è perciò responsabilità del singolo regolare il proprio modo di agire per rendere il suo impatto inquinante il più basso possibile.
Infine, un ulteriore punto di vista ci è offerto, sempre facendo riferimento alla tesi di Canu, da Serge Latouche il quale propone un modello basato sulla decrescita (Latouche Serge, Breve trattato sulla decrescita serena, Bollati Boringhieri, Torino, 2008) e cioè su una diminuzione dei consumi e su una migliore gestione delle risorse. Su questa base Latouche rimodella anche il concetto di impronta ecologica: descrivendola come un adeguamento dei consumi di ogni singolo individuo basato non più sulla quantità di inquinamento prodotto, bensì sulle risorse che l’ambiente ha a disposizione per ognuno. Questa nuova idea di sostenibilità ambientale può essere sviluppata, secondo Latouche, in un percorso che prevede otto tappe di cambiamento tra loro interdipendenti.
Possiamo a questo punto chiederci se i modi di utilizzo previsti da ULOOP rispettino le caratteristiche di sostenibilità citate e tracciare così le prime ipotesi sulla sostenibilità sociale di ULOOP.
Ciò che emerge dalla descrizione dei casi d’uso di ULOOP è l’idea di  una tecnologia il cui funzionamento si basa su una nuova concezione dell’utente, visto come nodo attivo della rete che contribuisce, mettendo a disposizione della collettività il proprio dispositivo per migliorare la gestione di risorse quali l’estensione di banda, la potenza di calcolo, l’utilizzo di memoria o energia, a sviluppare un sistema dinamico che sia in grado di adattarsi alle esigenze degli individui in relazione al contesto (luogo e momento di utilizzo). Il punto di forza di ULOOP  sta nella capacità del sistema di trasferire le risorse tra gli utenti in modo tale che, chi vuole, può permettere ad altri di utilizzare risorse a lui non necessarie in quel momento.
Forse a qualcuno, leggendo questa descrizione, sarà venuto in mente il progetto FON. Siete sulla buona strada perché proprio FON è uno dei partner del progetto ULOOP.
Possiamo rintracciare in questa modalità di funzionamento un sistema in grado di gestire le proprie risorse in maniera ottimale per il benessere della collettività. Un sistema che ha forti similitudini con quegli aspetti dello sviluppo sostenibile sopra evidenziati dalle teorie della sostenibilità.
Alcuni dei servizi offerti da ULOOP sembrano incarnare quelle tappe descritte da Latouche (ibidem). Un esempio è quella che l’autore chiama Rivalutazione:  e cioè la “rivalutazione di valori oggi sopraffatti”  come può essere la condivisione di risorse senza scopo di lucro. Oppure la Riconcettualizzazione e la Ridistribuzione: tappe basate sulla “ristrutturazione dei rapporti sociali e ridistribuzione delle ricchezze”, con ULOOP si può infatti mettere a disposizione il contributo del proprio device e ottimizzare il consumo di banda o di batteria agendo anche in un’ottica di Riduzione dei consumi. Ancora, possiamo considerare la Rilocalizzazione: per cui “movimenti di merci e capitali devono essere limitati all’indispensabile”, ULOOP consente uno scambio di informazioni che riguardano l’area in cui gli utenti si trovano in un determinato momento (ad esempio informazioni turistiche, di traffico o commerciali)  senza dover ricorrere ad una connessione ad internet.
ULOOP come comunità in cui emerge capitale sociale
Lo scambio reciproco di risorse e servizi che avviene tra utenti, e tra utente e sistema, può essere osservato anche attraverso il concetto di capitale sociale. Come espresso da Portes (Portes Alejandro, SOCIAL CAPITAL: Its Origins and Applications in Modern Sociology Annu. Rev. Sociol. 1998. p.1-24) il capitale sociale è la capacità di ottenere vantaggi attraverso l’appartenenza a reti e ad altre strutture sociali per cui per

possedere capitale sociale una persona deve essere relazionata ad altre, e sono quegli altri, e non lui stesso, a costituire la fonte di suoi vantaggi (ibidem, p.6).

Riportando la definizione di Bourdieu di capitale sociale e cioè

l’aggregato delle risorse attuali e potenziali legate al possesso di una rete di relazioni di reciproca conoscenza (…), in cui i vantaggi che derivano dall’appartenenza ad un gruppo sono le basi della solidarietà che lo rende possibile (Bourdieu 1985, p. 248)

l’autore evidenzia come il capitale sociale sia scomponibile in due elementi: la relazione sociale che permette agli individui di ottenere l’accesso alle risorse possedute da altri e la quantità e la qualità delle risorse in sé.
Le caratteristiche proprie di ULOOP lo rendono un luogo dinamico all’interno del quale diversi attori interagiscono per usufruire di una rete di risorse e servizi, fornendo a loro volta un servizio. ULOOP si configura, dunque, come una rete di relazioni da cui emerge capitale sociale.
Il lavoro di Portes ci aiuta anche nel tentativo di comprendere le motivazioni per cui i membri di ULOOP, dovrebbero rendere disponibili le proprie risorse a vantaggio di altri. Secondo l’autore le motivazioni di chi, attraverso il proprio contributo, fornisce ad altri l’accesso alle risorse possono essere distinte in due generi: consumatorie strumentali.
Le prime riguardano gli individui che provano senso di comunità e di appartenenza nei confronti dell’ambiente in cui agiscono, per questo saranno ben disposti nell’aiutare gli altri membri della comunità e a rispettare le regole condivise.
Le seconde vedono gli individui affidarsi al funzionamento della comunità come garanzia del fatto che saranno ripagati del loro contributo, sia in termini di restituzione del servizio o della risorsa, sia in termini di acquisizione di uno status onorevole che riscuote approvazione dalla comunità.
Alla base di questi meccanismi c’è la percezione di appartenenza ad una comunità sulla quale si struttura da un lato la bounded solidarity per cui l’identificazione con il proprio gruppo spinge a contribuire al suo benessere favorendo l’iniziativa reciproca, cortocircuitando il fenomeno del free riding (Coleman 1990, pp.273; Portes & Sensenbrenner 1993); dall’altro una enforceable trust secondo cui l’appartenenza comune ad una stessa comunità è garanzia che il proprio contributo verrà ripagato con un riconoscimento da parte della comunità e che il debito verrà ripagato.
Questi concetti possono aiutarci ad approfondire l’analisi già intrapresa (ULOOP, White Paper 03, p.5) sull’inserimento degli utenti di ULOOP nella catena del valore, per cui ogni utente in essa coinvolto deve trarre vantaggio dall’uso di ULOOP in modo da essere motivato alla partecipazione supportandone così il funzionamento.
In particolare l’analisi evidenzia diverse forme di incentivi alla partecipazione e cioè: vantaggi immediati forniti dalla partecipazione ad uno scenario; il coinvolgimento nella catena del valore per cui gli attori coinvolti devono beneficiare da ULOOP in modo da essere motivati ad attivare e supportare le caratteristiche di ULOOP; il “role swapping per cui gli eventuali svantaggi sofferti in una situazione verranno ricompensati da vantaggi ottenuti in altre situazioni; l’acquisizione di una reputazione basata sul comportamento tenuto in ULOOP e la possibilità di monetarizzazione, ovvero l’accumulazione di crediti spendibili nella catena del valore.
Sostenibilità sociale come raggiungimento di una massa critica
Un altro modo di interrogarci sulla sostenibilità sociale di ULOOP nella nostra ricerca ha a che fare con il raggiungimento della massa critica, e cioè il raggiungimento di un numero di utenti tale da permettere alla rete ULOOP di autoalimentarsi e di sostenersi.
<< La sostenibilità socio-economica di una rete ULOOP dipende dalla diffusione dei devices abilitati ULOOP che, a sua volta, dipende dalla capacità del modello di attirare le persone. Così, l’analisi di sostenibilità deve cominciare dalle caratteristiche chiave di ULOOP, che possono essere percepite come valore aggiunto dai giocatori coinvolti nel modello>> (White Paper on ULOOP Socio-Economics).
La diffusione dei device abilitati, al momento non è quantificabile essendo ULOOP una tecnologia in fase di progettazione, ma viene ipotizzata analizzando i requisiti di penetrazione necessari al funzionamento del modello. Per ognuno dei casi d’uso analizzati nel report sono stati individuati dei requisiti di penetrazione che ipotizzassero la quantità di minima, target (ottimale) e motivazionale (che stimoli la partecipazione e che invogli altri attori ad utilizzare ULOOP)  di device raggiungibili da ogni nodo della rete, necessari al funzionamento del modello.
La densità degli utenti che utilizzano ULOOP, dunque, influenza le sue possibilità di funzionamento e, di conseguenza, anche la sua qualità. Il raggiungimento di una densità motivazionale, ad esempio, può invogliare altri utenti ad attivarsi, aggiungendo così un nuovo nodo potenzialmente attivo alla rete. Inoltre, più nodi potenzialmente attivi si aggiungono alla rete, più il valore aggiunto percepito dagli utenti aumenta (si pensi a come cresce il valore di un social network con il crescere delle persone che lo utilizzano).
Possiamo così richiamare il concetto di network effect. In particolare ciò che ci interessa è l’accezione che ne dà la legge di Metcalfe secondo cui il valore di una rete è proporzionale al quadrato degli utenti della rete stessa. Il network effect, però, si sviluppa solo dopo che il numero di adesioni ha superato una certa soglia, detta massa critica.
In questo senso un’altra domanda di ricerca potrebbe essere: quali tecnologie hanno raggiunto una massa criticaQuali sono le caratteristiche che hanno in comune e hanno consentito loro di raggiungere una massa critica? E’ possibile rintracciare queste caratteristiche anche in ULOOP?
Una delle tecnologie prese in considerazione è la connessione ad internet da mobile. Secondo l’analisi di Nielsen Media (Critical Mass, The Worldwide state of the Mobile web, Nielsen Mobile, 2008), l’utilizzo di Internet da dispositivo mobile ha raggiunto una massa critica di utenti attraverso una confluenza di fattori che hanno portato ad un  miglioramento dell’esperienza di Internet da parte degli utenti, fattori  tra cui spiccano  la velocità delle reti e la disponibilità dei contenuti .
Un altro confronto utile potrebbe rivelarsi quello con Apple iPhone. Lo stesso studio di Nielsen rivela che sebbene nell’anno in cui è stato svolto lo studio iPhone fosse ancora agli esordi, l’82% di possessori di iPhone lo utilizzavano per collegarsi ad Internet. Il rapporto degli utenti con iPhone ha migliorato l’esperienza degli utenti con i device mobili, creando nuove aspettative di esperienza nell’uso di un device per collegarsi alla rete in merito alla sua usabilità e allapossibilità di condividere informazioni geolocalizzate e in tempo reale.
Miglioramento dell’esperienza nei confronti e grazie alla tecnologia, velocità, mobilità, disponibilità di contenuti e di informazioni sensibili al contesto. Caratteristiche queste che sono alla base del funzionamento dei dispositivi ULOOP: garantisce un trasferimento di dati veloce in quanto sfrutta tutte le risorse disponibili per la condivisione dei dati; consente, attraverso il bilanciamento del carico di traffico, di evitare eventuali sovraccarichi di rete e, dunque, rallentamenti; si adatta al contesto nel funzionamento in generale, nella reperibilità di servizi e nella raccolta e diffusione di informazioni.
Queste considerazioni fanno emergere un altro interrogativo per la nostra ricerca: perché si dovrebbe usare una tecnologia come ULOOP dal momento che ne esistano già di simili largamente usate? Quali sono le caratteristiche che potrebbero spingere gli utenti all’utilizzo di ULOOP?
ULOOP si differenzia da tutte le altre tecnologie nella possibilità offerta agli utenti di sviluppare local loop wireless in maniera autonoma e semplice. Come introdotto nel White Paper 01, la tecnologia di ULOOP sfrutta il recente successo di tecnologie come il Wi-Fi ponendosi come anello di passaggio nella diffusione della rete dal Wi-Fi all’utente finale.  La flessibilità del Wi-Fi sta dando nuove possibilità di connessione alla rete internet, soprattutto nello sviluppo di tecnologie che permettono all’utente di diventare un nodo attivo nella catena di distribuzione della connettività (vedi appunto FON).
Attraverso i device abilitati ULOOP gli utenti possono creare delle reti collegandosi tra di loro, anche in maniera indipendente dalla rete Internet;  oppure legate ad essa agendo come suo diretto punto di espansione della portata. Questo consente da un lato una maggiore fluidità e semplicità nello scambio di dati e informazioni e dall’altro un’estensione della  portata della rete ad un costo ridotto.
La flessibilità e la libertà offerte nella creazione di reti mettono in evidenza un altro tratto unico di ULOOP e cioè lapossibilità di sviluppare una architettura di rete “Fai-Da-Te”, caratterizzata da una infrastruttura altamente dinamica e adattabile al contesto d’uso.
Analizzando a fondo le scene rappresentative dei casi d’uso e confrontandole con tecnologie già esistenti che offrono servizi simili potremmo comprendere meglio l’unicità e l’attrattività di ULOOP dal punto di vista dell’utente. Per fare questo ci concentreremo in particolare sul caso d’uso ULOOP2 in quanto descrive effettivi comportamenti di utilizzo di ULOOP tra utenti che possono essere riscontrate anche in altre tecnologie.
Scenario 2.1 Collaborative monitoring:
attraverso ULOOP si può sviluppare un controllo sull’ambiente in tempo reale e collaborativo, in modo da fornire ad altri utenti informazioni il più possibile dettagliate. Questa caratteristica può essere confrontata con applicazioni iPhone, o più in generale per smartphone, per il controllo del traffico in tempo reale come ad esempio Wikango e Waze.
Scenario 2.2 Advertising di Prossimità:
 
e le sue potenzialità possono essere confrontate  con i check-in di foursquare oppure i facebookdeals.
Scenario 2.3 Servizi turistici alla comunità:
prevede una condivisione di informazioni turistiche all’interno della rete creata ad hoc da turisti che si trovano in una stessa zona o dagli abitanti locali per agevolare la presenza dei turisti nel territorio. Questo tipo di funzionalità può essere paragonato con applicazioni per smartphone come ad esempio TripWolf che consente di avere informazioni contestualizzate in base alla propria localizzazione e permette di scaricarle per poterle consultare offline in modo da non consumare tropo traffico in roaming nel caso di un viaggio all’estero;
Già a questo punto si può delineare una prima fondamentale differenza: tutti questi servizi sono offerti oggi attraverso delle applicazioni realizzate appositamente da diversi soggetti, che devono essere ricercate e installate sul proprio dispositivo, mentre su un dispositivo ULOOP sono delle funzionalità integrate nel modo di funzionamento della tecnologia stessa.
Scenario 2.4 Individuazione di attacchi alla rete attraverso la cooperazione:
per comprendere come questi meccanismi sociali lavorano e come potrebbero funzionare su ULOOP si è pensato di analizzare e confrontarli con i sistemi che si sviluppano negli ambienti peer-to-peer, come ad esempio Wikipedia, dove il gruppo punisce e isola quei soggetti che sfruttano il sistema senza contribuire o che addirittura lo danneggiano. Parte di questa analisi è stata già sviluppata attraverso l’analisi della catena di valore e dei meccanismi di incentivo che emergono nei modelli di interazione tra i soggetti ULOOP.
Scenario 2.5 Coordinamento di attività di gruppo:
questa Scenario rappresentativo racchiude in realtà molte possibilità di utilizzo. A partire da attività di gruppo di tipo lavorativo o di studio, fino ad attività di social networking senza la necessità di una rete internet. L’utilizzo più interessante e stimolante è però quello di poter creare un coordinamento di attività di gruppo just-in-time che sia indipendente dall’accesso alla rete, in particolare per analizzare questa caratteristica prenderemo in considerazione il caso delle manifestazioni in Egitto e il problema dell’accesso alla rete negato dalle autorità.
Scenario 2.6 Condivisione di Device:
 Attraverso i dispositivi ULOOP sarà più semplice condividere dati e informazioni, ma anche periferiche. Penseremo alle difficoltà che si riscontrano nel tentativo di una condivisione tra due pc connessi tramite wi-fi e vedremo in che modo i dispositivi ULOOP possono differenziarsi in questi utilizzi.
Primi approcci teorici: alcuni chiarimenti
La ricerca su ULOOP è veramente complessa e sfaccettata, pertanto questi sono gli interrogativi iniziali che guideranno la nostra ricerca ma data la vastità degli argomenti toccati e delle possibilità offerte da questa nuova tecnologia sicuramente emergeranno nuovi interrogativi e nuove vie da esplorare.
È necessario a questo punto fare una ulteriore considerazione. Lo sviluppo e l’evoluzione e di una tecnologia possono essere ipotizzati e tracciati in base alle caratteristiche della tecnologia e alle ipotesi di utilizzo ma, come ci suggerisce l’approccio del Social Shaping of Technologies (Williams R., Edge D. The social shaping of technology, in Research Policy vol. 25, 1996)  la natura delle tecnologie e la direzione del loro cambiamento non è predeterminata in modo lineare, né  hanno necessariamente un “impatto” determinato sulla vita sociale ed economica. L’idea di fondo  è che la creazione e l’implementazione della tecnologia è modellata da un ampio numero di fattori organizzativi, politici, economici e sociali. Il Social Shaping of Technologies (SST) non è un modello teorico unitario, ma un approccio emergente da diversi filoni di ricerca i quali condividono alcune idee di fondo, a partire dal concetto di tecnologia stesso. Secondo l’approccio SST la tecnologia non è una “scatola nera inconoscibile” né un “equipaggiamento” che viene progettato e creato in risposta ad una necessità, collocato in un ambiente e poi spinto fino alla sua adozione da parte degli utenti. La tecnologia, invece, incorpora modelli socio-economici che devono essere svelati e analizzati, sia nel contenuto sia nei suoi processi di evoluzione e innovazione.
La tecnologia è vista come un <<fenomeno inclusivo>> (ibidem, p.868) il cui processo di sviluppo procede grazie all’interazione e alla tensione continua tra elementi tecnici e sociali. Per parlare di tecnologia e del suo sviluppo è necessario, dunque, considerare tutte quelle istituzioni, assetti e organizzazioni all’interno dei quali ha luogo l’adozione, la configurazione e l’utilizzo della tecnologia. In questo insieme di fattori devono essere incluse la conoscenza e l’expertise che l’hanno creata e che si incorporano in essa, e il processo di apprendimento e di esperienza che si sviluppa nell’uso della tecnologia stessa.
Questo approccio si concentra, inoltre, sul concetto di scelta che influenza tutti i passaggi nella creazione di una tecnologia dall’ideazione, alla progettazione, alla commercializzazione all’uso. Possiamo pensare alla tecnologia come un <<giardino di traiettorie che si biforcano>> (ibid. p857) e ogni scelta compiuta da ogni attore sociale può portare a diversi esiti e a diverse implicazioni per la società e per i gruppi sociali che la usano nel suo processo di evoluzione. Questo apre a due questioni che riguardano la negoziabilità e la irreversibilità.
1. La negoziabilità riguarda lo scopo per cui alcuni gruppi sociali forzano la forma delle tecnologie per i loro fini (si pensi alla nascita dell’e-mail, in seguito alla trasformazione del modo d’uso della tecnologia di connessione sviluppata da ARPANET).
2. L’irreversibilità riguarda il radicamento di certi usi che preclude la possibilità di sviluppi diversi o alternativi di quella tecnologia.
E’ importante, inoltre, osservare il modo in cui la tecnologia si diffonde, obiettivo questo della “Teoria della diffusione delle innovazioni” (Si veda su questo il contributo di Leah A. Lievrouw, Progettazione e sviluppo dei new media: diffusione delle innovazioni e modellamento sociale della tecnologia nell’edizione italiana del manuale Capire i New Media. Culture, comunicazione, innovazione tecnologica e istituzioni sociali e anche le slide realizzate da Davide Bennato sul tema) sviluppata da Rogers e che

pone particolare attenzione alle relazioni comunicative e ai flussi di informazione che promuovono l’adozione e l’implementazione di una tecnologia

Secondo questa teoria, infatti le reti di relazioni e i significati condivisi modellano l’azione sociale, inclusa l’adozione della tecnologia ed è importante tenerne conto soprattutto in quelle tecnologie che si sviluppano su modelli informatici di comunicazione.
Dal momento che U-Loop è una tecnologia altamente flessibile e che offre innovativi modi di interazione tra utenti e tra utenti e ambiente, sarà necessario un livello di analisi che vada oltre l’idea di “previsione dell’impatto sociale” e che, piuttosto, ponga attenzione ai modi in cui la tecnologia evolve sia in fase di progettazione sia in fase di adozione, non per anticipare ma per comprenderne al meglio gli sviluppi possibili e futuri.
Quanto detto fin qui raccoglie le prime domande e le prime considerazioni che orienteranno la nostra attività di ricerca su ULOOP.
Per le risposte dovrete attendere necessariamente i post successivi 🙂