What’s next #15: La PA fra errori clamorosi, coach potatoes e networked citizens

Alcune riflessioni sulla natura più culturale che tecnologica del gap fra coach potatos e networked citizens a partire dall”ultimo rapporto di ricerca LaRiCA dedicato ai servizi della Pubblica Amministrazione su canale digitale terrestre. Alcune riflessioni sulla natura più culturale che tecnologica del gap fra coach potatos e networked citizens a partire dall”ultimo rapporto di ricerca LaRiCA dedicato ai servizi della Pubblica Amministrazione su canale digitale terrestre. Alcune riflessioni sulla natura più culturale che tecnologica del gap fra coach potatos e networked citizens a partire dall”ultimo rapporto di ricerca LaRiCA dedicato ai servizi della Pubblica Amministrazione su canale digitale terrestre.

Credo fosse fine marzo del 2005 quando mi fu chiesto di scrivere un progetto di ricerca sul digitale terrestre ed i servizi della pubblica amministrazione. La regione Marche aveva infatti presentato a fine 2004 al CNIPA una richiesta di finanziamento per un progetto finalizzato allo sviluppo di servizi  al cittadino attraverso il canale digitale terrestre. Il progetto in questione, battezzato “DigiMarche.dt: Portale regionale dei servizi di t-government” (qui il progetto ed una presentazione che ne descrive gli aspetti essenziali), fu approvato e nei mesi successivi ricevetti una richiesta di scrivere un progetto per richiedere alla regione Marche un co-finanziamento su una attività di ricerca che si sarebbe affiancata a DigiMarche. Insieme ai colleghi del LaRiCA scrivemmo un progetto intitolato eloquentemente “TV digitale terrestre e contenuto generato dagli utenti”.
L’idea alla base della nostra proposta tendeva a ribaltare il classico schema top-bottom che vede la pubblica amministrazione come erogatore di servizi ed il cittadino come consumatore passivo. Si trattava di immaginare e verificare l’effettiva esigenza da parte dei cittadini di servizi che mettessero i singoli utenti in grado di conversare fra di loro e con la pubblica amministrazione.
Il nostro progetto fu ammesso a co-finanziamento e oggi a distanza di oltre tre anni dalla stesura (il progetto è biennale ma ci sono stati tempi lunghi perché partisse effettivamente) ho completato il report di ricerca che rende conto del risultato del nostro lavoro.
La prima cosa da dire è che lavorare sull’impatto sociale delle tecnologie con questi tempi è estremamente difficile. L’evoluzione alla quale stiamo assistendo può decretare il successo o il fallimento di una tecnologia nello spazio di pochissimo tempo e scegliere di impiegare tempo e risorse sulla tecnologia sbagliata può costare caro.
Non so cosa avrei scritto in un report di ricerca sul digitale terrestre datato dicembre 2008 se nel lontano 2005 non avessimo avuto la felice intuizione di puntare sui contenuti generati dagli utenti. Questo ci ha consentito di ampliare la visione oltre la tecnologia del digitale terrestre (che già allora ci sembrava evidentemente non promettere bene) e di approcciare alla questione in modo originale introducendo l’idea dei contenuti generati dagli utenti.
Potrei dilungarmi su come la decisione presa a livello nazionale di investire sul digitale terrestre si sia rivelata disastrosa e di come avremmo potuto spendere meglio quei soldi supportando le pubbliche amministrazioni a sviluppare progetti e servizi su Internet o incentivando l’accesso alla rete da parte delle famiglie italiane (lo sapete già che siamo agli ultimi posti in Europa per tasso di penetrazione di Internet nelle case secondo gli ultimi dati Eurostat, no?).
Rileggere oggi le due paginette iniziali dell’opuscolo realizzato dal CNIPA nel maggio 2005 per annunciare l’elenco dei progetti ammessi a co-finanziamento dovrebbe servire da monito per il futuro.
Il “fervore positivista” sul “t-government” (non cercate questo lemma su wikipedia inglese perché non esiste) era tutto basato sull’ipotesi che i “cittadini non esperti di informatica che utilizzano la TV e non hanno messo le mani su un computer” potessero scoprire nel set-top-box e relativo telecomando del digitale terrestre un canale alternativo allo sportello tradizionale per fruire dei servizi della Pubblica Amministrazione.
Purtroppo già nello stesso report commissionato dal CNIPA all’Istituto Piepoli e presentato nel maggio 2006 si intuiva che le cose non stavano andando esattamente per il verso giusto.
La televisione digitale terrestre si attestava ad una percentuale di penetrazione del 10% superata sia dalla televisione satellitare (al 15%) che, nettamente, da Internet (al 38% da casa o lavoro). I servizi della Pubblica Amministrazione offerta attraverso il digitale terrestre erano conosciuti dal 44% degli utilizzatori ma usati solo dal 2% di essi. Solo il 10% degli utilizzatori dei digitale terrestre chiedevano di poter fruire di altri servizi interattivi.
I dati che abbiamo rilevato nelle nostre indagini mostrano che dal 2006 il digitale terrestre si è sicuramente diffuso in modo maggiore e si attesta oggi fra il 26,2 ed il 25,4% raggiungendo la diffusione della televisione satellitare. Cresce molto anche l’accesso a Internet da casa che è stato riscontrato nel nostro campione in oltre il 50% dei casi.
Quello che tuttavia colpisce è lo scarso utilizzo dei servizi interattivi che riguarda il 24% dei possessori di decoder DVB-T contro il 30% riscontrato nel 2006 (le tipologie d’uso rimangono invece simili con in testa i servizi informativi). Anche in relazione alla domanda  specifica che chiedeva di stimare il vantaggio di usare i servizi della PA attraverso digitale terrestre, Internet e cellulare al posto dello sportello tradizionale, si nota come Internet sia lo strumento che sembra offrire, a parere degli intervistati, un maggiore vantaggio.

Vantaggio percepito sull'uso dei canali alternativi allo sportello tradizionale per accedere ai servizi della PA
Vantaggio percepito sull'uso dei canali alternativi allo sportello tradizionale per accedere ai servizi della PA

Appare inoltre sfatato il mito secondo il quale i soggetti più anziani e con più bassa scolarità possano essere interessati ai servizi interattivi attraverso il digitale terrestre. Nelle fasce di età 50-59 e 60 e oltre la percentuale di utenti del digitale terrestre che ha fatto uso dei servizi interattivi si attesta abbondantemente sotto la media rispettivamente al 12,8 e al 12%. Fra chi ha una licenza elementare solo il 5% ha fatto uso di servizi interattivi su digitale terrestre.
Distinzioni analoghe possono essere notate in relazione all’uso attivo di Internet (creazione di blog e pubblicazioni di video e foto) dove il tasso di scolarità e l’età incidono pesantemente non solo sul possesso dell’accesso a Internet ma anche sulle modalità di utilizzo.
Dunque il gap fra networked citizens e couch potatoes citizens esiste ma appare essere imputabile più ad aspetti culturali che tecnologici. Al di là dei pur utili servizi che la PA può rendere disponibile attraverso canali alternativi allo sportello tradizionale, quello su cui appare più urgente lavorare è questo gap culturale.
Qui non si tratta più semplicemente di offrire servizi veicolandoli su un canale piuttosto che un altro. Si tratta di ripensare il rapporto con i cittadini secondo una logica maggiormente ispirata dal bottom-up. Si tratta di aprire e saper portare avanti una conversazione che con il tempo aiuterà a modificare quella forma di distacco fra cittadini ed istituzioni che è palpabile in Italia come e forse più che in altre nazioni del mondo.
La sfida del futuro sarà dunque quella di includere la maggior parte di cittadini in questa conversazioni avendo cura che nessuno ne resti fuori per carenze culturali o peggio di accesso alla tecnologia. In questo senso è cruciale combattere accanto al ben noto divario digitale anche quello culturale, individuato per primo dallo studioso americano Henry Jenkins. Si tratta del divario che porta alcuni strati della popolazione ad essere fruitori passivi di contenuti anche quando le condizioni tecnologiche rendono possibile una forma di attività a basso costo e scarse barriere all’accesso.
Il rapporto di ricerca si conclude con il suggerimento di osservare con attenzione quanto sta avvenendo oltre oceano e contiene un’analisi dei servizi interattivi offerti dal sito della transizione del presidente eletto degli Stati Uniti.

Credo fosse fine marzo del 2005 quando mi fu chiesto di scrivere un progetto di ricerca sul digitale terrestre ed i servizi della pubblica amministrazione. La regione Marche aveva infatti presentato a fine 2004 al CNIPA una richiesta di finanziamento per un progetto finalizzato allo sviluppo di servizi  al cittadino attraverso il canale digitale terrestre. Il progetto in questione, battezzato “DigiMarche.dt: Portale regionale dei servizi di t-government” (qui il progetto ed una presentazione che ne descrive gli aspetti essenziali), fu approvato e nei mesi successivi ricevetti una richiesta di scrivere un progetto per richiedere alla regione Marche un co-finanziamento su una attività di ricerca che si sarebbe affiancata a DigiMarche. Insieme ai colleghi del LaRiCA scrivemmo un progetto intitolato eloquentemente “TV digitale terrestre e contenuto generato dagli utenti”.

L’idea alla base della nostra proposta tendeva a ribaltare il classico schema top-bottom che vede la pubblica amministrazione come erogatore di servizi ed il cittadino come consumatore passivo. Si trattava di immaginare e verificare l’effettiva esigenza da parte dei cittadini di servizi che mettessero i singoli utenti in grado di conversare fra di loro e con la pubblica amministrazione.

Il nostro progetto fu ammesso a co-finanziamento e oggi a distanza di oltre tre anni dalla stesura (il progetto è biennale ma ci sono stati tempi lunghi perché partisse effettivamente) ho completato il report di ricerca che rende conto del risultato del nostro lavoro.

La prima cosa da dire è che lavorare sull’impatto sociale delle tecnologie con questi tempi è estremamente difficile. L’evoluzione alla quale stiamo assistendo può decretare il successo o il fallimento di una tecnologia nello spazio di pochissimo tempo e scegliere di impiegare tempo e risorse sulla tecnologia sbagliata può costare caro.

Non so cosa avrei scritto in un report di ricerca sul digitale terrestre datato dicembre 2008 se nel lontano 2005 non avessimo avuto la felice intuizione di puntare sui contenuti generati dagli utenti. Questo ci ha consentito di ampliare la visione oltre la tecnologia del digitale terrestre (che già allora ci sembrava evidentemente non promettere bene) e di approcciare alla questione in modo originale introducendo l’idea dei contenuti generati dagli utenti.

Potrei dilungarmi su come la decisione presa a livello nazionale di investire sul digitale terrestre si sia rivelata disastrosa e di come avremmo potuto spendere meglio quei soldi supportando le pubbliche amministrazioni a sviluppare progetti e servizi su Internet o incentivando l’accesso alla rete da parte delle famiglie italiane (lo sapete già che siamo agli ultimi posti in Europa per tasso di penetrazione di Internet nelle case secondo gli ultimi dati Eurostat, no?).

Rileggere oggi le due paginette iniziali dell’opuscolo realizzato dal CNIPA nel maggio 2005 per annunciare l’elenco dei progetti ammessi a co-finanziamento dovrebbe servire da monito per il futuro.

Il “fervore positivista” sul “t-government” (non cercate questo lemma su wikipedia inglese perché non esiste) era tutto basato sull’ipotesi che i “cittadini non esperti di informatica che utilizzano la TV e non hanno messo le mani su un computer” potessero scoprire nel set-top-box e relativo telecomando del digitale terrestre un canale alternativo allo sportello tradizionale per fruire dei servizi della Pubblica Amministrazione.

Purtroppo già nello stesso report commissionato dal CNIPA all’Istituto Piepoli e presentato nel maggio 2006 si intuiva che le cose non stavano andando esattamente per il verso giusto.

La televisione digitale terrestre si attestava ad una percentuale di penetrazione del 10% superata sia dalla televisione satellitare (al 15%) che, nettamente, da Internet (al 38% da casa o lavoro). I servizi della Pubblica Amministrazione offerta attraverso il digitale terrestre erano conosciuti dal 44% degli utilizzatori ma usati solo dal 2% di essi. Solo il 10% degli utilizzatori dei digitale terrestre chiedevano di poter fruire di altri servizi interattivi.

I dati che abbiamo rilevato nelle nostre indagini mostrano che dal 2006 il digitale terrestre si è sicuramente diffuso in modo maggiore e si attesta oggi fra il 26,2 ed il 25,4% raggiungendo la diffusione della televisione satellitare. Cresce molto anche l’accesso a Internet da casa che è stato riscontrato nel nostro campione in oltre il 50% dei casi.

Quello che tuttavia colpisce è lo scarso utilizzo dei servizi interattivi che riguarda il 24% dei possessori di decoder DVB-T contro il 30% riscontrato nel 2006 (le tipologie d’uso rimangono invece simili con in testa i servizi informativi). Anche in relazione alla domanda  specifica che chiedeva di stimare il vantaggio di usare i servizi della PA attraverso digitale terrestre, Internet e cellulare al posto dello sportello tradizionale, si nota come Internet sia lo strumento che sembra offrire, a parere degli intervistati, un maggiore vantaggio.

Vantaggio percepito sull'uso dei canali alternativi allo sportello tradizionale per accedere ai servizi della PA
Vantaggio percepito sull'uso dei canali alternativi allo sportello tradizionale per accedere ai servizi della PA

Appare inoltre sfatato il mito secondo il quale i soggetti più anziani e con più bassa scolarità possano essere interessati ai servizi interattivi attraverso il digitale terrestre. Nelle fasce di età 50-59 e 60 e oltre la percentuale di utenti del digitale terrestre che ha fatto uso dei servizi interattivi si attesta abbondantemente sotto la media rispettivamente al 12,8 e al 12%. Fra chi ha una licenza elementare solo il 5% ha fatto uso di servizi interattivi su digitale terrestre.

Distinzioni analoghe possono essere notate in relazione all’uso attivo di Internet (creazione di blog e pubblicazioni di video e foto) dove il tasso di scolarità e l’età incidono pesantemente non solo sul possesso dell’accesso a Internet ma anche sulle modalità di utilizzo.

Dunque il gap fra networked citizens e couch potatoes citizens esiste ma appare essere imputabile più ad aspetti culturali che tecnologici. Al di là dei pur utili servizi che la PA può rendere disponibile attraverso canali alternativi allo sportello tradizionale, quello su cui appare più urgente lavorare è questo gap culturale.

Qui non si tratta più semplicemente di offrire servizi veicolandoli su un canale piuttosto che un altro. Si tratta di ripensare il rapporto con i cittadini secondo una logica maggiormente ispirata dal bottom-up. Si tratta di aprire e saper portare avanti una conversazione che con il tempo aiuterà a modificare quella forma di distacco fra cittadini ed istituzioni che è palpabile in Italia come e forse più che in altre nazioni del mondo.

La sfida del futuro sarà dunque quella di includere la maggior parte di cittadini in questa conversazioni avendo cura che nessuno ne resti fuori per carenze culturali o peggio di accesso alla tecnologia. In questo senso è cruciale combattere accanto al ben noto divario digitale anche quello culturale, individuato per primo dallo studioso americano Henry Jenkins. Si tratta del divario che porta alcuni strati della popolazione ad essere fruitori passivi di contenuti anche quando le condizioni tecnologiche rendono possibile una forma di attività a basso costo e scarse barriere all’accesso.

Il rapporto di ricerca si conclude con il suggerimento di osservare con attenzione quanto sta avvenendo oltre oceano e contiene un’analisi dei servizi interattivi offerti dal sito della transizione del presidente eletto degli Stati Uniti.

Credo fosse fine marzo del 2005 quando mi fu chiesto di scrivere un progetto di ricerca sul digitale terrestre ed i servizi della pubblica amministrazione. La regione Marche aveva infatti presentato a fine 2004 al CNIPA una richiesta di finanziamento per un progetto finalizzato allo sviluppo di servizi  al cittadino attraverso il canale digitale terrestre. Il progetto in questione, battezzato “DigiMarche.dt: Portale regionale dei servizi di t-government” (qui il progetto ed una presentazione che ne descrive gli aspetti essenziali), fu approvato e nei mesi successivi ricevetti una richiesta di scrivere un progetto per richiedere alla regione Marche un co-finanziamento su una attività di ricerca che si sarebbe affiancata a DigiMarche. Insieme ai colleghi del LaRiCA scrivemmo un progetto intitolato eloquentemente “TV digitale terrestre e contenuto generato dagli utenti”.

L’idea alla base della nostra proposta tendeva a ribaltare il classico schema top-bottom che vede la pubblica amministrazione come erogatore di servizi ed il cittadino come consumatore passivo. Si trattava di immaginare e verificare l’effettiva esigenza da parte dei cittadini di servizi che mettessero i singoli utenti in grado di conversare fra di loro e con la pubblica amministrazione.

Il nostro progetto fu ammesso a co-finanziamento e oggi a distanza di oltre tre anni dalla stesura (il progetto è biennale ma ci sono stati tempi lunghi perché partisse effettivamente) ho completato il report di ricerca che rende conto del risultato del nostro lavoro.

La prima cosa da dire è che lavorare sull’impatto sociale delle tecnologie con questi tempi è estremamente difficile. L’evoluzione alla quale stiamo assistendo può decretare il successo o il fallimento di una tecnologia nello spazio di pochissimo tempo e scegliere di impiegare tempo e risorse sulla tecnologia sbagliata può costare caro.

Non so cosa avrei scritto in un report di ricerca sul digitale terrestre datato dicembre 2008 se nel lontano 2005 non avessimo avuto la felice intuizione di puntare sui contenuti generati dagli utenti. Questo ci ha consentito di ampliare la visione oltre la tecnologia del digitale terrestre (che già allora ci sembrava evidentemente non promettere bene) e di approcciare alla questione in modo originale introducendo l’idea dei contenuti generati dagli utenti.

Potrei dilungarmi su come la decisione presa a livello nazionale di investire sul digitale terrestre si sia rivelata disastrosa e di come avremmo potuto spendere meglio quei soldi supportando le pubbliche amministrazioni a sviluppare progetti e servizi su Internet o incentivando l’accesso alla rete da parte delle famiglie italiane (lo sapete già che siamo agli ultimi posti in Europa per tasso di penetrazione di Internet nelle case secondo gli ultimi dati Eurostat, no?).

Rileggere oggi le due paginette iniziali dell’opuscolo realizzato dal CNIPA nel maggio 2005 per annunciare l’elenco dei progetti ammessi a co-finanziamento dovrebbe servire da monito per il futuro.

Il “fervore positivista” sul “t-government” (non cercate questo lemma su wikipedia inglese perché non esiste) era tutto basato sull’ipotesi che i “cittadini non esperti di informatica che utilizzano la TV e non hanno messo le mani su un computer” potessero scoprire nel set-top-box e relativo telecomando del digitale terrestre un canale alternativo allo sportello tradizionale per fruire dei servizi della Pubblica Amministrazione.

Purtroppo già nello stesso report commissionato dal CNIPA all’Istituto Piepoli e presentato nel maggio 2006 si intuiva che le cose non stavano andando esattamente per il verso giusto.

La televisione digitale terrestre si attestava ad una percentuale di penetrazione del 10% superata sia dalla televisione satellitare (al 15%) che, nettamente, da Internet (al 38% da casa o lavoro). I servizi della Pubblica Amministrazione offerta attraverso il digitale terrestre erano conosciuti dal 44% degli utilizzatori ma usati solo dal 2% di essi. Solo il 10% degli utilizzatori dei digitale terrestre chiedevano di poter fruire di altri servizi interattivi.

I dati che abbiamo rilevato nelle nostre indagini mostrano che dal 2006 il digitale terrestre si è sicuramente diffuso in modo maggiore e si attesta oggi fra il 26,2 ed il 25,4% raggiungendo la diffusione della televisione satellitare. Cresce molto anche l’accesso a Internet da casa che è stato riscontrato nel nostro campione in oltre il 50% dei casi.

Quello che tuttavia colpisce è lo scarso utilizzo dei servizi interattivi che riguarda il 24% dei possessori di decoder DVB-T contro il 30% riscontrato nel 2006 (le tipologie d’uso rimangono invece simili con in testa i servizi informativi). Anche in relazione alla domanda  specifica che chiedeva di stimare il vantaggio di usare i servizi della PA attraverso digitale terrestre, Internet e cellulare al posto dello sportello tradizionale, si nota come Internet sia lo strumento che sembra offrire, a parere degli intervistati, un maggiore vantaggio.

Vantaggio percepito sull'uso dei canali alternativi allo sportello tradizionale per accedere ai servizi della PA
Vantaggio percepito sull'uso dei canali alternativi allo sportello tradizionale per accedere ai servizi della PA

Appare inoltre sfatato il mito secondo il quale i soggetti più anziani e con più bassa scolarità possano essere interessati ai servizi interattivi attraverso il digitale terrestre. Nelle fasce di età 50-59 e 60 e oltre la percentuale di utenti del digitale terrestre che ha fatto uso dei servizi interattivi si attesta abbondantemente sotto la media rispettivamente al 12,8 e al 12%. Fra chi ha una licenza elementare solo il 5% ha fatto uso di servizi interattivi su digitale terrestre.

Distinzioni analoghe possono essere notate in relazione all’uso attivo di Internet (creazione di blog e pubblicazioni di video e foto) dove il tasso di scolarità e l’età incidono pesantemente non solo sul possesso dell’accesso a Internet ma anche sulle modalità di utilizzo.

Dunque il gap fra networked citizens e couch potatoes citizens esiste ma appare essere imputabile più ad aspetti culturali che tecnologici. Al di là dei pur utili servizi che la PA può rendere disponibile attraverso canali alternativi allo sportello tradizionale, quello su cui appare più urgente lavorare è questo gap culturale.

Qui non si tratta più semplicemente di offrire servizi veicolandoli su un canale piuttosto che un altro. Si tratta di ripensare il rapporto con i cittadini secondo una logica maggiormente ispirata dal bottom-up. Si tratta di aprire e saper portare avanti una conversazione che con il tempo aiuterà a modificare quella forma di distacco fra cittadini ed istituzioni che è palpabile in Italia come e forse più che in altre nazioni del mondo.

La sfida del futuro sarà dunque quella di includere la maggior parte di cittadini in questa conversazioni avendo cura che nessuno ne resti fuori per carenze culturali o peggio di accesso alla tecnologia. In questo senso è cruciale combattere accanto al ben noto divario digitale anche quello culturale, individuato per primo dallo studioso americano Henry Jenkins. Si tratta del divario che porta alcuni strati della popolazione ad essere fruitori passivi di contenuti anche quando le condizioni tecnologiche rendono possibile una forma di attività a basso costo e scarse barriere all’accesso.

Il rapporto di ricerca si conclude con il suggerimento di osservare con attenzione quanto sta avvenendo oltre oceano e contiene un’analisi dei servizi interattivi offerti dal sito della transizione del presidente eletto degli Stati Uniti.

What's next #14: quattro proprietà, tre dinamiche ad un embargo

danah boyd sceglie una modalità apparentemente inconsueta per pubblicare la sua tesi di dottorato. Prendendo come spunto questo episodio ci si interroga su cosa cambia per il ricercatore nell’era dei networked publics.danah boyd sceglie una modalità apparentemente inconsueta per pubblicare la sua tesi di dottorato. Prendendo come spunto questo episodio ci si interroga su cosa cambia per il ricercatore nell’era dei networked publics.danah boyd sceglie una modalità apparentemente inconsueta per pubblicare la sua tesi di dottorato. Prendendo come spunto questo episodio ci si interroga su cosa cambia per il ricercatore nell’era dei networked publics.

Come forse saprete danah boyd ha conseguito la scorsa settimana  il suo dottorato in Information Management and Systems presso la School of Information di Berkeley in California.
Quello che sta facendo questa ragazza nata nel 1977 è ridefinire il modo di essere un ricercatore ai tempi di Internet.
Mi sarebbe piaciuto parlare in questo articolo delle impressioni a caldo sulla lettura della sua tesi di dottorato che ha gentilmente inviato a tutti i suoi contatti twitter che ne abbiano fatto richiesta in tempo utile. Mi sarebbe piaciuto ma non posso farlo perché l’autrice ha chiesto nel messaggio che accompagna il pdf della sua tesi di non parlarne in pubblico prima del 20 gennaio (data prevista del suo ritorno dalle vacanze e completamento del trasloco a Boston). Dopo quella data, danah pubblicherà sul suo blog sotto licenza Creative Commons’ Attribution-NonCommercial-NoDerivs License, version 3.0 la sua tesi aprendo il dibattito pubblico che con tutta probabilità le consentirà di raccogliere preziose indicazioni per trasformare la tesi in una pubblicazione.
Non potendo entrare nello specifico del lavoro, mi piace l’idea di partire da questo episodio per proporre alcune riflessioni su come cambia il ruolo del ricercatore in relazione al pubblico di rete. Osservando con attenzione la presenza web di danah boyd si può notare come nulla sia lasciato al caso.  In generale la sua identità pubblica è, come spiega lei stessa nella pagina dell’autobiografia, il frutto di un’attenzione quasi maniacale ai dettagli. Come direbbe lei citando Goffmann la sua presenza in rete (ma non solo) è frutto di un attento lavoro di impression management. Alla base c’è un’idea semplice e precisa di identità e non è un caso che, in fondo, sia proprio questo l’oggetto dei suoi studi fin dai tempi della sua tesi di master Faceted Id/entity: Managing representation in a digital world.

Social interaction is a negotiation of identities between people in a given environment. One’s identity is comprised of both a personal internal identity and a public social identity. As people engage socially, they project aspects of their internal identity into a social identity for others to perceive. Based on the situation, people only present a particular facet of their internal identity for consideration. Depending on their own need to self-monitor, an individual manages what is to be seen dependent on the environment, thereby creating a social performance where they offer different faces to convey different facets of their identity. The goal of such monitoring is to manage the impressions that others might perceive, to convey the appropriate information at the appropriate time.
In order to assess what is appropriate, people draw from situational and interpersonal contextual cues. By understanding the social implication of context cues and perceiving the reactions presented by others, an individual is given social feedback to adjust their behavior to fit the situation in the hopes of being perceived in the desired light. As people engage socially, they are continually drawing from their own experiences to perceive others and the environment and presenting aspects of their identity that they deem appropriate to the situation. Yet, this negotiation occurs with little conscious effort. (danah boyd, Faceted Id/entity :: Introduction, p. 12)

Ovviamente il modo di (1) esprimere la propria identità pubblica, (2) reperire gli indizi contestuali e (3) interpretarli per ri-definire la propria identità pubblica cambiano quando tutto questo avviene in un contesto mediato da Internet. Diventa necessario tenere presenti caratteristiche proprie di questo spazio.
Un ricercatore tradizionale ha di solito due momenti durante i quali si confronta con il pubblico: le pubblicazioni e le conferenze. In entrambi i casi il pubblico con il quale ci si confronta è un pubblico di esperti variamente costituito da colleghi che hanno maggiore o minore esperienza della tua. Parlare su Internet delle proprie ricerche significa aprire un confronto con un pubblico più vasto che tuttavia, specie in un settore come quello dei nuovi media, può mostrare competenze e capacità di esprimere preziose critiche pari o maggiori rispetto al pubblico degli esperti accademici tradizionali.
Durante le conferenze e dopo aver pubblicato un saggio in una rivista o un libro è possibile cogliere nelle reazioni del pubblico degli spettatori e dei lettori con cui si avrà la fortuna di entrare in contatto indicazioni sul contenuto e sulla forma della presentazione del lavoro ed incorporare queste osservazioni, se lo si desidera, nei successivi lavori.
Il mondo della ricerca si fonda su questo feedback sociale di taglio accademico che come in altri casi subisce profonde modifiche in presenza dei pubblici di rete.
1.      Il basso costo di accesso, di produzione e la teoria della coda lunga hanno praticamente estinto il ruolo di filtro delle case editrici. Inoltre oggi chiunque può pubblicare usando appositi servizi web un saggio o un libro (eventualmente anche con codici ISSN o ISBN) anche senza passare da una casa editrice tradizionale;
2.      I tempi tecnici per pubblicare un articolo in una rivista internazionale con referee variano da alcuni mesi ad oltre un anno. Questi tempi sono del tutto inadatti a chi scrive articoli che riguardano le tecnologie a causa della rapida evoluzione di questo settore;
3.      Sia i contenuti pubblicati in rete che quelli pubblicati passando attraverso i filtri tradizionali sono ricercabili attraverso i tradizionali canali di ricerca o usando specifici servizi di ricerca dedicati al mondo accademico (Google Book Search, Google Scholar, CiteULike);
4.      Esistono strumenti per rintracciare automaticamente e spesso in tempo reale tutte i contenuti pubblicati che parlano di uno nostro contenuto (ovvero ci citano) come Google Book Search, Google Scholar, Google Blog Search, Technorati, Liquida, Wikio;
5.      Esistono licenze come Creative Commons che consentono di proteggere i diritti sul proprio lavoro in modo più flessibile rispetto a quanto non facciano le case editrici tradizionali alle quali spesso concediamo inconsapevolmente i diritti sui contenuti che noi produciamo e pubblichiamo;
6.      Le conferenze, pur rimanendo fondamentali momenti per conoscere di persona i colleghi e sviluppare relazioni, sono sempre più spesso deludenti dal punto di vista dei contenuti come può essere lo SMAU per chi legge Engadget;
7.      Attraverso un lettore di feed RSS o un sito di social network (dedicato come ResearchGate o non come Linkedin o Facebook) è possibile rimanere in contatto (ed aggiornati sul loro lavoro) con colleghi che è difficile incontrare di persona a causa di impegni o distanze fisiche;
8.      Quasi tutte le riviste internazionali consentono di utilizzare i feed RSS per ricevere, appena pubblicati, gli articoli contenuti nell’ultima issue. Inoltre grazie all’ingegno di qualcuno è possibile creare ed abbonarsi ad un feed RSS di una ricerca di Google Scholar il che significa in pratica poter essere informati in tempo reale della pubblicazioni di un articolo sul tema che stiamo studiando;
9.      Accettare di pubblicare i propri contenuti online significa, al pari di ogni altra forma di pubblicazione, aprire una conversazione. Quando la conversazione è aperta bisogna mettere in conto che si riceveranno critiche (fondate o meno che siano). Quanto più i contenuti che pubblicate saranno visibili, tanto più alta sarà la possibilità di ricevere critiche (che poi è lo scopo per cui uno pubblica in modo da ricevere il feedback necessario a migliorarsi);
10.  Pubblicando i propri contenuti in rete ci si espone ad un pubblico più vasto ed eterogeneo della comunità accademica. Diversi strumenti possono essere dedicati ad un diverso pubblico (blog per il pubblico più vasto, twitter per i fan, facebook per gli amici). In ogni caso la relazione che voi stessi avete deciso di aprire con questo più vasto pubblico è da pari a pari. Per tutte queste ragioni è importante comprendere che aprire un blog o una presenza in rete comporta delle conseguenze che, se non si è pronti a gestire, possono essere ben peggiori dei vantaggi che si intende ottenere.
Adesso dovrebbe essere più chiaro il senso di questo messaggio.

L'embargo di danah
L'embargo di danah

P.S. Le mie riflessioni sul contenuto della tesi di danah boyd (titolo Taken Out of Context. American Teen Sociality in Networked Publics) saranno pubblicate in una edizione speciale di What’s next appena avrò il benestare dell’autrice.

Come forse saprete danah boyd ha conseguito la scorsa settimana  il suo dottorato in Information Management and Systems presso la School of Information di Berkeley in California.

Quello che sta facendo questa ragazza nata nel 1977 è ridefinire il modo di essere un ricercatore ai tempi di Internet.

Mi sarebbe piaciuto parlare in questo articolo delle impressioni a caldo sulla lettura della sua tesi di dottorato che ha gentilmente inviato a tutti i suoi contatti twitter che ne abbiano fatto richiesta in tempo utile. Mi sarebbe piaciuto ma non posso farlo perché l’autrice ha chiesto nel messaggio che accompagna il pdf della sua tesi di non parlarne in pubblico prima del 20 gennaio (data prevista del suo ritorno dalle vacanze e completamento del trasloco a Boston). Dopo quella data, danah pubblicherà sul suo blog sotto licenza Creative Commons’ Attribution-NonCommercial-NoDerivs License, version 3.0 la sua tesi aprendo il dibattito pubblico che con tutta probabilità le consentirà di raccogliere preziose indicazioni per trasformare la tesi in una pubblicazione.

Non potendo entrare nello specifico del lavoro, mi piace l’idea di partire da questo episodio per proporre alcune riflessioni su come cambia il ruolo del ricercatore in relazione al pubblico di rete. Osservando con attenzione la presenza web di danah boyd si può notare come nulla sia lasciato al caso.  In generale la sua identità pubblica è, come spiega lei stessa nella pagina dell’autobiografia, il frutto di un’attenzione quasi maniacale ai dettagli. Come direbbe lei citando Goffmann la sua presenza in rete (ma non solo) è frutto di un attento lavoro di impression management. Alla base c’è un’idea semplice e precisa di identità e non è un caso che, in fondo, sia proprio questo l’oggetto dei suoi studi fin dai tempi della sua tesi di master Faceted Id/entity: Managing representation in a digital world.

Social interaction is a negotiation of identities between people in a given environment. One’s identity is comprised of both a personal internal identity and a public social identity. As people engage socially, they project aspects of their internal identity into a social identity for others to perceive. Based on the situation, people only present a particular facet of their internal identity for consideration. Depending on their own need to self-monitor, an individual manages what is to be seen dependent on the environment, thereby creating a social performance where they offer different faces to convey different facets of their identity. The goal of such monitoring is to manage the impressions that others might perceive, to convey the appropriate information at the appropriate time.

In order to assess what is appropriate, people draw from situational and interpersonal contextual cues. By understanding the social implication of context cues and perceiving the reactions presented by others, an individual is given social feedback to adjust their behavior to fit the situation in the hopes of being perceived in the desired light. As people engage socially, they are continually drawing from their own experiences to perceive others and the environment and presenting aspects of their identity that they deem appropriate to the situation. Yet, this negotiation occurs with little conscious effort. (danah boyd, Faceted Id/entity :: Introduction, p. 12)

Ovviamente il modo di (1) esprimere la propria identità pubblica, (2) reperire gli indizi contestuali e (3) interpretarli per ri-definire la propria identità pubblica cambiano quando tutto questo avviene in un contesto mediato da Internet. Diventa necessario tenere presenti caratteristiche proprie di questo spazio.

Un ricercatore tradizionale ha di solito due momenti durante i quali si confronta con il pubblico: le pubblicazioni e le conferenze. In entrambi i casi il pubblico con il quale ci si confronta è un pubblico di esperti variamente costituito da colleghi che hanno maggiore o minore esperienza della tua. Parlare su Internet delle proprie ricerche significa aprire un confronto con un pubblico più vasto che tuttavia, specie in un settore come quello dei nuovi media, può mostrare competenze e capacità di esprimere preziose critiche pari o maggiori rispetto al pubblico degli esperti accademici tradizionali.

Durante le conferenze e dopo aver pubblicato un saggio in una rivista o un libro è possibile cogliere nelle reazioni del pubblico degli spettatori e dei lettori con cui si avrà la fortuna di entrare in contatto indicazioni sul contenuto e sulla forma della presentazione del lavoro ed incorporare queste osservazioni, se lo si desidera, nei successivi lavori.

Il mondo della ricerca si fonda su questo feedback sociale di taglio accademico che come in altri casi subisce profonde modifiche in presenza dei pubblici di rete.

1.      Il basso costo di accesso, di produzione e la teoria della coda lunga hanno praticamente estinto il ruolo di filtro delle case editrici. Inoltre oggi chiunque può pubblicare usando appositi servizi web un saggio o un libro (eventualmente anche con codici ISSN o ISBN) anche senza passare da una casa editrice tradizionale;

2.      I tempi tecnici per pubblicare un articolo in una rivista internazionale con referee variano da alcuni mesi ad oltre un anno. Questi tempi sono del tutto inadatti a chi scrive articoli che riguardano le tecnologie a causa della rapida evoluzione di questo settore;

3.      Sia i contenuti pubblicati in rete che quelli pubblicati passando attraverso i filtri tradizionali sono ricercabili attraverso i tradizionali canali di ricerca o usando specifici servizi di ricerca dedicati al mondo accademico (Google Book Search, Google Scholar, CiteULike);

4.      Esistono strumenti per rintracciare automaticamente e spesso in tempo reale tutte i contenuti pubblicati che parlano di uno nostro contenuto (ovvero ci citano) come Google Book Search, Google Scholar, Google Blog Search, Technorati, Liquida, Wikio;

5.      Esistono licenze come Creative Commons che consentono di proteggere i diritti sul proprio lavoro in modo più flessibile rispetto a quanto non facciano le case editrici tradizionali alle quali spesso concediamo inconsapevolmente i diritti sui contenuti che noi produciamo e pubblichiamo;

6.      Le conferenze, pur rimanendo fondamentali momenti per conoscere di persona i colleghi e sviluppare relazioni, sono sempre più spesso deludenti dal punto di vista dei contenuti come può essere lo SMAU per chi legge Engadget;

7.      Attraverso un lettore di feed RSS o un sito di social network (dedicato come ResearchGate o non come Linkedin o Facebook) è possibile rimanere in contatto (ed aggiornati sul loro lavoro) con colleghi che è difficile incontrare di persona a causa di impegni o distanze fisiche;

8.      Quasi tutte le riviste internazionali consentono di utilizzare i feed RSS per ricevere, appena pubblicati, gli articoli contenuti nell’ultima issue. Inoltre grazie all’ingegno di qualcuno è possibile creare ed abbonarsi ad un feed RSS di una ricerca di Google Scholar il che significa in pratica poter essere informati in tempo reale della pubblicazioni di un articolo sul tema che stiamo studiando;

9.      Accettare di pubblicare i propri contenuti online significa, al pari di ogni altra forma di pubblicazione, aprire una conversazione. Quando la conversazione è aperta bisogna mettere in conto che si riceveranno critiche (fondate o meno che siano). Quanto più i contenuti che pubblicate saranno visibili, tanto più alta sarà la possibilità di ricevere critiche (che poi è lo scopo per cui uno pubblica in modo da ricevere il feedback necessario a migliorarsi);

10.  Pubblicando i propri contenuti in rete ci si espone ad un pubblico più vasto ed eterogeneo della comunità accademica. Diversi strumenti possono essere dedicati ad un diverso pubblico (blog per il pubblico più vasto, twitter per i fan, facebook per gli amici). In ogni caso la relazione che voi stessi avete deciso di aprire con questo più vasto pubblico è da pari a pari. Per tutte queste ragioni è importante comprendere che aprire un blog o una presenza in rete comporta delle conseguenze che, se non si è pronti a gestire, possono essere ben peggiori dei vantaggi che si intende ottenere.

Adesso dovrebbe essere più chiaro il senso di questo messaggio.

L'embargo di danah
L'embargo di danah

P.S. Le mie riflessioni sul contenuto della tesi di danah boyd (titolo Taken Out of Context. American Teen Sociality in Networked Publics) saranno pubblicate in una edizione speciale di What’s next appena avrò il benestare dell’autrice.

Come forse saprete danah boyd ha conseguito la scorsa settimana  il suo dottorato in Information Management and Systems presso la School of Information di Berkeley in California.

Quello che sta facendo questa ragazza nata nel 1977 è ridefinire il modo di essere un ricercatore ai tempi di Internet.

Mi sarebbe piaciuto parlare in questo articolo delle impressioni a caldo sulla lettura della sua tesi di dottorato che ha gentilmente inviato a tutti i suoi contatti twitter che ne abbiano fatto richiesta in tempo utile. Mi sarebbe piaciuto ma non posso farlo perché l’autrice ha chiesto nel messaggio che accompagna il pdf della sua tesi di non parlarne in pubblico prima del 20 gennaio (data prevista del suo ritorno dalle vacanze e completamento del trasloco a Boston). Dopo quella data, danah pubblicherà sul suo blog sotto licenza Creative Commons’ Attribution-NonCommercial-NoDerivs License, version 3.0 la sua tesi aprendo il dibattito pubblico che con tutta probabilità le consentirà di raccogliere preziose indicazioni per trasformare la tesi in una pubblicazione.

Non potendo entrare nello specifico del lavoro, mi piace l’idea di partire da questo episodio per proporre alcune riflessioni su come cambia il ruolo del ricercatore in relazione al pubblico di rete. Osservando con attenzione la presenza web di danah boyd si può notare come nulla sia lasciato al caso.  In generale la sua identità pubblica è, come spiega lei stessa nella pagina dell’autobiografia, il frutto di un’attenzione quasi maniacale ai dettagli. Come direbbe lei citando Goffmann la sua presenza in rete (ma non solo) è frutto di un attento lavoro di impression management. Alla base c’è un’idea semplice e precisa di identità e non è un caso che, in fondo, sia proprio questo l’oggetto dei suoi studi fin dai tempi della sua tesi di master Faceted Id/entity: Managing representation in a digital world.

Social interaction is a negotiation of identities between people in a given environment. One’s identity is comprised of both a personal internal identity and a public social identity. As people engage socially, they project aspects of their internal identity into a social identity for others to perceive. Based on the situation, people only present a particular facet of their internal identity for consideration. Depending on their own need to self-monitor, an individual manages what is to be seen dependent on the environment, thereby creating a social performance where they offer different faces to convey different facets of their identity. The goal of such monitoring is to manage the impressions that others might perceive, to convey the appropriate information at the appropriate time.

In order to assess what is appropriate, people draw from situational and interpersonal contextual cues. By understanding the social implication of context cues and perceiving the reactions presented by others, an individual is given social feedback to adjust their behavior to fit the situation in the hopes of being perceived in the desired light. As people engage socially, they are continually drawing from their own experiences to perceive others and the environment and presenting aspects of their identity that they deem appropriate to the situation. Yet, this negotiation occurs with little conscious effort. (danah boyd, Faceted Id/entity :: Introduction, p. 12)

Ovviamente il modo di (1) esprimere la propria identità pubblica, (2) reperire gli indizi contestuali e (3) interpretarli per ri-definire la propria identità pubblica cambiano quando tutto questo avviene in un contesto mediato da Internet. Diventa necessario tenere presenti caratteristiche proprie di questo spazio.

Un ricercatore tradizionale ha di solito due momenti durante i quali si confronta con il pubblico: le pubblicazioni e le conferenze. In entrambi i casi il pubblico con il quale ci si confronta è un pubblico di esperti variamente costituito da colleghi che hanno maggiore o minore esperienza della tua. Parlare su Internet delle proprie ricerche significa aprire un confronto con un pubblico più vasto che tuttavia, specie in un settore come quello dei nuovi media, può mostrare competenze e capacità di esprimere preziose critiche pari o maggiori rispetto al pubblico degli esperti accademici tradizionali.

Durante le conferenze e dopo aver pubblicato un saggio in una rivista o un libro è possibile cogliere nelle reazioni del pubblico degli spettatori e dei lettori con cui si avrà la fortuna di entrare in contatto indicazioni sul contenuto e sulla forma della presentazione del lavoro ed incorporare queste osservazioni, se lo si desidera, nei successivi lavori.

Il mondo della ricerca si fonda su questo feedback sociale di taglio accademico che come in altri casi subisce profonde modifiche in presenza dei pubblici di rete.

1.      Il basso costo di accesso, di produzione e la teoria della coda lunga hanno praticamente estinto il ruolo di filtro delle case editrici. Inoltre oggi chiunque può pubblicare usando appositi servizi web un saggio o un libro (eventualmente anche con codici ISSN o ISBN) anche senza passare da una casa editrice tradizionale;

2.      I tempi tecnici per pubblicare un articolo in una rivista internazionale con referee variano da alcuni mesi ad oltre un anno. Questi tempi sono del tutto inadatti a chi scrive articoli che riguardano le tecnologie a causa della rapida evoluzione di questo settore;

3.      Sia i contenuti pubblicati in rete che quelli pubblicati passando attraverso i filtri tradizionali sono ricercabili attraverso i tradizionali canali di ricerca o usando specifici servizi di ricerca dedicati al mondo accademico (Google Book Search, Google Scholar, CiteULike);

4.      Esistono strumenti per rintracciare automaticamente e spesso in tempo reale tutte i contenuti pubblicati che parlano di uno nostro contenuto (ovvero ci citano) come Google Book Search, Google Scholar, Google Blog Search, Technorati, Liquida, Wikio;

5.      Esistono licenze come Creative Commons che consentono di proteggere i diritti sul proprio lavoro in modo più flessibile rispetto a quanto non facciano le case editrici tradizionali alle quali spesso concediamo inconsapevolmente i diritti sui contenuti che noi produciamo e pubblichiamo;

6.      Le conferenze, pur rimanendo fondamentali momenti per conoscere di persona i colleghi e sviluppare relazioni, sono sempre più spesso deludenti dal punto di vista dei contenuti come può essere lo SMAU per chi legge Engadget;

7.      Attraverso un lettore di feed RSS o un sito di social network (dedicato come ResearchGate o non come Linkedin o Facebook) è possibile rimanere in contatto (ed aggiornati sul loro lavoro) con colleghi che è difficile incontrare di persona a causa di impegni o distanze fisiche;

8.      Quasi tutte le riviste internazionali consentono di utilizzare i feed RSS per ricevere, appena pubblicati, gli articoli contenuti nell’ultima issue. Inoltre grazie all’ingegno di qualcuno è possibile creare ed abbonarsi ad un feed RSS di una ricerca di Google Scholar il che significa in pratica poter essere informati in tempo reale della pubblicazioni di un articolo sul tema che stiamo studiando;

9.      Accettare di pubblicare i propri contenuti online significa, al pari di ogni altra forma di pubblicazione, aprire una conversazione. Quando la conversazione è aperta bisogna mettere in conto che si riceveranno critiche (fondate o meno che siano). Quanto più i contenuti che pubblicate saranno visibili, tanto più alta sarà la possibilità di ricevere critiche (che poi è lo scopo per cui uno pubblica in modo da ricevere il feedback necessario a migliorarsi);

10.  Pubblicando i propri contenuti in rete ci si espone ad un pubblico più vasto ed eterogeneo della comunità accademica. Diversi strumenti possono essere dedicati ad un diverso pubblico (blog per il pubblico più vasto, twitter per i fan, facebook per gli amici). In ogni caso la relazione che voi stessi avete deciso di aprire con questo più vasto pubblico è da pari a pari. Per tutte queste ragioni è importante comprendere che aprire un blog o una presenza in rete comporta delle conseguenze che, se non si è pronti a gestire, possono essere ben peggiori dei vantaggi che si intende ottenere.

Adesso dovrebbe essere più chiaro il senso di questo messaggio.

L'embargo di danah
L'embargo di danah

P.S. Le mie riflessioni sul contenuto della tesi di danah boyd (titolo Taken Out of Context. American Teen Sociality in Networked Publics) saranno pubblicate in una edizione speciale di What’s next appena avrò il benestare dell’autrice.

What's next #13: Cosa uso, come e perchè ovvero me, myself and the networked publics

La disponibilità di alternative è sempre positiva ma le scelta a volte non sono semplici ed impattano il nostro futuro. Questo vale sempre anche quando si tratta di scegliere quali software usare e come farlo 🙂La disponibilità di alternative è sempre positiva ma le scelta a volte non sono semplici ed impattano il nostro futuro. Questo vale sempre anche quando si tratta di scegliere quali software usare e come farlo 🙂La disponibilità di alternative è sempre positiva ma le scelta a volte non sono semplici ed impattano il nostro futuro. Questo vale sempre anche quando si tratta di scegliere quali software usare e come farlo 🙂


Da alcuni (in certi casi parecchi) mesi a questa parte ho modificato in modo sostanziale l’uso che faccio di alcuni strumenti del web ed in particolare dei social media.
Ho pensato dunque, visto che fine anno è tradizionalmente tempo di bilanci, di condividere in questo post alcune scelte che ho fatto allo scopo sia di suggerire soluzioni a problemi comuni, sia di ricevere commenti e suggerimenti su altri tools che non conosco o su come aumentare l’efficacia di quelli che utilizzo.

Device che uso

  • Un computer desktop a casa con Windows Vista;
  • Un notebook con Windows XP;
  • Nintendo Wii;
  • Uno smartphone HTC Touch Cruise.

Connessione a Internet

  • A casa ho un ADSL solo dati con NGI (F5 7M/384k);
  • In ufficio uso ovviamente la rete di uniurb;
  • In mobilità uso una connessione WIND con opzione Mega No Limit (di cui sfrutto circa il 25% del traffico/mese cosa che mi spingerebbe a passare ad una delle altre due offerte a volume più economiche se questo non fosse impedito esplicitamente a chi ha Mega No Limit).

Sincronizzazione file

Usando due computer c’è sempre il problema di avere i file sincronizzati. Ho optato da qualche tempo per l’uso di Groove. Ho una cartella chiamata My LaRiCA con tutti i miei file che si sincronizza automaticamente ogni volta che qualcosa viene modificato.
Ho attivato in via sperimentale fino a gennaio anche Live Mesh (beta) che sembra per diverse ragioni meglio di Groove.

Posta elettronica

Sono passato da Outlook 2007 a Gmail. Non uso più la posta in modalità offline e non ne ho mai sentito la necessità (tranne forse qualche volta all’estero). Outlook è comunque configurato su entrambi i computer per sincronizzarsi via IMAP con Gmail in modo tale che le rare volte che lo apro copia in locale i miei messaggi.
Poiché la mia università ha un sistema di web mail penoso ho impostato Gmail per scaricare automaticamente i messaggi da questo account. Poiché al tempo stesso avevo necessità di inviare email con il mio indirizzo @uniurb.it ho impostato Gmail per inviare le email di default da quell’indirizzo. Non ho altri indirizzi email ma se li avessi li farei convergere tutti su Gmail.
Sullo smartphone ho configurato il client con protocollo IMAP e posso ricevere e spedire dal dispositivo mobile con la certezza che tutto viene poi sincronizzato su Gmail.
Uso Gmail secondo la sua logica cercando di mantenere l’inbox il più possibile vuota lasciandovi solo i messaggi in lavorazione o quelli che contengono informazioni importanti (biglietti aerei, indirizzi, etc.) contrassegnandoli con le Superstars di Gmail Lab.

Calendario

Anche qui da Outlook 2007 a Google Calendar. La cosa più complicata e che mi crea ancora problemi è la sincronizzazione con lo smartphone che funzionava tanto bene con Exchange. Dopo diverse prove ho optato per usare Plaxo (la versione a pagamento) che consente la sincronizzazione dei calendari anche da smartphone (usando la piattaforma Funambol). Pur funzionando non sono molto soddisfatto di questa soluzione (eventi duplicati e problemi di sync con il client mobile) ma forse dovrei dedicare un po’ di tempo a scegliere meglio i settaggi.
Ho anche installato il Google Calendar gadget di Gmail Lab.

Contatti

Da Outlook 2007 a Plaxo sincronizzato con lo smartphone spiegato sopra. Mi piacerebbe sincronizzare a due vie i contatti di Gmail ma Plaxo non supporta questa funzionalità. Al momento i contatti di Gmail vengono importati in Plaxo ma non viceversa.

To do list

Da Outlook 2007 a Remember the Milk in Gmail (con il nuovo Google Gadget x Gmail).

RSS Feed Reader

Da Feedeamon/Newsgator Mobile (sincronizzando Feeddeamon via Newsgator) a Google Reader.

Browser

Uso Firefox con alcuni add on che aggiungono alcune funzionalità che mi piacevano viste in Google Chrome.

Messaggistica Istantanea

Uso Digsby e Skype (sperando che prima o poi esca qualcosa come Skype ma su un protocollo aperto che possa essere integrato in Digsby o Pidgin).

Academic reference management software

Sono passato da Endnote a Zotero. Zotero è free, web based e supporta la sincronizzazione fra diverse installazioni quindi non c’era storia. Se scrivete articoli accademici e non usate un programma tipo questi è arrivato decisamente il momento di farlo.

Siti di Social network

L’uso che faccio dei vari siti di social network dipende da un complesso mix di funzionalità del sito e pubblico di riferimento. Poiché entrambi cambiano velocemente modifico spesso anche le mie strategie di scelta. Inoltre il pubblico della rete è sempre indistinto anche quando pensi di conoscerlo. Per tutta questa serie di ragioni non è detto che quello che faccio io sia la strategia migliore o che consiglio a qualcuno. Si tratta di sperimentare e trovare il giusto mix sperando che prima o poi esca un sistema definitivo consenta di minimizzare la ridondanza (che comunque in questi sistemi di flusso ha una sua precisa funzione) consentendo di condividere con il gruppo di amici adatto ciascuno contenuto (aggiungo anche che dovrebbe essere bastato su standard aperti).
Al momento uso prevalentemente:

FriendFeed

In FriendFeed converge tutto quello che produco. Dai post del blog ai libri che aggiungo alla wish list di Amazon. Nella mia idea su FriendFeed ci sono prevalentemente i geek per cui riservo a volte a questo spazio le cose più tecnologiche che non sono di interesse né per gli studenti, né per i colleghi del mondo accademico. Quando leggo qualcosa di interessante in Google Reader lo condivido cliccando l’apposito bottoncino e finisce in FriendFeed.

Facebook

Anche in Facebook finisce (via FriendFeed) tutto quello che produco. Quando condivido un link direttamente attraverso Facebook lo faccio con l’idea di rivolgermi ad un pubblico più vasto e generalista rispetto a Twitter o FriendFeed. Ad esempio la gran parte degli studenti ed ex-studenti che conosco sono su Facebook ma il gruppo di quelli più smart è su Twitter e/o FriendFeed.

Twitter

Lo uso quasi esclusivamente quando devo condividere qualcosa che penso sia di interesse per qualcuno che ancora non è su FriendFeed o su Facebook (credo ormai pochissime persone ma è veramente difficile farsi un’idea di chi legge i tuoi tweet per via del asimmetria propria di questo sistema). Ho anche attivato l’opzione di FriendFeed per aggiornare automaticamente Twitter quando aggiungo qualcosa su FF. Ho invece disattivato l’applicazione di Facebook che mi consente di sincronizzare automaticamente gli status update con Twitter perché in realtà non uso quasi mai Twitter per gli status update.

Blip.tv

Lo uso per i video lunghi (lezioni, interviste, seminari, etc.). Offre più opzioni e flessibilità rispetto a Google Video.

Poi uso anche YouTube (molto di rado) e Flickr (che preferisco all’applicazione di Facebook per la condivisione delle foto) più spesso.

E voi cosa usate?

Da alcuni (in certi casi parecchi) mesi a questa parte ho modificato in modo sostanziale l’uso che faccio di alcuni strumenti del web ed in particolare dei social media.

Ho pensato dunque, visto che fine anno è tradizionalmente tempo di bilanci, di condividere in questo post alcune scelte che ho fatto allo scopo sia di suggerire soluzioni a problemi comuni, sia di ricevere commenti e suggerimenti su altri tools che non conosco o su come aumentare l’efficacia di quelli che utilizzo.

Device che uso

  • Un computer desktop a casa con Windows Vista;
  • Un notebook con Windows XP;
  • Nintendo Wii;
  • Uno smartphone HTC Touch Cruise.

Connessione a Internet

  • A casa ho un ADSL solo dati con NGI (F5 7M/384k);
  • In ufficio uso ovviamente la rete di uniurb;
  • In mobilità uso una connessione WIND con opzione Mega No Limit (di cui sfrutto circa il 25% del traffico/mese cosa che mi spingerebbe a passare ad una delle altre due offerte a volume più economiche se questo non fosse impedito esplicitamente a chi ha Mega No Limit).

Sincronizzazione file

Usando due computer c’è sempre il problema di avere i file sincronizzati. Ho optato da qualche tempo per l’uso di Groove. Ho una cartella chiamata My LaRiCA con tutti i miei file che si sincronizza automaticamente ogni volta che qualcosa viene modificato.

Ho attivato in via sperimentale fino a gennaio anche Live Mesh (beta) che sembra per diverse ragioni meglio di Groove.

Posta elettronica

Sono passato da Outlook 2007 a Gmail. Non uso più la posta in modalità offline e non ne ho mai sentito la necessità (tranne forse qualche volta all’estero). Outlook è comunque configurato su entrambi i computer per sincronizzarsi via IMAP con Gmail in modo tale che le rare volte che lo apro copia in locale i miei messaggi.

Poiché la mia università ha un sistema di web mail penoso ho impostato Gmail per scaricare automaticamente i messaggi da questo account. Poiché al tempo stesso avevo necessità di inviare email con il mio indirizzo @uniurb.it ho impostato Gmail per inviare le email di default da quell’indirizzo. Non ho altri indirizzi email ma se li avessi li farei convergere tutti su Gmail.

Sullo smartphone ho configurato il client con protocollo IMAP e posso ricevere e spedire dal dispositivo mobile con la certezza che tutto viene poi sincronizzato su Gmail.

Uso Gmail secondo la sua logica cercando di mantenere l’inbox il più possibile vuota lasciandovi solo i messaggi in lavorazione o quelli che contengono informazioni importanti (biglietti aerei, indirizzi, etc.) contrassegnandoli con le Superstars di Gmail Lab.

Calendario

Anche qui da Outlook 2007 a Google Calendar. La cosa più complicata e che mi crea ancora problemi è la sincronizzazione con lo smartphone che funzionava tanto bene con Exchange. Dopo diverse prove ho optato per usare Plaxo (la versione a pagamento) che consente la sincronizzazione dei calendari anche da smartphone (usando la piattaforma Funambol). Pur funzionando non sono molto soddisfatto di questa soluzione (eventi duplicati e problemi di sync con il client mobile) ma forse dovrei dedicare un po’ di tempo a scegliere meglio i settaggi.

Ho anche installato il Google Calendar gadget di Gmail Lab.

Contatti

Da Outlook 2007 a Plaxo sincronizzato con lo smartphone spiegato sopra. Mi piacerebbe sincronizzare a due vie i contatti di Gmail ma Plaxo non supporta questa funzionalità. Al momento i contatti di Gmail vengono importati in Plaxo ma non viceversa.

To do list

Da Outlook 2007 a Remember the Milk in Gmail (con il nuovo Google Gadget x Gmail).

RSS Feed Reader

Da Feedeamon/Newsgator Mobile (sincronizzando Feeddeamon via Newsgator) a Google Reader.

Browser

Uso Firefox con alcuni add on che aggiungono alcune funzionalità che mi piacevano viste in Google Chrome.

Messaggistica Istantanea

Uso Digsby e Skype (sperando che prima o poi esca qualcosa come Skype ma su un protocollo aperto che possa essere integrato in Digsby o Pidgin).

Academic reference management software

Sono passato da Endnote a Zotero. Zotero è free, web based e supporta la sincronizzazione fra diverse installazioni quindi non c’era storia. Se scrivete articoli accademici e non usate un programma tipo questi è arrivato decisamente il momento di farlo.

Siti di Social network

L’uso che faccio dei vari siti di social network dipende da un complesso mix di funzionalità del sito e pubblico di riferimento. Poiché entrambi cambiano velocemente modifico spesso anche le mie strategie di scelta. Inoltre il pubblico della rete è sempre indistinto anche quando pensi di conoscerlo. Per tutta questa serie di ragioni non è detto che quello che faccio io sia la strategia migliore o che consiglio a qualcuno. Si tratta di sperimentare e trovare il giusto mix sperando che prima o poi esca un sistema definitivo consenta di minimizzare la ridondanza (che comunque in questi sistemi di flusso ha una sua precisa funzione) consentendo di condividere con il gruppo di amici adatto ciascuno contenuto (aggiungo anche che dovrebbe essere bastato su standard aperti).

Al momento uso prevalentemente:

FriendFeed

In FriendFeed converge tutto quello che produco. Dai post del blog ai libri che aggiungo alla wish list di Amazon. Nella mia idea su FriendFeed ci sono prevalentemente i geek per cui riservo a volte a questo spazio le cose più tecnologiche che non sono di interesse né per gli studenti, né per i colleghi del mondo accademico. Quando leggo qualcosa di interessante in Google Reader lo condivido cliccando l’apposito bottoncino e finisce in FriendFeed.

Facebook

Anche in Facebook finisce (via FriendFeed) tutto quello che produco. Quando condivido un link direttamente attraverso Facebook lo faccio con l’idea di rivolgermi ad un pubblico più vasto e generalista rispetto a Twitter o FriendFeed. Ad esempio la gran parte degli studenti ed ex-studenti che conosco sono su Facebook ma il gruppo di quelli più smart è su Twitter e/o FriendFeed.

Twitter

Lo uso quasi esclusivamente quando devo condividere qualcosa che penso sia di interesse per qualcuno che ancora non è su FriendFeed o su Facebook (credo ormai pochissime persone ma è veramente difficile farsi un’idea di chi legge i tuoi tweet per via del asimmetria propria di questo sistema). Ho anche attivato l’opzione di FriendFeed per aggiornare automaticamente Twitter quando aggiungo qualcosa su FF. Ho invece disattivato l’applicazione di Facebook che mi consente di sincronizzare automaticamente gli status update con Twitter perché in realtà non uso quasi mai Twitter per gli status update.

Blip.tv

Lo uso per i video lunghi (lezioni, interviste, seminari, etc.). Offre più opzioni e flessibilità rispetto a Google Video.

Poi uso anche YouTube (molto di rado) e Flickr (che preferisco all’applicazione di Facebook per la condivisione delle foto) più spesso.

E voi cosa usate?

Da alcuni (in certi casi parecchi) mesi a questa parte ho modificato in modo sostanziale l’uso che faccio di alcuni strumenti del web ed in particolare dei social media.

Ho pensato dunque, visto che fine anno è tradizionalmente tempo di bilanci, di condividere in questo post alcune scelte che ho fatto allo scopo sia di suggerire soluzioni a problemi comuni, sia di ricevere commenti e suggerimenti su altri tools che non conosco o su come aumentare l’efficacia di quelli che utilizzo.

Device che uso

  • Un computer desktop a casa con Windows Vista;
  • Un notebook con Windows XP;
  • Nintendo Wii;
  • Uno smartphone HTC Touch Cruise.

Connessione a Internet

  • A casa ho un ADSL solo dati con NGI (F5 7M/384k);
  • In ufficio uso ovviamente la rete di uniurb;
  • In mobilità uso una connessione WIND con opzione Mega No Limit (di cui sfrutto circa il 25% del traffico/mese cosa che mi spingerebbe a passare ad una delle altre due offerte a volume più economiche se questo non fosse impedito esplicitamente a chi ha Mega No Limit).

Sincronizzazione file

Usando due computer c’è sempre il problema di avere i file sincronizzati. Ho optato da qualche tempo per l’uso di Groove. Ho una cartella chiamata My LaRiCA con tutti i miei file che si sincronizza automaticamente ogni volta che qualcosa viene modificato.

Ho attivato in via sperimentale fino a gennaio anche Live Mesh (beta) che sembra per diverse ragioni meglio di Groove.

Posta elettronica

Sono passato da Outlook 2007 a Gmail. Non uso più la posta in modalità offline e non ne ho mai sentito la necessità (tranne forse qualche volta all’estero). Outlook è comunque configurato su entrambi i computer per sincronizzarsi via IMAP con Gmail in modo tale che le rare volte che lo apro copia in locale i miei messaggi.

Poiché la mia università ha un sistema di web mail penoso ho impostato Gmail per scaricare automaticamente i messaggi da questo account. Poiché al tempo stesso avevo necessità di inviare email con il mio indirizzo @uniurb.it ho impostato Gmail per inviare le email di default da quell’indirizzo. Non ho altri indirizzi email ma se li avessi li farei convergere tutti su Gmail.

Sullo smartphone ho configurato il client con protocollo IMAP e posso ricevere e spedire dal dispositivo mobile con la certezza che tutto viene poi sincronizzato su Gmail.

Uso Gmail secondo la sua logica cercando di mantenere l’inbox il più possibile vuota lasciandovi solo i messaggi in lavorazione o quelli che contengono informazioni importanti (biglietti aerei, indirizzi, etc.) contrassegnandoli con le Superstars di Gmail Lab.

Calendario

Anche qui da Outlook 2007 a Google Calendar. La cosa più complicata e che mi crea ancora problemi è la sincronizzazione con lo smartphone che funzionava tanto bene con Exchange. Dopo diverse prove ho optato per usare Plaxo (la versione a pagamento) che consente la sincronizzazione dei calendari anche da smartphone (usando la piattaforma Funambol). Pur funzionando non sono molto soddisfatto di questa soluzione (eventi duplicati e problemi di sync con il client mobile) ma forse dovrei dedicare un po’ di tempo a scegliere meglio i settaggi.

Ho anche installato il Google Calendar gadget di Gmail Lab.

Contatti

Da Outlook 2007 a Plaxo sincronizzato con lo smartphone spiegato sopra. Mi piacerebbe sincronizzare a due vie i contatti di Gmail ma Plaxo non supporta questa funzionalità. Al momento i contatti di Gmail vengono importati in Plaxo ma non viceversa.

To do list

Da Outlook 2007 a Remember the Milk in Gmail (con il nuovo Google Gadget x Gmail).

RSS Feed Reader

Da Feedeamon/Newsgator Mobile (sincronizzando Feeddeamon via Newsgator) a Google Reader.

Browser

Uso Firefox con alcuni add on che aggiungono alcune funzionalità che mi piacevano viste in Google Chrome.

Messaggistica Istantanea

Uso Digsby e Skype (sperando che prima o poi esca qualcosa come Skype ma su un protocollo aperto che possa essere integrato in Digsby o Pidgin).

Academic reference management software

Sono passato da Endnote a Zotero. Zotero è free, web based e supporta la sincronizzazione fra diverse installazioni quindi non c’era storia. Se scrivete articoli accademici e non usate un programma tipo questi è arrivato decisamente il momento di farlo.

Siti di Social network

L’uso che faccio dei vari siti di social network dipende da un complesso mix di funzionalità del sito e pubblico di riferimento. Poiché entrambi cambiano velocemente modifico spesso anche le mie strategie di scelta. Inoltre il pubblico della rete è sempre indistinto anche quando pensi di conoscerlo. Per tutta questa serie di ragioni non è detto che quello che faccio io sia la strategia migliore o che consiglio a qualcuno. Si tratta di sperimentare e trovare il giusto mix sperando che prima o poi esca un sistema definitivo consenta di minimizzare la ridondanza (che comunque in questi sistemi di flusso ha una sua precisa funzione) consentendo di condividere con il gruppo di amici adatto ciascuno contenuto (aggiungo anche che dovrebbe essere bastato su standard aperti).

Al momento uso prevalentemente:

FriendFeed

In FriendFeed converge tutto quello che produco. Dai post del blog ai libri che aggiungo alla wish list di Amazon. Nella mia idea su FriendFeed ci sono prevalentemente i geek per cui riservo a volte a questo spazio le cose più tecnologiche che non sono di interesse né per gli studenti, né per i colleghi del mondo accademico. Quando leggo qualcosa di interessante in Google Reader lo condivido cliccando l’apposito bottoncino e finisce in FriendFeed.

Facebook

Anche in Facebook finisce (via FriendFeed) tutto quello che produco. Quando condivido un link direttamente attraverso Facebook lo faccio con l’idea di rivolgermi ad un pubblico più vasto e generalista rispetto a Twitter o FriendFeed. Ad esempio la gran parte degli studenti ed ex-studenti che conosco sono su Facebook ma il gruppo di quelli più smart è su Twitter e/o FriendFeed.

Twitter

Lo uso quasi esclusivamente quando devo condividere qualcosa che penso sia di interesse per qualcuno che ancora non è su FriendFeed o su Facebook (credo ormai pochissime persone ma è veramente difficile farsi un’idea di chi legge i tuoi tweet per via del asimmetria propria di questo sistema). Ho anche attivato l’opzione di FriendFeed per aggiornare automaticamente Twitter quando aggiungo qualcosa su FF. Ho invece disattivato l’applicazione di Facebook che mi consente di sincronizzare automaticamente gli status update con Twitter perché in realtà non uso quasi mai Twitter per gli status update.

Blip.tv

Lo uso per i video lunghi (lezioni, interviste, seminari, etc.). Offre più opzioni e flessibilità rispetto a Google Video.

Poi uso anche YouTube (molto di rado) e Flickr (che preferisco all’applicazione di Facebook per la condivisione delle foto) più spesso.

E voi cosa usate?