Credo fosse fine marzo del 2005 quando mi fu chiesto di scrivere un progetto di ricerca sul digitale terrestre ed i servizi della pubblica amministrazione. La regione Marche aveva infatti presentato a fine 2004 al CNIPA una richiesta di finanziamento per un progetto finalizzato allo sviluppo di servizi al cittadino attraverso il canale digitale terrestre. Il progetto in questione, battezzato “DigiMarche.dt: Portale regionale dei servizi di t-government” (qui il progetto ed una presentazione che ne descrive gli aspetti essenziali), fu approvato e nei mesi successivi ricevetti una richiesta di scrivere un progetto per richiedere alla regione Marche un co-finanziamento su una attività di ricerca che si sarebbe affiancata a DigiMarche. Insieme ai colleghi del LaRiCA scrivemmo un progetto intitolato eloquentemente “TV digitale terrestre e contenuto generato dagli utenti”.
L’idea alla base della nostra proposta tendeva a ribaltare il classico schema top-bottom che vede la pubblica amministrazione come erogatore di servizi ed il cittadino come consumatore passivo. Si trattava di immaginare e verificare l’effettiva esigenza da parte dei cittadini di servizi che mettessero i singoli utenti in grado di conversare fra di loro e con la pubblica amministrazione.
Il nostro progetto fu ammesso a co-finanziamento e oggi a distanza di oltre tre anni dalla stesura (il progetto è biennale ma ci sono stati tempi lunghi perché partisse effettivamente) ho completato il report di ricerca che rende conto del risultato del nostro lavoro.
La prima cosa da dire è che lavorare sull’impatto sociale delle tecnologie con questi tempi è estremamente difficile. L’evoluzione alla quale stiamo assistendo può decretare il successo o il fallimento di una tecnologia nello spazio di pochissimo tempo e scegliere di impiegare tempo e risorse sulla tecnologia sbagliata può costare caro.
Non so cosa avrei scritto in un report di ricerca sul digitale terrestre datato dicembre 2008 se nel lontano 2005 non avessimo avuto la felice intuizione di puntare sui contenuti generati dagli utenti. Questo ci ha consentito di ampliare la visione oltre la tecnologia del digitale terrestre (che già allora ci sembrava evidentemente non promettere bene) e di approcciare alla questione in modo originale introducendo l’idea dei contenuti generati dagli utenti.
Potrei dilungarmi su come la decisione presa a livello nazionale di investire sul digitale terrestre si sia rivelata disastrosa e di come avremmo potuto spendere meglio quei soldi supportando le pubbliche amministrazioni a sviluppare progetti e servizi su Internet o incentivando l’accesso alla rete da parte delle famiglie italiane (lo sapete già che siamo agli ultimi posti in Europa per tasso di penetrazione di Internet nelle case secondo gli ultimi dati Eurostat, no?).
Rileggere oggi le due paginette iniziali dell’opuscolo realizzato dal CNIPA nel maggio 2005 per annunciare l’elenco dei progetti ammessi a co-finanziamento dovrebbe servire da monito per il futuro.
Il “fervore positivista” sul “t-government” (non cercate questo lemma su wikipedia inglese perché non esiste) era tutto basato sull’ipotesi che i “cittadini non esperti di informatica che utilizzano la TV e non hanno messo le mani su un computer” potessero scoprire nel set-top-box e relativo telecomando del digitale terrestre un canale alternativo allo sportello tradizionale per fruire dei servizi della Pubblica Amministrazione.
Purtroppo già nello stesso report commissionato dal CNIPA all’Istituto Piepoli e presentato nel maggio 2006 si intuiva che le cose non stavano andando esattamente per il verso giusto.
La televisione digitale terrestre si attestava ad una percentuale di penetrazione del 10% superata sia dalla televisione satellitare (al 15%) che, nettamente, da Internet (al 38% da casa o lavoro). I servizi della Pubblica Amministrazione offerta attraverso il digitale terrestre erano conosciuti dal 44% degli utilizzatori ma usati solo dal 2% di essi. Solo il 10% degli utilizzatori dei digitale terrestre chiedevano di poter fruire di altri servizi interattivi.
I dati che abbiamo rilevato nelle nostre indagini mostrano che dal 2006 il digitale terrestre si è sicuramente diffuso in modo maggiore e si attesta oggi fra il 26,2 ed il 25,4% raggiungendo la diffusione della televisione satellitare. Cresce molto anche l’accesso a Internet da casa che è stato riscontrato nel nostro campione in oltre il 50% dei casi.
Quello che tuttavia colpisce è lo scarso utilizzo dei servizi interattivi che riguarda il 24% dei possessori di decoder DVB-T contro il 30% riscontrato nel 2006 (le tipologie d’uso rimangono invece simili con in testa i servizi informativi). Anche in relazione alla domanda specifica che chiedeva di stimare il vantaggio di usare i servizi della PA attraverso digitale terrestre, Internet e cellulare al posto dello sportello tradizionale, si nota come Internet sia lo strumento che sembra offrire, a parere degli intervistati, un maggiore vantaggio.
Appare inoltre sfatato il mito secondo il quale i soggetti più anziani e con più bassa scolarità possano essere interessati ai servizi interattivi attraverso il digitale terrestre. Nelle fasce di età 50-59 e 60 e oltre la percentuale di utenti del digitale terrestre che ha fatto uso dei servizi interattivi si attesta abbondantemente sotto la media rispettivamente al 12,8 e al 12%. Fra chi ha una licenza elementare solo il 5% ha fatto uso di servizi interattivi su digitale terrestre.
Distinzioni analoghe possono essere notate in relazione all’uso attivo di Internet (creazione di blog e pubblicazioni di video e foto) dove il tasso di scolarità e l’età incidono pesantemente non solo sul possesso dell’accesso a Internet ma anche sulle modalità di utilizzo.
Dunque il gap fra networked citizens e couch potatoes citizens esiste ma appare essere imputabile più ad aspetti culturali che tecnologici. Al di là dei pur utili servizi che la PA può rendere disponibile attraverso canali alternativi allo sportello tradizionale, quello su cui appare più urgente lavorare è questo gap culturale.
Qui non si tratta più semplicemente di offrire servizi veicolandoli su un canale piuttosto che un altro. Si tratta di ripensare il rapporto con i cittadini secondo una logica maggiormente ispirata dal bottom-up. Si tratta di aprire e saper portare avanti una conversazione che con il tempo aiuterà a modificare quella forma di distacco fra cittadini ed istituzioni che è palpabile in Italia come e forse più che in altre nazioni del mondo.
La sfida del futuro sarà dunque quella di includere la maggior parte di cittadini in questa conversazioni avendo cura che nessuno ne resti fuori per carenze culturali o peggio di accesso alla tecnologia. In questo senso è cruciale combattere accanto al ben noto divario digitale anche quello culturale, individuato per primo dallo studioso americano Henry Jenkins. Si tratta del divario che porta alcuni strati della popolazione ad essere fruitori passivi di contenuti anche quando le condizioni tecnologiche rendono possibile una forma di attività a basso costo e scarse barriere all’accesso.
Il rapporto di ricerca si conclude con il suggerimento di osservare con attenzione quanto sta avvenendo oltre oceano e contiene un’analisi dei servizi interattivi offerti dal sito della transizione del presidente eletto degli Stati Uniti.
Credo fosse fine marzo del 2005 quando mi fu chiesto di scrivere un progetto di ricerca sul digitale terrestre ed i servizi della pubblica amministrazione. La regione Marche aveva infatti presentato a fine 2004 al CNIPA una richiesta di finanziamento per un progetto finalizzato allo sviluppo di servizi al cittadino attraverso il canale digitale terrestre. Il progetto in questione, battezzato “DigiMarche.dt: Portale regionale dei servizi di t-government” (qui il progetto ed una presentazione che ne descrive gli aspetti essenziali), fu approvato e nei mesi successivi ricevetti una richiesta di scrivere un progetto per richiedere alla regione Marche un co-finanziamento su una attività di ricerca che si sarebbe affiancata a DigiMarche. Insieme ai colleghi del LaRiCA scrivemmo un progetto intitolato eloquentemente “TV digitale terrestre e contenuto generato dagli utenti”.
L’idea alla base della nostra proposta tendeva a ribaltare il classico schema top-bottom che vede la pubblica amministrazione come erogatore di servizi ed il cittadino come consumatore passivo. Si trattava di immaginare e verificare l’effettiva esigenza da parte dei cittadini di servizi che mettessero i singoli utenti in grado di conversare fra di loro e con la pubblica amministrazione.
Il nostro progetto fu ammesso a co-finanziamento e oggi a distanza di oltre tre anni dalla stesura (il progetto è biennale ma ci sono stati tempi lunghi perché partisse effettivamente) ho completato il report di ricerca che rende conto del risultato del nostro lavoro.
La prima cosa da dire è che lavorare sull’impatto sociale delle tecnologie con questi tempi è estremamente difficile. L’evoluzione alla quale stiamo assistendo può decretare il successo o il fallimento di una tecnologia nello spazio di pochissimo tempo e scegliere di impiegare tempo e risorse sulla tecnologia sbagliata può costare caro.
Non so cosa avrei scritto in un report di ricerca sul digitale terrestre datato dicembre 2008 se nel lontano 2005 non avessimo avuto la felice intuizione di puntare sui contenuti generati dagli utenti. Questo ci ha consentito di ampliare la visione oltre la tecnologia del digitale terrestre (che già allora ci sembrava evidentemente non promettere bene) e di approcciare alla questione in modo originale introducendo l’idea dei contenuti generati dagli utenti.
Potrei dilungarmi su come la decisione presa a livello nazionale di investire sul digitale terrestre si sia rivelata disastrosa e di come avremmo potuto spendere meglio quei soldi supportando le pubbliche amministrazioni a sviluppare progetti e servizi su Internet o incentivando l’accesso alla rete da parte delle famiglie italiane (lo sapete già che siamo agli ultimi posti in Europa per tasso di penetrazione di Internet nelle case secondo gli ultimi dati Eurostat, no?).
Rileggere oggi le due paginette iniziali dell’opuscolo realizzato dal CNIPA nel maggio 2005 per annunciare l’elenco dei progetti ammessi a co-finanziamento dovrebbe servire da monito per il futuro.
Il “fervore positivista” sul “t-government” (non cercate questo lemma su wikipedia inglese perché non esiste) era tutto basato sull’ipotesi che i “cittadini non esperti di informatica che utilizzano la TV e non hanno messo le mani su un computer” potessero scoprire nel set-top-box e relativo telecomando del digitale terrestre un canale alternativo allo sportello tradizionale per fruire dei servizi della Pubblica Amministrazione.
Purtroppo già nello stesso report commissionato dal CNIPA all’Istituto Piepoli e presentato nel maggio 2006 si intuiva che le cose non stavano andando esattamente per il verso giusto.
La televisione digitale terrestre si attestava ad una percentuale di penetrazione del 10% superata sia dalla televisione satellitare (al 15%) che, nettamente, da Internet (al 38% da casa o lavoro). I servizi della Pubblica Amministrazione offerta attraverso il digitale terrestre erano conosciuti dal 44% degli utilizzatori ma usati solo dal 2% di essi. Solo il 10% degli utilizzatori dei digitale terrestre chiedevano di poter fruire di altri servizi interattivi.
I dati che abbiamo rilevato nelle nostre indagini mostrano che dal 2006 il digitale terrestre si è sicuramente diffuso in modo maggiore e si attesta oggi fra il 26,2 ed il 25,4% raggiungendo la diffusione della televisione satellitare. Cresce molto anche l’accesso a Internet da casa che è stato riscontrato nel nostro campione in oltre il 50% dei casi.
Quello che tuttavia colpisce è lo scarso utilizzo dei servizi interattivi che riguarda il 24% dei possessori di decoder DVB-T contro il 30% riscontrato nel 2006 (le tipologie d’uso rimangono invece simili con in testa i servizi informativi). Anche in relazione alla domanda specifica che chiedeva di stimare il vantaggio di usare i servizi della PA attraverso digitale terrestre, Internet e cellulare al posto dello sportello tradizionale, si nota come Internet sia lo strumento che sembra offrire, a parere degli intervistati, un maggiore vantaggio.
Appare inoltre sfatato il mito secondo il quale i soggetti più anziani e con più bassa scolarità possano essere interessati ai servizi interattivi attraverso il digitale terrestre. Nelle fasce di età 50-59 e 60 e oltre la percentuale di utenti del digitale terrestre che ha fatto uso dei servizi interattivi si attesta abbondantemente sotto la media rispettivamente al 12,8 e al 12%. Fra chi ha una licenza elementare solo il 5% ha fatto uso di servizi interattivi su digitale terrestre.
Distinzioni analoghe possono essere notate in relazione all’uso attivo di Internet (creazione di blog e pubblicazioni di video e foto) dove il tasso di scolarità e l’età incidono pesantemente non solo sul possesso dell’accesso a Internet ma anche sulle modalità di utilizzo.
Dunque il gap fra networked citizens e couch potatoes citizens esiste ma appare essere imputabile più ad aspetti culturali che tecnologici. Al di là dei pur utili servizi che la PA può rendere disponibile attraverso canali alternativi allo sportello tradizionale, quello su cui appare più urgente lavorare è questo gap culturale.
Qui non si tratta più semplicemente di offrire servizi veicolandoli su un canale piuttosto che un altro. Si tratta di ripensare il rapporto con i cittadini secondo una logica maggiormente ispirata dal bottom-up. Si tratta di aprire e saper portare avanti una conversazione che con il tempo aiuterà a modificare quella forma di distacco fra cittadini ed istituzioni che è palpabile in Italia come e forse più che in altre nazioni del mondo.
La sfida del futuro sarà dunque quella di includere la maggior parte di cittadini in questa conversazioni avendo cura che nessuno ne resti fuori per carenze culturali o peggio di accesso alla tecnologia. In questo senso è cruciale combattere accanto al ben noto divario digitale anche quello culturale, individuato per primo dallo studioso americano Henry Jenkins. Si tratta del divario che porta alcuni strati della popolazione ad essere fruitori passivi di contenuti anche quando le condizioni tecnologiche rendono possibile una forma di attività a basso costo e scarse barriere all’accesso.
Il rapporto di ricerca si conclude con il suggerimento di osservare con attenzione quanto sta avvenendo oltre oceano e contiene un’analisi dei servizi interattivi offerti dal sito della transizione del presidente eletto degli Stati Uniti.
Credo fosse fine marzo del 2005 quando mi fu chiesto di scrivere un progetto di ricerca sul digitale terrestre ed i servizi della pubblica amministrazione. La regione Marche aveva infatti presentato a fine 2004 al CNIPA una richiesta di finanziamento per un progetto finalizzato allo sviluppo di servizi al cittadino attraverso il canale digitale terrestre. Il progetto in questione, battezzato “DigiMarche.dt: Portale regionale dei servizi di t-government” (qui il progetto ed una presentazione che ne descrive gli aspetti essenziali), fu approvato e nei mesi successivi ricevetti una richiesta di scrivere un progetto per richiedere alla regione Marche un co-finanziamento su una attività di ricerca che si sarebbe affiancata a DigiMarche. Insieme ai colleghi del LaRiCA scrivemmo un progetto intitolato eloquentemente “TV digitale terrestre e contenuto generato dagli utenti”.
L’idea alla base della nostra proposta tendeva a ribaltare il classico schema top-bottom che vede la pubblica amministrazione come erogatore di servizi ed il cittadino come consumatore passivo. Si trattava di immaginare e verificare l’effettiva esigenza da parte dei cittadini di servizi che mettessero i singoli utenti in grado di conversare fra di loro e con la pubblica amministrazione.
Il nostro progetto fu ammesso a co-finanziamento e oggi a distanza di oltre tre anni dalla stesura (il progetto è biennale ma ci sono stati tempi lunghi perché partisse effettivamente) ho completato il report di ricerca che rende conto del risultato del nostro lavoro.
La prima cosa da dire è che lavorare sull’impatto sociale delle tecnologie con questi tempi è estremamente difficile. L’evoluzione alla quale stiamo assistendo può decretare il successo o il fallimento di una tecnologia nello spazio di pochissimo tempo e scegliere di impiegare tempo e risorse sulla tecnologia sbagliata può costare caro.
Non so cosa avrei scritto in un report di ricerca sul digitale terrestre datato dicembre 2008 se nel lontano 2005 non avessimo avuto la felice intuizione di puntare sui contenuti generati dagli utenti. Questo ci ha consentito di ampliare la visione oltre la tecnologia del digitale terrestre (che già allora ci sembrava evidentemente non promettere bene) e di approcciare alla questione in modo originale introducendo l’idea dei contenuti generati dagli utenti.
Potrei dilungarmi su come la decisione presa a livello nazionale di investire sul digitale terrestre si sia rivelata disastrosa e di come avremmo potuto spendere meglio quei soldi supportando le pubbliche amministrazioni a sviluppare progetti e servizi su Internet o incentivando l’accesso alla rete da parte delle famiglie italiane (lo sapete già che siamo agli ultimi posti in Europa per tasso di penetrazione di Internet nelle case secondo gli ultimi dati Eurostat, no?).
Rileggere oggi le due paginette iniziali dell’opuscolo realizzato dal CNIPA nel maggio 2005 per annunciare l’elenco dei progetti ammessi a co-finanziamento dovrebbe servire da monito per il futuro.
Il “fervore positivista” sul “t-government” (non cercate questo lemma su wikipedia inglese perché non esiste) era tutto basato sull’ipotesi che i “cittadini non esperti di informatica che utilizzano la TV e non hanno messo le mani su un computer” potessero scoprire nel set-top-box e relativo telecomando del digitale terrestre un canale alternativo allo sportello tradizionale per fruire dei servizi della Pubblica Amministrazione.
Purtroppo già nello stesso report commissionato dal CNIPA all’Istituto Piepoli e presentato nel maggio 2006 si intuiva che le cose non stavano andando esattamente per il verso giusto.
La televisione digitale terrestre si attestava ad una percentuale di penetrazione del 10% superata sia dalla televisione satellitare (al 15%) che, nettamente, da Internet (al 38% da casa o lavoro). I servizi della Pubblica Amministrazione offerta attraverso il digitale terrestre erano conosciuti dal 44% degli utilizzatori ma usati solo dal 2% di essi. Solo il 10% degli utilizzatori dei digitale terrestre chiedevano di poter fruire di altri servizi interattivi.
I dati che abbiamo rilevato nelle nostre indagini mostrano che dal 2006 il digitale terrestre si è sicuramente diffuso in modo maggiore e si attesta oggi fra il 26,2 ed il 25,4% raggiungendo la diffusione della televisione satellitare. Cresce molto anche l’accesso a Internet da casa che è stato riscontrato nel nostro campione in oltre il 50% dei casi.
Quello che tuttavia colpisce è lo scarso utilizzo dei servizi interattivi che riguarda il 24% dei possessori di decoder DVB-T contro il 30% riscontrato nel 2006 (le tipologie d’uso rimangono invece simili con in testa i servizi informativi). Anche in relazione alla domanda specifica che chiedeva di stimare il vantaggio di usare i servizi della PA attraverso digitale terrestre, Internet e cellulare al posto dello sportello tradizionale, si nota come Internet sia lo strumento che sembra offrire, a parere degli intervistati, un maggiore vantaggio.
Appare inoltre sfatato il mito secondo il quale i soggetti più anziani e con più bassa scolarità possano essere interessati ai servizi interattivi attraverso il digitale terrestre. Nelle fasce di età 50-59 e 60 e oltre la percentuale di utenti del digitale terrestre che ha fatto uso dei servizi interattivi si attesta abbondantemente sotto la media rispettivamente al 12,8 e al 12%. Fra chi ha una licenza elementare solo il 5% ha fatto uso di servizi interattivi su digitale terrestre.
Distinzioni analoghe possono essere notate in relazione all’uso attivo di Internet (creazione di blog e pubblicazioni di video e foto) dove il tasso di scolarità e l’età incidono pesantemente non solo sul possesso dell’accesso a Internet ma anche sulle modalità di utilizzo.
Dunque il gap fra networked citizens e couch potatoes citizens esiste ma appare essere imputabile più ad aspetti culturali che tecnologici. Al di là dei pur utili servizi che la PA può rendere disponibile attraverso canali alternativi allo sportello tradizionale, quello su cui appare più urgente lavorare è questo gap culturale.
Qui non si tratta più semplicemente di offrire servizi veicolandoli su un canale piuttosto che un altro. Si tratta di ripensare il rapporto con i cittadini secondo una logica maggiormente ispirata dal bottom-up. Si tratta di aprire e saper portare avanti una conversazione che con il tempo aiuterà a modificare quella forma di distacco fra cittadini ed istituzioni che è palpabile in Italia come e forse più che in altre nazioni del mondo.
La sfida del futuro sarà dunque quella di includere la maggior parte di cittadini in questa conversazioni avendo cura che nessuno ne resti fuori per carenze culturali o peggio di accesso alla tecnologia. In questo senso è cruciale combattere accanto al ben noto divario digitale anche quello culturale, individuato per primo dallo studioso americano Henry Jenkins. Si tratta del divario che porta alcuni strati della popolazione ad essere fruitori passivi di contenuti anche quando le condizioni tecnologiche rendono possibile una forma di attività a basso costo e scarse barriere all’accesso.
Il rapporto di ricerca si conclude con il suggerimento di osservare con attenzione quanto sta avvenendo oltre oceano e contiene un’analisi dei servizi interattivi offerti dal sito della transizione del presidente eletto degli Stati Uniti.