Modernity 2.0 a Urbino con danah boyd

Dal 29 giugno al 5 luglio si terrà ad Urbino, per la prima volta in Italia, la nona conferenza mondiale di sociocibernetica. La conferenza che verrà come protagonisti ricercatori provenienti da tutto il mondo è dedicato a riflettere sull’impatto dei social media sulla nostra società.Dal 29 giugno al 5 luglio si terrà ad Urbino, per la prima volta in Italia, la nona conferenza mondiale di sociocibernetica. La conferenza che verrà come protagonisti ricercatori provenienti da tutto il mondo è dedicato a riflettere sull’impatto dei social media sulla nostra società.Dal 29 giugno al 5 luglio si terrà ad Urbino, per la prima volta in Italia, la nona conferenza mondiale di sociocibernetica. La conferenza che verrà come protagonisti ricercatori provenienti da tutto il mondo è dedicato a riflettere sull’impatto dei social media sulla nostra società.

Ho il piacere di annunciare oggi un progetto al quale sto lavorando da tempo ma di cui non ho mai parlato fino a questo momento qui.
Da alcuni mesi il LaRiCA sta collaborando attivamente con i colleghi dell’RC51 dell’International Sociological Association all’organizzazione della nona conferenza mondiale di socio-cibernetica che avremo il piacere di ospitare dal 29 giugno al 5 luglio ad Urbino.
Il tema scelto è l’impatto dei social media sulla nostra società. Con il termine social media si fa riferimento a tutti quelli spazi della comunicazione supportati dalle recenti tecnologie internet che consentono di produrre e diffondere contenuti (testi, video, audio, etc.) in rete a costi contenuti. L’abbassamento dei costi legati alla produzione e diffusione di questi contenuti ha democratizzato l’accesso alla comunicazione da uno a molti un tempo riservati ai professionisti del settore. La produzione spesso collaborativa di questi contenuti e l’esposizione ai contenuti prodotti dai pari sta cambiano la dieta mediale degli individui e incrinando i rapporti di potere consolidati all’interno della società (nelle famiglie, nelle scuole, fra imprese e consumatori, fra cittadini ed istituzioni, fra giornalisti e lettori).
Esempi di social media sono dunque i blog, YouTube e Facebook.
Modernity 2.0 è dedicata a riflettere in una prospettiva socio-cibernetica su come e se la disponibilità di queste tecnologie sta cambiando le persone e la nostra società.
La conferenza è un evento inedito in Italia per dimensione, tematiche e rilevanza dei relatori proposti.
La call for paper ha infatti attratto proposte di intervento provenienti da tutto il mondo. Fra queste sono stati selezionati cinquantuno papers suddivisi poi nelle seguenti aree tematiche: “Cultura convergente e Pubblici connessi”, “Media, politica e potere”, “Metodologie emergenti”, “Studi di media comparati”.
Fra i paper verso i quali nutro maggiormente attesa segnalo un paio di casi di studio su Obama ed un inedito Bebbe Grillo osservato dagli Stati Uniti (Alberto Pepe, University of California Los Angeles e Corinna di Gennaro, Harvard University).  Mi incuriosice inoltre parecchio Structure and Dynamics of Indonesian Blogger Community in Virtual Space di Adi Nugroho Onggoboyo. Se siete curiosi potete cmq leggere tutti gli abstract nella pagina papers del sito ufficiale del convegno.
Si ritroveranno ad Urbino ricercatori che studiano questo fenomeno provenienti da tutto il mondo: Messico, Armenia, Austria, UK, Lettonia, Svezia, Bolivia, Stati Uniti, Germania, Olanda, Canada, Spagna, Indonesia, Danimarca, Brasile, Argentina ed ovviamente Italia.
A completare il programma ci sono due ospiti invitati che nei loro rispettivi settori sono comunemente considerati fra i massimi esperti dalle rispettive comunità accademiche.
danah boyd (Microsoft Research New England)
Ricercatrice presso Microsoft Research New England e Fellow dell’Harvard Berkman Center for Internet and Society. PhD presso la School of Information at UC-Berkeley con una tesi intitolata “Taken Out of Context: American Teen Sociality in Networked Publics” nella quale ha esaminato il ruolo giocato dai siti di social network come MySpace e Facebook nella vita quotidiana e sulle relazioni social dei teenagers americani. Presso il Berkman Center, danah ha co-diretto l’Internet Safety Technical Task Force il suo scopo è identificare potenziali soluzioni per favorire un uso sicuro della rete da parte dei bambini.

Giuseppe O. Longo (Università degli Studi di Trieste)
Giuseppe O. Longo è ordinario di Teoria dell’informazione alla Facoltà d’Ingegneria dell’Università di Trieste. Ha introdotto in Italia la teoria dell’informazione. Attualmente si occupa soprattutto di epistemologia, di intelligenza artificiale, di problemi della comunicazione e delle conseguenze sociali dello sviluppo tecnico, in particolare di robo-etica, pubblicando articoli su riviste specializzate e svolgendo un’intensa attività di conferenziere. Su questi temi ha tenuto numerose relazioni, ha partecipato a convegni e congressi e ha pubblicato i saggi “Il nuovo Golem: come il computer cambia la nostra cultura” (Laterza, 1998, 4a edizione 2003), “Homo Technologicus” (Meltemi, Roma, 2001, 2a edizione 2005) e “Il simbionte: prove di umanità futura” (Meltemi, Roma, 2003). E’ stato traduttore per le case editrici Boringhieri e Adelphi (15 libri dall’inglese e dal tedesco, tra cui opere di Gregory Bateson, Marvin Minsky, Douglas Hofstadter, Iräneus Eibl-Eibesfeld) e nel 1991 ha vinto il premio “Monselice” per la traduzione scientifica.
La conferenza è organizzata da un comitato internazionale presieduto dal Prof. Bernard Scott (Cranfield University Defence Academy e Presidente della sezione RC51 dell’ISA – International Sociological Association dedicata alla socio-cibernetica). Il comitato è composto da membri dell’RC51 e da docenti e ricercatori del laboratorio di Ricerca LaRiCA dell’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”.
La registrazione per la conferenza chiude domenica 24 maggio.
Potete registrarvi o leggere i nomi delle persone che intendono partecipare a http://rc51.eventbrite.com/.

Ho il piacere di annunciare oggi un progetto al quale sto lavorando da tempo ma di cui non ho mai parlato fino a questo momento qui.

Da alcuni mesi il LaRiCA sta collaborando attivamente con i colleghi dell’RC51 dell’International Sociological Association all’organizzazione della nona conferenza mondiale di socio-cibernetica che avremo il piacere di ospitare dal 29 giugno al 5 luglio ad Urbino.

Il tema scelto è l’impatto dei social media sulla nostra società. Con il termine social media si fa riferimento a tutti quelli spazi della comunicazione supportati dalle recenti tecnologie internet che consentono di produrre e diffondere contenuti (testi, video, audio, etc.) in rete a costi contenuti. L’abbassamento dei costi legati alla produzione e diffusione di questi contenuti ha democratizzato l’accesso alla comunicazione da uno a molti un tempo riservati ai professionisti del settore. La produzione spesso collaborativa di questi contenuti e l’esposizione ai contenuti prodotti dai pari sta cambiano la dieta mediale degli individui e incrinando i rapporti di potere consolidati all’interno della società (nelle famiglie, nelle scuole, fra imprese e consumatori, fra cittadini ed istituzioni, fra giornalisti e lettori).

Esempi di social media sono dunque i blog, YouTube e Facebook.

Modernity 2.0 è dedicata a riflettere in una prospettiva socio-cibernetica su come e se la disponibilità di queste tecnologie sta cambiando le persone e la nostra società.

La conferenza è un evento inedito in Italia per dimensione, tematiche e rilevanza dei relatori proposti.

La call for paper ha infatti attratto proposte di intervento provenienti da tutto il mondo. Fra queste sono stati selezionati cinquantuno papers suddivisi poi nelle seguenti aree tematiche: “Cultura convergente e Pubblici connessi”, “Media, politica e potere”, “Metodologie emergenti”, “Studi di media comparati”.

Fra i paper verso i quali nutro maggiormente attesa segnalo un paio di casi di studio su Obama ed un inedito Bebbe Grillo osservato dagli Stati Uniti (Alberto Pepe, University of California Los Angeles e Corinna di Gennaro, Harvard University).  Mi incuriosice inoltre parecchio Structure and Dynamics of Indonesian Blogger Community in Virtual Space di Adi Nugroho Onggoboyo. Se siete curiosi potete cmq leggere tutti gli abstract nella pagina papers del sito ufficiale del convegno.

Si ritroveranno ad Urbino ricercatori che studiano questo fenomeno provenienti da tutto il mondo: Messico, Armenia, Austria, UK, Lettonia, Svezia, Bolivia, Stati Uniti, Germania, Olanda, Canada, Spagna, Indonesia, Danimarca, Brasile, Argentina ed ovviamente Italia.

A completare il programma ci sono due ospiti invitati che nei loro rispettivi settori sono comunemente considerati fra i massimi esperti dalle rispettive comunità accademiche.

danah boyd (Microsoft Research New England)

Ricercatrice presso Microsoft Research New England e Fellow dell’Harvard Berkman Center for Internet and Society. PhD presso la School of Information at UC-Berkeley con una tesi intitolata “Taken Out of Context: American Teen Sociality in Networked Publics” nella quale ha esaminato il ruolo giocato dai siti di social network come MySpace e Facebook nella vita quotidiana e sulle relazioni social dei teenagers americani. Presso il Berkman Center, danah ha co-diretto l’Internet Safety Technical Task Force il suo scopo è identificare potenziali soluzioni per favorire un uso sicuro della rete da parte dei bambini.

Giuseppe O. Longo (Università degli Studi di Trieste)

Giuseppe O. Longo è ordinario di Teoria dell’informazione alla Facoltà d’Ingegneria dell’Università di Trieste. Ha introdotto in Italia la teoria dell’informazione. Attualmente si occupa soprattutto di epistemologia, di intelligenza artificiale, di problemi della comunicazione e delle conseguenze sociali dello sviluppo tecnico, in particolare di robo-etica, pubblicando articoli su riviste specializzate e svolgendo un’intensa attività di conferenziere. Su questi temi ha tenuto numerose relazioni, ha partecipato a convegni e congressi e ha pubblicato i saggi “Il nuovo Golem: come il computer cambia la nostra cultura” (Laterza, 1998, 4a edizione 2003), “Homo Technologicus” (Meltemi, Roma, 2001, 2a edizione 2005) e “Il simbionte: prove di umanità futura” (Meltemi, Roma, 2003). E’ stato traduttore per le case editrici Boringhieri e Adelphi (15 libri dall’inglese e dal tedesco, tra cui opere di Gregory Bateson, Marvin Minsky, Douglas Hofstadter, Iräneus Eibl-Eibesfeld) e nel 1991 ha vinto il premio “Monselice” per la traduzione scientifica.

La conferenza è organizzata da un comitato internazionale presieduto dal Prof. Bernard Scott (Cranfield University Defence Academy e Presidente della sezione RC51 dell’ISA – International Sociological Association dedicata alla socio-cibernetica). Il comitato è composto da membri dell’RC51 e da docenti e ricercatori del laboratorio di Ricerca LaRiCA dell’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”.

La registrazione per la conferenza chiude domenica 24 maggio.

Potete registrarvi o leggere i nomi delle persone che intendono partecipare a http://rc51.eventbrite.com/.

Ho il piacere di annunciare oggi un progetto al quale sto lavorando da tempo ma di cui non ho mai parlato fino a questo momento qui.

Da alcuni mesi il LaRiCA sta collaborando attivamente con i colleghi dell’RC51 dell’International Sociological Association all’organizzazione della nona conferenza mondiale di socio-cibernetica che avremo il piacere di ospitare dal 29 giugno al 5 luglio ad Urbino.

Il tema scelto è l’impatto dei social media sulla nostra società. Con il termine social media si fa riferimento a tutti quelli spazi della comunicazione supportati dalle recenti tecnologie internet che consentono di produrre e diffondere contenuti (testi, video, audio, etc.) in rete a costi contenuti. L’abbassamento dei costi legati alla produzione e diffusione di questi contenuti ha democratizzato l’accesso alla comunicazione da uno a molti un tempo riservati ai professionisti del settore. La produzione spesso collaborativa di questi contenuti e l’esposizione ai contenuti prodotti dai pari sta cambiano la dieta mediale degli individui e incrinando i rapporti di potere consolidati all’interno della società (nelle famiglie, nelle scuole, fra imprese e consumatori, fra cittadini ed istituzioni, fra giornalisti e lettori).

Esempi di social media sono dunque i blog, YouTube e Facebook.

Modernity 2.0 è dedicata a riflettere in una prospettiva socio-cibernetica su come e se la disponibilità di queste tecnologie sta cambiando le persone e la nostra società.

La conferenza è un evento inedito in Italia per dimensione, tematiche e rilevanza dei relatori proposti.

La call for paper ha infatti attratto proposte di intervento provenienti da tutto il mondo. Fra queste sono stati selezionati cinquantuno papers suddivisi poi nelle seguenti aree tematiche: “Cultura convergente e Pubblici connessi”, “Media, politica e potere”, “Metodologie emergenti”, “Studi di media comparati”.

Fra i paper verso i quali nutro maggiormente attesa segnalo un paio di casi di studio su Obama ed un inedito Bebbe Grillo osservato dagli Stati Uniti (Alberto Pepe, University of California Los Angeles e Corinna di Gennaro, Harvard University).  Mi incuriosice inoltre parecchio Structure and Dynamics of Indonesian Blogger Community in Virtual Space di Adi Nugroho Onggoboyo. Se siete curiosi potete cmq leggere tutti gli abstract nella pagina papers del sito ufficiale del convegno.

Si ritroveranno ad Urbino ricercatori che studiano questo fenomeno provenienti da tutto il mondo: Messico, Armenia, Austria, UK, Lettonia, Svezia, Bolivia, Stati Uniti, Germania, Olanda, Canada, Spagna, Indonesia, Danimarca, Brasile, Argentina ed ovviamente Italia.

A completare il programma ci sono due ospiti invitati che nei loro rispettivi settori sono comunemente considerati fra i massimi esperti dalle rispettive comunità accademiche.

danah boyd (Microsoft Research New England)

Ricercatrice presso Microsoft Research New England e Fellow dell’Harvard Berkman Center for Internet and Society. PhD presso la School of Information at UC-Berkeley con una tesi intitolata “Taken Out of Context: American Teen Sociality in Networked Publics” nella quale ha esaminato il ruolo giocato dai siti di social network come MySpace e Facebook nella vita quotidiana e sulle relazioni social dei teenagers americani. Presso il Berkman Center, danah ha co-diretto l’Internet Safety Technical Task Force il suo scopo è identificare potenziali soluzioni per favorire un uso sicuro della rete da parte dei bambini.

Giuseppe O. Longo (Università degli Studi di Trieste)

Giuseppe O. Longo è ordinario di Teoria dell’informazione alla Facoltà d’Ingegneria dell’Università di Trieste. Ha introdotto in Italia la teoria dell’informazione. Attualmente si occupa soprattutto di epistemologia, di intelligenza artificiale, di problemi della comunicazione e delle conseguenze sociali dello sviluppo tecnico, in particolare di robo-etica, pubblicando articoli su riviste specializzate e svolgendo un’intensa attività di conferenziere. Su questi temi ha tenuto numerose relazioni, ha partecipato a convegni e congressi e ha pubblicato i saggi “Il nuovo Golem: come il computer cambia la nostra cultura” (Laterza, 1998, 4a edizione 2003), “Homo Technologicus” (Meltemi, Roma, 2001, 2a edizione 2005) e “Il simbionte: prove di umanità futura” (Meltemi, Roma, 2003). E’ stato traduttore per le case editrici Boringhieri e Adelphi (15 libri dall’inglese e dal tedesco, tra cui opere di Gregory Bateson, Marvin Minsky, Douglas Hofstadter, Iräneus Eibl-Eibesfeld) e nel 1991 ha vinto il premio “Monselice” per la traduzione scientifica.

La conferenza è organizzata da un comitato internazionale presieduto dal Prof. Bernard Scott (Cranfield University Defence Academy e Presidente della sezione RC51 dell’ISA – International Sociological Association dedicata alla socio-cibernetica). Il comitato è composto da membri dell’RC51 e da docenti e ricercatori del laboratorio di Ricerca LaRiCA dell’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”.

La registrazione per la conferenza chiude domenica 24 maggio.

Potete registrarvi o leggere i nomi delle persone che intendono partecipare a http://rc51.eventbrite.com/.

What's next #5: Io, il mio spazio ed il pubblico invisibile. La privacy in Facebook

Molti giovani abbandonano i blog per i siti di social network alla ricerca di una paradossale privacy nello spazio mediato di rete. Ma è veramente garantita la privacy su siti di social network come Badoo e Facebook?Molti giovani abbandonano i blog per i siti di social network alla ricerca di una paradossale privacy nello spazio mediato di rete. Ma è veramente garantita la privacy su siti di social network come Badoo e Facebook?Molti giovani abbandonano i blog per i siti di social network alla ricerca di una paradossale privacy nello spazio mediato di rete. Ma è veramente garantita la privacy su siti di social network come Badoo e Facebook?

Nel corso del mese di settembre gli italiani su Facebook sono più che raddoppiati passando dai 600.000 di fine agosto a oltre 1.200.000 (alla data di stesura di questo articolo).

Sul successo globale dei siti di social network esistono alcune ipotesi ed alcune credenze popolari (ovvero del MySpace per adulti). Fra le più note c’è l’ipotesi formulata più volte da danah boyd che spiegherebbe il perché i teenager americani hanno aperto in massa una pagina su MySpace (per poi migrare verso Facebook).

In pratica l’idea è che i siti di social network (SNSs) siano parte di una strategia, in parte inconsapevole, per assolvere il naturale bisogno dei ragazzi di socializzare fra pari sfuggendo al controllo dei genitori. L’opzione di socializzare online, afferma danah, diventa ancora più impellente quando il controllo dei genitori e degli adulti in genere, preoccupati per la sicurezza dei propri figli, si spinge fino a limitare le tradizionali uscite di casa da soli e le visite a casa di amici e compagni di classe (si veda nel box un estratto di una delle interviste realizzate con i teenagers dalla ricercatrice americana).

Amy (16, Seattle): My mom doesn’t let me out of the house very often, so that’s pretty much all I do, is I sit on MySpace and talk to people and text and talk on the phone, cause my mom’s always got some crazy reason to keep me in the house.

Jordan (15, Austin): See, I’m not [allowed outside] so much. My mom’s from Mexico and like – it’s like completely like different.
danah: Why?
Jordan: I don’t know. It’s just like she thinks I’ll get kidnapped.

(boyd, danah. 2008. “Teen Socialization Practices in Networked Publics.” MacAthur Forum, Palo Alto, California, April 23.)

La percezione di essere fra amici che offrono i SNSs è piuttosto forte. Il paragone che viene più facilmente in mente è quello con una classica homepage personale o un blog. Se dal punto di vista teorico è piuttosto chiaro che i contenuti pubblicati su Internet sono esposti ad un pubblico indistinto, non è altrettanto chiaro quanto questa percezione di essere esposti ad un pubblico sconosciuto ed inconoscibile sia diffusa fra chi pubblica contenuti sul web (in particolare fra i giovani che lo fanno più spesso ed in modo sistematico).

L’ipotesi che ho formulato come corollario a quanto affermato da danah boyd è che in una fase iniziale di domesticazione dell’uso del web la percezione di avere fra le mani un “mezzo di comunicazione di massa per le masse” sia molto labile. In pratica la stragrande maggioranza di chi pubblica in rete i propri contenuti non ha una chiara sensazione di quanto questi contenuti siano pubblici. Si tratta di una fase di domesticazione che è, nel caso specifico del web, sociale ed individuale al tempo stesso. Per la prima volta nella storia siamo infatti di fronte ad una generazione di adulti (genitori ed insegnanti) che, a causa della rapidità dello sviluppo tecnologico, non appare in grado di accompagnare i giovani verso un uso maturo del mezzo.

In questo scenario l’apprendimento sull’uso maturo della rete avviene essenzialmente fra pari e spesso si basa su prove ed errori che grazie alla natura potenzialmente epidemica della diffusione dell’informazione sul web passo rapidamente da esperienze personali a “coscienza collettiva generazionale”. Lo shock di scoprire che un adulto (genitori, insegnanti, capo, media o uomini di marketing –  per non parlare dei malintenzionati) può accedere facilmente al tuo blog e alla tue fotografie provoca una forma di apprendimento istantanea della nozione di  pubblico indistinto nello spazio mediato di rete.

Capire che pubblicare in rete (in siti non protetti da password) i propri contenuti significa esporli ad un pubblico imprevedibile è uno degli skills fondamentali della new media literacy.

Ma cosa avviene quando il bisogno di socializzare fra pari nello spazio mediato di rete si accompagna a questa consapevolezza?

Si cercano spazi dove pubblicare i propri contenuti restringendo l’accesso solo ai propri amici.

Spazi come MySpace e Facebook e gli altri SNSs.

Pensate a quanto è evocativo in questo senso il nome MySpace (il MIO spazio) o all’importanza che hanno le impostazione per la gestione della privacy sui contenuti del proprio profilo nella nuova interfaccia di Facebook.

Ben inteso che la fuga verso i SNSs non risolve di per sé il problema/possibilità del pubblico indistinto. Nelle impostazioni iniziali di un profilo di Facebook, ad esempio, i contenuti pubblicati sono accessibili tanto ai propri amici, quanto al Network di cui si sceglie di essere parte (anche se inizialmente non si è parte di alcun network). Al tempo stesso è evidente che tutti i livelli di privacy disponibili in questi siti offrono, a patto di comprenderne l’utilizzo e sulla carta, un elevato grado di protezione dei propri contenuti.

Al tempo stesso non va dimenticato che il pubblico indistinto è anche a fondamento delle capacità trasformative del web. Le band emergenti che usano MySpace per promuovere i propri brani, ad esempio, sfruttano proprio le potenzialità connesse al pubblico indistinto ed ai “mezzi di comunicazione di massa per le masse”.

Ma esporsi ad un pubblico indistinto può anche suscitare un certo fascino. Limitando l’accesso al proprio profilo alle sole persone che si conoscono già, ci si preclude per scelta la possibilità che qualcuno che non ci conosce possa interessarsi a noi per via delle informazioni disponibili sul nostro profilo. Questo può valere tanto nel campo lavorativo quanto in quello del dating.

Non esiste dunque una ricetta unica. Quello che appare invece necessario è comprendere l’esistenza del pubblico indistinto e sulla base di questa consapevolezza e dei propri obiettivi scegliere, eventualmente caso per caso e SNS per SNS, il grado di esposizione al pubblico indistinto che si desidera.

Ancora una volta il mezzo in sé non risolve problemi se non se ne fa un uso consapevole.

A ulteriore corollario di questa ipotesi letta in relazione alla situazione italiana ho formulato alcune considerazioni sulle differenze di approccio ai problemi della privacy che avrebbero gli utenti italiani di Facebook e Badoo.

A questo scopo ho costruito un breve questionario per validare o meno la mia idea.

Il questionario è stato già compilato in pochissimi giorni da oltre cento persone. Mi piacerebbe arrivare a 2000 possibilmente equamente distribuiti fra utenti di Facebook e Badoo.

So che non è facile e per questo vi chiedo di collaborare attivamente alla diffusione del questionario attraverso i vostri blog e reti sociali.

Ci sono un paio di modi per farlo.

1) Pop up code (da inserire sul vostro blog):

2) Facendo circolare attraverso Facebook, Twitter o qualsiasi altro social network il seguente link: http://www.surveymonkey.com/s.aspx?sm=SBft_2bRdjLsy2zE6W140Qaw_3d_3d.

Vi ringrazio in anticipo per la collaborazione. Il prossimo appuntamento con What’s next #6 sarà venerdì 10 ottobre. Con alcuni amici poi ci vediamo lo stesso giorno anche di persona per il Festival dei Blog. Se non potete aspettare fino al 10 potete sempre dare uno sguardo di tanto in tanto a friendfeed.

Nel corso del mese di settembre gli italiani su Facebook sono più che raddoppiati passando dai 600.000 di fine agosto a oltre 1.200.000 (alla data di stesura di questo articolo).

Sul successo globale dei siti di social network esistono alcune ipotesi ed alcune credenze popolari (ovvero del MySpace per adulti). Fra le più note c’è l’ipotesi formulata più volte da danah boyd che spiegherebbe il perché i teenager americani hanno aperto in massa una pagina su MySpace (per poi migrare verso Facebook).

In pratica l’idea è che i siti di social network (SNSs) siano parte di una strategia, in parte inconsapevole, per assolvere il naturale bisogno dei ragazzi di socializzare fra pari sfuggendo al controllo dei genitori. L’opzione di socializzare online, afferma danah, diventa ancora più impellente quando il controllo dei genitori e degli adulti in genere, preoccupati per la sicurezza dei propri figli, si spinge fino a limitare le tradizionali uscite di casa da soli e le visite a casa di amici e compagni di classe (si veda nel box un estratto di una delle interviste realizzate con i teenagers dalla ricercatrice americana).

Amy (16, Seattle): My mom doesn’t let me out of the house very often, so that’s pretty much all I do, is I sit on MySpace and talk to people and text and talk on the phone, cause my mom’s always got some crazy reason to keep me in the house.

Jordan (15, Austin): See, I’m not [allowed outside] so much. My mom’s from Mexico and like – it’s like completely like different.
danah: Why?
Jordan: I don’t know. It’s just like she thinks I’ll get kidnapped.

(boyd, danah. 2008. “Teen Socialization Practices in Networked Publics.” MacAthur Forum, Palo Alto, California, April 23.)

La percezione di essere fra amici che offrono i SNSs è piuttosto forte. Il paragone che viene più facilmente in mente è quello con una classica homepage personale o un blog. Se dal punto di vista teorico è piuttosto chiaro che i contenuti pubblicati su Internet sono esposti ad un pubblico indistinto, non è altrettanto chiaro quanto questa percezione di essere esposti ad un pubblico sconosciuto ed inconoscibile sia diffusa fra chi pubblica contenuti sul web (in particolare fra i giovani che lo fanno più spesso ed in modo sistematico).

L’ipotesi che ho formulato come corollario a quanto affermato da danah boyd è che in una fase iniziale di domesticazione dell’uso del web la percezione di avere fra le mani un “mezzo di comunicazione di massa per le masse” sia molto labile. In pratica la stragrande maggioranza di chi pubblica in rete i propri contenuti non ha una chiara sensazione di quanto questi contenuti siano pubblici. Si tratta di una fase di domesticazione che è, nel caso specifico del web, sociale ed individuale al tempo stesso. Per la prima volta nella storia siamo infatti di fronte ad una generazione di adulti (genitori ed insegnanti) che, a causa della rapidità dello sviluppo tecnologico, non appare in grado di accompagnare i giovani verso un uso maturo del mezzo.

In questo scenario l’apprendimento sull’uso maturo della rete avviene essenzialmente fra pari e spesso si basa su prove ed errori che grazie alla natura potenzialmente epidemica della diffusione dell’informazione sul web passo rapidamente da esperienze personali a “coscienza collettiva generazionale”. Lo shock di scoprire che un adulto (genitori, insegnanti, capo, media o uomini di marketing –  per non parlare dei malintenzionati) può accedere facilmente al tuo blog e alla tue fotografie provoca una forma di apprendimento istantanea della nozione di  pubblico indistinto nello spazio mediato di rete.

Capire che pubblicare in rete (in siti non protetti da password) i propri contenuti significa esporli ad un pubblico imprevedibile è uno degli skills fondamentali della new media literacy.

Ma cosa avviene quando il bisogno di socializzare fra pari nello spazio mediato di rete si accompagna a questa consapevolezza?

Si cercano spazi dove pubblicare i propri contenuti restringendo l’accesso solo ai propri amici.

Spazi come MySpace e Facebook e gli altri SNSs.

Pensate a quanto è evocativo in questo senso il nome MySpace (il MIO spazio) o all’importanza che hanno le impostazione per la gestione della privacy sui contenuti del proprio profilo nella nuova interfaccia di Facebook.

Ben inteso che la fuga verso i SNSs non risolve di per sé il problema/possibilità del pubblico indistinto. Nelle impostazioni iniziali di un profilo di Facebook, ad esempio, i contenuti pubblicati sono accessibili tanto ai propri amici, quanto al Network di cui si sceglie di essere parte (anche se inizialmente non si è parte di alcun network). Al tempo stesso è evidente che tutti i livelli di privacy disponibili in questi siti offrono, a patto di comprenderne l’utilizzo e sulla carta, un elevato grado di protezione dei propri contenuti.

Al tempo stesso non va dimenticato che il pubblico indistinto è anche a fondamento delle capacità trasformative del web. Le band emergenti che usano MySpace per promuovere i propri brani, ad esempio, sfruttano proprio le potenzialità connesse al pubblico indistinto ed ai “mezzi di comunicazione di massa per le masse”.

Ma esporsi ad un pubblico indistinto può anche suscitare un certo fascino. Limitando l’accesso al proprio profilo alle sole persone che si conoscono già, ci si preclude per scelta la possibilità che qualcuno che non ci conosce possa interessarsi a noi per via delle informazioni disponibili sul nostro profilo. Questo può valere tanto nel campo lavorativo quanto in quello del dating.

Non esiste dunque una ricetta unica. Quello che appare invece necessario è comprendere l’esistenza del pubblico indistinto e sulla base di questa consapevolezza e dei propri obiettivi scegliere, eventualmente caso per caso e SNS per SNS, il grado di esposizione al pubblico indistinto che si desidera.

Ancora una volta il mezzo in sé non risolve problemi se non se ne fa un uso consapevole.

A ulteriore corollario di questa ipotesi letta in relazione alla situazione italiana ho formulato alcune considerazioni sulle differenze di approccio ai problemi della privacy che avrebbero gli utenti italiani di Facebook e Badoo.

A questo scopo ho costruito un breve questionario per validare o meno la mia idea.

Il questionario è stato già compilato in pochissimi giorni da oltre cento persone. Mi piacerebbe arrivare a 2000 possibilmente equamente distribuiti fra utenti di Facebook e Badoo.

So che non è facile e per questo vi chiedo di collaborare attivamente alla diffusione del questionario attraverso i vostri blog e reti sociali.

Ci sono un paio di modi per farlo.

1) Pop up code (da inserire sul vostro blog):

2) Facendo circolare attraverso Facebook, Twitter o qualsiasi altro social network il seguente link: http://www.surveymonkey.com/s.aspx?sm=SBft_2bRdjLsy2zE6W140Qaw_3d_3d.

Vi ringrazio in anticipo per la collaborazione. Il prossimo appuntamento con What’s next #6 sarà venerdì 10 ottobre. Con alcuni amici poi ci vediamo lo stesso giorno anche di persona per il Festival dei Blog. Se non potete aspettare fino al 10 potete sempre dare uno sguardo di tanto in tanto a friendfeed.

Nel corso del mese di settembre gli italiani su Facebook sono più che raddoppiati passando dai 600.000 di fine agosto a oltre 1.200.000 (alla data di stesura di questo articolo).

Sul successo globale dei siti di social network esistono alcune ipotesi ed alcune credenze popolari (ovvero del MySpace per adulti). Fra le più note c’è l’ipotesi formulata più volte da danah boyd che spiegherebbe il perché i teenager americani hanno aperto in massa una pagina su MySpace (per poi migrare verso Facebook).

In pratica l’idea è che i siti di social network (SNSs) siano parte di una strategia, in parte inconsapevole, per assolvere il naturale bisogno dei ragazzi di socializzare fra pari sfuggendo al controllo dei genitori. L’opzione di socializzare online, afferma danah, diventa ancora più impellente quando il controllo dei genitori e degli adulti in genere, preoccupati per la sicurezza dei propri figli, si spinge fino a limitare le tradizionali uscite di casa da soli e le visite a casa di amici e compagni di classe (si veda nel box un estratto di una delle interviste realizzate con i teenagers dalla ricercatrice americana).

Amy (16, Seattle): My mom doesn’t let me out of the house very often, so that’s pretty much all I do, is I sit on MySpace and talk to people and text and talk on the phone, cause my mom’s always got some crazy reason to keep me in the house.

Jordan (15, Austin): See, I’m not [allowed outside] so much. My mom’s from Mexico and like – it’s like completely like different.
danah: Why?
Jordan: I don’t know. It’s just like she thinks I’ll get kidnapped.

(boyd, danah. 2008. “Teen Socialization Practices in Networked Publics.” MacAthur Forum, Palo Alto, California, April 23.)

La percezione di essere fra amici che offrono i SNSs è piuttosto forte. Il paragone che viene più facilmente in mente è quello con una classica homepage personale o un blog. Se dal punto di vista teorico è piuttosto chiaro che i contenuti pubblicati su Internet sono esposti ad un pubblico indistinto, non è altrettanto chiaro quanto questa percezione di essere esposti ad un pubblico sconosciuto ed inconoscibile sia diffusa fra chi pubblica contenuti sul web (in particolare fra i giovani che lo fanno più spesso ed in modo sistematico).

L’ipotesi che ho formulato come corollario a quanto affermato da danah boyd è che in una fase iniziale di domesticazione dell’uso del web la percezione di avere fra le mani un “mezzo di comunicazione di massa per le masse” sia molto labile. In pratica la stragrande maggioranza di chi pubblica in rete i propri contenuti non ha una chiara sensazione di quanto questi contenuti siano pubblici. Si tratta di una fase di domesticazione che è, nel caso specifico del web, sociale ed individuale al tempo stesso. Per la prima volta nella storia siamo infatti di fronte ad una generazione di adulti (genitori ed insegnanti) che, a causa della rapidità dello sviluppo tecnologico, non appare in grado di accompagnare i giovani verso un uso maturo del mezzo.

In questo scenario l’apprendimento sull’uso maturo della rete avviene essenzialmente fra pari e spesso si basa su prove ed errori che grazie alla natura potenzialmente epidemica della diffusione dell’informazione sul web passo rapidamente da esperienze personali a “coscienza collettiva generazionale”. Lo shock di scoprire che un adulto (genitori, insegnanti, capo, media o uomini di marketing –  per non parlare dei malintenzionati) può accedere facilmente al tuo blog e alla tue fotografie provoca una forma di apprendimento istantanea della nozione di  pubblico indistinto nello spazio mediato di rete.

Capire che pubblicare in rete (in siti non protetti da password) i propri contenuti significa esporli ad un pubblico imprevedibile è uno degli skills fondamentali della new media literacy.

Ma cosa avviene quando il bisogno di socializzare fra pari nello spazio mediato di rete si accompagna a questa consapevolezza?

Si cercano spazi dove pubblicare i propri contenuti restringendo l’accesso solo ai propri amici.

Spazi come MySpace e Facebook e gli altri SNSs.

Pensate a quanto è evocativo in questo senso il nome MySpace (il MIO spazio) o all’importanza che hanno le impostazione per la gestione della privacy sui contenuti del proprio profilo nella nuova interfaccia di Facebook.

Ben inteso che la fuga verso i SNSs non risolve di per sé il problema/possibilità del pubblico indistinto. Nelle impostazioni iniziali di un profilo di Facebook, ad esempio, i contenuti pubblicati sono accessibili tanto ai propri amici, quanto al Network di cui si sceglie di essere parte (anche se inizialmente non si è parte di alcun network). Al tempo stesso è evidente che tutti i livelli di privacy disponibili in questi siti offrono, a patto di comprenderne l’utilizzo e sulla carta, un elevato grado di protezione dei propri contenuti.

Al tempo stesso non va dimenticato che il pubblico indistinto è anche a fondamento delle capacità trasformative del web. Le band emergenti che usano MySpace per promuovere i propri brani, ad esempio, sfruttano proprio le potenzialità connesse al pubblico indistinto ed ai “mezzi di comunicazione di massa per le masse”.

Ma esporsi ad un pubblico indistinto può anche suscitare un certo fascino. Limitando l’accesso al proprio profilo alle sole persone che si conoscono già, ci si preclude per scelta la possibilità che qualcuno che non ci conosce possa interessarsi a noi per via delle informazioni disponibili sul nostro profilo. Questo può valere tanto nel campo lavorativo quanto in quello del dating.

Non esiste dunque una ricetta unica. Quello che appare invece necessario è comprendere l’esistenza del pubblico indistinto e sulla base di questa consapevolezza e dei propri obiettivi scegliere, eventualmente caso per caso e SNS per SNS, il grado di esposizione al pubblico indistinto che si desidera.

Ancora una volta il mezzo in sé non risolve problemi se non se ne fa un uso consapevole.

A ulteriore corollario di questa ipotesi letta in relazione alla situazione italiana ho formulato alcune considerazioni sulle differenze di approccio ai problemi della privacy che avrebbero gli utenti italiani di Facebook e Badoo.

A questo scopo ho costruito un breve questionario per validare o meno la mia idea.

Il questionario è stato già compilato in pochissimi giorni da oltre cento persone. Mi piacerebbe arrivare a 2000 possibilmente equamente distribuiti fra utenti di Facebook e Badoo.

So che non è facile e per questo vi chiedo di collaborare attivamente alla diffusione del questionario attraverso i vostri blog e reti sociali.

Ci sono un paio di modi per farlo.

1) Pop up code (da inserire sul vostro blog):

2) Facendo circolare attraverso Facebook, Twitter o qualsiasi altro social network il seguente link: http://www.surveymonkey.com/s.aspx?sm=SBft_2bRdjLsy2zE6W140Qaw_3d_3d.

Vi ringrazio in anticipo per la collaborazione. Il prossimo appuntamento con What’s next #6 sarà venerdì 10 ottobre. Con alcuni amici poi ci vediamo lo stesso giorno anche di persona per il Festival dei Blog. Se non potete aspettare fino al 10 potete sempre dare uno sguardo di tanto in tanto a friendfeed.

What's next #4: Dietro le quinte di "conversazioni dal basso"

Nelle puntante precedenti di “Conversazioni dal Basso”….
In occasione del secondo compleanno del Festival dei Blog facciamo il punto su successi e fallimenti di un format sperimentale per l’organizzazione di eventi su e con il web.Nelle puntante precedenti di “Conversazioni dal Basso”….
In occasione del secondo compleanno del Festival dei Blog facciamo il punto su successi e fallimenti di un format sperimentale per l’organizzazione di eventi su e con il web.Nelle puntante precedenti di “Conversazioni dal Basso”….
In occasione del secondo compleanno del Festival dei Blog facciamo il punto su successi e fallimenti di un format sperimentale per l’organizzazione di eventi su e con il web.

A raccontarla oggi sembra quasi un’idea scontata. Organizzare in un contesto accademico un evento sui blog con protagonisti i blogger.
L’idea ci è balenata nella mente sul finire del 2006 durante una delle sessioni di procrastinazione strutturata che organizziamo periodicamente al LaRiCA.
Subito dopo è venuto fuori il nome “Conversazioni dal Basso”. Una sorta di traduzione creativa dell’aggettivo inglese grassroots diventato popolare in associazione con il termine journalism grazie a We the Media.
Poco dopo ci sono arrivate delle proposte di logo.
Fin dall’inizio è stato chiaro che “Conversazioni dal Basso” non avrebbe dovuto semplicemente parlare di blog e social media ma che avrebbe invece dovuto farlo secondo le logiche stesse della cultura partecipativa.
Per questo abbiamo realizzato un blog per raccontare l’evento ma anche un wiki per promuovere la forma di collaborazione più aperta e destrutturata possibile.
Solo in questo modo sarebbe stato qualcosa di più di una semplice conferenza, qualcosa di più di una mera vetrina per i nostri studi sui media sociali.
Certo doveva essere anche questo, ma al tempo stesso rappresentare un laboratorio per studiare quei processi vivendoli da protagonisti e non da semplici spettatori.
Si perché contrariamente alla tradizione dell’oggettività scientifica, esistono fenomeni che non possono essere compresi se non si è disposti ad entrare nel fenomeno stesso vivendolo dall’interno (si veda il bel pezzo Brave New World of Digital Intimacy sul New York Times).
Ad un certo punto il nostro background sociocibernetico di studi sui sistemi sociali, complessità e logiche dell’osservazione di secondo ordine, la prospettiva dell’AcaFan di cui parla Henry Jenkins, il coordinamento di comunità online finalizzate ad uno scopo ed i fenomeni che volevamo studiare stavano convergendo tutti verso un’unica prospettiva alla luce della quale il tempo dedicato ad organizzare un evento o – come si sarebbe rivelato in seguito – una serie di eventi, poteva essere considerato, anche da una prospettiva di ricerca, ben speso.
Prima abbiamo sperimentato il coinvolgimento dei blogger organizzando un workshop dove sarebbero stati protagonisti e co-organizzatori e non semplici comparse. Poi abbiamo deciso di allargare ancora di più la nostra comunità includendo alcuni nostri studenti ed un numero ancora più vasto di blogger.
Sono nati così il primo ed secondo workshop (dedicato alla politica) “Conversazioni dal Basso” ed il primo Festival dei Blog a Urbino.
Nel tempo il gruppo di volontari che co-organizzano attivamente gli eventi è cresciuto da una decina a circa trenta persone e al tempo stesso abbiamo iniziato ad usare un numero di strumenti web sempre più vasto ed eterogeneo.
Per la collaborazione stiamo usando il Basecamp di 37signals, per la condivisione di file drop.io, per la promozione gli eventi di Facebook, per le dirette web UStream, per le iscrizioni il bellissimo EventBrite, per i video un canale di YouTube. Questo senza considerare le quasi mille foto etichettate “conversazionidalbasso” su Flickr.
Ovviamente portare le logiche di apertura e dell’auto-organizzazione nell’ambito di una struttura spesso gerarchica e chiusa come l’accademia (non che altre organizzazioni che abbia visto in Italia lo siano meno) non è stato facile e non lo è tuttora. Conciliare la creatività ed i ritmi lavorativi di un gruppo di digital natives (fra l’altro volontari) con l’esigenza di promuovere delicatissime quanto necessarie forme di collaborazione intra ed inter-universitarie è un lavoro stimolante ma non facile.
In questo senso il Festival dei Blog di Urbino è molto diverso dalla Blog Fest di Riva del Garda (lo dico anche a beneficio della giornalista di Italia 1 che mi ha telefonato circa un mese fa).
Nessuno di noi è un professionista dell’organizzazione di eventi, il budget complessivo del Festival dei Blog ’07 è stato di molto inferiore a 10.000 euro e quello di quest’anno, grazie agli sponsor e alle donazioni dei singoli, non graverà che in piccolissima parte sulle tasche dell’istituzione che organizza l’evento.
Ovviamente nè io nè altri miei colleghi guadagna un euro dagli eventi “Conversazioni dal Basso”.
Però in esperienza, conoscenza di persone smart e visibilità abbiamo guadagnato nel corso di questi anni una cifra inestimabile.
Parte di questa cifra proviamo a restituirla alla comunità cercando con impegno di organizzare ogni anno eventi più interessanti, divertenti ed innovativi.
Fare la stessa cosa due volte non ci piace.
Ecco perchè nonostante il Treasure Hunt Wireless Game di ottobre 2007 sia stato molto divertente, abbiamo deciso di rilanciare con i Giochi Olimpici dei Blogger.
Ecco perchè abbiamo pensato di ospitare la prima Girl Geek Dinner non metropolitana affidandone l’organizzazione all’entusiasmo di quattro giovanissime ragazze geek.
Ecco perchè abbiamo proposto ad un gruppo di studenti di organizzare in completa autonomia il concorso fotografico “Living in a Wireless Campus”.
Ecco perché abbiamo deciso di sperimentare un format di BarCamp Accademico che fa della contraddizione fra questi due termini la sua stessa ragione di esistenza e nel farlo condensa simbolicamente in sè stesso lo spirito delle “Conversazioni dal Basso”.
Anche quest’anno sono sicuro che mi stancherò e mi divertirò.
Ci vediamo li?
P.S. Se stai leggendo questo articolo e sei una “blogstar” di quelle che vivono raccontando alle aziende le potenzialità della cultura partecipativa e del web, questo è il tuo momento per restituire qualcosa alla comunità. Partecipa e diffondi la campagna di auto-finanziamento 🙂
CROWD FUNDING: Acquista un “Supporters Ticket” a donazione libera ed aiutaci a finanziare l’Academic BarCamp. Bastano anche solo 5 €.

A raccontarla oggi sembra quasi un’idea scontata. Organizzare in un contesto accademico un evento sui blog con protagonisti i blogger.

L’idea ci è balenata nella mente sul finire del 2006 durante una delle sessioni di procrastinazione strutturata che organizziamo periodicamente al LaRiCA.

Subito dopo è venuto fuori il nome “Conversazioni dal Basso”. Una sorta di traduzione creativa dell’aggettivo inglese grassroots diventato popolare in associazione con il termine journalism grazie a We the Media.

Poco dopo ci sono arrivate delle proposte di logo.

Fin dall’inizio è stato chiaro che “Conversazioni dal Basso” non avrebbe dovuto semplicemente parlare di blog e social media ma che avrebbe invece dovuto farlo secondo le logiche stesse della cultura partecipativa.

Per questo abbiamo realizzato un blog per raccontare l’evento ma anche un wiki per promuovere la forma di collaborazione più aperta e destrutturata possibile.

Solo in questo modo sarebbe stato qualcosa di più di una semplice conferenza, qualcosa di più di una mera vetrina per i nostri studi sui media sociali.

Certo doveva essere anche questo, ma al tempo stesso rappresentare un laboratorio per studiare quei processi vivendoli da protagonisti e non da semplici spettatori.

Si perché contrariamente alla tradizione dell’oggettività scientifica, esistono fenomeni che non possono essere compresi se non si è disposti ad entrare nel fenomeno stesso vivendolo dall’interno (si veda il bel pezzo Brave New World of Digital Intimacy sul New York Times).

Ad un certo punto il nostro background sociocibernetico di studi sui sistemi sociali, complessità e logiche dell’osservazione di secondo ordine, la prospettiva dell’AcaFan di cui parla Henry Jenkins, il coordinamento di comunità online finalizzate ad uno scopo ed i fenomeni che volevamo studiare stavano convergendo tutti verso un’unica prospettiva alla luce della quale il tempo dedicato ad organizzare un evento o – come si sarebbe rivelato in seguito – una serie di eventi, poteva essere considerato, anche da una prospettiva di ricerca, ben speso.

Prima abbiamo sperimentato il coinvolgimento dei blogger organizzando un workshop dove sarebbero stati protagonisti e co-organizzatori e non semplici comparse. Poi abbiamo deciso di allargare ancora di più la nostra comunità includendo alcuni nostri studenti ed un numero ancora più vasto di blogger.

Sono nati così il primo ed secondo workshop (dedicato alla politica) “Conversazioni dal Basso” ed il primo Festival dei Blog a Urbino.

Nel tempo il gruppo di volontari che co-organizzano attivamente gli eventi è cresciuto da una decina a circa trenta persone e al tempo stesso abbiamo iniziato ad usare un numero di strumenti web sempre più vasto ed eterogeneo.

Per la collaborazione stiamo usando il Basecamp di 37signals, per la condivisione di file drop.io, per la promozione gli eventi di Facebook, per le dirette web UStream, per le iscrizioni il bellissimo EventBrite, per i video un canale di YouTube. Questo senza considerare le quasi mille foto etichettate “conversazionidalbasso” su Flickr.

Ovviamente portare le logiche di apertura e dell’auto-organizzazione nell’ambito di una struttura spesso gerarchica e chiusa come l’accademia (non che altre organizzazioni che abbia visto in Italia lo siano meno) non è stato facile e non lo è tuttora. Conciliare la creatività ed i ritmi lavorativi di un gruppo di digital natives (fra l’altro volontari) con l’esigenza di promuovere delicatissime quanto necessarie forme di collaborazione intra ed inter-universitarie è un lavoro stimolante ma non facile.

In questo senso il Festival dei Blog di Urbino è molto diverso dalla Blog Fest di Riva del Garda (lo dico anche a beneficio della giornalista di Italia 1 che mi ha telefonato circa un mese fa).

Nessuno di noi è un professionista dell’organizzazione di eventi, il budget complessivo del Festival dei Blog ’07 è stato di molto inferiore a 10.000 euro e quello di quest’anno, grazie agli sponsor e alle donazioni dei singoli, non graverà che in piccolissima parte sulle tasche dell’istituzione che organizza l’evento.

Ovviamente nè io nè altri miei colleghi guadagna un euro dagli eventi “Conversazioni dal Basso”.

Però in esperienza, conoscenza di persone smart e visibilità abbiamo guadagnato nel corso di questi anni una cifra inestimabile.

Parte di questa cifra proviamo a restituirla alla comunità cercando con impegno di organizzare ogni anno eventi più interessanti, divertenti ed innovativi.

Fare la stessa cosa due volte non ci piace.

Ecco perchè nonostante il Treasure Hunt Wireless Game di ottobre 2007 sia stato molto divertente, abbiamo deciso di rilanciare con i Giochi Olimpici dei Blogger.

Ecco perchè abbiamo pensato di ospitare la prima Girl Geek Dinner non metropolitana affidandone l’organizzazione all’entusiasmo di quattro giovanissime ragazze geek.

Ecco perchè abbiamo proposto ad un gruppo di studenti di organizzare in completa autonomia il concorso fotografico “Living in a Wireless Campus”.

Ecco perché abbiamo deciso di sperimentare un format di BarCamp Accademico che fa della contraddizione fra questi due termini la sua stessa ragione di esistenza e nel farlo condensa simbolicamente in sè stesso lo spirito delle “Conversazioni dal Basso”.

Anche quest’anno sono sicuro che mi stancherò e mi divertirò.

Ci vediamo li?

P.S. Se stai leggendo questo articolo e sei una “blogstar” di quelle che vivono raccontando alle aziende le potenzialità della cultura partecipativa e del web, questo è il tuo momento per restituire qualcosa alla comunità. Partecipa e diffondi la campagna di auto-finanziamento 🙂

CROWD FUNDING: Acquista un “Supporters Ticket” a donazione libera ed aiutaci a finanziare l’Academic BarCamp. Bastano anche solo 5 €.

A raccontarla oggi sembra quasi un’idea scontata. Organizzare in un contesto accademico un evento sui blog con protagonisti i blogger.

L’idea ci è balenata nella mente sul finire del 2006 durante una delle sessioni di procrastinazione strutturata che organizziamo periodicamente al LaRiCA.

Subito dopo è venuto fuori il nome “Conversazioni dal Basso”. Una sorta di traduzione creativa dell’aggettivo inglese grassroots diventato popolare in associazione con il termine journalism grazie a We the Media.

Poco dopo ci sono arrivate delle proposte di logo.

Fin dall’inizio è stato chiaro che “Conversazioni dal Basso” non avrebbe dovuto semplicemente parlare di blog e social media ma che avrebbe invece dovuto farlo secondo le logiche stesse della cultura partecipativa.

Per questo abbiamo realizzato un blog per raccontare l’evento ma anche un wiki per promuovere la forma di collaborazione più aperta e destrutturata possibile.

Solo in questo modo sarebbe stato qualcosa di più di una semplice conferenza, qualcosa di più di una mera vetrina per i nostri studi sui media sociali.

Certo doveva essere anche questo, ma al tempo stesso rappresentare un laboratorio per studiare quei processi vivendoli da protagonisti e non da semplici spettatori.

Si perché contrariamente alla tradizione dell’oggettività scientifica, esistono fenomeni che non possono essere compresi se non si è disposti ad entrare nel fenomeno stesso vivendolo dall’interno (si veda il bel pezzo Brave New World of Digital Intimacy sul New York Times).

Ad un certo punto il nostro background sociocibernetico di studi sui sistemi sociali, complessità e logiche dell’osservazione di secondo ordine, la prospettiva dell’AcaFan di cui parla Henry Jenkins, il coordinamento di comunità online finalizzate ad uno scopo ed i fenomeni che volevamo studiare stavano convergendo tutti verso un’unica prospettiva alla luce della quale il tempo dedicato ad organizzare un evento o – come si sarebbe rivelato in seguito – una serie di eventi, poteva essere considerato, anche da una prospettiva di ricerca, ben speso.

Prima abbiamo sperimentato il coinvolgimento dei blogger organizzando un workshop dove sarebbero stati protagonisti e co-organizzatori e non semplici comparse. Poi abbiamo deciso di allargare ancora di più la nostra comunità includendo alcuni nostri studenti ed un numero ancora più vasto di blogger.

Sono nati così il primo ed secondo workshop (dedicato alla politica) “Conversazioni dal Basso” ed il primo Festival dei Blog a Urbino.

Nel tempo il gruppo di volontari che co-organizzano attivamente gli eventi è cresciuto da una decina a circa trenta persone e al tempo stesso abbiamo iniziato ad usare un numero di strumenti web sempre più vasto ed eterogeneo.

Per la collaborazione stiamo usando il Basecamp di 37signals, per la condivisione di file drop.io, per la promozione gli eventi di Facebook, per le dirette web UStream, per le iscrizioni il bellissimo EventBrite, per i video un canale di YouTube. Questo senza considerare le quasi mille foto etichettate “conversazionidalbasso” su Flickr.

Ovviamente portare le logiche di apertura e dell’auto-organizzazione nell’ambito di una struttura spesso gerarchica e chiusa come l’accademia (non che altre organizzazioni che abbia visto in Italia lo siano meno) non è stato facile e non lo è tuttora. Conciliare la creatività ed i ritmi lavorativi di un gruppo di digital natives (fra l’altro volontari) con l’esigenza di promuovere delicatissime quanto necessarie forme di collaborazione intra ed inter-universitarie è un lavoro stimolante ma non facile.

In questo senso il Festival dei Blog di Urbino è molto diverso dalla Blog Fest di Riva del Garda (lo dico anche a beneficio della giornalista di Italia 1 che mi ha telefonato circa un mese fa).

Nessuno di noi è un professionista dell’organizzazione di eventi, il budget complessivo del Festival dei Blog ’07 è stato di molto inferiore a 10.000 euro e quello di quest’anno, grazie agli sponsor e alle donazioni dei singoli, non graverà che in piccolissima parte sulle tasche dell’istituzione che organizza l’evento.

Ovviamente nè io nè altri miei colleghi guadagna un euro dagli eventi “Conversazioni dal Basso”.

Però in esperienza, conoscenza di persone smart e visibilità abbiamo guadagnato nel corso di questi anni una cifra inestimabile.

Parte di questa cifra proviamo a restituirla alla comunità cercando con impegno di organizzare ogni anno eventi più interessanti, divertenti ed innovativi.

Fare la stessa cosa due volte non ci piace.

Ecco perchè nonostante il Treasure Hunt Wireless Game di ottobre 2007 sia stato molto divertente, abbiamo deciso di rilanciare con i Giochi Olimpici dei Blogger.

Ecco perchè abbiamo pensato di ospitare la prima Girl Geek Dinner non metropolitana affidandone l’organizzazione all’entusiasmo di quattro giovanissime ragazze geek.

Ecco perchè abbiamo proposto ad un gruppo di studenti di organizzare in completa autonomia il concorso fotografico “Living in a Wireless Campus”.

Ecco perché abbiamo deciso di sperimentare un format di BarCamp Accademico che fa della contraddizione fra questi due termini la sua stessa ragione di esistenza e nel farlo condensa simbolicamente in sè stesso lo spirito delle “Conversazioni dal Basso”.

Anche quest’anno sono sicuro che mi stancherò e mi divertirò.

Ci vediamo li?

P.S. Se stai leggendo questo articolo e sei una “blogstar” di quelle che vivono raccontando alle aziende le potenzialità della cultura partecipativa e del web, questo è il tuo momento per restituire qualcosa alla comunità. Partecipa e diffondi la campagna di auto-finanziamento 🙂

CROWD FUNDING: Acquista un “Supporters Ticket” a donazione libera ed aiutaci a finanziare l’Academic BarCamp. Bastano anche solo 5 €.

Networks Visualization Tools

Recentemente nella mailing list dell’Associazione dei Ricercatori che studiano Interent si è parlato di strumenti software per disegnare e visulizzare reti di relazioni.
Di seguito elenco le applicazioni di cui si è parlato con il preciso scopo di non dimenticarmene:

  1. MindRaider
    a Semantic Web outliner. It aims to connect the tradition of outline editors with emerging technologies. MindRaider mission is to help you in organization of your cognitive base and associated web/local/realworld resources in a way that enables quick navigation, concise representation and inferencing
  2. TouchGraph Google Browser (ma anche Amazon e Facebook)
    free Java application to explore the connections between related websites
  3. NetworkX
    a Python package for the creation, manipulation, and study of the structure, dynamics, and functions of complex networks
  4. Graphviz
    It take descriptions of graphs in a simple text language, and make diagrams in several useful formats such as images and SVG for web pages, Postscript for inclusion in PDF or other documents; or display in an interactive graph browser
  5. SoNIA (Social Network Image Animator)
    a Java-based package for visualizing dynamic or longitudinal “network” data. By dynamic, we mean that in addition to information about the relations (ties) between various entities (actors, nodes) there is also information about when these relations occur, or at least the relative order in which they occur

Questi ed altri strumenti analoghi sono inoltre elencati in questo post.

Technorati tags: ,

Sociologia del web 2.0

Ho finalmente trovato il tempo di leggere l’articolo di David Beer e Roger Burrows (uno degli organizzatori del convegno di York) intitolato “Sociology and, of and in Web 2.0: Some Initial Considerations”.
Ho preso nota di alcuni passi che mi sono sembrati particolarmente interessanti nello spazio tumblr.
Lo scopo dichiarato dell’articolo è quello di mettere in luce come il Web 2.0 sia un fenomeno sociologicamente interessante e al tempo stesso una sfida aperta per chi si occupa di studiare la società.
Il taglio dell’articolo è piuttosto descrittivo e tende ad aprire scenari più che a offire certezze.
In particolare Beer e Burrows identificano almeno tre fenomeni sociologicamente rilevanti in relazione al Web 2.0:

  1. I cambiamenti in corso nel rapporto fra consumo e produzione di contenuti;
  2. La pubblicazione di informazioni private in uno spazio pubblico;
  3. L’emergere di una nuova retorica della “democratizzazione”.

Interessante anche la parte finale nella quale gli autori provano a descrivere come il sociologo dovrebbe indagare questi fenomeni:

First, we need to be inside of the networks, online communities, and collaborative movements to be able to see what is going on and describe it. If we take Facebook for instance, it is not possible to enter into and observe the network without becoming a member, providing an institutional email, entering some personal details and generating a profile. Therefore, in order to get some idea of users and their practices it is necessary to become a ‘wikizen’. The social researcher will need to be immersed, they will need to be participatory, and they will need to ‘get inside’ and make some ‘friends’. We will have to become part of the collaborative cultures of Web 2.0, we will need to build our own profiles, make some flickering friendships, expose our own choices, preferences and views, and make ethical decisions about what we reveal and the information we filter out of these communities and into our findings. Our ability to carry out virtual ethnographies will – by necessity – involve moving from the role of observer to that of participant observer.
(…)
A second issue is that once inside these networks we may explore the possibilities of using Web 2.0 applications, and particularly the interactive potentials of SNS, as research tools or research technologies (this is not necessarily limited to research into Web 2.0, SNS could be used to conduct research on any topic).
(…)
There are possibilities then for tailoring innovative research strategies that take advantage of the interactive potentials of these new media and of the data that they hold. But can we, should we, use it to study itself?
(…)
As sociologists what we may need to do is take a leaf out of the ‘wikizens’ book and adapt to the possibilities of research from within the information flows. Mimicking, in a sense, the desire of wikizens to find out about each other and the connections people make by browsing through SNS. ‘Wikizens’ are already engaged in sociological research of sorts. SNS in particular reveal a sociological tendency in web users as they search and browse through profiles of their fellow ‘wikizens’, reading about them, looking at photographs and so on.
(…)
We may, for instance, begin to place Web 2.0 into broader contexts of celebrity culture – the celebration of the mundane, reality TV, celebrity reality TV, gossip magazines, and the ‘voting out’ cultures of X-factor and any other number of programmes. It is certain that one significant difference between the citizen and the ‘wikizen’ is the value that they place on privacy.
(…)
In terms of conceptualising this change it would seem that Urry’s (2003) recent call for new concepts that better capture the contemporary complexity turn is entirely fitting.

Bellissimo infine l’esempio dell’abusatissimo concetto di flâneur.

On the later we can imagine reworkings of the concept of the flâneur for instance. Here we can visualise the ‘wikizen’ as flâneur, wandering without direction around wikis, folksonomies, mashups and SNS, taking in the surroundings without concern for a final destination. Indeed, recently the flâneur has been re-energised as a concept for understanding the experiences of virtual space – the ‘virtual flâneur’ (Featherstone, 1998), the ‘cyborg’ flâneur (Shields, 2006), and the ‘flâneur electronique’ (Atkinson & Willis, 2007). The problem is that unlike the flâneur wandering around the Paris arcades as described in Benjamin’s 1930s Arcades Project (1999), or even the more recent reworkings of the flâneur wandering around virtual space, the wikizen is instead involved in generating and shaping the environments that they wander through and observe.

Una differenza non da poco tanto che qualche riga dopo gli autori aggiungono…

The point here is that in light of Web 2.0 it is necessary to reconsider how we conceptualise what is happening. The first step may well be to construct more complete and differentiated descriptions of what is happening in Web 2.0, who is involved, and the practices entailed, in order to inform and enrich new concepts or reworkings of our theoretical staples. It is here that a movement toward a more descriptive sociology may fit.

Condivido l’analisi.
Penso solo che questo nuovo e più ricco apparato concettuale esista già.
Si chiama cibernetica di secondo ordine e qualcuno ci ha anche fatto la gentilezza di adattarlo già allo studio della società.

Technorati tags: , , , , ,

Harnessing Collective Intelligence

Dirk Baecker segnala nella mailing list sociocybernetics che su YouTube (prima parte | seconda parte) è disponibile un’intervista fatta da Ulrich Boehm a Niklas Luhmann nel 1973 nel corso della quale il sociologo tedesco spiega la teoria dei sistemi sociali.

Penso “interessante, ma in tedesco non capisco nulla”. Guardo le immagini, leggo i commenti e mi convinco che oltre ad essere un materiale straordinario dal punto di vista documentale può anche essere utile.

Rispondo alla lista dicendo “fantastico magari qualcuno potrebbe usare Mojiti per farne una versione sottotitolata in inglese”. Ho poche speranze in realtà che qualcuno abbia tempo da dedicare a questo.

Passa qualche giorno ed oggi arriva alla lista questo messaggio di Christian Schuster.

Well, Fabio, how about that?

http://mojiti.com/kan/7240/21351

Not the best subtitles, but I guess it is better than nothing.

Chris

Dalla versione in inglese a quella italiana è stato un gioco da ragazzi e dunque eccovi Luhmann che spiega la differenza sistema/ambiente, la complessità e la società come sistema sociale complessivo sottotitolato in italiano

N.B. Questa è solo la prima parte. Speriamo che Christian produca presto anche i sottotitoli per la seconda parte.

P.S. Se sapete il tedesco su YouTube c’è anche un’altra intervista a Luhmann più recente (1989).

UPDATE Daniel Lüdecke, che è fra l’altro l’autore del software che simula il funzionamento del famoso zettelkasten, ha sottotitolato in inglese un altro breve video dove Luhmann descrive il modo di archiviare le sue letture.  

Semantica della società e Web2

Finalmente dopo anni che ne parlo sono riuscito a trovare l’occasione e dunque il tempo per formalizzare l’idea di analizzare il contenuto generato dagli utenti per la ricerca sociologica. Come anticipato, stamattina ho presentato l’idea alla conferenza internazionale di sociocibernetica di Murcia e mi pare che ci sia un diffuso interesse verso questo tipo di prospettiva. Sto anche scrivendo un paper che è relativamente a buon punto e pubblicherò non appena completo. Per ora ecco le slide che ho utilizzato.

Come al solito Slideshare ha reinterpretato creativamente la presentazione questa volta cambiando i colori 🙁 vabbè pazienza

Lab20 goes to York

Chiara ha appena completato l’editing e spedito l’abstract per partecipare al convegno Towards a Social Science of Web 2.0 che si svolgerà presso il National Science Learning Center dell’Università di York in UK il 5 e 6 settembre prossimi.

Presenteremo l’idea, come poi è il motivo per cui il Lab20 è nato, di usare i contenuti generati dagli utenti disponibili sul web come fonte dati per la ricerca sociologica. L’idea sarà esemplificata attraverso la presentazione di una ricerca (ideata da Chiara sulla Pregnancy 2.0). Per l’occasione inoltre presentermo alcuni dettagli sull’applicazione (che abbiamo progettato ed iniziato a sviluppare) finalizzata a supportare lo scienziato sociale nel gestire efficacemente ed efficentemente l’enorme quantità di informazioni a cui ha oggi accesso (una specie di Nvivo via web che possa reperire i dati e supportare l’analisi qualitativa del contenuto).

Romeo ha pubblicato l’abstract sul suo blog.

Sarei veramente molto sorpreso se non ci prendessero visto che mai come per questo convegno l’abstract è perfettamente adatto alla call.

MiT5

Finalmente anche il nostro (GBA, RL ed io) intervento Ownership in the Digital Age: A Sociological Approach appare nell’agenda provvisoria della quinta edizione di Media in Transition che quest’anno è dedicata alla creatività, la proprietà e la collaborazione al tempo del digitale.

Il programma completo è veramente massiccio e ricorda per dimensioni, con fino a 10 panel contemporanei, i convegni mondiali dell’ISA o dell’IIS.

Il panel al quale siamo stati assegnati si svolge nella mattinata di sabato ed è intitolato Copyright 2: Politics and Ethics. Non che il nostro intervento abbia a che fare con questo ma immagino che la creazione dei panel sulla sola base degli abstract e bios non deve essere stata affatto facile.

Più informazioni presto…

Technorati tags: , ,