Analisi del gruppo Facebook dell’Università di Urbino
Ho scoperto solo oggi che netvizz consente di scaricare, oltre che il proprio grafo personale di Facebook, anche quello dei gruppi di cui si è membri.
Per testare questa funzionalità ho provato a scaricare il grafo relativo al gruppo Università di Urbino “Carlo Bo” composto, al momento in cui scrivo, da 2281 membri.
Nella documentazione è riportato che, a cause delle limitazioni imposte da Facebook sull’uso delle sue API, per gruppi superiori a 500 membri viene estratto un campione casuale di membri. Nella mia prova sono invece riuscito a scaricare, dopo alcuni minuti di attesa durante i quali sembra che non succeda nulla, un grafo praticamente completo composto da 2213 nodi e 13408 archi che rappresentano i legami di amicizia fra i membri del gruppo. Sul perché manchino all’appello 68 membri non saprei dirvi anche se sospetto possa dipendere dalle impostazioni di privacy degli utenti.
Netvizz crea un grafo indiretto in formato gdf. Da lì ad importare il grafo in Gephi il passo è stato breve.
Fra le misure di centralità ho deciso di utilizzare l’Eigenvector centrality per rappresentare le dimensioni dei nodi. Ho inoltre calcolato la modularity per individuare le comunità.
Ho infine applicato l’algoritmo ForceAtlas 2 per posizionare i nodi.
Ed ecco il risultato.
Scarica la visualizzazione in formato SVG
Credo si tratti di una fotografia piuttosto fedele delle relazioni a Urbino (almeno per quello che le conosco io). Si nota l’emergere di alcuni cluster interessanti come quello degli studenti greci in blu (sulla destra e piuttosto isolati), l’area di scienze della comunicazione (in rosso), quella dell’impegno politico in bianco e piuttosto centrali a segnalare una tendenza a fare amicizia con molte persone diverse, caratteristica questa che condividono con il cluster verde che fa invece riferimento alla vita notturna e all’intrattenimento. Lascio a voi il piacere di identificare gli altri cluster.
Vi lascio inoltre con una piccola curiosità.
Questo è il grafo dei 100 membri del gruppo meglio connessi (sempre in base all’Eigenvector centrality) rispetto agli altri.
Le conclusioni di un recente studio smentiscono molti luoghi comuni
Questa è una delle conclusioni a cui sono giunti i ricercatori del Pew Internet nel loro ultimo studio intitolato Social networking sites and our lives.
Il report è particolarmente interessante perché affronta temi che spesso affiorano quando si parla di Internet e Siti di Social Network: Saremo tutti più isolati e individualisti? Ci rinchiuderemo nella cerchia delle persone che condividono le nostre stesse opinioni ed interessi?
Queste ipotesi appaiono largamente smentite dai dati e dall’analisi che ne fanno i ricercatori americani.
Alla domanda che chiedeva di indicare il grado di accordo sull’affermazione “sento che la maggior parte delle persone sono degne di fiducia” gli utenti di Internet hanno risposto affermativamente nel doppio dei casi rispetto ai non utenti di Internet. Inoltre un utente di Facebook che usa la piattaforma diverse volte al giorno ha il 43% di possibilità in più rispetto agli utenti di Internet di esprimere accordo con questa affermazione. I dati sono stati depurati dal fattore demografico (ovvero i ricercatori hanno tenuto conto del fatto che il grado di accordo ad una domanda simile può essere correlato con l’età della persona ed essendo gli utenti di siti di social network più giovani del resto della popolazione…);
Gli utenti di Facebook hanno un numero maggiore di legami sociali forti. La media US è di 2.16 amici con cui ci si confida (in crescita rispetto al 1.93 della rilevazione 2008). Gli utenti Facebook che usano la piattaforma più volte al giorno hanno in media il 9% in più di legami forti rispetto agli altri utenti Internet;
Calcolando il supporto sociale (emotivo, compagnia e strumentale) che si riceve dai propri legami sociali su una scala dove il massimo è 100, gli americani in media fanno registrare i seguenti dati: 75/100 supporto, 75/100 supporto emotivo, 76/100 compagnia, 75/100 strumentale. Gli utenti internet superano di 3 punti la media sul supporto totale e di 6 punti la media sulla compagnia. Gli utenti Facebook che usano la piattaforma più volte al giorno ottengono altri 5 punti (rispetto agli Internet users) sul supporto totale, 5 punti sul supporto emotivo e 5 punti sulla compagnia. Per dare un’idea di cosa significhi la differenza in questa scala i ricercatori fanno notare che l’incremento di punteggio fatto registrare dagli utenti Facebook è paragonabile per entità a sposarsi o andare a vivere con un partner;
Dati relativi alle elezioni di MidTerm 2010. Su una media di 10 Americani su 100 che dichiarano di aver partecipato ad una dimostrazione politica, 23% che ha provato a convincere altri a supportare uno specifico candidato e 66% che hanno dichiarato di essere intenzionati a votare, l’utente Internet ha il doppio di possibilità di aver partecipato ad un evento politico, il 78% di possibilità in più di aver cercato di convincere altri a supportare un certo candidato ed il 53% in più di dichiarare di aver intenzione di votare. Rispetto agli utenti Internet, gli utenti Facebook che usano la piattaforma più volte al giorno hanno due volte e mezzo la possibilità che ha un utente Internet di aver partecipato ad una manifestazione politica, il 57% in più di aver cercato di persuadere qualcuno a votare in un certo modo e un 43% di possibilità in più di aver dichiarato l’intenzione di partecipare al voto.
Altri dati interessanti:
il 79& degli Americani adulti ha usato Internet ed il 47% (59% degli Internet Users) almeno un sito di social network. In Italia secondo una ricerca svolta con metodologia analoga a Dicembre 2010 dal laboratorio di ricerca LaRiCA erano 58% di Italiani adulti ad aver usato Internet e 32% (55% degli Internet Users) ad aver usato un sito di social network;
Solo il 3% dei contatti su Facebook degli utenti Americani è costituito da persone che l’utente non ha mai conosciuto ed il 7% da persone incontrate una sola volta.
Come al solito vorrei sottolineare quanto sarebbe importante, utile e relativamente semplice riproporre uno studio identico in Italia. Se qualcuno vuole finanziare l’operazione io mi metto a disposizione per lavorarci gratuitamente anche da domani 😉
Quanto e come la popolarità Facebook di un candidato appartenente ad un certo schieramento politico si riflette nelle percentuali di voto valido?
Dopo aver visto gli scostamenti per comune, prosegue l’analisi dei dati raccolti durante il primo turno delle elezioni amministrative del 15 e 16 Maggio. Questa volta abbiamo analizzato gli scostamenti per schieramento. Per farlo abbiamo operato una semplificazione dello scenario creando sette categorie (destra, centro-destra, centro, centro-sinistra, sinistra, movimento 5 stelle e altri) ed assegnano ciascun candidato sindaco ad uno di questi schieramenti.
Il risultato è riassunto in questo grafico:
In generale le percentuali di Facebook mostrano uno scostamento negativo rispetto a quelle ottenute dai candidati alle elezioni (percentuali più alte di Likes che di voti reali). Si tratta di un risultato fisiologico influenzato dall’assenza di molti candidati nella competizione su Facebook (candidati cioè che non hanno una loro pagina Facebook). Riducendosi il numero di competitors si alzano le percentuali medie.
Lo scarto medio fra Likes e voti è del -5% (in valore assoluto +/- 7%).
Emergono tuttavia altre due interessanti considerazioni:
L’unico schieramento che ottiene un risultato in contro-tendenza è il centro-destra che fa registrare uno scostamento positivo del +8%. Lascio ai politologi l’interpretazione di questo dato che potrebbe essere influenzato dalle diverse strategie di campagna adottate dal centro-destra o dalle variabili strutturali che caratterizzano la popolazione di Facebook in Italia;
Le forze estreme fanno registrare scostamenti maggiori rispetto alle forze più moderate. Gli otto candidati del centro (tutti riconducibili al terzo polo) fanno infatti registrare uno scostamento del -0,87%. Destra e Sinistra si attestano invece rispettivamente a -9% e -10%. Rilevante anche lo scostamento delle liste civiche (-15%) trainate con tutta probabilità dalla notorietà dei personaggi candidati.
I dati disaggregati per candidato sono consultabili in questo foglio del Google Spreadsheet di lavoro.
Contare i Mi Piace si è rivelato un esercizio interessante ed istruttivo. Gli indicatori costruiti si sono rivelati più accurati di quanto non si potesse pensare inizialmente. Ovviamente nessuno ipotizza un rapporto di causa-effetto fra popolarità su Facebook di un candidato e risultato elettorale. Si tratta di variabili indipendenti il cui andamento mostra tuttavia delle interessanti similitudini.
Siamo tuttavia consapevoli del fatto che parte dei Likes/Mi Piace di un candidato potrebbero essere rappresentati da detrattori e non da supporter di quel candidato. Per postare contenuti e commenti in una pagina è infatti necessario cliccare preventivamente sul bottone Mi Piace. Una interessante analisi su questo è stata pubblicata oggi su FriendFeed da Gianandrea di BuzzDetector. L’analisi mostra bene le evidenti differenze di comportamento degli utenti della pagina Facebook di Letizia Moratti e di Giuliano Pisapia.
Per questo motivo, durante la campagna elettorale, abbiamo inoltre raccolto tutti i contenuti (post e commenti) delle pagine Facebook dei candidati più popolari nella maggiori città. Abbiamo iniziato l’analisi di questi dati ma ci vorrà del tempo per vedere i risultati.
Per rimanere aggiornati su questo e altri progetti fai Like qui:
Nota metodologica: per calcolare gli scostamenti per schieramento abbiamo eliminato le città dove era presente su Facebook un solo candidato (Olbia e Ravenna).
Una analisi dell’impatto di Facebook sul voto delle amministrative 2011
Questo post è il terzo di una serie dedicata all’analisi del voto delle elezioni amministrative 2011.
A partire dal 25 Aprile 2011 abbiamo raccolto il numero di Likes o Mi Piace riportati su ciascuna pagina Facebook dei candidati sindaco nei 29 comuni capoluogo di provincia dove si è votato il 15 e 16 Maggio. Di questi 29 comuni solo 1 non aveva candidati con pagine Facebook. La metodologia di raccolta dati è descritta nel post “Predire il risultato elettorale con Facebook?”. I grafici con gli scostamenti riportati nella quattro principali città sono pubblicati da qualche giorno sulla pagina del progetto nel sito LaRiCA. Gli scarti sono stati calcolati mettendo a confronto le percentuali di Likes riportate da ciascun candidato (fatto cento il numero totale di Likes riportato da tutte le pagine Facebook dei candidati di un dato comune. Ovviamente non tutti i candidati erano presenti su Facebook con una propria pagina) e la percentuale di voti validi ottenuti (dati del sito del Ministero degli Interni e della Regione Friuli Venezia Giulia per Trieste).
Come prevedibile lo scarto medio è alto. La percentuale di consenso su Facebook si scosta in media del +/-22% rispetto al risultato reale. Il comune che ha fatto registrare lo scarto medio più basso è Bologna con un +/-7,27%. Sette comuni hanno fatto registrare scarti inferiori al +/-10%: oltre alla già citata Bologna ci sono anche Cagliari, Cosenza, Napoli, Salerno, Siena e Torino. In generale lo scarto sembra diminuire al crescere dei candidati sindaco presenti con una loro pagina Facebook. In altre parole maggiore è il numero di candidati presenti su Facebook in un dato comune, maggiore sarà l’accuratezza della previsione per quel comune (ad esempio a Salerno 5 su 6 candidati avevano una loro pagina e lo scarto medio è del 9% ). Stiamo lavorando sull’analisi di ogni singolo candidato e schieramento di appartenenza per verificare se gli scarti sono correlati all’appartenenza ad una certa area politica (maggiori dettagli su questo in un successivo post).
Nel 39% dei casi il candidato che era primo su Facebook ha effettivamente vinto le elezioni raccogliendo il maggior numero di voti. Nel 43% dei casi il candidato risultato primo su Facebook è invece arrivato secondo alle elezioni. In altre parole il candidato sindaco che raccoglie il maggior consenso su Facebook ha oltre l’80% di possibilità di diventare sindaco o di arrivare secondo nella competizione elettorale.
Nel 21% dei casi il candidato secondo classificato su Facebook ha vinto la competizione elettorale e nel 10% dei casi il candidato secondo classificato su Facebook si è effettivamente piazzato secondo.
Per ottenere un indice sintetico dell’affidabilità della previsione di Facebook ho inoltre calcolato un punteggio per ciascun comune attribuendo 6 punti in caso il candidato primo su Facebook sia realmente arrivato primo, 4 in caso il candidato secondo sia realmente arrivato secondo e 3 se il candidato primo è arrivato in realtà secondo o il secondo primo.
In due casi (Siena e Salerno) su 29 (7%) la previsione di Facebook si è rivelata totalmente accurata con sia il primo che il secondo classificato piazzatisi rispettivamente primo e secondo nelle elezioni. In 3 casi (Carbonia, Rimini e Rovigo) il punteggio totalizzato è stato 0 (ovvero previsione totalmente sbagliata). Il punteggio medio è 4,7.
I dati, come al solito, sono disponibili in questo foglio del google spreadsheet.
Esiste una correlazione fra la popolarità di una pagina Facebook ed il risultato elettorale di un candidato?
Subito dopo le elezioni politiche americane del 2010, il team politico di Facebook rilasciò una nota che metteva in evidenza come su un campione di 98 competizioni elettorali per il seggio della camera e 34 per quello del senato, rispettivamente nel 74% dei casi e nell’82% dei casi è risultato eletto il candidato che aveva un numero maggiore di fan (oggi Likes) sulla pagina Facebook ufficiale.
Un successivo breve studio realizzato da Trilogy Interactive ha provato a verificare questa ipotesi cercando una semplice correlazione statistica lineare fra il margine di scarto fra il primo ed il secondo candidato alle elezioni ed il margine di scarto fra il candidato più popolare su Facebook ed il secondo classificato. Le conclusioni di questo studio non confermano l’esistenza di una correlazione, ma evidenzia la necessità di altri studi basati su contesti diversi.
Da qui l’idea di raccogliere i dati relativi alle elezioni amministrative del 15 e 16 Maggio 2011. In questa tornata elettorale saranno rinnovate le amministrazioni comunale di oltre tremila comuni, diverse province ed una regione. Si tratta dunque di un test elettorale significativo dal punto di vista politico ma anche di una buona e diversificata base dati.
Per lo studio che abbiamo in mente sarebbe stato particolarmente interessante disporre di tutti i dati, ma per limiti di risorse che possiamo dedicare al progetto abbiamo deciso di limitare, almeno inizialmente, la nostra attenzione alle città capoluogo di provincia con oltre 100.000 abitanti. Questa scelta consente di concentrare l’attenzione sulle principali competizioni (Milano, Torino, Napoli, Bologna, etc.) ma rende i risultati dello studio difficilmente generalizzabili a realtà più piccole.
Per raccogliere i dati abbiamo deciso di utilizzare questo Google Spreadsheet. I dati relativi ai Likes delle pagine Facebook si aggiornano automaticamente grazie ad uno script (FacebookPageLikes) che ho realizzato modificando un esempio simile (Facebook Like Counter realizzato da Martin Hassman, http://twitter.com/hassmanm) già presente nella libreria degli script di Google Spreadsheet.
Il foglio di calcolo di aggiorna automaticamente ad ogni accesso e salva un archivio dei risultati dai quali sarà possibile visualizzare i trend.
Nell’attesa del risultato elettorale e degli esisti dello studio potete dare uno sguardo all’andamento delle diverse competizioni su Facebook in questa pagina del sito LaRiCA.
Le recenti proteste esplose in Tunisia ed Egitto riportano d’attualità il ruolo svolto da Internet come mezzo di organizzazione e informazione
Gli studi condotti nell’ambito del Pew Research Center’s Internet & American Life Project sono comunemente considerati il punto di riferimento per comprendere l’impatto di internet su svariati aspetti della vita dei cittadini americani.
Di recente, con un notevole tempismo sull’attualità dei fatti che avvengono in Tunisia, Albania, Yemen ed Egitto, Pew ha pubblicato il report relativo ad uno studio dedicato a comprendere come la rete abbia cambiato gruppi e organizzazioni di volontariato influenzandone la capacità di agire con efficacia sulla vita delle comunità nella quali operano. Il report conferma il rapporto fra uso di internet ed appartenenza a gruppi ed organizzazioni di volontariato. Mentre fra i non internet users la quota di cittadini attivi si attesta al 56%, fra gli utenti Internet questa percentuale sale all’80% raggiungendo l’82% fra gli utenti di siti di social network e l’85% fra gli utenti di Twitter. Inoltre l’apporto di Internet alla vita di questi gruppi è largamente riconosciuto tanto dagli americani connessi alla rete (il 75% ritiene che internet abbia avuto un impatto significativo) quanto dalla media nazionale che comprende anche i cittadini offline (68%).
A partire da questi dati credo valga la pena porsi la stessa domanda in relazione alle proteste cui stiamo assistendo in questi giorni. Qual’è, se c’è, l’apporto di internet a queste forme di azione collettiva? La rivoluzione in Tunisia avrebbe lo stesso raggiunto i suoi scopi se non ci fossero stati internet ed i social network? Che ruolo giocherà in Egitto?
Forse una prima risposta, come fa notare Ethan Zuckerman in questo interessante articolo, sta proprio nei tentativi di censura operati dai governi di questi Paesi. È di oggi la notizia che le autorità egiziane hanno bloccato l’intera rete internet nazionale e molte delle reti cellulari. Sappiamo di più su questo in relazione alla Tunisia, una delle nazioni africane con il più alto tasso di accesso alla rete, dove i tentativi di censura sono noti da mesi e documentati ampiamente (si veda ad esempio questo pezzo pubblicato su ReadWriteWeb). Questi tentativi, talvolta estremamente raffinati come nel caso del sistema messo in piedi per rubare le chiavi di accesso a Facebook, GMail e Live.com, mostrano quanto le autorità di questi Paesi riconoscano un ruolo a internet. Nello specifico questo ruolo appare duplice: da una parte si tratta di un mezzo di coordinamento delle forme di protesta (in sinergia con i telefoni cellulari), dall’altro di informazione nei confronti dell’opinione pubblica e mondo del giornalismo che si trova oltre confine.
La maggior parte dei commentatori sembrano concordare sull’efficacia di internet circa quest’ultimo aspetto – anche se nel caso della Tunisia i tempi di rimbalzo sui media stranieri non sono stati affatto brevi – mentre maggiori perplessità, forse anche dovute alla carenza di dati, solleva il ruolo svolto da internet come strumento per il coordinamento di queste azioni di protesta collettive.
Se appare dunque impossibile dimostrare un rapporto di causa/effetto fra internet e proteste su larga scala, è tuttavia altrettanto difficile negare che – da alcuni anni a questa parte – non c’è tentativo di rivoluzione che non sia stato accompagnato da un significativo tasso di conversazione sulla rete e nello specifico su siti di social network come Facebook e Twitter.
Servirà tempo e ricerca per rispondere adeguatamente a queste domande.
Tempo e ricerca che servirebbero anche a comprendere meglio quanto sta avvenendo e potrebbe avvenire, a questo proposito, in Italia. In questo senso alcuni elementi interessanti sono forniti da questa indagine realizzata da Demos & Pi. Ulteriori spunti di riflessione a riguardo emergeranno dai risultati di uno studio che abbiamo condotto sul consumo di news nel nostro Paese e che sarà presentato nel corso di una conferenza stampa il 10 Febbraio a Roma. Credits: Foto by Collin David Anderson
[fb-share] Sarà che ancora non l’ho visto da vicino. Sarà che forse è passato troppo poco tempo da quando ho visto l’ultima puntata di The Walking Dead. Sarà che ho appena finito di leggere questa nota su Facebook. Sarà forse per tutto questo insieme di cose, ma quei personaggi ritratti con pentole e padelle in mano nel nuovo murales di Magistero mi sono subito sembrati degli zombie. Ogni forma di vitalità, intendiamoci, ha il mio rispetto ed istintivo appoggio incondizionato. Ogni forma di vitalità è però diversa dall’altra. I due murales realizzati rispettivamente durante l'occupazione del 2010 e del 1990
Una pantera che ruggisce fieramente da un muro oltre il quale si vede una foresta di piante e fiori, esprime una vitalità piena di rabbia e disagio, ma anche di fiducia – forse mal riposta – nella sua forza. Un corteo di zombie armati di stoviglie fa certo molto rumore ma lo fa con lentezza e prevedibilità. Agisce per istinto secondo schemi che derivano da un’esperienza atavica più che seguendo una strategia (o almeno una tattica). Se potessero fermarsi a riflettere, ammetterebbero loro stessi di nutrire poca fiducia nell’efficacia di schemi che già avevano mostrato i loro limiti quando la pantera era ancora un cucciolo. Forse questo tipo di zombie nasce proprio dalla frustrazione di quella pantera che scopre lentamente di aver sopravvalutato la sua forza. Nasce dalla incapacità di individuare spazi di azione alternativa possibili. Purtroppo non sono affatto sicuro che si possa tornare indietro dallo stato di zombie. Mi piace però pensare che i murales di Magistero chiudano un’epoca più che segnarne il suo momento di massimo splendore.
Vedo spiragli di alternative possibili.
Pensate alla Roma del 14 dicembre 2010. Ora pensate a quella del 22 dicembre.
Pensate al movimento di Seattle e a Genova. Ora provate a pensare a WikiLeaks.
Un documentario svedese racconta l’intrigante storia di WikiLeaks e del suo fondatore Julian Assange
Ogni rilascio di documenti contiene un secondo messaggio: creiamo degli esempi. Se ti comporti immoralmente, ingiustamente, questo comportamento verrà scoperto, verrà rivelato e ne subirai le conseguenze (Julian Assange)
Interessante documentario su WikiLeaks prodotto e trasmesso per la prima volta il 12 dicembre 2010 dalla televisione svedese SVT.
YouTube :Parte 2 | Parte 3 | Parte 4 Scarica il documentario in formato torrent – Sottotitoli in Italiano Piccoli e grandi fughe di notizie possono cambiare il mondo. Oltre ai contenuti rivelati, conta il processo che c’è dietro.
Nel nostro Paese la diffusa ignoranza nell’uso delle nuove tecnologie presso chi occupa posizioni di potere (e spesso delle persone che essi scelgono come collaboratori) sommata a quella diffusa e radicata abitudine alla non trasparenza come metodo per la gestione del potere crea straordinari spazi per questo tipo di azioni.
Poi non dite che io non ve lo avevo detto 😉
Partendo da tre interessanti casi di studio, Clay Shirky mette in guardia dai limiti delle forme di rappresentanza politica online e propone alcune interessanti soluzioniPartendo da tre interessanti casi di studio, Clay Shirky mette in guardia dai limiti delle forme di rappresentanza politica online e propone alcune interessanti soluzioniPartendo da tre interessanti casi di studio, Clay Shirky mette in guardia dai limiti delle forme di rappresentanza politica online e propone alcune interessanti soluzioni
[fb-share] Come cambiano le forme di rappresentanza degli interessi individuali e collettivi quando il costo della comunicazione è prossimo allo zero? Cosa accade quando basta un click per esprimere la propria adesione ad una causa? Come occorre ripensare le forme della partecipazione evitando il rischio della dittatura delle lobby ben organizzate?
Lo racconta Clay Shirky in questo delizioso speech presentato durante l’ultimo Personal Democracy Forum.
Lo fa, come suo solito, partendo da tre esempi.
Il primo esempio viene dall’India. Nel gennaio 2009 un gruppo fondamentalista Hindu si rese protagonista di una serie di pestaggi nei confronti delle donne che frequentavano bar e pub. Il gruppo dichiarò di voler difendere, attraverso questo atto, la cultura indiana minacciata dai costumi occidentali e minacciò di ripetere le violenze contro tutte le donne intenzionate ad uscire per la festa di San Valentino. Per protestare contro le violenze e le minacce una giornalista di 29 anni decise di fondare un gruppo su Facebook. Il giorno successivo il Consortium of Pub-going, Loose and Forward Women aveva già 500 membri. Scopo del gruppo era quello di invogliare le donne ad uscire la sera di San Valentino a dispetto delle minacce ricevute. San Valentino passò senza particolari incidenti ma gli attacchi alle donne continuarono. A questo punto il gruppo lanciò una campagna semplice ma efficace. Ogni attivista del gruppo avrebbe dovuto inviare un paio di mutande rosa al leader degli estremisti del Sri Ram Sena (SRS) – the Lord Ram’s Army. Questa inusuale forma di protesta ebbe una grande eco nella stampa indiana ed internazionale forzando il governo indiano ad intervenire attivamente per proteggere le donne minacciate dal gruppo di estremisti.
La seconda storia non riguarda la politica. Nel 1998 la versione online della rivista People decise di lanciare una campagna chiedendo ai propri lettori di scegliere i loro preferiti da una lista di 50 nomi per compilare la celebre classifica dei 50 personaggi americani più attraenti dell’anno. In seguito alla richiesta degli utenti, People decise inoltre di aprire la lista ai suggerimenti del pubblico. Non avevano calcolato bene quanto i fan volessero bene a Hank the Angry Drunken Dwarf. Un gruppo agguerrito e ben organizzato mise in piedi una campagna per supportare questo personaggio che si classificò primo della lista con oltre 250.000 voti (secondo classificato con 150.000 voti un wrestler professionista mentre Leonardo di Caprio si piazzò terzo con 41.000 voti). Il magazine People, dopo aver solennemente promesso di riportare sulla rivista il risultato delle scelte dei lettori, ritornò sui suoi passi. Si tratta di un esempio di come queste forme di partecipazione possano essere forzate da gruppi relativamente poco numerosi ma molto agguerriti.
Il terzo esempio riguarda invece Change.gov. Il sito realizzato dallo staff di Barack Obama ed attivo nel periodo di transizione successivo all’elezione e precedente all’insediamento alla Casa Bianca, aveva fra gli altri obiettivi quello di promuovere la partecipazione degli elettori ai quali veniva chiesto di individuare le tematiche più importanti che il nuovo inquilino della casa bianca avrebbe dovuto affrontare una volta insediato. A prevalere su temi quali la crisi economica e la guerra in Iraq fu, non senza qualche sorpresa, l’uso medico della marijuana. Anche in questo caso un gruppo agguerrito e ben organizzato aveva fatto in modo di imporsi all’attenzione forzando le regole del gioco.
A questo punto Shirky si chiede come si collochi questo ultimo esempio rispetto ai primi due. Il primo è caratterizzato dal fatto che le istanze legittime di un gruppo non altrimenti rappresentato entrano nell’agenda politica, il secondo mostra come un gruppo ben organizzato possa forzare il meccanismo di partecipazione… quest’ultimo caso si pone in qualche modo nel mezzo perchè le istanze portate dal gruppo di attivisti che sostiene la legalizzazione dell’uso medico della marijuana sono legittime ma la modalità attraverso le quali hanno ottenuto l’attenzione al limite della forzatura.
Dunque il problema è costruire modelli di rappresentanza che non prestino il fianco a queste forme di forzatura. Per fare questo Shirky suggerisce le seguenti quattro strategie:
1) Aumentare il costo della comunicazione. Fino a quando basta un singolo click a votare o esprimere il proprio parere su un certo tema si correrà il rischio che il rapporto fra segnale e rumore nell’attivismo digitale sarà sempre a favore del secondo. La competizione si sposta dal porre un tema all’ordine del giorno a generare una campagna efficace che produca un quantitativo superiore di email (o adesioni ad un gruppo, like o fan). Ci si sposta dall’arena della politica a quella delle pubbliche relazioni. Se la giornalista indiana che ha ideato la campagna delle mutande rosa si fosse limitata ad aprire un gruppo su Facebook sarebbe stato un caso interessante, ma quello che ha fatto la differenza è ciò che ha spinto quelle donne a privarsi di un bene che possedevano ed utilizzare il tempo necessario ad imballare e spedire il pacco al destinatario.
2) Progettare le forme della partecipazione per gruppi e non solo per aggregati. Si tratta di fare in modo che le persone che si raccolgono intorno ad una tematica non si limitino semplicemente ad aggiungere il proprio nome alla lista (McDonald Business Model) ma agiscano attivamente a favore della causa che si propongono. Per esempio i gruppi Meetup Ping Pong non possono formarsi se, oltre ad avere un certo numero di membri, non trovano anche un gruppo di individui che si dichiari disposto ad agire come coordinatori del meetup.
3) Considerare sempre l’esistenza di fazioni e lobby. Bisogna trovare il modo per lasciare a ciascuna fazione la possibilità di esprimersi senza per questo oscurare le altre. Ad esempio, dice Shirky, se nel progettare Change.gov avessero evitato di creare una classifica unica di temi e priorità aggregando le tematiche simili e lasciano che ciascuno gruppo si esprimesse liberamente al suo interno promuovendo idee e proponendo tematiche si sarebbe potuto evitare quell’effetto competitivo che ha mosso gli attivisti della legalizzazione della cannabis.
4) Trattare i rappresentati eletti come partner e non come un target. Quando si organizza una campagna per sollecitare un rappresentante politico su una certa tematica bisognerebbe uscire dalla logica del bigger is better. Meglio inviare qualche migliaia di messaggi scritti da persone con un alto livello di interesse verso una certa causa e magari appartenenti ad una certa area geografica di riferimento e che hanno partecipato al voto rispetto a miliardi di messaggi standard di una massa di persone anonime e poco o nulla interessate. Se non si esce da questa logica che compete sulla quantità piuttosto che sulla qualità si rischia, secondo Shirky, di allontanarsi sempre più dall’idea di un ambiente di conversazione a supporto della partecipazione democratica scivolando invece verso una sorta di pubbliche relazioni affidate alle masse.
Ecco il video integrale.
Come cambiano le forme di rappresentanza degli interessi individuali e collettivi quando il costo della comunicazione è prossimo allo zero? Cosa accade quando basta un click per esprimere la propria adesione ad una causa? Come occorre ripensare le forme della partecipazione evitando il rischio della dittatura delle lobby ben organizzate?
Il primo esempio viene dall’India. Nel gennaio 2009 un gruppo fondamentalista Hindu si rese protagonista di una serie di pestaggi nei confronti delle donne che frequentavano bar e pub. Il gruppo dichiarò di voler difendere, attraverso questo atto, la cultura indiana minacciata dai costumi occidentali e minacciò di ripetere le violenze contro tutte le donne intenzionate ad uscire per la festa di San Valentino. Per protestare contro le violenze e le minacce una giornalista di 29 anni decise di fondare un gruppo su Facebook. Il giorno successivo il Consortium of Pub-going, Loose and Forward Women aveva già 500 membri. Scopo del gruppo era quello di invogliare le donne ad uscire la sera di San Valentino a dispetto delle minacce ricevute. San Valentino passò senza particolari incidenti ma gli attacchi alle donne continuarono. A questo punto il gruppo lanciò una campagna semplice ma efficace. Ogni attivista del gruppo avrebbe dovuto inviare un paio di mutande rosa al leader degli estremisti del Sri Ram Sena (SRS) – the Lord Ram’s Army. Questa inusuale forma di protesta ebbe una grande eco nella stampa indiana ed internazionale forzando il governo indiano ad intervenire attivamente per proteggere le donne minacciate dal gruppo di estremisti.
La seconda storia non riguarda la politica. Nel 1998 la versione online della rivista People decise di lanciare una campagna chiedendo ai propri lettori di scegliere i loro preferiti da una lista di 50 nomi per compilare la celebre classifica dei 50 personaggi americani più attraenti dell’anno. In seguito alla richiesta degli utenti, People decise inoltre di aprire la lista ai suggerimenti del pubblico. Non avevano calcolato bene quanto i fan volessero bene a Hank the Angry Drunken Dwarf. Un gruppo agguerrito e ben organizzato mise in piedi una campagna per supportare questo personaggio che si classificò primo della lista con oltre 250.000 voti (secondo classificato con 150.000 voti un wrestler professionista mentre Leonardo di Caprio si piazzò terzo con 41.000 voti). Il magazine People, dopo aver solennemente promesso di riportare sulla rivista il risultato delle scelte dei lettori, ritornò sui suoi passi. Si tratta di un esempio di come queste forme di partecipazione possano essere forzate da gruppi relativamente poco numerosi ma molto agguerriti.
Il terzo esempio riguarda invece Change.gov. Il sito realizzato dallo staff di Barack Obama ed attivo nel periodo di transizione successivo all’elezione e precedente all’insediamento alla Casa Bianca, aveva fra gli altri obiettivi quello di promuovere la partecipazione degli elettori ai quali veniva chiesto di individuare le tematiche più importanti che il nuovo inquilino della casa bianca avrebbe dovuto affrontare una volta insediato. A prevalere su temi quali la crisi economica e la guerra in Iraq fu, non senza qualche sorpresa, l’uso medico della marijuana. Anche in questo caso un gruppo agguerrito e ben organizzato aveva fatto in modo di imporsi all’attenzione forzando le regole del gioco.
A questo punto Shirky si chiede come si collochi questo ultimo esempio rispetto ai primi due. Il primo è caratterizzato dal fatto che le istanze legittime di un gruppo non altrimenti rappresentato entrano nell’agenda politica, il secondo mostra come un gruppo ben organizzato possa forzare il meccanismo di partecipazione… quest’ultimo caso si pone in qualche modo nel mezzo perchè le istanze portate dal gruppo di attivisti che sostiene la legalizzazione dell’uso medico della marijuana sono legittime ma la modalità attraverso le quali hanno ottenuto l’attenzione al limite della forzatura.
Dunque il problema è costruire modelli di rappresentanza che non prestino il fianco a queste forme di forzatura. Per fare questo Shirky suggerisce le seguenti quattro strategie:
1) Aumentare il costo della comunicazione. Fino a quando basta un singolo click a votare o esprimere il proprio parere su un certo tema si correrà il rischio che il rapporto fra segnale e rumore nell’attivismo digitale sarà sempre a favore del secondo. La competizione si sposta dal porre un tema all’ordine del giorno a generare una campagna efficace che produca un quantitativo superiore di email (o adesioni ad un gruppo, like o fan). Ci si sposta dall’arena della politica a quella delle pubbliche relazioni. Se la giornalista indiana che ha ideato la campagna delle mutande rosa si fosse limitata ad aprire un gruppo su Facebook sarebbe stato un caso interessante, ma quello che ha fatto la differenza è ciò che ha spinto quelle donne a privarsi di un bene che possedevano ed utilizzare il tempo necessario ad imballare e spedire il pacco al destinatario.
2) Progettare le forme della partecipazione per gruppi e non solo per aggregati. Si tratta di fare in modo che le persone che si raccolgono intorno ad una tematica non si limitino semplicemente ad aggiungere il proprio nome alla lista (McDonald Business Model) ma agiscano attivamente a favore della causa che si propongono. Per esempio i gruppi Meetup Ping Pong non possono formarsi se, oltre ad avere un certo numero di membri, non trovano anche un gruppo di individui che si dichiari disposto ad agire come coordinatori del meetup.
3) Considerare sempre l’esistenza di fazioni e lobby. Bisogna trovare il modo per lasciare a ciascuna fazione la possibilità di esprimersi senza per questo oscurare le altre. Ad esempio, dice Shirky, se nel progettare Change.gov avessero evitato di creare una classifica unica di temi e priorità aggregando le tematiche simili e lasciano che ciascuno gruppo si esprimesse liberamente al suo interno promuovendo idee e proponendo tematiche si sarebbe potuto evitare quell’effetto competitivo che ha mosso gli attivisti della legalizzazione della cannabis.
4) Trattare i rappresentati eletti come partner e non come un target. Quando si organizza una campagna per sollecitare un rappresentante politico su una certa tematica bisognerebbe uscire dalla logica del bigger is better. Meglio inviare qualche migliaia di messaggi scritti da persone con un alto livello di interesse verso una certa causa e magari appartenenti ad una certa area geografica di riferimento e che hanno partecipato al voto rispetto a miliardi di messaggi standard di una massa di persone anonime e poco o nulla interessate. Se non si esce da questa logica che compete sulla quantità piuttosto che sulla qualità si rischia, secondo Shirky, di allontanarsi sempre più dall’idea di un ambiente di conversazione a supporto della partecipazione democratica scivolando invece verso una sorta di pubbliche relazioni affidate alle masse.
Come cambiano le forme di rappresentanza degli interessi individuali e collettivi quando il costo della comunicazione è prossimo allo zero? Cosa accade quando basta un click per esprimere la propria adesione ad una causa? Come occorre ripensare le forme della partecipazione evitando il rischio della dittatura delle lobby ben organizzate?
Il primo esempio viene dall’India. Nel gennaio 2009 un gruppo fondamentalista Hindu si rese protagonista di una serie di pestaggi nei confronti delle donne che frequentavano bar e pub. Il gruppo dichiarò di voler difendere, attraverso questo atto, la cultura indiana minacciata dai costumi occidentali e minacciò di ripetere le violenze contro tutte le donne intenzionate ad uscire per la festa di San Valentino. Per protestare contro le violenze e le minacce una giornalista di 29 anni decise di fondare un gruppo su Facebook. Il giorno successivo il Consortium of Pub-going, Loose and Forward Women aveva già 500 membri. Scopo del gruppo era quello di invogliare le donne ad uscire la sera di San Valentino a dispetto delle minacce ricevute. San Valentino passò senza particolari incidenti ma gli attacchi alle donne continuarono. A questo punto il gruppo lanciò una campagna semplice ma efficace. Ogni attivista del gruppo avrebbe dovuto inviare un paio di mutande rosa al leader degli estremisti del Sri Ram Sena (SRS) – the Lord Ram’s Army. Questa inusuale forma di protesta ebbe una grande eco nella stampa indiana ed internazionale forzando il governo indiano ad intervenire attivamente per proteggere le donne minacciate dal gruppo di estremisti.
La seconda storia non riguarda la politica. Nel 1998 la versione online della rivista People decise di lanciare una campagna chiedendo ai propri lettori di scegliere i loro preferiti da una lista di 50 nomi per compilare la celebre classifica dei 50 personaggi americani più attraenti dell’anno. In seguito alla richiesta degli utenti, People decise inoltre di aprire la lista ai suggerimenti del pubblico. Non avevano calcolato bene quanto i fan volessero bene a Hank the Angry Drunken Dwarf. Un gruppo agguerrito e ben organizzato mise in piedi una campagna per supportare questo personaggio che si classificò primo della lista con oltre 250.000 voti (secondo classificato con 150.000 voti un wrestler professionista mentre Leonardo di Caprio si piazzò terzo con 41.000 voti). Il magazine People, dopo aver solennemente promesso di riportare sulla rivista il risultato delle scelte dei lettori, ritornò sui suoi passi. Si tratta di un esempio di come queste forme di partecipazione possano essere forzate da gruppi relativamente poco numerosi ma molto agguerriti.
Il terzo esempio riguarda invece Change.gov. Il sito realizzato dallo staff di Barack Obama ed attivo nel periodo di transizione successivo all’elezione e precedente all’insediamento alla Casa Bianca, aveva fra gli altri obiettivi quello di promuovere la partecipazione degli elettori ai quali veniva chiesto di individuare le tematiche più importanti che il nuovo inquilino della casa bianca avrebbe dovuto affrontare una volta insediato. A prevalere su temi quali la crisi economica e la guerra in Iraq fu, non senza qualche sorpresa, l’uso medico della marijuana. Anche in questo caso un gruppo agguerrito e ben organizzato aveva fatto in modo di imporsi all’attenzione forzando le regole del gioco.
A questo punto Shirky si chiede come si collochi questo ultimo esempio rispetto ai primi due. Il primo è caratterizzato dal fatto che le istanze legittime di un gruppo non altrimenti rappresentato entrano nell’agenda politica, il secondo mostra come un gruppo ben organizzato possa forzare il meccanismo di partecipazione… quest’ultimo caso si pone in qualche modo nel mezzo perchè le istanze portate dal gruppo di attivisti che sostiene la legalizzazione dell’uso medico della marijuana sono legittime ma la modalità attraverso le quali hanno ottenuto l’attenzione al limite della forzatura.
Dunque il problema è costruire modelli di rappresentanza che non prestino il fianco a queste forme di forzatura. Per fare questo Shirky suggerisce le seguenti quattro strategie:
1) Aumentare il costo della comunicazione. Fino a quando basta un singolo click a votare o esprimere il proprio parere su un certo tema si correrà il rischio che il rapporto fra segnale e rumore nell’attivismo digitale sarà sempre a favore del secondo. La competizione si sposta dal porre un tema all’ordine del giorno a generare una campagna efficace che produca un quantitativo superiore di email (o adesioni ad un gruppo, like o fan). Ci si sposta dall’arena della politica a quella delle pubbliche relazioni. Se la giornalista indiana che ha ideato la campagna delle mutande rosa si fosse limitata ad aprire un gruppo su Facebook sarebbe stato un caso interessante, ma quello che ha fatto la differenza è ciò che ha spinto quelle donne a privarsi di un bene che possedevano ed utilizzare il tempo necessario ad imballare e spedire il pacco al destinatario.
2) Progettare le forme della partecipazione per gruppi e non solo per aggregati. Si tratta di fare in modo che le persone che si raccolgono intorno ad una tematica non si limitino semplicemente ad aggiungere il proprio nome alla lista (McDonald Business Model) ma agiscano attivamente a favore della causa che si propongono. Per esempio i gruppi Meetup Ping Pong non possono formarsi se, oltre ad avere un certo numero di membri, non trovano anche un gruppo di individui che si dichiari disposto ad agire come coordinatori del meetup.
3) Considerare sempre l’esistenza di fazioni e lobby. Bisogna trovare il modo per lasciare a ciascuna fazione la possibilità di esprimersi senza per questo oscurare le altre. Ad esempio, dice Shirky, se nel progettare Change.gov avessero evitato di creare una classifica unica di temi e priorità aggregando le tematiche simili e lasciano che ciascuno gruppo si esprimesse liberamente al suo interno promuovendo idee e proponendo tematiche si sarebbe potuto evitare quell’effetto competitivo che ha mosso gli attivisti della legalizzazione della cannabis.
4) Trattare i rappresentati eletti come partner e non come un target. Quando si organizza una campagna per sollecitare un rappresentante politico su una certa tematica bisognerebbe uscire dalla logica del bigger is better. Meglio inviare qualche migliaia di messaggi scritti da persone con un alto livello di interesse verso una certa causa e magari appartenenti ad una certa area geografica di riferimento e che hanno partecipato al voto rispetto a miliardi di messaggi standard di una massa di persone anonime e poco o nulla interessate. Se non si esce da questa logica che compete sulla quantità piuttosto che sulla qualità si rischia, secondo Shirky, di allontanarsi sempre più dall’idea di un ambiente di conversazione a supporto della partecipazione democratica scivolando invece verso una sorta di pubbliche relazioni affidate alle masse.