Predire il risultato elettorale con Facebook?

Esiste una correlazione fra la popolarità di una pagina Facebook ed il risultato elettorale di un candidato?

Subito dopo le elezioni politiche americane del 2010, il team politico di Facebook rilasciò una nota che metteva in evidenza come su un campione di 98 competizioni elettorali per il seggio della camera e 34 per quello del senato, rispettivamente nel 74% dei casi e nell’82% dei casi è risultato eletto il candidato che aveva un numero maggiore di fan (oggi Likes) sulla pagina Facebook ufficiale.
Un successivo breve studio realizzato da Trilogy Interactive ha provato a verificare questa ipotesi cercando una semplice correlazione statistica lineare fra il margine di scarto fra il primo ed il secondo candidato alle elezioni ed il margine di scarto fra il candidato più popolare su Facebook ed il secondo classificato. Le conclusioni di questo studio non confermano l’esistenza di una correlazione, ma evidenzia la necessità di altri studi basati su contesti diversi.
Da qui l’idea di raccogliere i dati relativi alle elezioni amministrative del 15 e 16 Maggio 2011. In questa tornata elettorale saranno rinnovate le amministrazioni comunale di oltre tremila comuni, diverse province ed una regione. Si tratta dunque di un test elettorale significativo dal punto di vista politico ma anche di una buona e diversificata base dati.
Per lo studio che abbiamo in mente sarebbe stato particolarmente interessante disporre di tutti i dati, ma per limiti di risorse che possiamo dedicare al progetto abbiamo deciso di limitare, almeno inizialmente, la nostra attenzione alle città capoluogo di provincia con oltre 100.000 abitanti. Questa scelta consente di concentrare l’attenzione sulle principali competizioni (Milano, Torino, Napoli, Bologna, etc.) ma rende i risultati dello studio difficilmente generalizzabili a realtà più piccole.
Per raccogliere i dati abbiamo deciso di utilizzare questo Google Spreadsheet. I dati relativi ai Likes delle pagine Facebook si aggiornano automaticamente grazie ad uno script (FacebookPageLikes) che ho realizzato modificando un esempio simile (Facebook Like Counter realizzato da Martin Hassman, http://twitter.com/hassmanm) già presente nella libreria degli script di Google Spreadsheet.
Il foglio di calcolo di aggiorna automaticamente ad ogni accesso e salva un archivio dei risultati dai quali sarà possibile visualizzare i trend.
Nell’attesa del risultato elettorale e degli esisti dello studio potete dare uno sguardo all’andamento delle diverse competizioni su Facebook in questa pagina del sito LaRiCA.

Open Projects

Anticipazioni su quello che mi attende e vi attende per il 2011

[fb-share] Breve aggiornamento riguardo i programmi per il prossimo anno.
Il 10L’undici Gennaio alle 12 i miei studenti di Laboratorio di Web Content di Urbino (seguirà nel secondo semestre quello della sede di Pesaro) presentano i loro progetti di fine corso. Lo faranno usando il format Ignite (5 minuti di presentazione con 20 slide che avanzano automaticamente ogni 15 secondi). Gli studenti, divisi per gruppi, hanno realizzato e promosso progetti web basati su pagine Facebook che, sfruttando il principio di non discontinuità fra attività online ed offline, auspicano avere un impatto diretto sul territorio locale. In ballo c’è anche un piccolo contest su chi è riuscito ad attirare più Like, più check-in e suscitare il maggior livello di engagement. In pratica ci sarà da divertirsi. Siete tutti invitati ma per chi non potrà essere a Urbino stiamo organizzando uno streaming live.
[Evento su Facebook]
Sempre sul versante didattica non mancherà l’ormai tradizionale appuntamento con “le due settimane delle Teoria dell’Informazione” nell’ambito del corso di Sociologia della Comunicazione. In pratica un mini corso nel corso dedicato a raccontare i contenuti principali del mio libro Alle radici del futuro. Dalla teoria dell’informazione ai sistemi sociali. Non so di preciso quando sarà ma vi tengo informati. Non vi prometto niente ma se ce ne saranno le condizioni proverò a registrare e pubblicare le varie lezioni.
Passando alla ricerca sono al momento impegnato o mi impegnerò a breve su quattro progetti:
Il primo è una ricerca che riguarda YouTube ed in particolare il fenomeno di Gemma del Sud. Vorremmo cercare di capire il perchè ed il come di questa specifica forma di popolarità che appare basata più sullo scherno che sull’ammirazione. Vorremmo provare a capire se c’è una relazione fra questo tipo di successo e la configurazione del sistema dei media e della politica nel nostro Paese. Lo faremo attraverso un’analisi della letteratura che tratta casi di successo grassroots analoghi (come ad esempio il saggio citato in questo video).

Lo faremo attraverso l’analisi del contenuto degli 871 video e relativi commenti ed i 380 post raccolti con il software ContextMiner fra il 1 Luglio ed il 30 Novembre 2010. Seguirà un post con maggiori dettagli. Se tutto va bene io e Laura presenteremo questa ricerca durante la settima edizione di Media in Transition (MiT7 unstable platforms: the promise and peril of transition).
La seconda ricerca riguarda gli Online News Consumer in Italia. Prendendo spunto dall’indagine Understanding the Participatory News Consumer, realizzata dal mai abbastanza lodato Pew Internet & American Life Project, abbiamo deciso di cercare di capire meglio a che punto siamo su questo tema in Italia. Il questionario telefonico somministrato fra il 10 ed il 21 dicembre ad un campione di 1009 italiani con età superiore a 18 anni (proporzionale alla popolazione residente per genere ed età) è composto da tutte le domande dell’indagine Pew alle quali abbiamo aggiunto alcuni quesiti ulteriori legati più strettamente ad alcune ipotesi di ricerca che abbiamo in mente. I risultati di questa indagine saranno diffusi presto e credo ne sentirete parlare non solo in questo blog.
La terza ricerca, in collaborazione questa volta con Mario, consiste in un’analisi comparativa delle 10 più popolari pagine Facebook di politici italiani. La ricerca è ancora in una fase di progetto. Quello che sappiamo è che sperimenteremo l’uso di DiscoverText per reperire post e commenti delle pagine. Nonostante lo stato piuttosto embrionale del progetto abbiamo deciso lo stesso di proporre l’idea preparando un abstract che abbiamo presentato a  A Decade in Internet Time: Symposium on the Dynamics of the Internet and Society. Se l’abstract dovesse essere accettato lo presenteremo con poche modifiche anche a l’annuale conferenza internazionale dei ricercatori che studiano Internet: Internet Research 12.0 – Performance and Participation.
Infine l’ultima attività di ricerca, che in realtà per ragioni di calendario del progetto sarà fra le prime del nuovo anno, riguarda il mio coinvolgimento (e quello di Giovanni) nel progetto U-Loop (User-centric Wireless Local-Loop). U-Loop è un ambizioso progetto finanziato dalla commissione europea il cui scopo è progettare e realizzare una soluzione tecnologica basata su reti wireless fra pari in grado di sostituire il così detto ultimo miglio. In realtà l’accesso a Internet è solo uno dei servizi che possono essere offerti e fruiti attraverso una rete U-loop. In pratica device equipaggiati dalla tecnologia U-Loop saranno in grado di offrire e fruire di servizi offerti dagli altri device presenti. L’Università di Urbino (ed in particolare Alessandro Bogliolo che coordina l’unità di Urbino) ha il non facile compito di realizzare uno studio della sostenibilità socio-economica di questo tipo di tecnologia. La prima attività svolta in collaborazione con gli altri partner è stata la realizzazione e l’analisi di una serie di interessanti casi d’uso che vanno da inedite forme di marketing di prossimità fino a servizi simili a quelli offerti dai social network ma in modalità offline (cioè all’interno di un U-loop ma senza accesso a Internet). Non so bene a che livello di dettaglio posso parlare di questo progetto ma vi assicuro che quello che ho potuto vedere fino a questo momento mi fa ritenere che si tratti di una tecnologia promettente.  Oltre al progetto è molto interessante avere la possibilità di collaborare in un gruppo di ricerca interdisciplinare che va dagli informatici ai giuristi (che stanno facendo uno studio comparativo sulla legislazione sul wifi in Europa) fino agli economisti (che si occupano di studiare la sostenibilità economica delle soluzioni proposte). Anche su questo vi terrò informati.
Se uno di questi progetti vi interessa o state facendo qualcosa di analogo o anche vagamente simile (oppure se pensate di partecipare ad una delle conferenze che ho segnalato) non esitate a manifestarvi.
Ogni tipo di segnalazione, suggerimento o proposta di collaborazione è benvenuta.
La foto a corredo dell’articolo è pubblicata su Flickr da meddygarnet.

gemma del sud (MiT7)
news consumer
analysis of top 10 Italian politicians’s facebook pages (OII)
uloop

gemma del sud (MiT7)
news consumer
analysis of top 10 Italian politicians’s facebook pages (OII)
uloop

Attivismo digitale e nuove forme della rappresentanza politica

Partendo da tre interessanti casi di studio, Clay Shirky mette in guardia dai limiti delle forme di rappresentanza politica online e propone alcune interessanti soluzioniPartendo da tre interessanti casi di studio, Clay Shirky mette in guardia dai limiti delle forme di rappresentanza politica online e propone alcune interessanti soluzioniPartendo da tre interessanti casi di studio, Clay Shirky mette in guardia dai limiti delle forme di rappresentanza politica online e propone alcune interessanti soluzioni

[fb-share] Come cambiano le forme di rappresentanza degli interessi individuali e collettivi quando il costo della comunicazione è prossimo allo zero? Cosa accade quando basta un click per esprimere la propria adesione ad una causa? Come occorre ripensare le forme della partecipazione evitando il rischio della dittatura delle lobby ben organizzate?
Lo racconta Clay Shirky in questo delizioso speech presentato durante l’ultimo Personal Democracy Forum.
Lo fa, come suo solito, partendo da tre esempi.
Il primo esempio viene dall’India. Nel gennaio 2009 un gruppo fondamentalista Hindu si rese protagonista di una serie di pestaggi nei confronti delle donne che frequentavano bar e pub. Il gruppo dichiarò di voler difendere, attraverso questo atto, la cultura indiana minacciata dai costumi occidentali e minacciò di ripetere le violenze contro tutte le donne intenzionate ad uscire per la festa di San Valentino. Per protestare contro le violenze e  le minacce una giornalista di 29 anni decise di fondare un gruppo su Facebook. Il giorno successivo il Consortium of Pub-going, Loose and Forward Women aveva già 500 membri. Scopo del gruppo era quello di invogliare le donne ad uscire la sera di San Valentino a dispetto delle minacce ricevute. San Valentino passò senza particolari incidenti ma gli attacchi alle donne continuarono. A questo punto il gruppo lanciò una campagna semplice ma efficace. Ogni attivista del gruppo avrebbe dovuto inviare un paio di mutande rosa al leader degli estremisti del Sri Ram Sena (SRS) – the Lord Ram’s Army. Questa inusuale forma di protesta ebbe una grande eco nella stampa indiana ed internazionale forzando il governo indiano ad intervenire attivamente per proteggere le donne minacciate dal gruppo di estremisti.
La seconda storia non riguarda la politica. Nel 1998 la versione online della rivista People decise di lanciare una campagna chiedendo ai propri lettori di scegliere i loro preferiti da una lista di 50 nomi per compilare la celebre classifica dei 50 personaggi americani più attraenti dell’anno. In seguito alla richiesta degli utenti, People decise inoltre di aprire la lista ai suggerimenti del pubblico. Non avevano calcolato bene quanto i fan volessero bene a Hank the Angry Drunken Dwarf. Un gruppo agguerrito e ben organizzato mise in piedi una campagna per supportare questo personaggio che si classificò primo della lista con oltre 250.000 voti (secondo classificato con 150.000 voti un wrestler professionista mentre Leonardo di Caprio si piazzò terzo con 41.000 voti).  Il magazine People, dopo aver solennemente promesso di riportare sulla rivista il risultato delle scelte dei lettori, ritornò sui suoi passi. Si tratta di un esempio di come queste forme di partecipazione possano essere forzate da gruppi relativamente poco numerosi ma molto agguerriti.
we gov
Il terzo esempio riguarda invece Change.gov. Il sito realizzato dallo staff di Barack Obama ed attivo nel periodo di transizione successivo all’elezione e precedente all’insediamento alla Casa Bianca, aveva fra gli altri obiettivi quello di promuovere la partecipazione degli elettori ai quali veniva chiesto di individuare le tematiche più importanti che il nuovo inquilino della casa bianca avrebbe dovuto affrontare una volta insediato. A prevalere su temi quali la crisi economica e la guerra in Iraq fu, non senza qualche sorpresa, l’uso medico della marijuana. Anche in questo caso un gruppo agguerrito e ben organizzato aveva fatto in modo di imporsi all’attenzione forzando le regole del gioco.
A questo punto Shirky si chiede come si collochi questo ultimo esempio rispetto ai primi due. Il primo è caratterizzato dal fatto che le istanze legittime di un gruppo non altrimenti rappresentato entrano nell’agenda politica, il secondo mostra come un gruppo ben organizzato possa forzare il meccanismo di partecipazione… quest’ultimo caso si pone in qualche modo nel mezzo perchè le istanze portate dal gruppo di attivisti che sostiene la legalizzazione dell’uso medico della marijuana sono legittime ma la modalità attraverso le quali hanno ottenuto l’attenzione al limite della forzatura.
Dunque il problema è costruire modelli di rappresentanza che non prestino il fianco a queste forme di forzatura. Per fare questo Shirky suggerisce le seguenti quattro strategie:
1) Aumentare il costo della comunicazione. Fino a quando basta un singolo click a votare o esprimere il proprio parere su un certo tema si correrà il rischio che il rapporto fra segnale e rumore nell’attivismo digitale sarà sempre a favore del secondo. La competizione si sposta dal porre un tema all’ordine del giorno a generare una campagna efficace che produca un quantitativo superiore di email (o adesioni ad un gruppo, like o fan). Ci si sposta dall’arena della politica a quella delle pubbliche relazioni. Se la giornalista indiana che ha ideato la campagna delle mutande rosa si fosse limitata ad aprire un gruppo su Facebook sarebbe stato un caso interessante, ma quello che ha fatto la differenza è ciò che ha spinto quelle donne a privarsi di un bene che possedevano ed utilizzare il tempo necessario ad imballare e spedire il pacco al destinatario.
2) Progettare le forme della partecipazione per gruppi e non solo per aggregati. Si tratta di fare in modo che le persone che si raccolgono intorno ad una tematica non si limitino semplicemente ad aggiungere il proprio nome alla lista (McDonald Business Model) ma agiscano attivamente a favore della causa che si propongono. Per esempio i gruppi Meetup Ping Pong non possono formarsi se, oltre ad avere un certo numero di membri, non trovano anche un gruppo di individui che si dichiari disposto ad agire come coordinatori del meetup.
3) Considerare sempre l’esistenza di fazioni e lobby. Bisogna trovare il modo per lasciare a ciascuna fazione la possibilità di esprimersi senza per questo oscurare le altre. Ad esempio, dice Shirky, se nel progettare Change.gov avessero evitato di creare una classifica unica di temi e priorità aggregando le tematiche simili e lasciano che ciascuno gruppo si esprimesse liberamente al suo interno promuovendo idee e proponendo tematiche si sarebbe potuto evitare quell’effetto competitivo che ha mosso gli attivisti della legalizzazione della cannabis.
4) Trattare i rappresentati eletti come partner e non come un target. Quando si organizza una campagna per sollecitare un rappresentante politico su una certa tematica bisognerebbe uscire dalla logica del bigger is better. Meglio inviare qualche migliaia di messaggi scritti da persone con un alto livello di interesse verso una certa causa e magari appartenenti ad una certa area geografica di riferimento e che hanno partecipato al voto rispetto a miliardi di messaggi standard di una massa di persone anonime e poco o nulla interessate. Se non si esce da questa logica che compete sulla quantità piuttosto che sulla qualità si rischia, secondo Shirky, di allontanarsi sempre più dall’idea di un ambiente di conversazione a supporto della partecipazione democratica scivolando invece verso una sorta di pubbliche relazioni affidate alle masse.
Ecco il video integrale.

[Photo uploaded on September 27, 2008 by dharmabumx]

Come cambiano le forme di rappresentanza degli interessi individuali e collettivi quando il costo della comunicazione è prossimo allo zero? Cosa accade quando basta un click per esprimere la propria adesione ad una causa? Come occorre ripensare le forme della partecipazione evitando il rischio della dittatura delle lobby ben organizzate?

Lo racconta Clay Shirky in questo delizioso speech presentato durante l’ultimo Personal Democracy Forum.

Lo fa, come suo solito, partendo da tre esempi.

Il primo esempio viene dall’India. Nel gennaio 2009 un gruppo fondamentalista Hindu si rese protagonista di una serie di pestaggi nei confronti delle donne che frequentavano bar e pub. Il gruppo dichiarò di voler difendere, attraverso questo atto, la cultura indiana minacciata dai costumi occidentali e minacciò di ripetere le violenze contro tutte le donne intenzionate ad uscire per la festa di San Valentino. Per protestare contro le violenze e  le minacce una giornalista di 29 anni decise di fondare un gruppo su Facebook. Il giorno successivo il Consortium of Pub-going, Loose and Forward Women aveva già 500 membri. Scopo del gruppo era quello di invogliare le donne ad uscire la sera di San Valentino a dispetto delle minacce ricevute. San Valentino passò senza particolari incidenti ma gli attacchi alle donne continuarono. A questo punto il gruppo lanciò una campagna semplice ma efficace. Ogni attivista del gruppo avrebbe dovuto inviare un paio di mutande rosa al leader degli estremisti del Sri Ram Sena (SRS) – the Lord Ram’s Army. Questa inusuale forma di protesta ebbe una grande eco nella stampa indiana ed internazionale forzando il governo indiano ad intervenire attivamente per proteggere le donne minacciate dal gruppo di estremisti.

La seconda storia non riguarda la politica. Nel 1998 la versione online della rivista People decise di lanciare una campagna chiedendo ai propri lettori di scegliere i loro preferiti da una lista di 50 nomi per compilare la celebre classifica dei 50 personaggi americani più attraenti dell’anno. In seguito alla richiesta degli utenti, People decise inoltre di aprire la lista ai suggerimenti del pubblico. Non avevano calcolato bene quanto i fan volessero bene a Hank the Angry Drunken Dwarf. Un gruppo agguerrito e ben organizzato mise in piedi una campagna per supportare questo personaggio che si classificò primo della lista con oltre 250.000 voti (secondo classificato con 150.000 voti un wrestler professionista mentre Leonardo di Caprio si piazzò terzo con 41.000 voti).  Il magazine People, dopo aver solennemente promesso di riportare sulla rivista il risultato delle scelte dei lettori, ritornò sui suoi passi. Si tratta di un esempio di come queste forme di partecipazione possano essere forzate da gruppi relativamente poco numerosi ma molto agguerriti.

we gov

Il terzo esempio riguarda invece Change.gov. Il sito realizzato dallo staff di Barack Obama ed attivo nel periodo di transizione successivo all’elezione e precedente all’insediamento alla Casa Bianca, aveva fra gli altri obiettivi quello di promuovere la partecipazione degli elettori ai quali veniva chiesto di individuare le tematiche più importanti che il nuovo inquilino della casa bianca avrebbe dovuto affrontare una volta insediato. A prevalere su temi quali la crisi economica e la guerra in Iraq fu, non senza qualche sorpresa, l’uso medico della marijuana. Anche in questo caso un gruppo agguerrito e ben organizzato aveva fatto in modo di imporsi all’attenzione forzando le regole del gioco.

A questo punto Shirky si chiede come si collochi questo ultimo esempio rispetto ai primi due. Il primo è caratterizzato dal fatto che le istanze legittime di un gruppo non altrimenti rappresentato entrano nell’agenda politica, il secondo mostra come un gruppo ben organizzato possa forzare il meccanismo di partecipazione… quest’ultimo caso si pone in qualche modo nel mezzo perchè le istanze portate dal gruppo di attivisti che sostiene la legalizzazione dell’uso medico della marijuana sono legittime ma la modalità attraverso le quali hanno ottenuto l’attenzione al limite della forzatura.

Dunque il problema è costruire modelli di rappresentanza che non prestino il fianco a queste forme di forzatura. Per fare questo Shirky suggerisce le seguenti quattro strategie:

1) Aumentare il costo della comunicazione. Fino a quando basta un singolo click a votare o esprimere il proprio parere su un certo tema si correrà il rischio che il rapporto fra segnale e rumore nell’attivismo digitale sarà sempre a favore del secondo. La competizione si sposta dal porre un tema all’ordine del giorno a generare una campagna efficace che produca un quantitativo superiore di email (o adesioni ad un gruppo, like o fan). Ci si sposta dall’arena della politica a quella delle pubbliche relazioni. Se la giornalista indiana che ha ideato la campagna delle mutande rosa si fosse limitata ad aprire un gruppo su Facebook sarebbe stato un caso interessante, ma quello che ha fatto la differenza è ciò che ha spinto quelle donne a privarsi di un bene che possedevano ed utilizzare il tempo necessario ad imballare e spedire il pacco al destinatario.

2) Progettare le forme della partecipazione per gruppi e non solo per aggregati. Si tratta di fare in modo che le persone che si raccolgono intorno ad una tematica non si limitino semplicemente ad aggiungere il proprio nome alla lista (McDonald Business Model) ma agiscano attivamente a favore della causa che si propongono. Per esempio i gruppi Meetup Ping Pong non possono formarsi se, oltre ad avere un certo numero di membri, non trovano anche un gruppo di individui che si dichiari disposto ad agire come coordinatori del meetup.

3) Considerare sempre l’esistenza di fazioni e lobby. Bisogna trovare il modo per lasciare a ciascuna fazione la possibilità di esprimersi senza per questo oscurare le altre. Ad esempio, dice Shirky, se nel progettare Change.gov avessero evitato di creare una classifica unica di temi e priorità aggregando le tematiche simili e lasciano che ciascuno gruppo si esprimesse liberamente al suo interno promuovendo idee e proponendo tematiche si sarebbe potuto evitare quell’effetto competitivo che ha mosso gli attivisti della legalizzazione della cannabis.

4) Trattare i rappresentati eletti come partner e non come un target. Quando si organizza una campagna per sollecitare un rappresentante politico su una certa tematica bisognerebbe uscire dalla logica del bigger is better. Meglio inviare qualche migliaia di messaggi scritti da persone con un alto livello di interesse verso una certa causa e magari appartenenti ad una certa area geografica di riferimento e che hanno partecipato al voto rispetto a miliardi di messaggi standard di una massa di persone anonime e poco o nulla interessate. Se non si esce da questa logica che compete sulla quantità piuttosto che sulla qualità si rischia, secondo Shirky, di allontanarsi sempre più dall’idea di un ambiente di conversazione a supporto della partecipazione democratica scivolando invece verso una sorta di pubbliche relazioni affidate alle masse.

Ecco il video integrale.

[Photo uploaded on September 27, 2008 by dharmabumx]

Come cambiano le forme di rappresentanza degli interessi individuali e collettivi quando il costo della comunicazione è prossimo allo zero? Cosa accade quando basta un click per esprimere la propria adesione ad una causa? Come occorre ripensare le forme della partecipazione evitando il rischio della dittatura delle lobby ben organizzate?

Lo racconta Clay Shirky in questo delizioso speech presentato durante l’ultimo Personal Democracy Forum.

Lo fa, come suo solito, partendo da tre esempi.

Il primo esempio viene dall’India. Nel gennaio 2009 un gruppo fondamentalista Hindu si rese protagonista di una serie di pestaggi nei confronti delle donne che frequentavano bar e pub. Il gruppo dichiarò di voler difendere, attraverso questo atto, la cultura indiana minacciata dai costumi occidentali e minacciò di ripetere le violenze contro tutte le donne intenzionate ad uscire per la festa di San Valentino. Per protestare contro le violenze e  le minacce una giornalista di 29 anni decise di fondare un gruppo su Facebook. Il giorno successivo il Consortium of Pub-going, Loose and Forward Women aveva già 500 membri. Scopo del gruppo era quello di invogliare le donne ad uscire la sera di San Valentino a dispetto delle minacce ricevute. San Valentino passò senza particolari incidenti ma gli attacchi alle donne continuarono. A questo punto il gruppo lanciò una campagna semplice ma efficace. Ogni attivista del gruppo avrebbe dovuto inviare un paio di mutande rosa al leader degli estremisti del Sri Ram Sena (SRS) – the Lord Ram’s Army. Questa inusuale forma di protesta ebbe una grande eco nella stampa indiana ed internazionale forzando il governo indiano ad intervenire attivamente per proteggere le donne minacciate dal gruppo di estremisti.

La seconda storia non riguarda la politica. Nel 1998 la versione online della rivista People decise di lanciare una campagna chiedendo ai propri lettori di scegliere i loro preferiti da una lista di 50 nomi per compilare la celebre classifica dei 50 personaggi americani più attraenti dell’anno. In seguito alla richiesta degli utenti, People decise inoltre di aprire la lista ai suggerimenti del pubblico. Non avevano calcolato bene quanto i fan volessero bene a Hank the Angry Drunken Dwarf. Un gruppo agguerrito e ben organizzato mise in piedi una campagna per supportare questo personaggio che si classificò primo della lista con oltre 250.000 voti (secondo classificato con 150.000 voti un wrestler professionista mentre Leonardo di Caprio si piazzò terzo con 41.000 voti).  Il magazine People, dopo aver solennemente promesso di riportare sulla rivista il risultato delle scelte dei lettori, ritornò sui suoi passi. Si tratta di un esempio di come queste forme di partecipazione possano essere forzate da gruppi relativamente poco numerosi ma molto agguerriti.

we gov

Il terzo esempio riguarda invece Change.gov. Il sito realizzato dallo staff di Barack Obama ed attivo nel periodo di transizione successivo all’elezione e precedente all’insediamento alla Casa Bianca, aveva fra gli altri obiettivi quello di promuovere la partecipazione degli elettori ai quali veniva chiesto di individuare le tematiche più importanti che il nuovo inquilino della casa bianca avrebbe dovuto affrontare una volta insediato. A prevalere su temi quali la crisi economica e la guerra in Iraq fu, non senza qualche sorpresa, l’uso medico della marijuana. Anche in questo caso un gruppo agguerrito e ben organizzato aveva fatto in modo di imporsi all’attenzione forzando le regole del gioco.

A questo punto Shirky si chiede come si collochi questo ultimo esempio rispetto ai primi due. Il primo è caratterizzato dal fatto che le istanze legittime di un gruppo non altrimenti rappresentato entrano nell’agenda politica, il secondo mostra come un gruppo ben organizzato possa forzare il meccanismo di partecipazione… quest’ultimo caso si pone in qualche modo nel mezzo perchè le istanze portate dal gruppo di attivisti che sostiene la legalizzazione dell’uso medico della marijuana sono legittime ma la modalità attraverso le quali hanno ottenuto l’attenzione al limite della forzatura.

Dunque il problema è costruire modelli di rappresentanza che non prestino il fianco a queste forme di forzatura. Per fare questo Shirky suggerisce le seguenti quattro strategie:

1) Aumentare il costo della comunicazione. Fino a quando basta un singolo click a votare o esprimere il proprio parere su un certo tema si correrà il rischio che il rapporto fra segnale e rumore nell’attivismo digitale sarà sempre a favore del secondo. La competizione si sposta dal porre un tema all’ordine del giorno a generare una campagna efficace che produca un quantitativo superiore di email (o adesioni ad un gruppo, like o fan). Ci si sposta dall’arena della politica a quella delle pubbliche relazioni. Se la giornalista indiana che ha ideato la campagna delle mutande rosa si fosse limitata ad aprire un gruppo su Facebook sarebbe stato un caso interessante, ma quello che ha fatto la differenza è ciò che ha spinto quelle donne a privarsi di un bene che possedevano ed utilizzare il tempo necessario ad imballare e spedire il pacco al destinatario.

2) Progettare le forme della partecipazione per gruppi e non solo per aggregati. Si tratta di fare in modo che le persone che si raccolgono intorno ad una tematica non si limitino semplicemente ad aggiungere il proprio nome alla lista (McDonald Business Model) ma agiscano attivamente a favore della causa che si propongono. Per esempio i gruppi Meetup Ping Pong non possono formarsi se, oltre ad avere un certo numero di membri, non trovano anche un gruppo di individui che si dichiari disposto ad agire come coordinatori del meetup.

3) Considerare sempre l’esistenza di fazioni e lobby. Bisogna trovare il modo per lasciare a ciascuna fazione la possibilità di esprimersi senza per questo oscurare le altre. Ad esempio, dice Shirky, se nel progettare Change.gov avessero evitato di creare una classifica unica di temi e priorità aggregando le tematiche simili e lasciano che ciascuno gruppo si esprimesse liberamente al suo interno promuovendo idee e proponendo tematiche si sarebbe potuto evitare quell’effetto competitivo che ha mosso gli attivisti della legalizzazione della cannabis.

4) Trattare i rappresentati eletti come partner e non come un target. Quando si organizza una campagna per sollecitare un rappresentante politico su una certa tematica bisognerebbe uscire dalla logica del bigger is better. Meglio inviare qualche migliaia di messaggi scritti da persone con un alto livello di interesse verso una certa causa e magari appartenenti ad una certa area geografica di riferimento e che hanno partecipato al voto rispetto a miliardi di messaggi standard di una massa di persone anonime e poco o nulla interessate. Se non si esce da questa logica che compete sulla quantità piuttosto che sulla qualità si rischia, secondo Shirky, di allontanarsi sempre più dall’idea di un ambiente di conversazione a supporto della partecipazione democratica scivolando invece verso una sorta di pubbliche relazioni affidate alle masse.

Ecco il video integrale.

[Photo uploaded on September 27, 2008 by dharmabumx]

Realtà digitali #9: Vademecum per i politici che usano internet

Nelle prime elezioni del dopo Obama e del dopo boom di Facebook in Italia anche la politica italiana saggia le potenzialità del web. Nelle prime elezioni del dopo Obama e del dopo boom di Facebook in Italia anche la politica italiana saggia le potenzialità del web. Nelle prime elezioni del dopo Obama e del dopo boom di Facebook in Italia anche la politica italiana saggia le potenzialità del web.

Nel corso degli ultimi mesi si è largamente diffusa in Italia la convinzione che internet sia un mezzo di cui tenere conto per chi si occupa di politica.
Il fatto che questa consapevolezza si sia estesa è senz’altro positivo ma è altrettanto opportuno che chi desideri usare la rete per promuovere le proprie idee, lo faccia con cognizione o abbia l’umiltà di seguire i consigli di chi è più esperto di lui in questo territorio nuovo. Senza questa consapevolezza anche il miglior politico rischia, infatti, di promuovere goffe iniziative destinate nel migliore dei casi all’oblio post-elettorale. Il fiuto in rete non basta. Bisogna avere un’esperienza diretta per capirne le logiche.
La prima cosa da tenere presente è che il successo di un’iniziativa in rete non si misura solo in termini di visite ma anche e soprattutto in termini di partecipazione. Le metriche cui siamo stati abituati, dalla tiratura dei giornali all’auditel, sono figlie di un tempo in cui questa partecipazione non era misurabile. Basta dare una rapida occhiata alle statistiche che Facebook mette a disposizione per le sue Pages (se vi siete fatti invece un profilo impersonale per il partito su Facebook avete sbagliato tutto) per comprendere il salto cui siamo di fronte. Oltre alle prevedibili statistiche demografiche sui supporter, Facebook offre, infatti, anche un indice di qualità settimanale basato sul livello di interazione fatto registrare dai visitatori.
Stimolare la partecipazione richiede tempo e cura. Spendere molto denaro per promuovere la propria iniziativa senza dedicare altrettante se non maggiori risorse ai contenuti e alla comunità è una strategia suicida.
Nelle iniziative di rete trasparenza e apertura sono essenziali. Guardate il sito Recovery.gov o il nuovo progetto Data.gov varato di recente dal governo americano nell’ambito del piano Open Government. Il primo sito fa il rendiconto di quanto e come sia stato speso il denaro del piano di stimolo dell’economia varato dal governo americano per fronteggiare la crisi. Il secondo rende disponibile in formato standard e facilmente riutilizzabile i dati di molte agenzie federali.
“Don’t be evil”, come dice il motto aziendale di Google. Se la vostra iniziativa è basata su un presupposto non etico è meglio che lasciate perdere la rete. Alla fine qualcuno sfrutterà questo canale che voi stessi avete aperto per rinfacciarvelo. Potrete zittire il contestatore negli spazi che controllate, ma nulla potrà impedirgli di scrivere ciò che pensa altrove.
La libera iniziativa dei cittadini in rete farà comunque il suo corso che voi lo vogliate o no. Se lascerete che questo avvenga in qualche remoto angolo della rete e magari senza che voi ne siate consapevoli, commetterete un errore potenzialmente fatale. É proprio intervenendo in questi spazi che potrete dimostrare di essere in ascolto e pronti ad accettare la sfida del dialogo.
[potete leggere questo articolo anche a pag. 16 de “Il Corriere Adriatico” di Martedì 26 Maggio. Il prossimo appuntamento con “Realtà digitali” è per Martedì 9 Giugno]
[Photo originally uploaded on May 15, 2009 by The Official White House Photostream]

Nel corso degli ultimi mesi si è largamente diffusa in Italia la convinzione che internet sia un mezzo di cui tenere conto per chi si occupa di politica.

Il fatto che questa consapevolezza si sia estesa è senz’altro positivo ma è altrettanto opportuno che chi desideri usare la rete per promuovere le proprie idee, lo faccia con cognizione o abbia l’umiltà di seguire i consigli di chi è più esperto di lui in questo territorio nuovo. Senza questa consapevolezza anche il miglior politico rischia, infatti, di promuovere goffe iniziative destinate nel migliore dei casi all’oblio post-elettorale. Il fiuto in rete non basta. Bisogna avere un’esperienza diretta per capirne le logiche.

La prima cosa da tenere presente è che il successo di un’iniziativa in rete non si misura solo in termini di visite ma anche e soprattutto in termini di partecipazione. Le metriche cui siamo stati abituati, dalla tiratura dei giornali all’auditel, sono figlie di un tempo in cui questa partecipazione non era misurabile. Basta dare una rapida occhiata alle statistiche che Facebook mette a disposizione per le sue Pages (se vi siete fatti invece un profilo impersonale per il partito su Facebook avete sbagliato tutto) per comprendere il salto cui siamo di fronte. Oltre alle prevedibili statistiche demografiche sui supporter, Facebook offre, infatti, anche un indice di qualità settimanale basato sul livello di interazione fatto registrare dai visitatori.

Stimolare la partecipazione richiede tempo e cura. Spendere molto denaro per promuovere la propria iniziativa senza dedicare altrettante se non maggiori risorse ai contenuti e alla comunità è una strategia suicida.

Nelle iniziative di rete trasparenza e apertura sono essenziali. Guardate il sito Recovery.gov o il nuovo progetto Data.gov varato di recente dal governo americano nell’ambito del piano Open Government. Il primo sito fa il rendiconto di quanto e come sia stato speso il denaro del piano di stimolo dell’economia varato dal governo americano per fronteggiare la crisi. Il secondo rende disponibile in formato standard e facilmente riutilizzabile i dati di molte agenzie federali.

“Don’t be evil”, come dice il motto aziendale di Google. Se la vostra iniziativa è basata su un presupposto non etico è meglio che lasciate perdere la rete. Alla fine qualcuno sfrutterà questo canale che voi stessi avete aperto per rinfacciarvelo. Potrete zittire il contestatore negli spazi che controllate, ma nulla potrà impedirgli di scrivere ciò che pensa altrove.

La libera iniziativa dei cittadini in rete farà comunque il suo corso che voi lo vogliate o no. Se lascerete che questo avvenga in qualche remoto angolo della rete e magari senza che voi ne siate consapevoli, commetterete un errore potenzialmente fatale. É proprio intervenendo in questi spazi che potrete dimostrare di essere in ascolto e pronti ad accettare la sfida del dialogo.

[potete leggere questo articolo anche a pag. 16 de “Il Corriere Adriatico” di Martedì 26 Maggio. Il prossimo appuntamento con “Realtà digitali” è per Martedì 9 Giugno]

[Photo originally uploaded on May 15, 2009 by The Official White House Photostream]

Nel corso degli ultimi mesi si è largamente diffusa in Italia la convinzione che internet sia un mezzo di cui tenere conto per chi si occupa di politica.

Il fatto che questa consapevolezza si sia estesa è senz’altro positivo ma è altrettanto opportuno che chi desideri usare la rete per promuovere le proprie idee, lo faccia con cognizione o abbia l’umiltà di seguire i consigli di chi è più esperto di lui in questo territorio nuovo. Senza questa consapevolezza anche il miglior politico rischia, infatti, di promuovere goffe iniziative destinate nel migliore dei casi all’oblio post-elettorale. Il fiuto in rete non basta. Bisogna avere un’esperienza diretta per capirne le logiche.

La prima cosa da tenere presente è che il successo di un’iniziativa in rete non si misura solo in termini di visite ma anche e soprattutto in termini di partecipazione. Le metriche cui siamo stati abituati, dalla tiratura dei giornali all’auditel, sono figlie di un tempo in cui questa partecipazione non era misurabile. Basta dare una rapida occhiata alle statistiche che Facebook mette a disposizione per le sue Pages (se vi siete fatti invece un profilo impersonale per il partito su Facebook avete sbagliato tutto) per comprendere il salto cui siamo di fronte. Oltre alle prevedibili statistiche demografiche sui supporter, Facebook offre, infatti, anche un indice di qualità settimanale basato sul livello di interazione fatto registrare dai visitatori.

Stimolare la partecipazione richiede tempo e cura. Spendere molto denaro per promuovere la propria iniziativa senza dedicare altrettante se non maggiori risorse ai contenuti e alla comunità è una strategia suicida.

Nelle iniziative di rete trasparenza e apertura sono essenziali. Guardate il sito Recovery.gov o il nuovo progetto Data.gov varato di recente dal governo americano nell’ambito del piano Open Government. Il primo sito fa il rendiconto di quanto e come sia stato speso il denaro del piano di stimolo dell’economia varato dal governo americano per fronteggiare la crisi. Il secondo rende disponibile in formato standard e facilmente riutilizzabile i dati di molte agenzie federali.

“Don’t be evil”, come dice il motto aziendale di Google. Se la vostra iniziativa è basata su un presupposto non etico è meglio che lasciate perdere la rete. Alla fine qualcuno sfrutterà questo canale che voi stessi avete aperto per rinfacciarvelo. Potrete zittire il contestatore negli spazi che controllate, ma nulla potrà impedirgli di scrivere ciò che pensa altrove.

La libera iniziativa dei cittadini in rete farà comunque il suo corso che voi lo vogliate o no. Se lascerete che questo avvenga in qualche remoto angolo della rete e magari senza che voi ne siate consapevoli, commetterete un errore potenzialmente fatale. É proprio intervenendo in questi spazi che potrete dimostrare di essere in ascolto e pronti ad accettare la sfida del dialogo.

[potete leggere questo articolo anche a pag. 16 de “Il Corriere Adriatico” di Martedì 26 Maggio. Il prossimo appuntamento con “Realtà digitali” è per Martedì 9 Giugno]

[Photo originally uploaded on May 15, 2009 by The Official White House Photostream]

Realtà digitali #5: Cultura della partecipazione da Obama alle comunità locali

Dai governi nazionali alle realtà locali, si espande il contagio della cultura civica partecipativa supporta dal web. Cultura partecipativa o solo vuota retorica?Dai governi nazionali alle realtà locali, si espande il contagio della cultura civica partecipativa supporta dal web. Cultura partecipativa o solo vuota retorica?Dai governi nazionali alle realtà locali, si espande il contagio della cultura civica partecipativa supporta dal web. Cultura partecipativa o solo vuota retorica?

Fra pochi mesi l’Università di Urbino avrà un nuovo rettore. La campagna elettorale vede, per il momento, protagonisti due candidati: Mauro Magnani e Stefano Pivato. Entrambi hanno deciso di presentare il programma attraverso siti Internet dedicati e dichiarano di voler utilizzare il web come spazio di supporto all’elaborazione collettiva di idee per il futuro dell’ateneo. Entrambi hanno accettato di rispondere in video a una serie di domande formulate e selezionate sul web nell’ambito di un progetto promosso dal basso e indipendente che sarà svelato nella seconda metà di aprile.
Queste iniziative rappresentano segnali interessanti di un cambiamento già avvenuto. L’eterna promessa della rete come spazio aperto alla partecipazione civica è diventata nel corso del 2008 una realtà dai contorni netti e dalle conseguenze che è ormai impossibile ignorare. La pressante richiesta di partecipazione attiva è un’ineludibile caratteristica delle comunità connesse.
Se ne sono accorti i media, le aziende e i nostri politici ma il caso dell’ateneo di Urbino mostra come questa esigenza diffusa stia ormai contagiando anche altre tipologie di comunità.
Il futuro ci dirà se veramente di cultura o solo di vuota retorica della partecipazione si tratta. Le esperienze che ci giungono dai Paesi dove Internet si è diffusa prima che in Italia mostrano che quando la retorica della partecipazione non si accompagna ad azioni coerenti essa diventa strategia suicida. La comunicazione web rende immediatamente visibile quando si chiede collaborazione con le parole negandola al tempo stesso con i comportamenti. Se si cerca davvero la partecipazione, bisogna renderla semplice e mettere in conto la possibilità di ospitare il dissenso sul proprio sito. Filtrare, moderare o richiedere all’utente di registrarsi solo per esprimere la propria opinione influenzerà negativamente la partecipazione ma non farà scomparire il dissenso ottenendo l’unico effetto di spostare altrove parte della conversazione. In questo altrove del web, che non è detto che sia meno visibile del sito ufficiale, queste conversazioni avverranno con tutta probabilità senza che il candidato o il suo staff possa seguirle o influenzarle esprimendo il proprio punto di vista.
Apertura e partecipazione sono contagiose e senza ritorno. Lo ha compreso bene Barack Obama che ha da prima costretto il suo sfidante ad inseguirlo sul terreno del web e non appena eletto ha iniziato a sperimentare nuove iniziative di coinvolgimento come la recente Open for questions che ha raccolto in pochi giorni oltre 104.000 domande poste da circa 92.000 cittadini.
Aprire il governo di 300 milioni di cittadini alla cultura della partecipazione è certamente un’impresa titanica ma è di certo a questa straordinaria e per certi versi incredibile esperienza pilota che bisogna guardare per costruire, sfruttando la rete, una rinnovata cultura della partecipazione nelle nostre comunità.
[potete leggere questo articolo anche a pag. 12 de “Il Corriere Adriatico” di Martedì 31 Marzo. Il prossimo appuntamento con “Realtà digitali” è per Martedì 14 Aprile]
[Photo originally uploaded on September 3, 2007 by john curley]

Fra pochi mesi l’Università di Urbino avrà un nuovo rettore. La campagna elettorale vede, per il momento, protagonisti due candidati: Mauro Magnani e Stefano Pivato. Entrambi hanno deciso di presentare il programma attraverso siti Internet dedicati e dichiarano di voler utilizzare il web come spazio di supporto all’elaborazione collettiva di idee per il futuro dell’ateneo. Entrambi hanno accettato di rispondere in video a una serie di domande formulate e selezionate sul web nell’ambito di un progetto promosso dal basso e indipendente che sarà svelato nella seconda metà di aprile.

Queste iniziative rappresentano segnali interessanti di un cambiamento già avvenuto. L’eterna promessa della rete come spazio aperto alla partecipazione civica è diventata nel corso del 2008 una realtà dai contorni netti e dalle conseguenze che è ormai impossibile ignorare. La pressante richiesta di partecipazione attiva è un’ineludibile caratteristica delle comunità connesse.

Se ne sono accorti i media, le aziende e i nostri politici ma il caso dell’ateneo di Urbino mostra come questa esigenza diffusa stia ormai contagiando anche altre tipologie di comunità.

Il futuro ci dirà se veramente di cultura o solo di vuota retorica della partecipazione si tratta. Le esperienze che ci giungono dai Paesi dove Internet si è diffusa prima che in Italia mostrano che quando la retorica della partecipazione non si accompagna ad azioni coerenti essa diventa strategia suicida. La comunicazione web rende immediatamente visibile quando si chiede collaborazione con le parole negandola al tempo stesso con i comportamenti. Se si cerca davvero la partecipazione, bisogna renderla semplice e mettere in conto la possibilità di ospitare il dissenso sul proprio sito. Filtrare, moderare o richiedere all’utente di registrarsi solo per esprimere la propria opinione influenzerà negativamente la partecipazione ma non farà scomparire il dissenso ottenendo l’unico effetto di spostare altrove parte della conversazione. In questo altrove del web, che non è detto che sia meno visibile del sito ufficiale, queste conversazioni avverranno con tutta probabilità senza che il candidato o il suo staff possa seguirle o influenzarle esprimendo il proprio punto di vista.

Apertura e partecipazione sono contagiose e senza ritorno. Lo ha compreso bene Barack Obama che ha da prima costretto il suo sfidante ad inseguirlo sul terreno del web e non appena eletto ha iniziato a sperimentare nuove iniziative di coinvolgimento come la recente Open for questions che ha raccolto in pochi giorni oltre 104.000 domande poste da circa 92.000 cittadini.

Aprire il governo di 300 milioni di cittadini alla cultura della partecipazione è certamente un’impresa titanica ma è di certo a questa straordinaria e per certi versi incredibile esperienza pilota che bisogna guardare per costruire, sfruttando la rete, una rinnovata cultura della partecipazione nelle nostre comunità.

[potete leggere questo articolo anche a pag. 12 de “Il Corriere Adriatico” di Martedì 31 Marzo. Il prossimo appuntamento con “Realtà digitali” è per Martedì 14 Aprile]

[Photo originally uploaded on September 3, 2007 by john curley]

Fra pochi mesi l’Università di Urbino avrà un nuovo rettore. La campagna elettorale vede, per il momento, protagonisti due candidati: Mauro Magnani e Stefano Pivato. Entrambi hanno deciso di presentare il programma attraverso siti Internet dedicati e dichiarano di voler utilizzare il web come spazio di supporto all’elaborazione collettiva di idee per il futuro dell’ateneo. Entrambi hanno accettato di rispondere in video a una serie di domande formulate e selezionate sul web nell’ambito di un progetto promosso dal basso e indipendente che sarà svelato nella seconda metà di aprile.

Queste iniziative rappresentano segnali interessanti di un cambiamento già avvenuto. L’eterna promessa della rete come spazio aperto alla partecipazione civica è diventata nel corso del 2008 una realtà dai contorni netti e dalle conseguenze che è ormai impossibile ignorare. La pressante richiesta di partecipazione attiva è un’ineludibile caratteristica delle comunità connesse.

Se ne sono accorti i media, le aziende e i nostri politici ma il caso dell’ateneo di Urbino mostra come questa esigenza diffusa stia ormai contagiando anche altre tipologie di comunità.

Il futuro ci dirà se veramente di cultura o solo di vuota retorica della partecipazione si tratta. Le esperienze che ci giungono dai Paesi dove Internet si è diffusa prima che in Italia mostrano che quando la retorica della partecipazione non si accompagna ad azioni coerenti essa diventa strategia suicida. La comunicazione web rende immediatamente visibile quando si chiede collaborazione con le parole negandola al tempo stesso con i comportamenti. Se si cerca davvero la partecipazione, bisogna renderla semplice e mettere in conto la possibilità di ospitare il dissenso sul proprio sito. Filtrare, moderare o richiedere all’utente di registrarsi solo per esprimere la propria opinione influenzerà negativamente la partecipazione ma non farà scomparire il dissenso ottenendo l’unico effetto di spostare altrove parte della conversazione. In questo altrove del web, che non è detto che sia meno visibile del sito ufficiale, queste conversazioni avverranno con tutta probabilità senza che il candidato o il suo staff possa seguirle o influenzarle esprimendo il proprio punto di vista.

Apertura e partecipazione sono contagiose e senza ritorno. Lo ha compreso bene Barack Obama che ha da prima costretto il suo sfidante ad inseguirlo sul terreno del web e non appena eletto ha iniziato a sperimentare nuove iniziative di coinvolgimento come la recente Open for questions che ha raccolto in pochi giorni oltre 104.000 domande poste da circa 92.000 cittadini.

Aprire il governo di 300 milioni di cittadini alla cultura della partecipazione è certamente un’impresa titanica ma è di certo a questa straordinaria e per certi versi incredibile esperienza pilota che bisogna guardare per costruire, sfruttando la rete, una rinnovata cultura della partecipazione nelle nostre comunità.

[potete leggere questo articolo anche a pag. 12 de “Il Corriere Adriatico” di Martedì 31 Marzo. Il prossimo appuntamento con “Realtà digitali” è per Martedì 14 Aprile]

[Photo originally uploaded on September 3, 2007 by john curley]