Un magazine che aggrega i contributi più popolari condivisi su Twitter dai ricercatori italiani che studiano Internet.
Solo per segnalare che, qualche tempo fa, ho deciso di provare a utilizzare il servizio Paper.li per creare un magazine settimanale che aggrega i contributi segnalati dai miei colleghi che hanno svolto studi o stanno svolgendo studi su Internet. Paper.li aggrega i link più popolari segnalati dagli utenti su Twitter e costruisce quotidianamente o settimanalmente una pubblicazione periodica impaginata e personalizzata.
Il magazine è basato sulla lista dei ricercatori che studiano Internet presenti su Twitter e già da tempo raggruppati nella lista Internet Researchers Italia.
Se sei un ricercatore italiano che studia Internet con un account su Twitter, ma non fai ancora parte della lista segnalamelo nei commenti di questo post e provvederò ad aggiungerti.
Di seguito il sommario dell’ultimo numero. Cliccando sui titoli che scorrono o sulle sezioni è possibile accedere alla pagina del magazine, abbonarsi o includere il codice del magazine nel proprio sito/blog.
Nelle prime elezioni del dopo Obama e del dopo boom di Facebook in Italia anche la politica italiana saggia le potenzialità del web. Nelle prime elezioni del dopo Obama e del dopo boom di Facebook in Italia anche la politica italiana saggia le potenzialità del web. Nelle prime elezioni del dopo Obama e del dopo boom di Facebook in Italia anche la politica italiana saggia le potenzialità del web.
Nel corso degli ultimi mesi si è largamente diffusa in Italia la convinzione che internet sia un mezzo di cui tenere conto per chi si occupa di politica.
Il fatto che questa consapevolezza si sia estesa è senz’altro positivo ma è altrettanto opportuno che chi desideri usare la rete per promuovere le proprie idee, lo faccia con cognizione o abbia l’umiltà di seguire i consigli di chi è più esperto di lui in questo territorio nuovo. Senza questa consapevolezza anche il miglior politico rischia, infatti, di promuovere goffe iniziative destinate nel migliore dei casi all’oblio post-elettorale. Il fiuto in rete non basta. Bisogna avere un’esperienza diretta per capirne le logiche.
La prima cosa da tenere presente è che il successo di un’iniziativa in rete non si misura solo in termini di visite ma anche e soprattutto in termini di partecipazione. Le metriche cui siamo stati abituati, dalla tiratura dei giornali all’auditel, sono figlie di un tempo in cui questa partecipazione non era misurabile. Basta dare una rapida occhiata alle statistiche che Facebook mette a disposizione per le sue Pages (se vi siete fatti invece un profilo impersonale per il partito su Facebook avete sbagliato tutto) per comprendere il salto cui siamo di fronte. Oltre alle prevedibili statistiche demografiche sui supporter, Facebook offre, infatti, anche un indice di qualità settimanale basato sul livello di interazione fatto registrare dai visitatori.
Stimolare la partecipazione richiede tempo e cura. Spendere molto denaro per promuovere la propria iniziativa senza dedicare altrettante se non maggiori risorse ai contenuti e alla comunità è una strategia suicida.
Nelle iniziative di rete trasparenza e apertura sono essenziali. Guardate il sito Recovery.gov o il nuovo progetto Data.gov varato di recente dal governo americano nell’ambito del piano Open Government. Il primo sito fa il rendiconto di quanto e come sia stato speso il denaro del piano di stimolo dell’economia varato dal governo americano per fronteggiare la crisi. Il secondo rende disponibile in formato standard e facilmente riutilizzabile i dati di molte agenzie federali.
“Don’t be evil”, come dice il motto aziendale di Google. Se la vostra iniziativa è basata su un presupposto non etico è meglio che lasciate perdere la rete. Alla fine qualcuno sfrutterà questo canale che voi stessi avete aperto per rinfacciarvelo. Potrete zittire il contestatore negli spazi che controllate, ma nulla potrà impedirgli di scrivere ciò che pensa altrove.
La libera iniziativa dei cittadini in rete farà comunque il suo corso che voi lo vogliate o no. Se lascerete che questo avvenga in qualche remoto angolo della rete e magari senza che voi ne siate consapevoli, commetterete un errore potenzialmente fatale. É proprio intervenendo in questi spazi che potrete dimostrare di essere in ascolto e pronti ad accettare la sfida del dialogo.
[potete leggere questo articolo anche a pag. 16 de “Il Corriere Adriatico” di Martedì 26 Maggio. Il prossimo appuntamento con “Realtà digitali” è per Martedì 9 Giugno]
[Photo originally uploaded on May 15, 2009 by The Official White House Photostream]
Nel corso degli ultimi mesi si è largamente diffusa in Italia la convinzione che internet sia un mezzo di cui tenere conto per chi si occupa di politica.
Il fatto che questa consapevolezza si sia estesa è senz’altro positivo ma è altrettanto opportuno che chi desideri usare la rete per promuovere le proprie idee, lo faccia con cognizione o abbia l’umiltà di seguire i consigli di chi è più esperto di lui in questo territorio nuovo. Senza questa consapevolezza anche il miglior politico rischia, infatti, di promuovere goffe iniziative destinate nel migliore dei casi all’oblio post-elettorale. Il fiuto in rete non basta. Bisogna avere un’esperienza diretta per capirne le logiche.
La prima cosa da tenere presente è che il successo di un’iniziativa in rete non si misura solo in termini di visite ma anche e soprattutto in termini di partecipazione. Le metriche cui siamo stati abituati, dalla tiratura dei giornali all’auditel, sono figlie di un tempo in cui questa partecipazione non era misurabile. Basta dare una rapida occhiata alle statistiche che Facebook mette a disposizione per le sue Pages (se vi siete fatti invece un profilo impersonale per il partito su Facebook avete sbagliato tutto) per comprendere il salto cui siamo di fronte. Oltre alle prevedibili statistiche demografiche sui supporter, Facebook offre, infatti, anche un indice di qualità settimanale basato sul livello di interazione fatto registrare dai visitatori.
Stimolare la partecipazione richiede tempo e cura. Spendere molto denaro per promuovere la propria iniziativa senza dedicare altrettante se non maggiori risorse ai contenuti e alla comunità è una strategia suicida.
Nelle iniziative di rete trasparenza e apertura sono essenziali. Guardate il sito Recovery.gov o il nuovo progetto Data.gov varato di recente dal governo americano nell’ambito del piano Open Government. Il primo sito fa il rendiconto di quanto e come sia stato speso il denaro del piano di stimolo dell’economia varato dal governo americano per fronteggiare la crisi. Il secondo rende disponibile in formato standard e facilmente riutilizzabile i dati di molte agenzie federali.
“Don’t be evil”, come dice il motto aziendale di Google. Se la vostra iniziativa è basata su un presupposto non etico è meglio che lasciate perdere la rete. Alla fine qualcuno sfrutterà questo canale che voi stessi avete aperto per rinfacciarvelo. Potrete zittire il contestatore negli spazi che controllate, ma nulla potrà impedirgli di scrivere ciò che pensa altrove.
La libera iniziativa dei cittadini in rete farà comunque il suo corso che voi lo vogliate o no. Se lascerete che questo avvenga in qualche remoto angolo della rete e magari senza che voi ne siate consapevoli, commetterete un errore potenzialmente fatale. É proprio intervenendo in questi spazi che potrete dimostrare di essere in ascolto e pronti ad accettare la sfida del dialogo.
[potete leggere questo articolo anche a pag. 16 de “Il Corriere Adriatico” di Martedì 26 Maggio. Il prossimo appuntamento con “Realtà digitali” è per Martedì 9 Giugno]
Nel corso degli ultimi mesi si è largamente diffusa in Italia la convinzione che internet sia un mezzo di cui tenere conto per chi si occupa di politica.
Il fatto che questa consapevolezza si sia estesa è senz’altro positivo ma è altrettanto opportuno che chi desideri usare la rete per promuovere le proprie idee, lo faccia con cognizione o abbia l’umiltà di seguire i consigli di chi è più esperto di lui in questo territorio nuovo. Senza questa consapevolezza anche il miglior politico rischia, infatti, di promuovere goffe iniziative destinate nel migliore dei casi all’oblio post-elettorale. Il fiuto in rete non basta. Bisogna avere un’esperienza diretta per capirne le logiche.
La prima cosa da tenere presente è che il successo di un’iniziativa in rete non si misura solo in termini di visite ma anche e soprattutto in termini di partecipazione. Le metriche cui siamo stati abituati, dalla tiratura dei giornali all’auditel, sono figlie di un tempo in cui questa partecipazione non era misurabile. Basta dare una rapida occhiata alle statistiche che Facebook mette a disposizione per le sue Pages (se vi siete fatti invece un profilo impersonale per il partito su Facebook avete sbagliato tutto) per comprendere il salto cui siamo di fronte. Oltre alle prevedibili statistiche demografiche sui supporter, Facebook offre, infatti, anche un indice di qualità settimanale basato sul livello di interazione fatto registrare dai visitatori.
Stimolare la partecipazione richiede tempo e cura. Spendere molto denaro per promuovere la propria iniziativa senza dedicare altrettante se non maggiori risorse ai contenuti e alla comunità è una strategia suicida.
Nelle iniziative di rete trasparenza e apertura sono essenziali. Guardate il sito Recovery.gov o il nuovo progetto Data.gov varato di recente dal governo americano nell’ambito del piano Open Government. Il primo sito fa il rendiconto di quanto e come sia stato speso il denaro del piano di stimolo dell’economia varato dal governo americano per fronteggiare la crisi. Il secondo rende disponibile in formato standard e facilmente riutilizzabile i dati di molte agenzie federali.
“Don’t be evil”, come dice il motto aziendale di Google. Se la vostra iniziativa è basata su un presupposto non etico è meglio che lasciate perdere la rete. Alla fine qualcuno sfrutterà questo canale che voi stessi avete aperto per rinfacciarvelo. Potrete zittire il contestatore negli spazi che controllate, ma nulla potrà impedirgli di scrivere ciò che pensa altrove.
La libera iniziativa dei cittadini in rete farà comunque il suo corso che voi lo vogliate o no. Se lascerete che questo avvenga in qualche remoto angolo della rete e magari senza che voi ne siate consapevoli, commetterete un errore potenzialmente fatale. É proprio intervenendo in questi spazi che potrete dimostrare di essere in ascolto e pronti ad accettare la sfida del dialogo.
[potete leggere questo articolo anche a pag. 16 de “Il Corriere Adriatico” di Martedì 26 Maggio. Il prossimo appuntamento con “Realtà digitali” è per Martedì 9 Giugno]
I risultati di una ricerca esplorativa su come gli utenti di Facebook e Badoo in Italia comprendano la distinzione pubblico/privato e gestiscano il proprio capitale sociale.I risultati di una ricerca esplorativa su come gli utenti di Facebook e Badoo in Italia comprendano la distinzione pubblico/privato e gestiscano il proprio capitale sociale.I risultati di una ricerca esplorativa su come gli utenti di Facebook e Badoo in Italia comprendano la distinzione pubblico/privato e gestiscano il proprio capitale sociale.
Ho iniziato ad interessarmi seriamente al fenomeno dei siti di social network in Italia verso al fine del 2007 spinto in generale dal grande interesse che registravo esserci sul fenomeno negli Stati Uniti ed in particolare da un post pubblicato sul suo blog di Jill Walker nel quale si annunciava che l’83,5% dei ragazzi norvegesi di un età compresa fra 16 e 19 anni erano su Facebook e si spiegava la semplice procedura attraverso la quale era giunta a questa conclusione.
La prima cosa che ho fatto dopo aver letto il post è stato ovviamente sperimentare la stessa procedura sul pubblico italiano di Facebook. Non senza qualche stupore constatai che nella stessa fascia d’età gli iscritti italiani su Facebook erano lo 0,63% della popolazione.
Ora, anche calcolando una certa arretratezza cronica del nostro paese in fatto di tecnologia, un divario di queste proporzioni rimaneva ai miei occhi piuttosto stupefacente. Il fenomeno è rimasto misterioso fino a quando non ho scoperto un altro sito di social network chiamato Badoo. Pur senza avvicinarsi neanche lontanamente alle percentuali bulgare della Norvegia, calcolai che approssimativamente il 18,32% dei giovani fra 16 e 19 anni aveva un account su Badoo.
Dunque gli italiani non erano su Facebook ma su Badoo. Ed infatti l’Italia, a guardare le ricerche su Google, era la prima nazione al mondo per interesse verso questo sito.
A seguire il Venezuela.
Il Venezuela? Già il Venezuela. Ma cosa hanno in comune Italia e Venezuela? E più in generale perché il successo dei siti di social network, pur essendo tutte piattaforme globali, era così diverso da nazione a nazione? Ed ancora perché in Italia aveva successo proprio Badoo?
Da fine 2007 ho dunque iniziato a monitorare il numero di utenti registrati, il tasso di crescita nel tempo, la distribuzione geografica, il traffico registrato dall’Italia verso questi due siti ed il volume di ricerche effettuato su Google con le chiavi Badoo e Facebook.
Qualche mese dopo ho colto al volo l’opportunità offertami da una sconosciuta collega americana per partecipare ad un panel sui siti di social network nel contesto nazionale con colleghi che presentavano casi di interesse come quelli di Orkut in Brasile, di Cyworld in Corea e di Nasza-Klasa (la nostra classe) in Polonia.
Ho deciso dunque di approfondire il caso di Badoo e Facebook in Italia affiancando all’analisi dei dati quantitativi in mio possesso un questionario online finalizzato ad indagare due specifiche ipotesi relative alla capacità degli utenti dei due sistemi di utilizzare la distinzione pubblico/privato e alla propensione ad utilizzare la piattaforma per conoscere nuove persone o mantenere la relazione con persone già conosciute (una tendenza questa molto evidente nelle ricerche che avevo letto).
Ho così creato un breve questionario ed utilizzato i canali in mio possesso per promuoverlo presso gli utenti di Badoo e di Facebook. All’atto della redazione di questo post il questionario è stato compilato 338 volte (73 utenti di Badoo e 286 di Facebook).
Nel frattempo, come previsto correttamente da Google Trend, Facebook (3.097.360) ha superato Badoo (2.890.268) in Italia in quanto a numero di iscritti.
A più riprese emergono significative differenze fra gli utenti di Facebook e quelli di Badoo.
La prima differenza ci riporta al contesto geografico. Guardando la mappa dell’utilizzo delle parole chiave appare piuttosto evidente che Facebook sia usato prevalentemente al nord mentre Badoo al sud e nella zona umbria/romagna.
La distribuzione delle classi d’età mostra inoltre in modo inequivocabile che la popolazione di Badoo sia molto più giovane di quella di Facebook e, da questo punto di vista, maggiormente in linea con le tendenze degli altri paesi del mondo (anche se l’età media si sta oggi alzando anche altrove).
Rispetto al genere è piuttosto evidente che in Facebook sia confermata la tendenza in atto rilevata da Pew Internet ed altre ricerche che vede le ragazze giovani più interessati dei pari età all’uso dei siti di social network. Evidente anche che lo sbilanciamento della popolazione di Badoo verso il genere maschile.
In relazione alle specifiche ipotesi della ricerca si possono trarre due conclusioni diverse.
La prima conferma una delle ipotesi. In tre diverse domande gli utenti di Badoo e quelli di Facebook si differenziano in modo significativo rispetto alla pratica di usare il sito per conoscere nuove persone (attività molto più diffusa su Badoo) rispetto a mantenere i rapporto con persone che già si conoscono.
Più difficile da verificare l’ipotesi sulla diversa percezione della privacy. Da una parte infatti gli utenti di Badoo mostrano una maggiore fiducia rispetto a quelli di Facebook rispetto alla possibilità di essere identificati sulla base del proprio profilo. Con tutta probabilità questa maggiore fiducia dipende dal fatto che solo in rari casi (29,9% contro il 90 di Facebook) il cognome dell’utente è pubblicato sul sito e dal fatto che almeno nella metà dei casi le informazioni sono sul profilo non sono vere. Al tempo stesso gli utenti di Badoo sembrano in larga parte consapevoli che l’accesso al proprio profilo non è ristretto ai soli “amici” al contrario di quanto avviene quasi sempre su Facebook. In generale è possibile affermare che gli utenti di Badoo abbiano un approccio molto più guardingo nei confronti del sistema. Al contrario Facebook sembra ispirare fiducia perché l’accesso ai proprio contenuti è percepito come limitato ai propri amici.
Questa diversa percezione della privacy si ripercuote con tutta probabilità anche sul senso di comunità ispirato dal sito che è significativamente maggiore nel caso di Facebook rispetto a Badoo.
Non appare dunque possibile una chiara verifica della seconda ipotesi relativa alla differente capacità di utilizzare la distinzione pubblico/privato.
Osservando più in generale lo scenario sembra tuttavia piuttosto chiaro che pur essendo già in una fase di rallentamento rispetto agli ultimi mesi, l’espansione di Facebook in Italia ha ancora margini per avanzare. Potrebbe essere già in corso un fenomeno di migrazione da Badoo a Facebook anche da parte dei giovanissimi ma è molto difficile trovare dati che possano confermare o smentire questa ipotesi.
Quello che mi sento tuttavia di dire con una certa sicurezza è che il fenomeno Facebook in Italia non sarà, almeno di cambiamenti imprevedibili su scala globale, una moda passeggera.
I Ragazzi de Il Cannocchiale / dolmedia hanno fatto come sempre un lavoro straordinario con i video del RomeCamp. Grazie a loro, e alla lungimiranza degli organizzatori Elastic e Digital PR che gli hanno coinvolti, potete rivedere l’intera presentazione della ricerca ed anche una interessante chiacchierata sulla “sociologia dei social network” che abbiamo registrato con gli amici e colleghi Davide Bennato e Tony Siino.
Ho iniziato ad interessarmi seriamente al fenomeno dei siti di social network in Italia verso al fine del 2007 spinto in generale dal grande interesse che registravo esserci sul fenomeno negli Stati Uniti ed in particolare da un post pubblicato sul suo blog di Jill Walker nel quale si annunciava che l’83,5% dei ragazzi norvegesi di un età compresa fra 16 e 19 anni erano su Facebook e si spiegava la semplice procedura attraverso la quale era giunta a questa conclusione.
La prima cosa che ho fatto dopo aver letto il post è stato ovviamente sperimentare la stessa procedura sul pubblico italiano di Facebook. Non senza qualche stupore constatai che nella stessa fascia d’età gli iscritti italiani su Facebook erano lo 0,63% della popolazione.
Ora, anche calcolando una certa arretratezza cronica del nostro paese in fatto di tecnologia, un divario di queste proporzioni rimaneva ai miei occhi piuttosto stupefacente. Il fenomeno è rimasto misterioso fino a quando non ho scoperto un altro sito di social network chiamato Badoo. Pur senza avvicinarsi neanche lontanamente alle percentuali bulgare della Norvegia, calcolai che approssimativamente il 18,32% dei giovani fra 16 e 19 anni aveva un account su Badoo.
Dunque gli italiani non erano su Facebook ma su Badoo. Ed infatti l’Italia, a guardare le ricerche su Google, era la prima nazione al mondo per interesse verso questo sito.
A seguire il Venezuela.
Il Venezuela? Già il Venezuela. Ma cosa hanno in comune Italia e Venezuela? E più in generale perché il successo dei siti di social network, pur essendo tutte piattaforme globali, era così diverso da nazione a nazione? Ed ancora perché in Italia aveva successo proprio Badoo?
Da fine 2007 ho dunque iniziato a monitorare il numero di utenti registrati, il tasso di crescita nel tempo, la distribuzione geografica, il traffico registrato dall’Italia verso questi due siti ed il volume di ricerche effettuato su Google con le chiavi Badoo e Facebook.
Qualche mese dopo ho colto al volo l’opportunità offertami da una sconosciuta collega americana per partecipare ad un panel sui siti di social network nel contesto nazionale con colleghi che presentavano casi di interesse come quelli di Orkut in Brasile, di Cyworld in Corea e di Nasza-Klasa (la nostra classe) in Polonia.
Ho deciso dunque di approfondire il caso di Badoo e Facebook in Italia affiancando all’analisi dei dati quantitativi in mio possesso un questionario online finalizzato ad indagare due specifiche ipotesi relative alla capacità degli utenti dei due sistemi di utilizzare la distinzione pubblico/privato e alla propensione ad utilizzare la piattaforma per conoscere nuove persone o mantenere la relazione con persone già conosciute (una tendenza questa molto evidente nelle ricerche che avevo letto).
Ho così creato un breve questionario ed utilizzato i canali in mio possesso per promuoverlo presso gli utenti di Badoo e di Facebook. All’atto della redazione di questo post il questionario è stato compilato 338 volte (73 utenti di Badoo e 286 di Facebook).
Nel frattempo, come previsto correttamente da Google Trend, Facebook (3.097.360) ha superato Badoo (2.890.268) in Italia in quanto a numero di iscritti.
A più riprese emergono significative differenze fra gli utenti di Facebook e quelli di Badoo.
La prima differenza ci riporta al contesto geografico. Guardando la mappa dell’utilizzo delle parole chiave appare piuttosto evidente che Facebook sia usato prevalentemente al nord mentre Badoo al sud e nella zona umbria/romagna.
La distribuzione delle classi d’età mostra inoltre in modo inequivocabile che la popolazione di Badoo sia molto più giovane di quella di Facebook e, da questo punto di vista, maggiormente in linea con le tendenze degli altri paesi del mondo (anche se l’età media si sta oggi alzando anche altrove).
Rispetto al genere è piuttosto evidente che in Facebook sia confermata la tendenza in atto rilevata da Pew Internet ed altre ricerche che vede le ragazze giovani più interessati dei pari età all’uso dei siti di social network. Evidente anche che lo sbilanciamento della popolazione di Badoo verso il genere maschile.
In relazione alle specifiche ipotesi della ricerca si possono trarre due conclusioni diverse.
La prima conferma una delle ipotesi. In tre diverse domande gli utenti di Badoo e quelli di Facebook si differenziano in modo significativo rispetto alla pratica di usare il sito per conoscere nuove persone (attività molto più diffusa su Badoo) rispetto a mantenere i rapporto con persone che già si conoscono.
Più difficile da verificare l’ipotesi sulla diversa percezione della privacy. Da una parte infatti gli utenti di Badoo mostrano una maggiore fiducia rispetto a quelli di Facebook rispetto alla possibilità di essere identificati sulla base del proprio profilo. Con tutta probabilità questa maggiore fiducia dipende dal fatto che solo in rari casi (29,9% contro il 90 di Facebook) il cognome dell’utente è pubblicato sul sito e dal fatto che almeno nella metà dei casi le informazioni sono sul profilo non sono vere. Al tempo stesso gli utenti di Badoo sembrano in larga parte consapevoli che l’accesso al proprio profilo non è ristretto ai soli “amici” al contrario di quanto avviene quasi sempre su Facebook. In generale è possibile affermare che gli utenti di Badoo abbiano un approccio molto più guardingo nei confronti del sistema. Al contrario Facebook sembra ispirare fiducia perché l’accesso ai proprio contenuti è percepito come limitato ai propri amici.
Questa diversa percezione della privacy si ripercuote con tutta probabilità anche sul senso di comunità ispirato dal sito che è significativamente maggiore nel caso di Facebook rispetto a Badoo.
Non appare dunque possibile una chiara verifica della seconda ipotesi relativa alla differente capacità di utilizzare la distinzione pubblico/privato.
Osservando più in generale lo scenario sembra tuttavia piuttosto chiaro che pur essendo già in una fase di rallentamento rispetto agli ultimi mesi, l’espansione di Facebook in Italia ha ancora margini per avanzare. Potrebbe essere già in corso un fenomeno di migrazione da Badoo a Facebook anche da parte dei giovanissimi ma è molto difficile trovare dati che possano confermare o smentire questa ipotesi.
Quello che mi sento tuttavia di dire con una certa sicurezza è che il fenomeno Facebook in Italia non sarà, almeno di cambiamenti imprevedibili su scala globale, una moda passeggera.
I Ragazzi de Il Cannocchiale / dolmedia hanno fatto come sempre un lavoro straordinario con i video del RomeCamp. Grazie a loro, e alla lungimiranza degli organizzatori Elastic e Digital PR che gli hanno coinvolti, potete rivedere l’intera presentazione della ricerca ed anche una interessante chiacchierata sulla “sociologia dei social network” che abbiamo registrato con gli amici e colleghi Davide Bennato e Tony Siino.
Ho iniziato ad interessarmi seriamente al fenomeno dei siti di social network in Italia verso al fine del 2007 spinto in generale dal grande interesse che registravo esserci sul fenomeno negli Stati Uniti ed in particolare da un post pubblicato sul suo blog di Jill Walker nel quale si annunciava che l’83,5% dei ragazzi norvegesi di un età compresa fra 16 e 19 anni erano su Facebook e si spiegava la semplice procedura attraverso la quale era giunta a questa conclusione.
La prima cosa che ho fatto dopo aver letto il post è stato ovviamente sperimentare la stessa procedura sul pubblico italiano di Facebook. Non senza qualche stupore constatai che nella stessa fascia d’età gli iscritti italiani su Facebook erano lo 0,63% della popolazione.
Ora, anche calcolando una certa arretratezza cronica del nostro paese in fatto di tecnologia, un divario di queste proporzioni rimaneva ai miei occhi piuttosto stupefacente. Il fenomeno è rimasto misterioso fino a quando non ho scoperto un altro sito di social network chiamato Badoo. Pur senza avvicinarsi neanche lontanamente alle percentuali bulgare della Norvegia, calcolai che approssimativamente il 18,32% dei giovani fra 16 e 19 anni aveva un account su Badoo.
Dunque gli italiani non erano su Facebook ma su Badoo. Ed infatti l’Italia, a guardare le ricerche su Google, era la prima nazione al mondo per interesse verso questo sito.
A seguire il Venezuela.
Il Venezuela? Già il Venezuela. Ma cosa hanno in comune Italia e Venezuela? E più in generale perché il successo dei siti di social network, pur essendo tutte piattaforme globali, era così diverso da nazione a nazione? Ed ancora perché in Italia aveva successo proprio Badoo?
Da fine 2007 ho dunque iniziato a monitorare il numero di utenti registrati, il tasso di crescita nel tempo, la distribuzione geografica, il traffico registrato dall’Italia verso questi due siti ed il volume di ricerche effettuato su Google con le chiavi Badoo e Facebook.
Qualche mese dopo ho colto al volo l’opportunità offertami da una sconosciuta collega americana per partecipare ad un panel sui siti di social network nel contesto nazionale con colleghi che presentavano casi di interesse come quelli di Orkut in Brasile, di Cyworld in Corea e di Nasza-Klasa (la nostra classe) in Polonia.
Ho deciso dunque di approfondire il caso di Badoo e Facebook in Italia affiancando all’analisi dei dati quantitativi in mio possesso un questionario online finalizzato ad indagare due specifiche ipotesi relative alla capacità degli utenti dei due sistemi di utilizzare la distinzione pubblico/privato e alla propensione ad utilizzare la piattaforma per conoscere nuove persone o mantenere la relazione con persone già conosciute (una tendenza questa molto evidente nelle ricerche che avevo letto).
Ho così creato un breve questionario ed utilizzato i canali in mio possesso per promuoverlo presso gli utenti di Badoo e di Facebook. All’atto della redazione di questo post il questionario è stato compilato 338 volte (73 utenti di Badoo e 286 di Facebook).
Nel frattempo, come previsto correttamente da Google Trend, Facebook (3.097.360) ha superato Badoo (2.890.268) in Italia in quanto a numero di iscritti.
A più riprese emergono significative differenze fra gli utenti di Facebook e quelli di Badoo.
La prima differenza ci riporta al contesto geografico. Guardando la mappa dell’utilizzo delle parole chiave appare piuttosto evidente che Facebook sia usato prevalentemente al nord mentre Badoo al sud e nella zona umbria/romagna.
La distribuzione delle classi d’età mostra inoltre in modo inequivocabile che la popolazione di Badoo sia molto più giovane di quella di Facebook e, da questo punto di vista, maggiormente in linea con le tendenze degli altri paesi del mondo (anche se l’età media si sta oggi alzando anche altrove).
Rispetto al genere è piuttosto evidente che in Facebook sia confermata la tendenza in atto rilevata da Pew Internet ed altre ricerche che vede le ragazze giovani più interessati dei pari età all’uso dei siti di social network. Evidente anche che lo sbilanciamento della popolazione di Badoo verso il genere maschile.
In relazione alle specifiche ipotesi della ricerca si possono trarre due conclusioni diverse.
La prima conferma una delle ipotesi. In tre diverse domande gli utenti di Badoo e quelli di Facebook si differenziano in modo significativo rispetto alla pratica di usare il sito per conoscere nuove persone (attività molto più diffusa su Badoo) rispetto a mantenere i rapporto con persone che già si conoscono.
Più difficile da verificare l’ipotesi sulla diversa percezione della privacy. Da una parte infatti gli utenti di Badoo mostrano una maggiore fiducia rispetto a quelli di Facebook rispetto alla possibilità di essere identificati sulla base del proprio profilo. Con tutta probabilità questa maggiore fiducia dipende dal fatto che solo in rari casi (29,9% contro il 90 di Facebook) il cognome dell’utente è pubblicato sul sito e dal fatto che almeno nella metà dei casi le informazioni sono sul profilo non sono vere. Al tempo stesso gli utenti di Badoo sembrano in larga parte consapevoli che l’accesso al proprio profilo non è ristretto ai soli “amici” al contrario di quanto avviene quasi sempre su Facebook. In generale è possibile affermare che gli utenti di Badoo abbiano un approccio molto più guardingo nei confronti del sistema. Al contrario Facebook sembra ispirare fiducia perché l’accesso ai proprio contenuti è percepito come limitato ai propri amici.
Questa diversa percezione della privacy si ripercuote con tutta probabilità anche sul senso di comunità ispirato dal sito che è significativamente maggiore nel caso di Facebook rispetto a Badoo.
Non appare dunque possibile una chiara verifica della seconda ipotesi relativa alla differente capacità di utilizzare la distinzione pubblico/privato.
Osservando più in generale lo scenario sembra tuttavia piuttosto chiaro che pur essendo già in una fase di rallentamento rispetto agli ultimi mesi, l’espansione di Facebook in Italia ha ancora margini per avanzare. Potrebbe essere già in corso un fenomeno di migrazione da Badoo a Facebook anche da parte dei giovanissimi ma è molto difficile trovare dati che possano confermare o smentire questa ipotesi.
Quello che mi sento tuttavia di dire con una certa sicurezza è che il fenomeno Facebook in Italia non sarà, almeno di cambiamenti imprevedibili su scala globale, una moda passeggera.
I Ragazzi de Il Cannocchiale / dolmedia hanno fatto come sempre un lavoro straordinario con i video del RomeCamp. Grazie a loro, e alla lungimiranza degli organizzatori Elastic e Digital PR che gli hanno coinvolti, potete rivedere l’intera presentazione della ricerca ed anche una interessante chiacchierata sulla “sociologia dei social network” che abbiamo registrato con gli amici e colleghi Davide Bennato e Tony Siino.