The Facebook Effect: dal dormitorio di Harvard al mezzo miliardo di utenti

L’intrecciarsi della storia personale del fondatore e quella della piattaforma rendono The Facebook Effect: The Inside Story of the Company That Is Connecting the World una lettura piacevole e fortemente consigliataL’intrecciarsi della storia personale del fondatore e quella della piattaforma rendono The Facebook Effect: The Inside Story of the Company That Is Connecting the World una lettura piacevole e fortemente consigliataL’intrecciarsi della storia personale del fondatore e quella della piattaforma rendono The Facebook Effect: The Inside Story of the Company That Is Connecting the World una lettura piacevole e fortemente consigliata

Ho appena finito di leggere The Facebook Effect: The Inside Story of the Company That Is Connecting the World (da non confondersi con Network Effect: quando la rete diventa pop 😉 ).
Il libro, scritto dal giornalista del New York Times David Kirkpatrick, racconta in modo ben organizzato ed affascinante la storia di Facebook dal lancio nel campus di Harvard fino ai giorni nostri. Ne viene fuori un interessante e per certi versi inedito ritratto del fondatore e attuale CEO Mark Zuckerberg.
Il libro si apre con un prologo che racconta la storia di Oscar Morales, fondatore del gruppo Un Millon de Voces Contra Las FARC, che da singolo cittadino indignato si è ritrovato a coordinare una marcia di protesta che ha coinvolto dieci milioni di colombiani.
Potere di Facebook o come direbbe l’autore del libro, effetto Facebook.


Non sono tuttavia gli episodi come quello di Oscar Morales (o gli altri raccontati nel capitolo 15 Changing Our Institution) a lasciare la sensazione di aver letto una storia straordinaria. Tutti questi fenomeni erano possibili anche con internet prima di Facebook. Quello che veramente colpisce è il tasso di crescita che il servizio ha avuto fin dall’inizio, segno di un bisogno profondo e globale, e la figura di Mark Zuckerberg.

Quando nel 2004 tutto è iniziato, Mark Zuckerberg, oggi ventiseienne, era una matricola di Harvard. I suoi compagni di stanza (Chris HugesEduardo SaverinDustin Moskovitz) diventarono subito parte del progetto Facebook. Uno di questi, Chris Huges, diventò ben presto il portavoce dell’azienda anche per sollevare Zuckerberg da questo impegno che trovava gravoso e poco interessante. Nel 2008 Huges ha coordinato la campagna in rete di Barack Obama.
“Cambieremo il mondo rendendolo un luogo più aperto”. Era questa una delle frasi che più spesso si sentiva pronunciare prima nei corridoi del dormitorio e poi nel nuovo quartier generale di Palo Alto (un’appartamento affittato per le vacanze estive dal quale i fondatori non fecero più ritorno ad Harvard). Una delle cose che colpisce leggendo il libro è proprio questa adesione alla missione specialmente da parte del fondatore che in più occasioni ha rifiutato importanti contratti pubblicitari perché richiedevano di modificare la forma e la posizione dei banner sulla piattaforma. In più passi emerge chiaramente questo tratto. Non è tanto importante fare soldi (altrimenti avrebbe accettato una delle tante cospicue offerte d’acquisto) quanto lavorare per migliorare l’esperienza che l’utente ha del servizio. Aumentare il numero degli utenti ed il loro livello di coinvolgimento (in termini di attività e minuti spesi).
Basti pensare che durante la prima settimana dal lancio (il 4 febbraio 2004) metà degli studenti di Harvard era iscritta a Facebook (o Thefacebook come si chiamava fino al 20 settembre 2005) e lo stesso livello di entusiasmo fu registrato in quasi tutti i campus dove il servizio veniva via via reso disponibile.

Over the summer, Zuckerberg, Moskovitz, and Parker had coined a term for how students seemed to use the site. They called it “the trance.” Once you started combing through Thefacebook it was very easy to just keep going. “It was hypnotic,” says Parker. “You’d just keep clicking and clicking and clicking from profile to profile, viewing the data.” The wall was intended to keep users even more transfixed by giving them more to see inside the service. It seemed to work. Almost immediately the wall became Thefacebook’s most popular feature.

Thefacebook era molto diverso da quello che oggi è Facebook perché consisteva essenzialmente di semplici profili corredati da foto ed interessi (niente foto oltre quella del profilo, messaggi interni e persino il wall fu aggiunto solo in seguito). Nonostante questo il servizio aveva un potere ipnotico sugli studenti (l’ 80% dei quali ritornava quotidianamente sul sito) che passavano ore navigando da un profilo a quello successivo.
Alla fine di Marzo 2004 Thefacebook aveva 30.000 utenti registrati. Il servizio costava $450 al mese per il noleggio dei server. Alla fine di maggio il social network di Mark Zuckerberg era presente in 34 atenei per un totale di 100.000 utenti. Facebook è oggi il social network più utilizzato in 111 dei 131 paesi analizzati da Vicenzo Cosenza nella sua mappa World Map of Social Networks. A sei anni dal lancio il servizio è prossimo al superamento 500.000.000 di utenti nel mondo.
Un momento di svolta fu il lancio dell’applicazione per le foto con la possibilità di taggare i propri amici.
Un mese dopo l’85% degli utenti di Facebook erano stati taggati in almeno una foto. Dopo sei settimane l’applicazione per le foto aveva consumato tutto lo spazio disco che era stato programmato per i successivi sei mesi. Ma la cosa più importante fu che per la prima volta si era capita l’importanza del grafo sociale per connettere persone e contenuti fra di loro.

Would people accept low-resolution photos? Would they use the tags? On the day in late October when the team turned the Photos application on, they nervously watched a big monitor that displayed every picture as it was uploaded. The first image was a cartoon of a cat. They looked at each other worriedly. Then in a minute or so they started seeing photos of girls—girls in groups, girls at parties, girls shooting photos of other girls. And these photos were being tagged! The girls just kept coming.

Lo sviluppo del contestatissimo News Feed fu il logico passo successivo. Incorporare la logica del flusso RSS in Facebook facendo in modo che fossero le informazioni sugli aggiornamenti ad arrivare agli utenti e non viceversa. L’introduzione del News Feed fu inoltre un importante banco di prova per la gestione delle relazioni fra utenti e sviluppatori del servizio. Il giorno stesso del lancio del News Feed uno studente della Northwestern University dell’Illinois creò il gruppo “Students Against Facebook news feed”. In tre ore il gruppo raggiunse i 13.000 iscritti. Alla fine della settimana il gruppo poteva contava 700.000 membri. Circa il 10% degli utenti di Facebook stava usando gli strumenti messi a disposizione della piattaforma per protestare contro Facebook. Solo l’aggiunta di nuove impostazioni di privacy che consentivano agli utenti di decidere cosa mostrare o nascondere nel News Feed, placò le ire e scongiurò la minaccia di una manifestazione (che si sarebbe dovuta tenere di fronte a Palo Alto) auto-convocata attraverso i numerosi gruppi creati in segno di protesta.
Da quel primo episodio di poi tutte le continue innovazioni proposte da Facebook verranno accolte dalle proteste degli utenti. In uno specifico caso, quello di Facebook Beacon – un servizio che notificava automaticamente gli amici alcune attività svolte su siti esterni a Facebook, gli sviluppatori furono costretti a tornare sui loro passi ammettendo l’errore di implementazione e rendendo la funzione disponibile solo a richiesta. Oggi a diversi anni di distanza caratteristiche analoghe a quelle di Facebook Beacon sono state lentamente re-introdotte attraverso funzionalità quali Facebook Connect.
Nel libro si raccontano tanti piccoli e grandi episodi come questi (da non perdere la crisi di pianto di Zuckerberg nei bagni del Village Pub, a nord di Palo Alto e quello nel quale il CEO di Facebook domandò, durante una cena a Davos, a Lerry Page – co-fondatore di Google – se lui usasse Facebook).
Si tratta di una lettura piacevole ed interessante. La sensazione a tratti è che l’immagine che emerge del fondatore e della società sia troppo positiva. Nell’ultima parte del libro David Kirkpatrick dichiara di non aver ricevuto nessuna pressione da parte di Facebook e non c’è motivo di non credergli. In altre pagine tuttavia l’autore racconta in modo aperto della sua partecipazione ad eventi promozionali come il tour europeo di Zuckerberg. Questa vicinanza non può non aver influenzato le sue idee. Non tutto quello che luccica è oro, ma questo lo sapete già.
Al di là di questo, la straordinaria storia di una società fondata da un diciannovenne e portata nel giro di 6 anni ad un valore stimato di oltre due milioni di dollari, rimane una lettura avvincente e totalmente consigliata.
Leggetevi il libro e fatevi la vostra idea.
P.S. The Facebook Effect è stato il primo libro che ho acquistato per Kindle. L’esperienza di lettura è stata eccellente. La possibilità di leggere in piena luce, di continuare la lettura su PC dalla pagina alla quale ci si era fermati sul lettore e viceversa, le possibilità di annotare parti del testo e di condividerle, grazie al nuovo firmware, via Twitter e Facebook mi hanno veramente entusiasmato. E da ieri il Kindle è anche disponibile a prezzo ribassato a poco più di € 150. Cosa aspettate a comprarlo?

Ho appena finito di leggere The Facebook Effect: The Inside Story of the Company That Is Connecting the World (da non confondersi con Network Effect: quando la rete diventa pop 😉 ).

Il libro, scritto dal giornalista del New York Times David Kirkpatrick, racconta in modo ben organizzato ed affascinante la storia di Facebook dal lancio nel campus di Harvard fino ai giorni nostri. Ne viene fuori un interessante e per certi versi inedito ritratto del fondatore e attuale CEO Mark Zuckerberg.

Il libro si apre con un prologo che racconta la storia di Oscar Morales, fondatore del gruppo Un Millon de Voces Contra Las FARC, che da singolo cittadino indignato si è ritrovato a coordinare una marcia di protesta che ha coinvolto dieci milioni di colombiani.

Potere di Facebook o come direbbe l’autore del libro, effetto Facebook.

the facebook effect

Non sono tuttavia gli episodi come quello di Oscar Morales (o gli altri raccontati nel capitolo 15 Changing Our Institution) a lasciare la sensazione di aver letto una storia straordinaria. Tutti questi fenomeni erano possibili anche con internet prima di Facebook. Quello che veramente colpisce è il tasso di crescita che il servizio ha avuto fin dall’inizio, segno di un bisogno profondo e globale, e la figura di Mark Zuckerberg.

Quando nel 2004 tutto è iniziato, Mark Zuckerberg, oggi ventiseienne, era una matricola di Harvard. I suoi compagni di stanza (Chris HugesEduardo SaverinDustin Moskovitz) diventarono subito parte del progetto Facebook. Uno di questi, Chris Huges, diventò ben presto il portavoce dell’azienda anche per sollevare Zuckerberg da questo impegno che trovava gravoso e poco interessante. Nel 2008 Huges ha coordinato la campagna in rete di Barack Obama.

“Cambieremo il mondo rendendolo un luogo più aperto”. Era questa una delle frasi che più spesso si sentiva pronunciare prima nei corridoi del dormitorio e poi nel nuovo quartier generale di Palo Alto (un’appartamento affittato per le vacanze estive dal quale i fondatori non fecero più ritorno ad Harvard). Una delle cose che colpisce leggendo il libro è proprio questa adesione alla missione specialmente da parte del fondatore che in più occasioni ha rifiutato importanti contratti pubblicitari perché richiedevano di modificare la forma e la posizione dei banner sulla piattaforma. In più passi emerge chiaramente questo tratto. Non è tanto importante fare soldi (altrimenti avrebbe accettato una delle tante cospicue offerte d’acquisto) quanto lavorare per migliorare l’esperienza che l’utente ha del servizio. Aumentare il numero degli utenti ed il loro livello di coinvolgimento (in termini di attività e minuti spesi).

Basti pensare che durante la prima settimana dal lancio (il 4 febbraio 2004) metà degli studenti di Harvard era iscritta a Facebook (o Thefacebook come si chiamava fino al 20 settembre 2005) e lo stesso livello di entusiasmo fu registrato in quasi tutti i campus dove il servizio veniva via via reso disponibile.

Over the summer, Zuckerberg, Moskovitz, and Parker had coined a term for how students seemed to use the site. They called it “the trance.” Once you started combing through Thefacebook it was very easy to just keep going. “It was hypnotic,” says Parker. “You’d just keep clicking and clicking and clicking from profile to profile, viewing the data.” The wall was intended to keep users even more transfixed by giving them more to see inside the service. It seemed to work. Almost immediately the wall became Thefacebook’s most popular feature.

Thefacebook era molto diverso da quello che oggi è Facebook perché consisteva essenzialmente di semplici profili corredati da foto ed interessi (niente foto oltre quella del profilo, messaggi interni e persino il wall fu aggiunto solo in seguito). Nonostante questo il servizio aveva un potere ipnotico sugli studenti (l’ 80% dei quali ritornava quotidianamente sul sito) che passavano ore navigando da un profilo a quello successivo.

Alla fine di Marzo 2004 Thefacebook aveva 30.000 utenti registrati. Il servizio costava $450 al mese per il noleggio dei server. Alla fine di maggio il social network di Mark Zuckerberg era presente in 34 atenei per un totale di 100.000 utenti. Facebook è oggi il social network più utilizzato in 111 dei 131 paesi analizzati da Vicenzo Cosenza nella sua mappa World Map of Social Networks. A sei anni dal lancio il servizio è prossimo al superamento 500.000.000 di utenti nel mondo.

Un momento di svolta fu il lancio dell’applicazione per le foto con la possibilità di taggare i propri amici.

Un mese dopo l’85% degli utenti di Facebook erano stati taggati in almeno una foto. Dopo sei settimane l’applicazione per le foto aveva consumato tutto lo spazio disco che era stato programmato per i successivi sei mesi. Ma la cosa più importante fu che per la prima volta si era capita l’importanza del grafo sociale per connettere persone e contenuti fra di loro.

Would people accept low-resolution photos? Would they use the tags? On the day in late October when the team turned the Photos application on, they nervously watched a big monitor that displayed every picture as it was uploaded. The first image was a cartoon of a cat. They looked at each other worriedly. Then in a minute or so they started seeing photos of girls—girls in groups, girls at parties, girls shooting photos of other girls. And these photos were being tagged! The girls just kept coming.

Lo sviluppo del contestatissimo News Feed fu il logico passo successivo. Incorporare la logica del flusso RSS in Facebook facendo in modo che fossero le informazioni sugli aggiornamenti ad arrivare agli utenti e non viceversa. L’introduzione del News Feed fu inoltre un importante banco di prova per la gestione delle relazioni fra utenti e sviluppatori del servizio. Il giorno stesso del lancio del News Feed uno studente della Northwestern University dell’Illinois creò il gruppo “Students Against Facebook news feed”. In tre ore il gruppo raggiunse i 13.000 iscritti. Alla fine della settimana il gruppo poteva contava 700.000 membri. Circa il 10% degli utenti di Facebook stava usando gli strumenti messi a disposizione della piattaforma per protestare contro Facebook. Solo l’aggiunta di nuove impostazioni di privacy che consentivano agli utenti di decidere cosa mostrare o nascondere nel News Feed, placò le ire e scongiurò la minaccia di una manifestazione (che si sarebbe dovuta tenere di fronte a Palo Alto) auto-convocata attraverso i numerosi gruppi creati in segno di protesta.

Da quel primo episodio di poi tutte le continue innovazioni proposte da Facebook verranno accolte dalle proteste degli utenti. In uno specifico caso, quello di Facebook Beacon – un servizio che notificava automaticamente gli amici alcune attività svolte su siti esterni a Facebook, gli sviluppatori furono costretti a tornare sui loro passi ammettendo l’errore di implementazione e rendendo la funzione disponibile solo a richiesta. Oggi a diversi anni di distanza caratteristiche analoghe a quelle di Facebook Beacon sono state lentamente re-introdotte attraverso funzionalità quali Facebook Connect.

Nel libro si raccontano tanti piccoli e grandi episodi come questi (da non perdere la crisi di pianto di Zuckerberg nei bagni del Village Pub, a nord di Palo Alto e quello nel quale il CEO di Facebook domandò, durante una cena a Davos, a Lerry Page – co-fondatore di Google – se lui usasse Facebook).

Si tratta di una lettura piacevole ed interessante. La sensazione a tratti è che l’immagine che emerge del fondatore e della società sia troppo positiva. Nell’ultima parte del libro David Kirkpatrick dichiara di non aver ricevuto nessuna pressione da parte di Facebook e non c’è motivo di non credergli. In altre pagine tuttavia l’autore racconta in modo aperto della sua partecipazione ad eventi promozionali come il tour europeo di Zuckerberg. Questa vicinanza non può non aver influenzato le sue idee. Non tutto quello che luccica è oro, ma questo lo sapete già.

Al di là di questo, la straordinaria storia di una società fondata da un diciannovenne e portata nel giro di 6 anni ad un valore stimato di oltre due milioni di dollari, rimane una lettura avvincente e totalmente consigliata.

Leggetevi il libro e fatevi la vostra idea.

P.S. The Facebook Effect è stato il primo libro che ho acquistato per Kindle. L’esperienza di lettura è stata eccellente. La possibilità di leggere in piena luce, di continuare la lettura su PC dalla pagina alla quale ci si era fermati sul lettore e viceversa, le possibilità di annotare parti del testo e di condividerle, grazie al nuovo firmware, via Twitter e Facebook mi hanno veramente entusiasmato. E da ieri il Kindle è anche disponibile a prezzo ribassato a poco più di € 150. Cosa aspettate a comprarlo?

Update nuovi Kindle

Ho appena finito di leggere The Facebook Effect: The Inside Story of the Company That Is Connecting the World (da non confondersi con Network Effect: quando la rete diventa pop 😉 ).

Il libro, scritto dal giornalista del New York Times David Kirkpatrick, racconta in modo ben organizzato ed affascinante la storia di Facebook dal lancio nel campus di Harvard fino ai giorni nostri. Ne viene fuori un interessante e per certi versi inedito ritratto del fondatore e attuale CEO Mark Zuckerberg.

Il libro si apre con un prologo che racconta la storia di Oscar Morales, fondatore del gruppo Un Millon de Voces Contra Las FARC, che da singolo cittadino indignato si è ritrovato a coordinare una marcia di protesta che ha coinvolto dieci milioni di colombiani.

Potere di Facebook o come direbbe l’autore del libro, effetto Facebook.

the facebook effect

Non sono tuttavia gli episodi come quello di Oscar Morales (o gli altri raccontati nel capitolo 15 Changing Our Institution) a lasciare la sensazione di aver letto una storia straordinaria. Tutti questi fenomeni erano possibili anche con internet prima di Facebook. Quello che veramente colpisce è il tasso di crescita che il servizio ha avuto fin dall’inizio, segno di un bisogno profondo e globale, e la figura di Mark Zuckerberg.

Quando nel 2004 tutto è iniziato, Mark Zuckerberg, oggi ventiseienne, era una matricola di Harvard. I suoi compagni di stanza (Chris HugesEduardo SaverinDustin Moskovitz) diventarono subito parte del progetto Facebook. Uno di questi, Chris Huges, diventò ben presto il portavoce dell’azienda anche per sollevare Zuckerberg da questo impegno che trovava gravoso e poco interessante. Nel 2008 Huges ha coordinato la campagna in rete di Barack Obama.

“Cambieremo il mondo rendendolo un luogo più aperto”. Era questa una delle frasi che più spesso si sentiva pronunciare prima nei corridoi del dormitorio e poi nel nuovo quartier generale di Palo Alto (un’appartamento affittato per le vacanze estive dal quale i fondatori non fecero più ritorno ad Harvard). Una delle cose che colpisce leggendo il libro è proprio questa adesione alla missione specialmente da parte del fondatore che in più occasioni ha rifiutato importanti contratti pubblicitari perché richiedevano di modificare la forma e la posizione dei banner sulla piattaforma. In più passi emerge chiaramente questo tratto. Non è tanto importante fare soldi (altrimenti avrebbe accettato una delle tante cospicue offerte d’acquisto) quanto lavorare per migliorare l’esperienza che l’utente ha del servizio. Aumentare il numero degli utenti ed il loro livello di coinvolgimento (in termini di attività e minuti spesi).

Basti pensare che durante la prima settimana dal lancio (il 4 febbraio 2004) metà degli studenti di Harvard era iscritta a Facebook (o Thefacebook come si chiamava fino al 20 settembre 2005) e lo stesso livello di entusiasmo fu registrato in quasi tutti i campus dove il servizio veniva via via reso disponibile.

Over the summer, Zuckerberg, Moskovitz, and Parker had coined a term for how students seemed to use the site. They called it “the trance.” Once you started combing through Thefacebook it was very easy to just keep going. “It was hypnotic,” says Parker. “You’d just keep clicking and clicking and clicking from profile to profile, viewing the data.” The wall was intended to keep users even more transfixed by giving them more to see inside the service. It seemed to work. Almost immediately the wall became Thefacebook’s most popular feature.

Thefacebook era molto diverso da quello che oggi è Facebook perché consisteva essenzialmente di semplici profili corredati da foto ed interessi (niente foto oltre quella del profilo, messaggi interni e persino il wall fu aggiunto solo in seguito). Nonostante questo il servizio aveva un potere ipnotico sugli studenti (l’ 80% dei quali ritornava quotidianamente sul sito) che passavano ore navigando da un profilo a quello successivo.

Alla fine di Marzo 2004 Thefacebook aveva 30.000 utenti registrati. Il servizio costava $450 al mese per il noleggio dei server. Alla fine di maggio il social network di Mark Zuckerberg era presente in 34 atenei per un totale di 100.000 utenti. Facebook è oggi il social network più utilizzato in 111 dei 131 paesi analizzati da Vicenzo Cosenza nella sua mappa World Map of Social Networks. A sei anni dal lancio il servizio è prossimo al superamento 500.000.000 di utenti nel mondo.

Un momento di svolta fu il lancio dell’applicazione per le foto con la possibilità di taggare i propri amici.

Un mese dopo l’85% degli utenti di Facebook erano stati taggati in almeno una foto. Dopo sei settimane l’applicazione per le foto aveva consumato tutto lo spazio disco che era stato programmato per i successivi sei mesi. Ma la cosa più importante fu che per la prima volta si era capita l’importanza del grafo sociale per connettere persone e contenuti fra di loro.

Would people accept low-resolution photos? Would they use the tags? On the day in late October when the team turned the Photos application on, they nervously watched a big monitor that displayed every picture as it was uploaded. The first image was a cartoon of a cat. They looked at each other worriedly. Then in a minute or so they started seeing photos of girls—girls in groups, girls at parties, girls shooting photos of other girls. And these photos were being tagged! The girls just kept coming.

Lo sviluppo del contestatissimo News Feed fu il logico passo successivo. Incorporare la logica del flusso RSS in Facebook facendo in modo che fossero le informazioni sugli aggiornamenti ad arrivare agli utenti e non viceversa. L’introduzione del News Feed fu inoltre un importante banco di prova per la gestione delle relazioni fra utenti e sviluppatori del servizio. Il giorno stesso del lancio del News Feed uno studente della Northwestern University dell’Illinois creò il gruppo “Students Against Facebook news feed”. In tre ore il gruppo raggiunse i 13.000 iscritti. Alla fine della settimana il gruppo poteva contava 700.000 membri. Circa il 10% degli utenti di Facebook stava usando gli strumenti messi a disposizione della piattaforma per protestare contro Facebook. Solo l’aggiunta di nuove impostazioni di privacy che consentivano agli utenti di decidere cosa mostrare o nascondere nel News Feed, placò le ire e scongiurò la minaccia di una manifestazione (che si sarebbe dovuta tenere di fronte a Palo Alto) auto-convocata attraverso i numerosi gruppi creati in segno di protesta.

Da quel primo episodio di poi tutte le continue innovazioni proposte da Facebook verranno accolte dalle proteste degli utenti. In uno specifico caso, quello di Facebook Beacon – un servizio che notificava automaticamente gli amici alcune attività svolte su siti esterni a Facebook, gli sviluppatori furono costretti a tornare sui loro passi ammettendo l’errore di implementazione e rendendo la funzione disponibile solo a richiesta. Oggi a diversi anni di distanza caratteristiche analoghe a quelle di Facebook Beacon sono state lentamente re-introdotte attraverso funzionalità quali Facebook Connect.

Nel libro si raccontano tanti piccoli e grandi episodi come questi (da non perdere la crisi di pianto di Zuckerberg nei bagni del Village Pub, a nord di Palo Alto e quello nel quale il CEO di Facebook domandò, durante una cena a Davos, a Lerry Page – co-fondatore di Google – se lui usasse Facebook).

Si tratta di una lettura piacevole ed interessante. La sensazione a tratti è che l’immagine che emerge del fondatore e della società sia troppo positiva. Nell’ultima parte del libro David Kirkpatrick dichiara di non aver ricevuto nessuna pressione da parte di Facebook e non c’è motivo di non credergli. In altre pagine tuttavia l’autore racconta in modo aperto della sua partecipazione ad eventi promozionali come il tour europeo di Zuckerberg. Questa vicinanza non può non aver influenzato le sue idee. Non tutto quello che luccica è oro, ma questo lo sapete già.

Al di là di questo, la straordinaria storia di una società fondata da un diciannovenne e portata nel giro di 6 anni ad un valore stimato di oltre due milioni di dollari, rimane una lettura avvincente e totalmente consigliata.

Leggetevi il libro e fatevi la vostra idea.

P.S. The Facebook Effect è stato il primo libro che ho acquistato per Kindle. L’esperienza di lettura è stata eccellente. La possibilità di leggere in piena luce, di continuare la lettura su PC dalla pagina alla quale ci si era fermati sul lettore e viceversa, le possibilità di annotare parti del testo e di condividerle, grazie al nuovo firmware, via Twitter e Facebook mi hanno veramente entusiasmato. E da ieri il Kindle è anche disponibile a prezzo ribassato a poco più di € 150. Cosa aspettate a comprarlo?

Update nuovi Kindle

Attivismo digitale e nuove forme della rappresentanza politica

Partendo da tre interessanti casi di studio, Clay Shirky mette in guardia dai limiti delle forme di rappresentanza politica online e propone alcune interessanti soluzioniPartendo da tre interessanti casi di studio, Clay Shirky mette in guardia dai limiti delle forme di rappresentanza politica online e propone alcune interessanti soluzioniPartendo da tre interessanti casi di studio, Clay Shirky mette in guardia dai limiti delle forme di rappresentanza politica online e propone alcune interessanti soluzioni

[fb-share] Come cambiano le forme di rappresentanza degli interessi individuali e collettivi quando il costo della comunicazione è prossimo allo zero? Cosa accade quando basta un click per esprimere la propria adesione ad una causa? Come occorre ripensare le forme della partecipazione evitando il rischio della dittatura delle lobby ben organizzate?
Lo racconta Clay Shirky in questo delizioso speech presentato durante l’ultimo Personal Democracy Forum.
Lo fa, come suo solito, partendo da tre esempi.
Il primo esempio viene dall’India. Nel gennaio 2009 un gruppo fondamentalista Hindu si rese protagonista di una serie di pestaggi nei confronti delle donne che frequentavano bar e pub. Il gruppo dichiarò di voler difendere, attraverso questo atto, la cultura indiana minacciata dai costumi occidentali e minacciò di ripetere le violenze contro tutte le donne intenzionate ad uscire per la festa di San Valentino. Per protestare contro le violenze e  le minacce una giornalista di 29 anni decise di fondare un gruppo su Facebook. Il giorno successivo il Consortium of Pub-going, Loose and Forward Women aveva già 500 membri. Scopo del gruppo era quello di invogliare le donne ad uscire la sera di San Valentino a dispetto delle minacce ricevute. San Valentino passò senza particolari incidenti ma gli attacchi alle donne continuarono. A questo punto il gruppo lanciò una campagna semplice ma efficace. Ogni attivista del gruppo avrebbe dovuto inviare un paio di mutande rosa al leader degli estremisti del Sri Ram Sena (SRS) – the Lord Ram’s Army. Questa inusuale forma di protesta ebbe una grande eco nella stampa indiana ed internazionale forzando il governo indiano ad intervenire attivamente per proteggere le donne minacciate dal gruppo di estremisti.
La seconda storia non riguarda la politica. Nel 1998 la versione online della rivista People decise di lanciare una campagna chiedendo ai propri lettori di scegliere i loro preferiti da una lista di 50 nomi per compilare la celebre classifica dei 50 personaggi americani più attraenti dell’anno. In seguito alla richiesta degli utenti, People decise inoltre di aprire la lista ai suggerimenti del pubblico. Non avevano calcolato bene quanto i fan volessero bene a Hank the Angry Drunken Dwarf. Un gruppo agguerrito e ben organizzato mise in piedi una campagna per supportare questo personaggio che si classificò primo della lista con oltre 250.000 voti (secondo classificato con 150.000 voti un wrestler professionista mentre Leonardo di Caprio si piazzò terzo con 41.000 voti).  Il magazine People, dopo aver solennemente promesso di riportare sulla rivista il risultato delle scelte dei lettori, ritornò sui suoi passi. Si tratta di un esempio di come queste forme di partecipazione possano essere forzate da gruppi relativamente poco numerosi ma molto agguerriti.
we gov
Il terzo esempio riguarda invece Change.gov. Il sito realizzato dallo staff di Barack Obama ed attivo nel periodo di transizione successivo all’elezione e precedente all’insediamento alla Casa Bianca, aveva fra gli altri obiettivi quello di promuovere la partecipazione degli elettori ai quali veniva chiesto di individuare le tematiche più importanti che il nuovo inquilino della casa bianca avrebbe dovuto affrontare una volta insediato. A prevalere su temi quali la crisi economica e la guerra in Iraq fu, non senza qualche sorpresa, l’uso medico della marijuana. Anche in questo caso un gruppo agguerrito e ben organizzato aveva fatto in modo di imporsi all’attenzione forzando le regole del gioco.
A questo punto Shirky si chiede come si collochi questo ultimo esempio rispetto ai primi due. Il primo è caratterizzato dal fatto che le istanze legittime di un gruppo non altrimenti rappresentato entrano nell’agenda politica, il secondo mostra come un gruppo ben organizzato possa forzare il meccanismo di partecipazione… quest’ultimo caso si pone in qualche modo nel mezzo perchè le istanze portate dal gruppo di attivisti che sostiene la legalizzazione dell’uso medico della marijuana sono legittime ma la modalità attraverso le quali hanno ottenuto l’attenzione al limite della forzatura.
Dunque il problema è costruire modelli di rappresentanza che non prestino il fianco a queste forme di forzatura. Per fare questo Shirky suggerisce le seguenti quattro strategie:
1) Aumentare il costo della comunicazione. Fino a quando basta un singolo click a votare o esprimere il proprio parere su un certo tema si correrà il rischio che il rapporto fra segnale e rumore nell’attivismo digitale sarà sempre a favore del secondo. La competizione si sposta dal porre un tema all’ordine del giorno a generare una campagna efficace che produca un quantitativo superiore di email (o adesioni ad un gruppo, like o fan). Ci si sposta dall’arena della politica a quella delle pubbliche relazioni. Se la giornalista indiana che ha ideato la campagna delle mutande rosa si fosse limitata ad aprire un gruppo su Facebook sarebbe stato un caso interessante, ma quello che ha fatto la differenza è ciò che ha spinto quelle donne a privarsi di un bene che possedevano ed utilizzare il tempo necessario ad imballare e spedire il pacco al destinatario.
2) Progettare le forme della partecipazione per gruppi e non solo per aggregati. Si tratta di fare in modo che le persone che si raccolgono intorno ad una tematica non si limitino semplicemente ad aggiungere il proprio nome alla lista (McDonald Business Model) ma agiscano attivamente a favore della causa che si propongono. Per esempio i gruppi Meetup Ping Pong non possono formarsi se, oltre ad avere un certo numero di membri, non trovano anche un gruppo di individui che si dichiari disposto ad agire come coordinatori del meetup.
3) Considerare sempre l’esistenza di fazioni e lobby. Bisogna trovare il modo per lasciare a ciascuna fazione la possibilità di esprimersi senza per questo oscurare le altre. Ad esempio, dice Shirky, se nel progettare Change.gov avessero evitato di creare una classifica unica di temi e priorità aggregando le tematiche simili e lasciano che ciascuno gruppo si esprimesse liberamente al suo interno promuovendo idee e proponendo tematiche si sarebbe potuto evitare quell’effetto competitivo che ha mosso gli attivisti della legalizzazione della cannabis.
4) Trattare i rappresentati eletti come partner e non come un target. Quando si organizza una campagna per sollecitare un rappresentante politico su una certa tematica bisognerebbe uscire dalla logica del bigger is better. Meglio inviare qualche migliaia di messaggi scritti da persone con un alto livello di interesse verso una certa causa e magari appartenenti ad una certa area geografica di riferimento e che hanno partecipato al voto rispetto a miliardi di messaggi standard di una massa di persone anonime e poco o nulla interessate. Se non si esce da questa logica che compete sulla quantità piuttosto che sulla qualità si rischia, secondo Shirky, di allontanarsi sempre più dall’idea di un ambiente di conversazione a supporto della partecipazione democratica scivolando invece verso una sorta di pubbliche relazioni affidate alle masse.
Ecco il video integrale.

[Photo uploaded on September 27, 2008 by dharmabumx]

Come cambiano le forme di rappresentanza degli interessi individuali e collettivi quando il costo della comunicazione è prossimo allo zero? Cosa accade quando basta un click per esprimere la propria adesione ad una causa? Come occorre ripensare le forme della partecipazione evitando il rischio della dittatura delle lobby ben organizzate?

Lo racconta Clay Shirky in questo delizioso speech presentato durante l’ultimo Personal Democracy Forum.

Lo fa, come suo solito, partendo da tre esempi.

Il primo esempio viene dall’India. Nel gennaio 2009 un gruppo fondamentalista Hindu si rese protagonista di una serie di pestaggi nei confronti delle donne che frequentavano bar e pub. Il gruppo dichiarò di voler difendere, attraverso questo atto, la cultura indiana minacciata dai costumi occidentali e minacciò di ripetere le violenze contro tutte le donne intenzionate ad uscire per la festa di San Valentino. Per protestare contro le violenze e  le minacce una giornalista di 29 anni decise di fondare un gruppo su Facebook. Il giorno successivo il Consortium of Pub-going, Loose and Forward Women aveva già 500 membri. Scopo del gruppo era quello di invogliare le donne ad uscire la sera di San Valentino a dispetto delle minacce ricevute. San Valentino passò senza particolari incidenti ma gli attacchi alle donne continuarono. A questo punto il gruppo lanciò una campagna semplice ma efficace. Ogni attivista del gruppo avrebbe dovuto inviare un paio di mutande rosa al leader degli estremisti del Sri Ram Sena (SRS) – the Lord Ram’s Army. Questa inusuale forma di protesta ebbe una grande eco nella stampa indiana ed internazionale forzando il governo indiano ad intervenire attivamente per proteggere le donne minacciate dal gruppo di estremisti.

La seconda storia non riguarda la politica. Nel 1998 la versione online della rivista People decise di lanciare una campagna chiedendo ai propri lettori di scegliere i loro preferiti da una lista di 50 nomi per compilare la celebre classifica dei 50 personaggi americani più attraenti dell’anno. In seguito alla richiesta degli utenti, People decise inoltre di aprire la lista ai suggerimenti del pubblico. Non avevano calcolato bene quanto i fan volessero bene a Hank the Angry Drunken Dwarf. Un gruppo agguerrito e ben organizzato mise in piedi una campagna per supportare questo personaggio che si classificò primo della lista con oltre 250.000 voti (secondo classificato con 150.000 voti un wrestler professionista mentre Leonardo di Caprio si piazzò terzo con 41.000 voti).  Il magazine People, dopo aver solennemente promesso di riportare sulla rivista il risultato delle scelte dei lettori, ritornò sui suoi passi. Si tratta di un esempio di come queste forme di partecipazione possano essere forzate da gruppi relativamente poco numerosi ma molto agguerriti.

we gov

Il terzo esempio riguarda invece Change.gov. Il sito realizzato dallo staff di Barack Obama ed attivo nel periodo di transizione successivo all’elezione e precedente all’insediamento alla Casa Bianca, aveva fra gli altri obiettivi quello di promuovere la partecipazione degli elettori ai quali veniva chiesto di individuare le tematiche più importanti che il nuovo inquilino della casa bianca avrebbe dovuto affrontare una volta insediato. A prevalere su temi quali la crisi economica e la guerra in Iraq fu, non senza qualche sorpresa, l’uso medico della marijuana. Anche in questo caso un gruppo agguerrito e ben organizzato aveva fatto in modo di imporsi all’attenzione forzando le regole del gioco.

A questo punto Shirky si chiede come si collochi questo ultimo esempio rispetto ai primi due. Il primo è caratterizzato dal fatto che le istanze legittime di un gruppo non altrimenti rappresentato entrano nell’agenda politica, il secondo mostra come un gruppo ben organizzato possa forzare il meccanismo di partecipazione… quest’ultimo caso si pone in qualche modo nel mezzo perchè le istanze portate dal gruppo di attivisti che sostiene la legalizzazione dell’uso medico della marijuana sono legittime ma la modalità attraverso le quali hanno ottenuto l’attenzione al limite della forzatura.

Dunque il problema è costruire modelli di rappresentanza che non prestino il fianco a queste forme di forzatura. Per fare questo Shirky suggerisce le seguenti quattro strategie:

1) Aumentare il costo della comunicazione. Fino a quando basta un singolo click a votare o esprimere il proprio parere su un certo tema si correrà il rischio che il rapporto fra segnale e rumore nell’attivismo digitale sarà sempre a favore del secondo. La competizione si sposta dal porre un tema all’ordine del giorno a generare una campagna efficace che produca un quantitativo superiore di email (o adesioni ad un gruppo, like o fan). Ci si sposta dall’arena della politica a quella delle pubbliche relazioni. Se la giornalista indiana che ha ideato la campagna delle mutande rosa si fosse limitata ad aprire un gruppo su Facebook sarebbe stato un caso interessante, ma quello che ha fatto la differenza è ciò che ha spinto quelle donne a privarsi di un bene che possedevano ed utilizzare il tempo necessario ad imballare e spedire il pacco al destinatario.

2) Progettare le forme della partecipazione per gruppi e non solo per aggregati. Si tratta di fare in modo che le persone che si raccolgono intorno ad una tematica non si limitino semplicemente ad aggiungere il proprio nome alla lista (McDonald Business Model) ma agiscano attivamente a favore della causa che si propongono. Per esempio i gruppi Meetup Ping Pong non possono formarsi se, oltre ad avere un certo numero di membri, non trovano anche un gruppo di individui che si dichiari disposto ad agire come coordinatori del meetup.

3) Considerare sempre l’esistenza di fazioni e lobby. Bisogna trovare il modo per lasciare a ciascuna fazione la possibilità di esprimersi senza per questo oscurare le altre. Ad esempio, dice Shirky, se nel progettare Change.gov avessero evitato di creare una classifica unica di temi e priorità aggregando le tematiche simili e lasciano che ciascuno gruppo si esprimesse liberamente al suo interno promuovendo idee e proponendo tematiche si sarebbe potuto evitare quell’effetto competitivo che ha mosso gli attivisti della legalizzazione della cannabis.

4) Trattare i rappresentati eletti come partner e non come un target. Quando si organizza una campagna per sollecitare un rappresentante politico su una certa tematica bisognerebbe uscire dalla logica del bigger is better. Meglio inviare qualche migliaia di messaggi scritti da persone con un alto livello di interesse verso una certa causa e magari appartenenti ad una certa area geografica di riferimento e che hanno partecipato al voto rispetto a miliardi di messaggi standard di una massa di persone anonime e poco o nulla interessate. Se non si esce da questa logica che compete sulla quantità piuttosto che sulla qualità si rischia, secondo Shirky, di allontanarsi sempre più dall’idea di un ambiente di conversazione a supporto della partecipazione democratica scivolando invece verso una sorta di pubbliche relazioni affidate alle masse.

Ecco il video integrale.

[Photo uploaded on September 27, 2008 by dharmabumx]

Come cambiano le forme di rappresentanza degli interessi individuali e collettivi quando il costo della comunicazione è prossimo allo zero? Cosa accade quando basta un click per esprimere la propria adesione ad una causa? Come occorre ripensare le forme della partecipazione evitando il rischio della dittatura delle lobby ben organizzate?

Lo racconta Clay Shirky in questo delizioso speech presentato durante l’ultimo Personal Democracy Forum.

Lo fa, come suo solito, partendo da tre esempi.

Il primo esempio viene dall’India. Nel gennaio 2009 un gruppo fondamentalista Hindu si rese protagonista di una serie di pestaggi nei confronti delle donne che frequentavano bar e pub. Il gruppo dichiarò di voler difendere, attraverso questo atto, la cultura indiana minacciata dai costumi occidentali e minacciò di ripetere le violenze contro tutte le donne intenzionate ad uscire per la festa di San Valentino. Per protestare contro le violenze e  le minacce una giornalista di 29 anni decise di fondare un gruppo su Facebook. Il giorno successivo il Consortium of Pub-going, Loose and Forward Women aveva già 500 membri. Scopo del gruppo era quello di invogliare le donne ad uscire la sera di San Valentino a dispetto delle minacce ricevute. San Valentino passò senza particolari incidenti ma gli attacchi alle donne continuarono. A questo punto il gruppo lanciò una campagna semplice ma efficace. Ogni attivista del gruppo avrebbe dovuto inviare un paio di mutande rosa al leader degli estremisti del Sri Ram Sena (SRS) – the Lord Ram’s Army. Questa inusuale forma di protesta ebbe una grande eco nella stampa indiana ed internazionale forzando il governo indiano ad intervenire attivamente per proteggere le donne minacciate dal gruppo di estremisti.

La seconda storia non riguarda la politica. Nel 1998 la versione online della rivista People decise di lanciare una campagna chiedendo ai propri lettori di scegliere i loro preferiti da una lista di 50 nomi per compilare la celebre classifica dei 50 personaggi americani più attraenti dell’anno. In seguito alla richiesta degli utenti, People decise inoltre di aprire la lista ai suggerimenti del pubblico. Non avevano calcolato bene quanto i fan volessero bene a Hank the Angry Drunken Dwarf. Un gruppo agguerrito e ben organizzato mise in piedi una campagna per supportare questo personaggio che si classificò primo della lista con oltre 250.000 voti (secondo classificato con 150.000 voti un wrestler professionista mentre Leonardo di Caprio si piazzò terzo con 41.000 voti).  Il magazine People, dopo aver solennemente promesso di riportare sulla rivista il risultato delle scelte dei lettori, ritornò sui suoi passi. Si tratta di un esempio di come queste forme di partecipazione possano essere forzate da gruppi relativamente poco numerosi ma molto agguerriti.

we gov

Il terzo esempio riguarda invece Change.gov. Il sito realizzato dallo staff di Barack Obama ed attivo nel periodo di transizione successivo all’elezione e precedente all’insediamento alla Casa Bianca, aveva fra gli altri obiettivi quello di promuovere la partecipazione degli elettori ai quali veniva chiesto di individuare le tematiche più importanti che il nuovo inquilino della casa bianca avrebbe dovuto affrontare una volta insediato. A prevalere su temi quali la crisi economica e la guerra in Iraq fu, non senza qualche sorpresa, l’uso medico della marijuana. Anche in questo caso un gruppo agguerrito e ben organizzato aveva fatto in modo di imporsi all’attenzione forzando le regole del gioco.

A questo punto Shirky si chiede come si collochi questo ultimo esempio rispetto ai primi due. Il primo è caratterizzato dal fatto che le istanze legittime di un gruppo non altrimenti rappresentato entrano nell’agenda politica, il secondo mostra come un gruppo ben organizzato possa forzare il meccanismo di partecipazione… quest’ultimo caso si pone in qualche modo nel mezzo perchè le istanze portate dal gruppo di attivisti che sostiene la legalizzazione dell’uso medico della marijuana sono legittime ma la modalità attraverso le quali hanno ottenuto l’attenzione al limite della forzatura.

Dunque il problema è costruire modelli di rappresentanza che non prestino il fianco a queste forme di forzatura. Per fare questo Shirky suggerisce le seguenti quattro strategie:

1) Aumentare il costo della comunicazione. Fino a quando basta un singolo click a votare o esprimere il proprio parere su un certo tema si correrà il rischio che il rapporto fra segnale e rumore nell’attivismo digitale sarà sempre a favore del secondo. La competizione si sposta dal porre un tema all’ordine del giorno a generare una campagna efficace che produca un quantitativo superiore di email (o adesioni ad un gruppo, like o fan). Ci si sposta dall’arena della politica a quella delle pubbliche relazioni. Se la giornalista indiana che ha ideato la campagna delle mutande rosa si fosse limitata ad aprire un gruppo su Facebook sarebbe stato un caso interessante, ma quello che ha fatto la differenza è ciò che ha spinto quelle donne a privarsi di un bene che possedevano ed utilizzare il tempo necessario ad imballare e spedire il pacco al destinatario.

2) Progettare le forme della partecipazione per gruppi e non solo per aggregati. Si tratta di fare in modo che le persone che si raccolgono intorno ad una tematica non si limitino semplicemente ad aggiungere il proprio nome alla lista (McDonald Business Model) ma agiscano attivamente a favore della causa che si propongono. Per esempio i gruppi Meetup Ping Pong non possono formarsi se, oltre ad avere un certo numero di membri, non trovano anche un gruppo di individui che si dichiari disposto ad agire come coordinatori del meetup.

3) Considerare sempre l’esistenza di fazioni e lobby. Bisogna trovare il modo per lasciare a ciascuna fazione la possibilità di esprimersi senza per questo oscurare le altre. Ad esempio, dice Shirky, se nel progettare Change.gov avessero evitato di creare una classifica unica di temi e priorità aggregando le tematiche simili e lasciano che ciascuno gruppo si esprimesse liberamente al suo interno promuovendo idee e proponendo tematiche si sarebbe potuto evitare quell’effetto competitivo che ha mosso gli attivisti della legalizzazione della cannabis.

4) Trattare i rappresentati eletti come partner e non come un target. Quando si organizza una campagna per sollecitare un rappresentante politico su una certa tematica bisognerebbe uscire dalla logica del bigger is better. Meglio inviare qualche migliaia di messaggi scritti da persone con un alto livello di interesse verso una certa causa e magari appartenenti ad una certa area geografica di riferimento e che hanno partecipato al voto rispetto a miliardi di messaggi standard di una massa di persone anonime e poco o nulla interessate. Se non si esce da questa logica che compete sulla quantità piuttosto che sulla qualità si rischia, secondo Shirky, di allontanarsi sempre più dall’idea di un ambiente di conversazione a supporto della partecipazione democratica scivolando invece verso una sorta di pubbliche relazioni affidate alle masse.

Ecco il video integrale.

[Photo uploaded on September 27, 2008 by dharmabumx]

What’s next #S02E01: quando finisce un amore… ai tempi di Facebook

Che ci piaccia o no certe relazioni sono destinate a finire. Non è mai facile gestire il passaggio, ma con Facebook la cosa può trasformarsi in un vero e proprio incubo. Ecco una breve guida a cosa fare e non fare… Che ci piaccia o no certe relazioni sono destinate a finire. Non è mai facile gestire il passaggio, ma con Facebook la cosa può trasformarsi in un vero e proprio incubo. Ecco una breve guida a cosa fare e non fare…

E tutti vissero felici e contenti.
Capita. Non solo nelle favole. Trovare l’anima gemella, passare la vita insieme.
Purtroppo non sempre. Alcune relazioni finiscono.
Non è mai facile ma Facebook può rendere, se possibile, questa fase ancora più dura. Rimanere “amici” con il/la proprio ex? E gli amici in comune? Ma soprattutto chi è quell’individuo che continua a commentare i contenuti e comparire nelle foto con il/la tua ex?
Ogni relazione è diversa ma ecco tre semplici suggerimenti che potrebbero tornare utili:
1. Non cancellare l’amicizia e lasciare che eventualmente sia l’altro a farlo (non avete idea di quanto alcune persone possano vivere male quello che a voi sembra un semplice gesto di buon senso);

[come farlo?]
2. Se leggere della sua vita senza di voi vi infastidisce, usate il bottoncino nascondi e non vedrete più comparire i suoi aggiornamenti (sta a voi poi avere la forza di non andare a visitare il suo profilo). In ogni caso continuerete a vedere i commenti sui contenuti degli amici in comune. L’unico rimedio per questo è rimuovere tutti gli amici in comune o usare la funzione blocca;
How to Hide
[come farlo? Hide, Block]
3. Create una lista apposita dove mettere il/la vostra ex: in questo modo potrete decidere strategicamente cosa mostrare o nascondere dei vostri aggiornamenti ed apparire selettivamente offline in chat.
Facebook Friend Lists
[come farlo?]
E voi? Qual è la vostra esperienza? Avete strategie di sopravvivenza da condividere?
[extended version dell’articolo che potete leggere sul prossimo numero della rivista Open House]
[Photo originally uploaded on November 28, 2005 by signalstation]
E tutti vissero felici e contenti.
Capita. Non solo nelle favole. Trovare l’anima gemella, passare la vita insieme.
Purtroppo non sempre. Alcune relazioni finiscono.
Non è mai facile ma Facebook può rendere, se possibile, questa fase ancora più dura. Rimanere “amici” con il/la proprio ex? E gli amici in comune? Ma soprattutto chi è quell’individuo che continua a commentare i contenuti e comparire nelle foto con il/la tua ex?
Ogni relazione è diversa ma ecco tre semplici suggerimenti che potrebbero tornare utili:
1. Non cancellare l’amicizia e lasciare che eventualmente sia l’altro a farlo (non avete idea di quanto alcune persone possano vivere male quello che a voi sembra un semplice gesto di buon senso);

[come farlo?]
2. Se leggere della sua vita senza di voi vi infastidisce, usate il bottoncino nascondi e non vedrete più comparire i suoi aggiornamenti (sta a voi poi avere la forza di non andare a visitare il suo profilo). In ogni caso continuerete a vedere i commenti sui contenuti degli amici in comune. L’unico rimedio per questo è rimuovere tutti gli amici in comune o usare la funzione blocca;
How to Hide
[come farlo? Hide, Block]
3. Create una lista apposita dove mettere il/la vostra ex: in questo modo potrete decidere strategicamente cosa mostrare o nascondere dei vostri aggiornamenti ed apparire selettivamente offline in chat.
Facebook Friend Lists
[come farlo?]
E voi? Qual è la vostra esperienza? Avete strategie di sopravvivenza da condividere?
[extended version dell’articolo che potete leggere sul prossimo numero della rivista Open House]
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E tutti vissero felici e contenti.
Capita. Non solo nelle favole. Trovare l’anima gemella, passare la vita insieme.
Purtroppo non sempre. Alcune relazioni finiscono.
Non è mai facile ma Facebook può rendere, se possibile, questa fase ancora più dura. Rimanere “amici” con il/la proprio ex? E gli amici in comune? Ma soprattutto chi è quell’individuo che continua a commentare i contenuti e comparire nelle foto con il/la tua ex?
Ogni relazione è diversa ma ecco tre semplici suggerimenti che potrebbero tornare utili:
1. Non cancellare l’amicizia e lasciare che eventualmente sia l’altro a farlo (non avete idea di quanto alcune persone possano vivere male quello che a voi sembra un semplice gesto di buon senso);

[come farlo?]
2. Se leggere della sua vita senza di voi vi infastidisce, usate il bottoncino nascondi e non vedrete più comparire i suoi aggiornamenti (sta a voi poi avere la forza di non andare a visitare il suo profilo). In ogni caso continuerete a vedere i commenti sui contenuti degli amici in comune. L’unico rimedio per questo è rimuovere tutti gli amici in comune o usare la funzione blocca;
How to Hide
[come farlo? Hide, Block]
3. Create una lista apposita dove mettere il/la vostra ex: in questo modo potrete decidere strategicamente cosa mostrare o nascondere dei vostri aggiornamenti ed apparire selettivamente offline in chat.
Facebook Friend Lists
[come farlo?]
E voi? Qual è la vostra esperienza? Avete strategie di sopravvivenza da condividere?
[extended version dell’articolo che potete leggere sul prossimo numero della rivista Open House]
[Photo originally uploaded on November 28, 2005 by signalstation]

Crescere online in una nazione digitale

Due documentari da non perdere direttamente dal programma Frontline della Public Broadcasting ServiceDue documentari da non perdere direttamente dal programma Frontline della Public Broadcasting ServiceDue documentari da non perdere direttamente dal programma Frontline della Public Broadcasting Service

Ho appena finito di vedere questi due documentari trasmessi nell’ambito del programma Frontline della tv pubblica americana PBS. Il primo, intitolato Growing Up Online è stato mandato in onda il 22 gennaio 2008 ed il secondo, Digital Nation,  il 2 febbraio 2010.
Credo sia interessante vedere le differenze. L’approccio, in entrambi i casi, è piuttosto critico e talvolta discutibile. È  interessante tuttavia che il progetto non si esaurisca con la messa in onda dei documentari. In questa sezione del sito, ad esempio, sono raccolte le storie di vita digitale inviate dagli spettatori. Da non perdere inoltre l’intervista integrale a Sherry Turkle.
Ecco il più recente dei due documentari. Dura poco meno di un’ora e mezza. Buona visione.

Mi piacerebbe vedere questi documentari trasmessi in Italia. Speriamo che quelli di Current o di Report siano in ascolto 😉
P.S. Anche Growing Up Online può essere visto direttamente online.

Ho appena finito di vedere questi due documentari trasmessi nell’ambito del programma Frontline della tv pubblica americana PBS. Il primo, intitolato Growing Up Online è stato mandato in onda il 22 gennaio 2008 ed il secondo, Digital Nation,  il 2 febbraio 2010.

Credo sia interessante vedere le differenze. L’approccio, in entrambi i casi, è piuttosto critico e talvolta discutibile. È  interessante tuttavia che il progetto non si esaurisca con la messa in onda dei documentari. In questa sezione del sito, ad esempio, sono raccolte le storie di vita digitale inviate dagli spettatori. Da non perdere inoltre l’intervista integrale a Sherry Turkle.

Ecco il più recente dei due documentari. Dura poco meno di un’ora e mezza. Buona visione.

Mi piacerebbe vedere questi documentari trasmessi in Italia. Speriamo che quelli di Current o di Report siano in ascolto 😉

P.S. Anche Growing Up Online può essere visto direttamente online.

Ho appena finito di vedere questi due documentari trasmessi nell’ambito del programma Frontline della tv pubblica americana PBS. Il primo, intitolato Growing Up Online è stato mandato in onda il 22 gennaio 2008 ed il secondo, Digital Nation,  il 2 febbraio 2010.

Credo sia interessante vedere le differenze. L’approccio, in entrambi i casi, è piuttosto critico e talvolta discutibile. È  interessante tuttavia che il progetto non si esaurisca con la messa in onda dei documentari. In questa sezione del sito, ad esempio, sono raccolte le storie di vita digitale inviate dagli spettatori. Da non perdere inoltre l’intervista integrale a Sherry Turkle.

Ecco il più recente dei due documentari. Dura poco meno di un’ora e mezza. Buona visione.

Mi piacerebbe vedere questi documentari trasmessi in Italia. Speriamo che quelli di Current o di Report siano in ascolto 😉

P.S. Anche Growing Up Online può essere visto direttamente online.