[fb-share] Come cambiano le forme di rappresentanza degli interessi individuali e collettivi quando il costo della comunicazione è prossimo allo zero? Cosa accade quando basta un click per esprimere la propria adesione ad una causa? Come occorre ripensare le forme della partecipazione evitando il rischio della dittatura delle lobby ben organizzate?
Lo racconta Clay Shirky in questo delizioso speech presentato durante l’ultimo Personal Democracy Forum.
Lo fa, come suo solito, partendo da tre esempi.
Il primo esempio viene dall’India. Nel gennaio 2009 un gruppo fondamentalista Hindu si rese protagonista di una serie di pestaggi nei confronti delle donne che frequentavano bar e pub. Il gruppo dichiarò di voler difendere, attraverso questo atto, la cultura indiana minacciata dai costumi occidentali e minacciò di ripetere le violenze contro tutte le donne intenzionate ad uscire per la festa di San Valentino. Per protestare contro le violenze e le minacce una giornalista di 29 anni decise di fondare un gruppo su Facebook. Il giorno successivo il Consortium of Pub-going, Loose and Forward Women aveva già 500 membri. Scopo del gruppo era quello di invogliare le donne ad uscire la sera di San Valentino a dispetto delle minacce ricevute. San Valentino passò senza particolari incidenti ma gli attacchi alle donne continuarono. A questo punto il gruppo lanciò una campagna semplice ma efficace. Ogni attivista del gruppo avrebbe dovuto inviare un paio di mutande rosa al leader degli estremisti del Sri Ram Sena (SRS) – the Lord Ram’s Army. Questa inusuale forma di protesta ebbe una grande eco nella stampa indiana ed internazionale forzando il governo indiano ad intervenire attivamente per proteggere le donne minacciate dal gruppo di estremisti.
La seconda storia non riguarda la politica. Nel 1998 la versione online della rivista People decise di lanciare una campagna chiedendo ai propri lettori di scegliere i loro preferiti da una lista di 50 nomi per compilare la celebre classifica dei 50 personaggi americani più attraenti dell’anno. In seguito alla richiesta degli utenti, People decise inoltre di aprire la lista ai suggerimenti del pubblico. Non avevano calcolato bene quanto i fan volessero bene a Hank the Angry Drunken Dwarf. Un gruppo agguerrito e ben organizzato mise in piedi una campagna per supportare questo personaggio che si classificò primo della lista con oltre 250.000 voti (secondo classificato con 150.000 voti un wrestler professionista mentre Leonardo di Caprio si piazzò terzo con 41.000 voti). Il magazine People, dopo aver solennemente promesso di riportare sulla rivista il risultato delle scelte dei lettori, ritornò sui suoi passi. Si tratta di un esempio di come queste forme di partecipazione possano essere forzate da gruppi relativamente poco numerosi ma molto agguerriti.
Il terzo esempio riguarda invece Change.gov. Il sito realizzato dallo staff di Barack Obama ed attivo nel periodo di transizione successivo all’elezione e precedente all’insediamento alla Casa Bianca, aveva fra gli altri obiettivi quello di promuovere la partecipazione degli elettori ai quali veniva chiesto di individuare le tematiche più importanti che il nuovo inquilino della casa bianca avrebbe dovuto affrontare una volta insediato. A prevalere su temi quali la crisi economica e la guerra in Iraq fu, non senza qualche sorpresa, l’uso medico della marijuana. Anche in questo caso un gruppo agguerrito e ben organizzato aveva fatto in modo di imporsi all’attenzione forzando le regole del gioco.
A questo punto Shirky si chiede come si collochi questo ultimo esempio rispetto ai primi due. Il primo è caratterizzato dal fatto che le istanze legittime di un gruppo non altrimenti rappresentato entrano nell’agenda politica, il secondo mostra come un gruppo ben organizzato possa forzare il meccanismo di partecipazione… quest’ultimo caso si pone in qualche modo nel mezzo perchè le istanze portate dal gruppo di attivisti che sostiene la legalizzazione dell’uso medico della marijuana sono legittime ma la modalità attraverso le quali hanno ottenuto l’attenzione al limite della forzatura.
Dunque il problema è costruire modelli di rappresentanza che non prestino il fianco a queste forme di forzatura. Per fare questo Shirky suggerisce le seguenti quattro strategie:
1) Aumentare il costo della comunicazione. Fino a quando basta un singolo click a votare o esprimere il proprio parere su un certo tema si correrà il rischio che il rapporto fra segnale e rumore nell’attivismo digitale sarà sempre a favore del secondo. La competizione si sposta dal porre un tema all’ordine del giorno a generare una campagna efficace che produca un quantitativo superiore di email (o adesioni ad un gruppo, like o fan). Ci si sposta dall’arena della politica a quella delle pubbliche relazioni. Se la giornalista indiana che ha ideato la campagna delle mutande rosa si fosse limitata ad aprire un gruppo su Facebook sarebbe stato un caso interessante, ma quello che ha fatto la differenza è ciò che ha spinto quelle donne a privarsi di un bene che possedevano ed utilizzare il tempo necessario ad imballare e spedire il pacco al destinatario.
2) Progettare le forme della partecipazione per gruppi e non solo per aggregati. Si tratta di fare in modo che le persone che si raccolgono intorno ad una tematica non si limitino semplicemente ad aggiungere il proprio nome alla lista (McDonald Business Model) ma agiscano attivamente a favore della causa che si propongono. Per esempio i gruppi Meetup Ping Pong non possono formarsi se, oltre ad avere un certo numero di membri, non trovano anche un gruppo di individui che si dichiari disposto ad agire come coordinatori del meetup.
3) Considerare sempre l’esistenza di fazioni e lobby. Bisogna trovare il modo per lasciare a ciascuna fazione la possibilità di esprimersi senza per questo oscurare le altre. Ad esempio, dice Shirky, se nel progettare Change.gov avessero evitato di creare una classifica unica di temi e priorità aggregando le tematiche simili e lasciano che ciascuno gruppo si esprimesse liberamente al suo interno promuovendo idee e proponendo tematiche si sarebbe potuto evitare quell’effetto competitivo che ha mosso gli attivisti della legalizzazione della cannabis.
4) Trattare i rappresentati eletti come partner e non come un target. Quando si organizza una campagna per sollecitare un rappresentante politico su una certa tematica bisognerebbe uscire dalla logica del bigger is better. Meglio inviare qualche migliaia di messaggi scritti da persone con un alto livello di interesse verso una certa causa e magari appartenenti ad una certa area geografica di riferimento e che hanno partecipato al voto rispetto a miliardi di messaggi standard di una massa di persone anonime e poco o nulla interessate. Se non si esce da questa logica che compete sulla quantità piuttosto che sulla qualità si rischia, secondo Shirky, di allontanarsi sempre più dall’idea di un ambiente di conversazione a supporto della partecipazione democratica scivolando invece verso una sorta di pubbliche relazioni affidate alle masse.
Ecco il video integrale.
[Photo uploaded on September 27, 2008 by dharmabumx]
Come cambiano le forme di rappresentanza degli interessi individuali e collettivi quando il costo della comunicazione è prossimo allo zero? Cosa accade quando basta un click per esprimere la propria adesione ad una causa? Come occorre ripensare le forme della partecipazione evitando il rischio della dittatura delle lobby ben organizzate?
Lo racconta Clay Shirky in questo delizioso speech presentato durante l’ultimo Personal Democracy Forum.
Lo fa, come suo solito, partendo da tre esempi.
Il primo esempio viene dall’India. Nel gennaio 2009 un gruppo fondamentalista Hindu si rese protagonista di una serie di pestaggi nei confronti delle donne che frequentavano bar e pub. Il gruppo dichiarò di voler difendere, attraverso questo atto, la cultura indiana minacciata dai costumi occidentali e minacciò di ripetere le violenze contro tutte le donne intenzionate ad uscire per la festa di San Valentino. Per protestare contro le violenze e le minacce una giornalista di 29 anni decise di fondare un gruppo su Facebook. Il giorno successivo il Consortium of Pub-going, Loose and Forward Women aveva già 500 membri. Scopo del gruppo era quello di invogliare le donne ad uscire la sera di San Valentino a dispetto delle minacce ricevute. San Valentino passò senza particolari incidenti ma gli attacchi alle donne continuarono. A questo punto il gruppo lanciò una campagna semplice ma efficace. Ogni attivista del gruppo avrebbe dovuto inviare un paio di mutande rosa al leader degli estremisti del Sri Ram Sena (SRS) – the Lord Ram’s Army. Questa inusuale forma di protesta ebbe una grande eco nella stampa indiana ed internazionale forzando il governo indiano ad intervenire attivamente per proteggere le donne minacciate dal gruppo di estremisti.
La seconda storia non riguarda la politica. Nel 1998 la versione online della rivista People decise di lanciare una campagna chiedendo ai propri lettori di scegliere i loro preferiti da una lista di 50 nomi per compilare la celebre classifica dei 50 personaggi americani più attraenti dell’anno. In seguito alla richiesta degli utenti, People decise inoltre di aprire la lista ai suggerimenti del pubblico. Non avevano calcolato bene quanto i fan volessero bene a Hank the Angry Drunken Dwarf. Un gruppo agguerrito e ben organizzato mise in piedi una campagna per supportare questo personaggio che si classificò primo della lista con oltre 250.000 voti (secondo classificato con 150.000 voti un wrestler professionista mentre Leonardo di Caprio si piazzò terzo con 41.000 voti). Il magazine People, dopo aver solennemente promesso di riportare sulla rivista il risultato delle scelte dei lettori, ritornò sui suoi passi. Si tratta di un esempio di come queste forme di partecipazione possano essere forzate da gruppi relativamente poco numerosi ma molto agguerriti.
Il terzo esempio riguarda invece Change.gov. Il sito realizzato dallo staff di Barack Obama ed attivo nel periodo di transizione successivo all’elezione e precedente all’insediamento alla Casa Bianca, aveva fra gli altri obiettivi quello di promuovere la partecipazione degli elettori ai quali veniva chiesto di individuare le tematiche più importanti che il nuovo inquilino della casa bianca avrebbe dovuto affrontare una volta insediato. A prevalere su temi quali la crisi economica e la guerra in Iraq fu, non senza qualche sorpresa, l’uso medico della marijuana. Anche in questo caso un gruppo agguerrito e ben organizzato aveva fatto in modo di imporsi all’attenzione forzando le regole del gioco.
A questo punto Shirky si chiede come si collochi questo ultimo esempio rispetto ai primi due. Il primo è caratterizzato dal fatto che le istanze legittime di un gruppo non altrimenti rappresentato entrano nell’agenda politica, il secondo mostra come un gruppo ben organizzato possa forzare il meccanismo di partecipazione… quest’ultimo caso si pone in qualche modo nel mezzo perchè le istanze portate dal gruppo di attivisti che sostiene la legalizzazione dell’uso medico della marijuana sono legittime ma la modalità attraverso le quali hanno ottenuto l’attenzione al limite della forzatura.
Dunque il problema è costruire modelli di rappresentanza che non prestino il fianco a queste forme di forzatura. Per fare questo Shirky suggerisce le seguenti quattro strategie:
1) Aumentare il costo della comunicazione. Fino a quando basta un singolo click a votare o esprimere il proprio parere su un certo tema si correrà il rischio che il rapporto fra segnale e rumore nell’attivismo digitale sarà sempre a favore del secondo. La competizione si sposta dal porre un tema all’ordine del giorno a generare una campagna efficace che produca un quantitativo superiore di email (o adesioni ad un gruppo, like o fan). Ci si sposta dall’arena della politica a quella delle pubbliche relazioni. Se la giornalista indiana che ha ideato la campagna delle mutande rosa si fosse limitata ad aprire un gruppo su Facebook sarebbe stato un caso interessante, ma quello che ha fatto la differenza è ciò che ha spinto quelle donne a privarsi di un bene che possedevano ed utilizzare il tempo necessario ad imballare e spedire il pacco al destinatario.
2) Progettare le forme della partecipazione per gruppi e non solo per aggregati. Si tratta di fare in modo che le persone che si raccolgono intorno ad una tematica non si limitino semplicemente ad aggiungere il proprio nome alla lista (McDonald Business Model) ma agiscano attivamente a favore della causa che si propongono. Per esempio i gruppi Meetup Ping Pong non possono formarsi se, oltre ad avere un certo numero di membri, non trovano anche un gruppo di individui che si dichiari disposto ad agire come coordinatori del meetup.
3) Considerare sempre l’esistenza di fazioni e lobby. Bisogna trovare il modo per lasciare a ciascuna fazione la possibilità di esprimersi senza per questo oscurare le altre. Ad esempio, dice Shirky, se nel progettare Change.gov avessero evitato di creare una classifica unica di temi e priorità aggregando le tematiche simili e lasciano che ciascuno gruppo si esprimesse liberamente al suo interno promuovendo idee e proponendo tematiche si sarebbe potuto evitare quell’effetto competitivo che ha mosso gli attivisti della legalizzazione della cannabis.
4) Trattare i rappresentati eletti come partner e non come un target. Quando si organizza una campagna per sollecitare un rappresentante politico su una certa tematica bisognerebbe uscire dalla logica del bigger is better. Meglio inviare qualche migliaia di messaggi scritti da persone con un alto livello di interesse verso una certa causa e magari appartenenti ad una certa area geografica di riferimento e che hanno partecipato al voto rispetto a miliardi di messaggi standard di una massa di persone anonime e poco o nulla interessate. Se non si esce da questa logica che compete sulla quantità piuttosto che sulla qualità si rischia, secondo Shirky, di allontanarsi sempre più dall’idea di un ambiente di conversazione a supporto della partecipazione democratica scivolando invece verso una sorta di pubbliche relazioni affidate alle masse.
Ecco il video integrale.
[Photo uploaded on September 27, 2008 by dharmabumx]
Come cambiano le forme di rappresentanza degli interessi individuali e collettivi quando il costo della comunicazione è prossimo allo zero? Cosa accade quando basta un click per esprimere la propria adesione ad una causa? Come occorre ripensare le forme della partecipazione evitando il rischio della dittatura delle lobby ben organizzate?
Lo racconta Clay Shirky in questo delizioso speech presentato durante l’ultimo Personal Democracy Forum.
Lo fa, come suo solito, partendo da tre esempi.
Il primo esempio viene dall’India. Nel gennaio 2009 un gruppo fondamentalista Hindu si rese protagonista di una serie di pestaggi nei confronti delle donne che frequentavano bar e pub. Il gruppo dichiarò di voler difendere, attraverso questo atto, la cultura indiana minacciata dai costumi occidentali e minacciò di ripetere le violenze contro tutte le donne intenzionate ad uscire per la festa di San Valentino. Per protestare contro le violenze e le minacce una giornalista di 29 anni decise di fondare un gruppo su Facebook. Il giorno successivo il Consortium of Pub-going, Loose and Forward Women aveva già 500 membri. Scopo del gruppo era quello di invogliare le donne ad uscire la sera di San Valentino a dispetto delle minacce ricevute. San Valentino passò senza particolari incidenti ma gli attacchi alle donne continuarono. A questo punto il gruppo lanciò una campagna semplice ma efficace. Ogni attivista del gruppo avrebbe dovuto inviare un paio di mutande rosa al leader degli estremisti del Sri Ram Sena (SRS) – the Lord Ram’s Army. Questa inusuale forma di protesta ebbe una grande eco nella stampa indiana ed internazionale forzando il governo indiano ad intervenire attivamente per proteggere le donne minacciate dal gruppo di estremisti.
La seconda storia non riguarda la politica. Nel 1998 la versione online della rivista People decise di lanciare una campagna chiedendo ai propri lettori di scegliere i loro preferiti da una lista di 50 nomi per compilare la celebre classifica dei 50 personaggi americani più attraenti dell’anno. In seguito alla richiesta degli utenti, People decise inoltre di aprire la lista ai suggerimenti del pubblico. Non avevano calcolato bene quanto i fan volessero bene a Hank the Angry Drunken Dwarf. Un gruppo agguerrito e ben organizzato mise in piedi una campagna per supportare questo personaggio che si classificò primo della lista con oltre 250.000 voti (secondo classificato con 150.000 voti un wrestler professionista mentre Leonardo di Caprio si piazzò terzo con 41.000 voti). Il magazine People, dopo aver solennemente promesso di riportare sulla rivista il risultato delle scelte dei lettori, ritornò sui suoi passi. Si tratta di un esempio di come queste forme di partecipazione possano essere forzate da gruppi relativamente poco numerosi ma molto agguerriti.
Il terzo esempio riguarda invece Change.gov. Il sito realizzato dallo staff di Barack Obama ed attivo nel periodo di transizione successivo all’elezione e precedente all’insediamento alla Casa Bianca, aveva fra gli altri obiettivi quello di promuovere la partecipazione degli elettori ai quali veniva chiesto di individuare le tematiche più importanti che il nuovo inquilino della casa bianca avrebbe dovuto affrontare una volta insediato. A prevalere su temi quali la crisi economica e la guerra in Iraq fu, non senza qualche sorpresa, l’uso medico della marijuana. Anche in questo caso un gruppo agguerrito e ben organizzato aveva fatto in modo di imporsi all’attenzione forzando le regole del gioco.
A questo punto Shirky si chiede come si collochi questo ultimo esempio rispetto ai primi due. Il primo è caratterizzato dal fatto che le istanze legittime di un gruppo non altrimenti rappresentato entrano nell’agenda politica, il secondo mostra come un gruppo ben organizzato possa forzare il meccanismo di partecipazione… quest’ultimo caso si pone in qualche modo nel mezzo perchè le istanze portate dal gruppo di attivisti che sostiene la legalizzazione dell’uso medico della marijuana sono legittime ma la modalità attraverso le quali hanno ottenuto l’attenzione al limite della forzatura.
Dunque il problema è costruire modelli di rappresentanza che non prestino il fianco a queste forme di forzatura. Per fare questo Shirky suggerisce le seguenti quattro strategie:
1) Aumentare il costo della comunicazione. Fino a quando basta un singolo click a votare o esprimere il proprio parere su un certo tema si correrà il rischio che il rapporto fra segnale e rumore nell’attivismo digitale sarà sempre a favore del secondo. La competizione si sposta dal porre un tema all’ordine del giorno a generare una campagna efficace che produca un quantitativo superiore di email (o adesioni ad un gruppo, like o fan). Ci si sposta dall’arena della politica a quella delle pubbliche relazioni. Se la giornalista indiana che ha ideato la campagna delle mutande rosa si fosse limitata ad aprire un gruppo su Facebook sarebbe stato un caso interessante, ma quello che ha fatto la differenza è ciò che ha spinto quelle donne a privarsi di un bene che possedevano ed utilizzare il tempo necessario ad imballare e spedire il pacco al destinatario.
2) Progettare le forme della partecipazione per gruppi e non solo per aggregati. Si tratta di fare in modo che le persone che si raccolgono intorno ad una tematica non si limitino semplicemente ad aggiungere il proprio nome alla lista (McDonald Business Model) ma agiscano attivamente a favore della causa che si propongono. Per esempio i gruppi Meetup Ping Pong non possono formarsi se, oltre ad avere un certo numero di membri, non trovano anche un gruppo di individui che si dichiari disposto ad agire come coordinatori del meetup.
3) Considerare sempre l’esistenza di fazioni e lobby. Bisogna trovare il modo per lasciare a ciascuna fazione la possibilità di esprimersi senza per questo oscurare le altre. Ad esempio, dice Shirky, se nel progettare Change.gov avessero evitato di creare una classifica unica di temi e priorità aggregando le tematiche simili e lasciano che ciascuno gruppo si esprimesse liberamente al suo interno promuovendo idee e proponendo tematiche si sarebbe potuto evitare quell’effetto competitivo che ha mosso gli attivisti della legalizzazione della cannabis.
4) Trattare i rappresentati eletti come partner e non come un target. Quando si organizza una campagna per sollecitare un rappresentante politico su una certa tematica bisognerebbe uscire dalla logica del bigger is better. Meglio inviare qualche migliaia di messaggi scritti da persone con un alto livello di interesse verso una certa causa e magari appartenenti ad una certa area geografica di riferimento e che hanno partecipato al voto rispetto a miliardi di messaggi standard di una massa di persone anonime e poco o nulla interessate. Se non si esce da questa logica che compete sulla quantità piuttosto che sulla qualità si rischia, secondo Shirky, di allontanarsi sempre più dall’idea di un ambiente di conversazione a supporto della partecipazione democratica scivolando invece verso una sorta di pubbliche relazioni affidate alle masse.
Ecco il video integrale.
[Photo uploaded on September 27, 2008 by dharmabumx]