Era una serata di fine estate del 2005 quella durante la quale, con Luca e Giovanni, abbiamo iniziato a riflettere sul processo del “farsi media”.
Da allora non abbiamo più smesso di parlarne anche se il libro che avevamo progettato insieme quella sera (di cui dovrebbero esistere ancora degli appunti da qualche parte) e che forse un giorno scriveremo, non è mai stato in realtà scritto.
Non che non ci fosse materiale. Piuttosto le idee e le riflessioni intorno al “farsi media” sono confluite nei post dei nostri blog ed in molti articoli scientifici che abbiamo pubblicato da allora. I tempi della pubblicazione di un libro sono sempre più inconciliabili con i tempi della ricerca su fenomeni in continuo mutamento come il web.
Nel frattempo molto è cambiato.
Se avessi scritto questo post nel 2005 avrei dovuto iniziare spiegando perché Internet sta cambiano in modo profondo la nostra società. Oggi anche gli scettici (e ne ho incontrati tanti in questi anni) non possono negare che la società dei “mezzi di comunicazione di massa per le masse” (questo sarebbe stato il sottotitolo del libro) è strutturalmente diversa dalla società sviluppatasi a partire dall’invenzione della stampa ed evolutati attraverso radio e TV.
L’accesso di massa alle comunicazioni di massa è un classico esempio di differenza quantitativa che diventa qualitativa. Ma cosa si intende per “accesso di massa alle comunicazioni di massa”?
Per spiegare questo gioco di parole è necessario comprendere l’essenza stessa della comunicazione di massa: ovvero la radicale separazione fra autore e fruitore.
Un giornalista, così come uno scrittore o l’autore di un programma televisivo, non può mai conoscere con precisione e certezza il pubblico al quale si sta rivolgendo.
La comunicazione di massa è per definizione una comunicazione verso una massa ovvero un pubblico indistinto.
Comunicare con qualcuno che non si conosce è estremamente difficile. Per farlo è necessario comunque avere in mente un’idea di chi sarà il nostro pubblico per poter scegliere cosa dire e come dirlo. Per questo motivo chi si rivolge ad un pubblico costruisce, per approssimazione e sulla base dei dati che conosce e che può conoscere, il pubblico nella sua mente.
Oggi l’accesso alla comunicazione verso un pubblico indistinto non è più ristretto ad una élite di professionisti. Chiunque, attraverso la pubblicazione dei propri contenuti in rete, può conversare con le “audience invisibili”.
A pensarci bene il processo di scrittura di un post in un blog è analogo, da questo punto di vista, a quello della scrittura di un articolo di un giornale.
Ogni autore di un blog ha in mente il suo pubblico e questo pubblico è sempre strutturalmente diverso da quello che ti puoi immaginare (avete mai dato uno sguardo alle keywords di ricerca usate dai visitatori del vostro blog?).
Pensare di conoscere il proprio pubblico è una presunzione rischiosa.
Lo sanno bene quei ragazzi che hanno fatto esperienza di scrivere sul proprio blog pensando di rivolgersi alla propria cerchia di amici e scoperto in seguito con sgomento di essere stati letti dai professori o dai genitori. Un’esperienza tanto traumatica quanto formativa che serve più di mille spiegazioni scientifiche a far comprendere istantaneamente quanto indistinto, imprevedibile ed inconoscibile sia l’audience di un contenuto pubblicato in rete. Credo che sia quello strano senso di invasione di un privato che non è tale che spiega la necessità di cercare ambienti più protetti per pubblicare in rete in propri contenuti come i siti di social network. La consapevolezza di avere di fronte un pubblico indistinto è, con tutta probabilità, uno degli skills della new media literacy che si dovrebbe insegnare a chi usa la rete per la prima volta.
La consapevolezza di avere di fronte un pubblico indistinto può atterrire ma è anche alla base della potenzialità trasformative della rete. Lo sanno bene i blogger professionisti che hanno compreso per primi come sfruttare a proprio vantaggio il nuovo accesso alla comunicazione di massa (si veda, uno per tutti, il recente caso sollevato dal post “Email che fanno male”).
Quello che a volte sfugge a chi ha compreso le potenzialità connesse alla visibilità verso un pubblico indistinto, è che esiste un’utenza che di questa visibilità farebbe volentieri a meno.
Non a caso che l’invisibile audience sia una delle quattro proprietà che danah boyd attribuisce alla comunicazione che avviene nello spazio mediato di rete.
Secondo danah boyd lo spazio mediato di rete si affianca senza sostituirlo allo spazio geografico. Mentre le distanze nello spazio geografico sono misurante in metri, nello spazio mediato di rete contano i nodi della rete sociale che devi percorrere per raggiungere la risorsa di cui hai bisogno. Lo spazio di rete è mediato nel senso che ha caratteristiche analoghe a quelle della comunicazione mediata (come ad esempio le invisible audiences e la persistence). Al tempo stesso ha una dimensione di rete grazie alla replicability (propria di tutti i contenuti digitali) e alla searchability.
Guardando alle quattro proprietà in una prospettiva storica potremmo descrivere con questo schema lo scenario della società moderna caratterizzata dall’avvento dei mezzi di comunicazione di massa fino all’avvento delle tecnologie della replicabilità digitale (anche se la replicabilità meccanica, come ci ha insegnato Walter Benjamin inizia molto prima).

Per la prima volta nella storia un gruppo limitato di persone (few) accede alla comunicazione di massa (ovvero verso un pubblico indistinto).
Non mi soffermerò qui sulle conseguenze di questo passaggio epocale perché, come noto, si tratta di uno dei fenomeni più studiati della storia dei media e della società (si veda per tutti il capitolo sul così detto piano del sociale del libro i media-mondo).
L’avvento del web ha poi reso i contenuti prodotti dai professionisti delle comunicazioni di massa ricercabili.
Si pensi, ad esempio, al caso di Google Book Search o di Google News.

Ma questo era solo l’inizio.
Poi è venuto il così detto Web 2.0 che, abbattendo i costi di produzione e distribuzione, ha portato alle masse (many) la comunicazione verso un pubblico indistinto e la ricercabilità di questi contenuti.

Penso che questa sequenza di schemi (che uso da qualche mese nelle mie presentazioni) spieghi bene il processo che abbiamo chiamato “Farsi Media” su un piano sociale.
Cosa ne pensate?
***
Lo so che avevo promesso di parlare della conferenza e-Research ’08 della scorsa settimana ma sinceramente non avevo molto da dire. L’evento si è dimostrato alquanto deludente e l’Oxford Internet Institute stesso, per quel poco che ho potuto vedere, non mi ha impressionato particolarmente. L’e-social science è in pratica l’applicazione degli strumenti computerizzati allo studio delle scienze sociali ed il risultato “sorprendente” a cui sono giunti dopo un programma di investimenti in ricerca che ci è parso molto ingente (a giudicare dai gadget che i vari progetti distribuivano) è che, applicando questi metodi, le scienze sociali si trovano ad affrontare gli stessi problemi di complessità con cui sono alle prese le discipline scientifiche dalla meccanica statistica in poi 😮
L’unico progetto degno di nota è questo social network per ricercatori: http://www.myexperiment.org/.
***
Prossimo appuntamento con What’s Next #4 è per venerdì 26 settembre.
Racconterò i dietro le quinte dell’organizzazione degli eventi della serie “Conversazioni dal Basso” ed in particolare del Festival dei Blog approfittandone per fare una riflessione più generale a partire dalle riflessioni contenute nell’ultimo libro di Clay Shirky Here Comes Everybody: The Power of Organizing Without Organizations.
Per chi non può aspettare una settimana consiglio, come al solito, di seguire FriendFeed.
Era una serata di fine estate del 2005 quella durante la quale, con Luca e Giovanni, abbiamo iniziato a riflettere sul processo del “farsi media”.
Da allora non abbiamo più smesso di parlarne anche se il libro che avevamo progettato insieme quella sera (di cui dovrebbero esistere ancora degli appunti da qualche parte) e che forse un giorno scriveremo, non è mai stato in realtà scritto.
Non che non ci fosse materiale. Piuttosto le idee e le riflessioni intorno al “farsi media” sono confluite nei post dei nostri blog ed in molti articoli scientifici che abbiamo pubblicato da allora. I tempi della pubblicazione di un libro sono sempre più inconciliabili con i tempi della ricerca su fenomeni in continuo mutamento come il web.
Nel frattempo molto è cambiato.
Se avessi scritto questo post nel 2005 avrei dovuto iniziare spiegando perché Internet sta cambiano in modo profondo la nostra società. Oggi anche gli scettici (e ne ho incontrati tanti in questi anni) non possono negare che la società dei “mezzi di comunicazione di massa per le masse” (questo sarebbe stato il sottotitolo del libro) è strutturalmente diversa dalla società sviluppatasi a partire dall’invenzione della stampa ed evolutati attraverso radio e TV.
L’accesso di massa alle comunicazioni di massa è un classico esempio di differenza quantitativa che diventa qualitativa. Ma cosa si intende per “accesso di massa alle comunicazioni di massa”?
Per spiegare questo gioco di parole è necessario comprendere l’essenza stessa della comunicazione di massa: ovvero la radicale separazione fra autore e fruitore.
Un giornalista, così come uno scrittore o l’autore di un programma televisivo, non può mai conoscere con precisione e certezza il pubblico al quale si sta rivolgendo.
La comunicazione di massa è per definizione una comunicazione verso una massa ovvero un pubblico indistinto.
Comunicare con qualcuno che non si conosce è estremamente difficile. Per farlo è necessario comunque avere in mente un’idea di chi sarà il nostro pubblico per poter scegliere cosa dire e come dirlo. Per questo motivo chi si rivolge ad un pubblico costruisce, per approssimazione e sulla base dei dati che conosce e che può conoscere, il pubblico nella sua mente.
Oggi l’accesso alla comunicazione verso un pubblico indistinto non è più ristretto ad una élite di professionisti. Chiunque, attraverso la pubblicazione dei propri contenuti in rete, può conversare con le “audience invisibili”.
A pensarci bene il processo di scrittura di un post in un blog è analogo, da questo punto di vista, a quello della scrittura di un articolo di un giornale.
Ogni autore di un blog ha in mente il suo pubblico e questo pubblico è sempre strutturalmente diverso da quello che ti puoi immaginare (avete mai dato uno sguardo alle keywords di ricerca usate dai visitatori del vostro blog?).
Pensare di conoscere il proprio pubblico è una presunzione rischiosa.
Lo sanno bene quei ragazzi che hanno fatto esperienza di scrivere sul proprio blog pensando di rivolgersi alla propria cerchia di amici e scoperto in seguito con sgomento di essere stati letti dai professori o dai genitori. Un’esperienza tanto traumatica quanto formativa che serve più di mille spiegazioni scientifiche a far comprendere istantaneamente quanto indistinto, imprevedibile ed inconoscibile sia l’audience di un contenuto pubblicato in rete. Credo che sia quello strano senso di invasione di un privato che non è tale che spiega la necessità di cercare ambienti più protetti per pubblicare in rete in propri contenuti come i siti di social network. La consapevolezza di avere di fronte un pubblico indistinto è, con tutta probabilità, uno degli skills della new media literacy che si dovrebbe insegnare a chi usa la rete per la prima volta.
La consapevolezza di avere di fronte un pubblico indistinto può atterrire ma è anche alla base della potenzialità trasformative della rete. Lo sanno bene i blogger professionisti che hanno compreso per primi come sfruttare a proprio vantaggio il nuovo accesso alla comunicazione di massa (si veda, uno per tutti, il recente caso sollevato dal post “Email che fanno male”).
Quello che a volte sfugge a chi ha compreso le potenzialità connesse alla visibilità verso un pubblico indistinto, è che esiste un’utenza che di questa visibilità farebbe volentieri a meno.
Non a caso che l’invisibile audience sia una delle quattro proprietà che danah boyd attribuisce alla comunicazione che avviene nello spazio mediato di rete.
Secondo danah boyd lo spazio mediato di rete si affianca senza sostituirlo allo spazio geografico. Mentre le distanze nello spazio geografico sono misurante in metri, nello spazio mediato di rete contano i nodi della rete sociale che devi percorrere per raggiungere la risorsa di cui hai bisogno. Lo spazio di rete è mediato nel senso che ha caratteristiche analoghe a quelle della comunicazione mediata (come ad esempio le invisible audiences e la persistence). Al tempo stesso ha una dimensione di rete grazie alla replicability (propria di tutti i contenuti digitali) e alla searchability.
Guardando alle quattro proprietà in una prospettiva storica potremmo descrivere con questo schema lo scenario della società moderna caratterizzata dall’avvento dei mezzi di comunicazione di massa fino all’avvento delle tecnologie della replicabilità digitale (anche se la replicabilità meccanica, come ci ha insegnato Walter Benjamin inizia molto prima).
Per la prima volta nella storia un gruppo limitato di persone (few) accede alla comunicazione di massa (ovvero verso un pubblico indistinto).
Non mi soffermerò qui sulle conseguenze di questo passaggio epocale perché, come noto, si tratta di uno dei fenomeni più studiati della storia dei media e della società (si veda per tutti il capitolo sul così detto piano del sociale del libro i media-mondo).
L’avvento del web ha poi reso i contenuti prodotti dai professionisti delle comunicazioni di massa ricercabili.
Si pensi, ad esempio, al caso di Google Book Search o di Google News.
Ma questo era solo l’inizio.
Poi è venuto il così detto Web 2.0 che, abbattendo i costi di produzione e distribuzione, ha portato alle masse (many) la comunicazione verso un pubblico indistinto e la ricercabilità di questi contenuti.
Penso che questa sequenza di schemi (che uso da qualche mese nelle mie presentazioni) spieghi bene il processo che abbiamo chiamato “Farsi Media” su un piano sociale.
Cosa ne pensate?
***
Lo so che avevo promesso di parlare della conferenza e-Research ’08 della scorsa settimana ma sinceramente non avevo molto da dire. L’evento si è dimostrato alquanto deludente e l’Oxford Internet Institute stesso, per quel poco che ho potuto vedere, non mi ha impressionato particolarmente. L’e-social science è in pratica l’applicazione degli strumenti computerizzati allo studio delle scienze sociali ed il risultato “sorprendente” a cui sono giunti dopo un programma di investimenti in ricerca che ci è parso molto ingente (a giudicare dai gadget che i vari progetti distribuivano) è che, applicando questi metodi, le scienze sociali si trovano ad affrontare gli stessi problemi di complessità con cui sono alle prese le discipline scientifiche dalla meccanica statistica in poi 😮
L’unico progetto degno di nota è questo social network per ricercatori: http://www.myexperiment.org/.
***
Prossimo appuntamento con What’s Next #4 è per venerdì 26 settembre.
Racconterò i dietro le quinte dell’organizzazione degli eventi della serie “Conversazioni dal Basso” ed in particolare del Festival dei Blog approfittandone per fare una riflessione più generale a partire dalle riflessioni contenute nell’ultimo libro di Clay Shirky Here Comes Everybody: The Power of Organizing Without Organizations.
Per chi non può aspettare una settimana consiglio, come al solito, di seguire FriendFeed.
Era una serata di fine estate del 2005 quella durante la quale, con Luca e Giovanni, abbiamo iniziato a riflettere sul processo del “farsi media”.
Da allora non abbiamo più smesso di parlarne anche se il libro che avevamo progettato insieme quella sera (di cui dovrebbero esistere ancora degli appunti da qualche parte) e che forse un giorno scriveremo, non è mai stato in realtà scritto.
Non che non ci fosse materiale. Piuttosto le idee e le riflessioni intorno al “farsi media” sono confluite nei post dei nostri blog ed in molti articoli scientifici che abbiamo pubblicato da allora. I tempi della pubblicazione di un libro sono sempre più inconciliabili con i tempi della ricerca su fenomeni in continuo mutamento come il web.
Nel frattempo molto è cambiato.
Se avessi scritto questo post nel 2005 avrei dovuto iniziare spiegando perché Internet sta cambiano in modo profondo la nostra società. Oggi anche gli scettici (e ne ho incontrati tanti in questi anni) non possono negare che la società dei “mezzi di comunicazione di massa per le masse” (questo sarebbe stato il sottotitolo del libro) è strutturalmente diversa dalla società sviluppatasi a partire dall’invenzione della stampa ed evolutati attraverso radio e TV.
L’accesso di massa alle comunicazioni di massa è un classico esempio di differenza quantitativa che diventa qualitativa. Ma cosa si intende per “accesso di massa alle comunicazioni di massa”?
Per spiegare questo gioco di parole è necessario comprendere l’essenza stessa della comunicazione di massa: ovvero la radicale separazione fra autore e fruitore.
Un giornalista, così come uno scrittore o l’autore di un programma televisivo, non può mai conoscere con precisione e certezza il pubblico al quale si sta rivolgendo.
La comunicazione di massa è per definizione una comunicazione verso una massa ovvero un pubblico indistinto.
Comunicare con qualcuno che non si conosce è estremamente difficile. Per farlo è necessario comunque avere in mente un’idea di chi sarà il nostro pubblico per poter scegliere cosa dire e come dirlo. Per questo motivo chi si rivolge ad un pubblico costruisce, per approssimazione e sulla base dei dati che conosce e che può conoscere, il pubblico nella sua mente.
Oggi l’accesso alla comunicazione verso un pubblico indistinto non è più ristretto ad una élite di professionisti. Chiunque, attraverso la pubblicazione dei propri contenuti in rete, può conversare con le “audience invisibili”.
A pensarci bene il processo di scrittura di un post in un blog è analogo, da questo punto di vista, a quello della scrittura di un articolo di un giornale.
Ogni autore di un blog ha in mente il suo pubblico e questo pubblico è sempre strutturalmente diverso da quello che ti puoi immaginare (avete mai dato uno sguardo alle keywords di ricerca usate dai visitatori del vostro blog?).
Pensare di conoscere il proprio pubblico è una presunzione rischiosa.
Lo sanno bene quei ragazzi che hanno fatto esperienza di scrivere sul proprio blog pensando di rivolgersi alla propria cerchia di amici e scoperto in seguito con sgomento di essere stati letti dai professori o dai genitori. Un’esperienza tanto traumatica quanto formativa che serve più di mille spiegazioni scientifiche a far comprendere istantaneamente quanto indistinto, imprevedibile ed inconoscibile sia l’audience di un contenuto pubblicato in rete. Credo che sia quello strano senso di invasione di un privato che non è tale che spiega la necessità di cercare ambienti più protetti per pubblicare in rete in propri contenuti come i siti di social network. La consapevolezza di avere di fronte un pubblico indistinto è, con tutta probabilità, uno degli skills della new media literacy che si dovrebbe insegnare a chi usa la rete per la prima volta.
La consapevolezza di avere di fronte un pubblico indistinto può atterrire ma è anche alla base della potenzialità trasformative della rete. Lo sanno bene i blogger professionisti che hanno compreso per primi come sfruttare a proprio vantaggio il nuovo accesso alla comunicazione di massa (si veda, uno per tutti, il recente caso sollevato dal post “Email che fanno male”).
Quello che a volte sfugge a chi ha compreso le potenzialità connesse alla visibilità verso un pubblico indistinto, è che esiste un’utenza che di questa visibilità farebbe volentieri a meno.
Non a caso che l’invisibile audience sia una delle quattro proprietà che danah boyd attribuisce alla comunicazione che avviene nello spazio mediato di rete.
Secondo danah boyd lo spazio mediato di rete si affianca senza sostituirlo allo spazio geografico. Mentre le distanze nello spazio geografico sono misurante in metri, nello spazio mediato di rete contano i nodi della rete sociale che devi percorrere per raggiungere la risorsa di cui hai bisogno. Lo spazio di rete è mediato nel senso che ha caratteristiche analoghe a quelle della comunicazione mediata (come ad esempio le invisible audiences e la persistence). Al tempo stesso ha una dimensione di rete grazie alla replicability (propria di tutti i contenuti digitali) e alla searchability.
Guardando alle quattro proprietà in una prospettiva storica potremmo descrivere con questo schema lo scenario della società moderna caratterizzata dall’avvento dei mezzi di comunicazione di massa fino all’avvento delle tecnologie della replicabilità digitale (anche se la replicabilità meccanica, come ci ha insegnato Walter Benjamin inizia molto prima).
Per la prima volta nella storia un gruppo limitato di persone (few) accede alla comunicazione di massa (ovvero verso un pubblico indistinto).
Non mi soffermerò qui sulle conseguenze di questo passaggio epocale perché, come noto, si tratta di uno dei fenomeni più studiati della storia dei media e della società (si veda per tutti il capitolo sul così detto piano del sociale del libro i media-mondo).
L’avvento del web ha poi reso i contenuti prodotti dai professionisti delle comunicazioni di massa ricercabili.
Si pensi, ad esempio, al caso di Google Book Search o di Google News.
Ma questo era solo l’inizio.
Poi è venuto il così detto Web 2.0 che, abbattendo i costi di produzione e distribuzione, ha portato alle masse (many) la comunicazione verso un pubblico indistinto e la ricercabilità di questi contenuti.
Penso che questa sequenza di schemi (che uso da qualche mese nelle mie presentazioni) spieghi bene il processo che abbiamo chiamato “Farsi Media” su un piano sociale.
Cosa ne pensate?
***
Lo so che avevo promesso di parlare della conferenza e-Research ’08 della scorsa settimana ma sinceramente non avevo molto da dire. L’evento si è dimostrato alquanto deludente e l’Oxford Internet Institute stesso, per quel poco che ho potuto vedere, non mi ha impressionato particolarmente. L’e-social science è in pratica l’applicazione degli strumenti computerizzati allo studio delle scienze sociali ed il risultato “sorprendente” a cui sono giunti dopo un programma di investimenti in ricerca che ci è parso molto ingente (a giudicare dai gadget che i vari progetti distribuivano) è che, applicando questi metodi, le scienze sociali si trovano ad affrontare gli stessi problemi di complessità con cui sono alle prese le discipline scientifiche dalla meccanica statistica in poi 😮
L’unico progetto degno di nota è questo social network per ricercatori: http://www.myexperiment.org/.
***
Prossimo appuntamento con What’s Next #4 è per venerdì 26 settembre.
Racconterò i dietro le quinte dell’organizzazione degli eventi della serie “Conversazioni dal Basso” ed in particolare del Festival dei Blog approfittandone per fare una riflessione più generale a partire dalle riflessioni contenute nell’ultimo libro di Clay Shirky Here Comes Everybody: The Power of Organizing Without Organizations.
Per chi non può aspettare una settimana consiglio, come al solito, di seguire FriendFeed.