Commentando questo pezzo scritto anni fa per il portale di Indire (si tratta di una sintesi di un materiale didattico completo di riferimenti bibliografici che mi avevano chiesto di produrre con tema la cultura di rete rivolto ai docenti in formazione). Nel post si afferma essenzialmente che in quell’articolo avrei usato un linguaggio troppo difficile perchè non sarei padrone dell’argomento ma la cosa che più mi interessa è una parte che riguarda il farsi media
Ma la cosa che più mi ha colpito è questa: io, in quanto autrice di blog, ambirei a farmi media. Anzi, più precisamente, mass media. Uh uh, che libidine: sono un’aspirante televisione e non lo sapevo. Peccato che non si prenda in considerazione l’ipotesi speculare, ovvero quanto la logica comunicativa dei media tradizionali possa essere influenzata da un modo diverso di proporre contenuti, dal basso. E peccato che non si consideri il fatto che ad esempio la sottoscritta, con la sua media non eccelsa di accessi, non possa pretendere altro ruolo se non quello di testimone. Io, qui, non faccio comunicazione (o meglio, faccio comunicazione a scuola, quando spiego, proponendo e filtrando nozioni e informazioni). Io, qui, testimonio un’esperienza. La mia. Che, in quanto strettamente individuale e non riducibile sic et simpliciter ad una semplificazione e generalizzazione statistiche, non è presa in considerazione altrove. Insomma: siccome i media non mi rappresentano (non mi rappresentano come donna, come madre di famiglia, come intellettuale, come insegnante) io utilizzo questo strumento (il blog) per rivendicare un’ identità altrimenti negata e sminuita. Non so se questo significhi ambire a farsi media. Di certo vuol dire contrapporsi ai media tradizionali come Davide a Golia.
In realtà la tendenza al Farsi Media non è un’ambizione ma un processo che si inneseca quando qualcuno usa un mezzo di comunicazione di massa dalla parte del produttore dei contenuti. Ovvero produce dei contenuti senza poter sapere con precisione chi ne fruirà. Questa è una caratteristica propria delle conversazioni online ma non solo. Funziona così per chi scrive libri, per i giornalisti e per tutte quelle categorie che, appunto, “conversano con le masse”.
Ora uno degli aspetti interessanti del Farsi Media è che, per la prima volta nella storia, uno strato ampio della popolazione mondiale, ha accesso ai mezzi di comunicazione di massa. E’ difficile prevedere le conseguenze di questo accesso di massa ai mezzi di comunicazione di massa ma è possibile sicuramente immaginare ipotetici effetti sul piano del sociale, su quello individuale e su quello relazionale (per chi non conoscesse questa terminologia suggerisco la lettura di i media mondo). Il pezzo che ho scritto per Indire si riferiva alle possibili conseguenze sul piano individuale. Ovvero a cosa può comportare, nel lungo periodo, questo processo rispetto alla costruzione dell’identità dell’individuo in relazione alle tecnologie.
L’ipotesi è che l’esperienza del Farsi Media possa ben esemplificare la natura autoreferenziale del processo comunicativo poichè l’autore del blog conversa con l’immagine che si è auto-costruito del suo pubblico. Fare pratica di questa forma di riflessività non è banale e può far emergere una consapevolezza del rapporto fra identità propria ed ambiente. Per dirla con Hofstadter, ci aiuta a capire che siamo degli strani anelli. Questa capacità (anche detta metacognizione) è considerata da alcune prospettive pedagogiche fra gli skills essenziali alla base dei processi di apprendimento.
Detto questo, preciso che quello che a me più interessa non sono tanto gli aspetti individuali quanto quelli sociali.
Ovvero come cambierà in seguito al Farsi Media il rapporto fra cittadini e istituzioni? Come cambierà il rapporto fra aziende e consumatori? Come co-evolveranno i media mainstream e i media non mainstream?
Proprio per questo a me interessano le conversazioni dal basso 🙂
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