What's next #8: Le impostazioni di privacy nel contesto d'uso (in Facebook e altrove)

danah boyd spiega sul suo blog alcuni segreti delle impostazioni di privacy ci Facebook ed invita gli sviluppatori a rendere più semplice e chiara la percezione di visibilità di un contenuto pubblicato da un utente. Ne scaturisce una riflessione ricca di stimoli ed una lettura istruttiva per chiunque abbia un account su un sito di social network.danah boyd spiega sul suo blog alcuni segreti delle impostazioni di privacy ci Facebook ed invita gli sviluppatori a rendere più semplice e chiara la percezione di visibilità di un contenuto pubblicato da un utente. Ne scaturisce una riflessione ricca di stimoli ed una lettura istruttiva per chiunque abbia un account su un sito di social network.danah boyd spiega sul suo blog alcuni segreti delle impostazioni di privacy ci Facebook ed invita gli sviluppatori a rendere più semplice e chiara la percezione di visibilità di un contenuto pubblicato da un utente. Ne scaturisce una riflessione ricca di stimoli ed una lettura istruttiva per chiunque abbia un account su un sito di social network.


Questo articolo è una traduzione del post pubblicato da danah boyd sul suo blog sotto il titolo “Putting Privacy Settings in the Context of Use (in Facebook and elsewhere)“.
Alcuni giorni fa gli occhi di Gilad si sono spalancati e mi ha chiamato per dare uno sguardo al suo computer. Era su Facebook ed aveva appena scoperto un buco nel sistema di privacy. Aveva massimizzato il suo news feed per ricevere quante più informazioni possibili sulle fotografie. Come risultato veniva regolarmente aggiornato quando i suoi Amici commentavano sulle foto degli altri compreso le foto di persone di cui non era amico o nello stesso network. Questo è corretto e va bene. Tuttavia ha anche scoperto che poteva cliccare su queste foto e, da lì, guardare l’intero album delle foto degli Amici dei suoi Amici. Una volta uno dei suo Amici era stato taggato in uno di questi album, lui poteva vedere l’intero album, anche se non l’intero profilo del possessore dell’album. Questo gli ha provocato una certa delirante felicità perché sentiva di poter accedere a delle fotografie alle quali non avrebbe dovuto accedere… e gli è piaciuto.
Ci sono molte spiegazioni del perché questo avvenga. Potrebbe essere un bug di Facebook. Più probabilmente si tratta del risultato delle scelte di persone che, attraverso il troppo complesso sistema di impostazioni della privacy di Facebook – che neanche Gilad conosceva – consentono alle fotografie in cui sono taggati di essere visibili agli Amici degli Amici. In entrambi i casi Gilad si è sentito come se stesse guardando foto che non erano state pensate per lui. Allo stesso modo scommetterei che gli Amici dei figli di sua sorella non immaginavano che taggando queste foto con i loro nomi avrebbero reso disponibile l’intero album al fratello.
Le impostazioni delle privacy di Facebook sono i più flessibili e confusionari dell’intera industria del settore. Più e più volte mi capita di intervistare teenagers (ed adulti) che pensano di aver scelto impostazioni di privacy che facessero una cosa e che rimangono sorpresi (e a volte spaventati) di apprendere che le impostazioni scelte fanno in realtà altro. Oltretutto, per via di cose come il tagging delle foto, la gente spesso non è a conoscenza della visibilità di un contenuto al quale non hanno direttamente contribuito.  La gente continua a mettersi nei casini perché manca il controllo che pensano di avere. E questo non riguarda solo i ragazzini. Maestri e professori  -siete proprio sicuri che le foto che i vostri amici taggano a vostro nome non siano visibili ai vostri studenti? Genitori – So che molti di voi si sono fatti un profilo per ficcare il naso nelle vite dei vostri figli… ora che i vostri ex-compagni di scuola delle superiori sono anche loro dentro non saranno mica i vostri figli a ficcare il naso nelle vostre? Le dinamiche di potere sono bastarde che tu abbia 16 o 40 anni.
Perché le impostazioni della privacy rimangono un processo astratto rimosso dal contesto del contenuto stesso? Le impostazioni della privacy non dovrebbero riguardare solo il controllo; dovrebbero essere una combinazione di consapevolezza, contesto e controllo. Bisognerebbe essere in grado di conoscere la visibilità di un atto al momento in cui esso è compiuto e quando si accede alle tracce dello stesso.
Sviluppatori di tecnologie… vi imploro…. mettere le informazioni di privacy nel contesto del contenuto stesso. Quando pubblico una foto in un album fatemi vedere una lista di TUTTI quelli che possono vedere quella foto. Quando guardo una foto in un profilo di qualcuno fatemi vedere l’elenco di tutti quelli che possono vedere quella foto prima che lasci un commento. Non riuscirete a far comprendere alla gente le dimensioni della visibilità facendogli modulare alcune impostazioni di privacy ogni qualche mese non avendo idea di cosa “Amici degli Amici” significhi in realtà. Se esistessero queste impostazioni ed uno potesse sapere prima di caricare una foto che essa sarà visibile a 5.000 persone inclusi 10 ex-amanti ci penserebbe due volte prima di farlo. Oppure andrebbero a cambiare le impostazioni di privacy.
In un mondo ideale nel quale un accesso complesso al controllo non distruggerebbe un database, avrei suggerito un sistema grazie al quale essere in grado di modificare la lista delle persone che possono accedere ad un particolare contenuto al momento del caricamento. Quindi se io posto una foto e mi accorgo che è visibile a 100 persone, potrei scorrere manualmente la lista e rimuovere 10 di queste persone senza dover creare un gruppo specifico formato da tutti meno quelli che intendo escludere. So che questo significa un disastro in un database e che non posso chiederlo… ancora. Dovremmo rendere funzioni combinatorie su grandi numeri computabili in tempi ragionevoli, giusto? ::wink:: Nel frattempo fatemi vedere almeno il livello di visibilità e datemi la possibilità di modificare le mie impostazioni generali nel contesto d’uso.
Francamente… non comprendo perché le aziende che producono sistemi informatici non lo facciano. È perché non volete che i vostri utenti scoprano quanto visibili i loro contenuti siano? È perché i vostri database relazionali sono diretti e ciò rende questa lista faticosa da calcolare? O ci sono altre ragioni che non riesco ad immaginare? Ma seriamente, se volete porre un freno a questo disastro sociale che deriva dal fatto che le persone scelgano in modo errato le loro impostazioni di privacy, perché non mettere queste informazioni nel contesto? Perché non fargli vedere quanto visibili siano i loro atti mettendo a disposizione un sistema di feedback che gli faccia vedere cosa sta succedendo? Per favore ditemi perché questo non è un approccio razionale!
Nel frattempo… per tutti gli altri… avete dato uno sguardo alle vostre impostazioni delle privacy di recente? Volete veramente che il vostro profilo venga fuori per primo quando la gente cerca il vostro nome su Google? Volete veramente che quelle foto taggate con il vostro nome siano visibili agli amici degli amici? O il vostro status update visibile a tutte le vostre network? Pensateci. Guardate le vostre impostazioni. Le vostre aspettative corrispondono a quello che queste impostazioni dicono?

Questo articolo è una traduzione del post pubblicato da danah boyd sul suo blog sotto il titolo “Putting Privacy Settings in the Context of Use (in Facebook and elsewhere)“.

Alcuni giorni fa gli occhi di Gilad si sono spalancati e mi ha chiamato per dare uno sguardo al suo computer. Era su Facebook ed aveva appena scoperto un buco nel sistema di privacy. Aveva massimizzato il suo news feed per ricevere quante più informazioni possibili sulle fotografie. Come risultato veniva regolarmente aggiornato quando i suoi Amici commentavano sulle foto degli altri compreso le foto di persone di cui non era amico o nello stesso network. Questo è corretto e va bene. Tuttavia ha anche scoperto che poteva cliccare su queste foto e, da lì, guardare l’intero album delle foto degli Amici dei suoi Amici. Una volta uno dei suo Amici era stato taggato in uno di questi album, lui poteva vedere l’intero album, anche se non l’intero profilo del possessore dell’album. Questo gli ha provocato una certa delirante felicità perché sentiva di poter accedere a delle fotografie alle quali non avrebbe dovuto accedere… e gli è piaciuto.

Ci sono molte spiegazioni del perché questo avvenga. Potrebbe essere un bug di Facebook. Più probabilmente si tratta del risultato delle scelte di persone che, attraverso il troppo complesso sistema di impostazioni della privacy di Facebook – che neanche Gilad conosceva – consentono alle fotografie in cui sono taggati di essere visibili agli Amici degli Amici. In entrambi i casi Gilad si è sentito come se stesse guardando foto che non erano state pensate per lui. Allo stesso modo scommetterei che gli Amici dei figli di sua sorella non immaginavano che taggando queste foto con i loro nomi avrebbero reso disponibile l’intero album al fratello.

Le impostazioni delle privacy di Facebook sono i più flessibili e confusionari dell’intera industria del settore. Più e più volte mi capita di intervistare teenagers (ed adulti) che pensano di aver scelto impostazioni di privacy che facessero una cosa e che rimangono sorpresi (e a volte spaventati) di apprendere che le impostazioni scelte fanno in realtà altro. Oltretutto, per via di cose come il tagging delle foto, la gente spesso non è a conoscenza della visibilità di un contenuto al quale non hanno direttamente contribuito.  La gente continua a mettersi nei casini perché manca il controllo che pensano di avere. E questo non riguarda solo i ragazzini. Maestri e professori  -siete proprio sicuri che le foto che i vostri amici taggano a vostro nome non siano visibili ai vostri studenti? Genitori – So che molti di voi si sono fatti un profilo per ficcare il naso nelle vite dei vostri figli… ora che i vostri ex-compagni di scuola delle superiori sono anche loro dentro non saranno mica i vostri figli a ficcare il naso nelle vostre? Le dinamiche di potere sono bastarde che tu abbia 16 o 40 anni.

Perché le impostazioni della privacy rimangono un processo astratto rimosso dal contesto del contenuto stesso? Le impostazioni della privacy non dovrebbero riguardare solo il controllo; dovrebbero essere una combinazione di consapevolezza, contesto e controllo. Bisognerebbe essere in grado di conoscere la visibilità di un atto al momento in cui esso è compiuto e quando si accede alle tracce dello stesso.

Sviluppatori di tecnologie… vi imploro…. mettere le informazioni di privacy nel contesto del contenuto stesso. Quando pubblico una foto in un album fatemi vedere una lista di TUTTI quelli che possono vedere quella foto. Quando guardo una foto in un profilo di qualcuno fatemi vedere l’elenco di tutti quelli che possono vedere quella foto prima che lasci un commento. Non riuscirete a far comprendere alla gente le dimensioni della visibilità facendogli modulare alcune impostazioni di privacy ogni qualche mese non avendo idea di cosa “Amici degli Amici” significhi in realtà. Se esistessero queste impostazioni ed uno potesse sapere prima di caricare una foto che essa sarà visibile a 5.000 persone inclusi 10 ex-amanti ci penserebbe due volte prima di farlo. Oppure andrebbero a cambiare le impostazioni di privacy.

In un mondo ideale nel quale un accesso complesso al controllo non distruggerebbe un database, avrei suggerito un sistema grazie al quale essere in grado di modificare la lista delle persone che possono accedere ad un particolare contenuto al momento del caricamento. Quindi se io posto una foto e mi accorgo che è visibile a 100 persone, potrei scorrere manualmente la lista e rimuovere 10 di queste persone senza dover creare un gruppo specifico formato da tutti meno quelli che intendo escludere. So che questo significa un disastro in un database e che non posso chiederlo… ancora. Dovremmo rendere funzioni combinatorie su grandi numeri computabili in tempi ragionevoli, giusto? ::wink:: Nel frattempo fatemi vedere almeno il livello di visibilità e datemi la possibilità di modificare le mie impostazioni generali nel contesto d’uso.

Francamente… non comprendo perché le aziende che producono sistemi informatici non lo facciano. È perché non volete che i vostri utenti scoprano quanto visibili i loro contenuti siano? È perché i vostri database relazionali sono diretti e ciò rende questa lista faticosa da calcolare? O ci sono altre ragioni che non riesco ad immaginare? Ma seriamente, se volete porre un freno a questo disastro sociale che deriva dal fatto che le persone scelgano in modo errato le loro impostazioni di privacy, perché non mettere queste informazioni nel contesto? Perché non fargli vedere quanto visibili siano i loro atti mettendo a disposizione un sistema di feedback che gli faccia vedere cosa sta succedendo? Per favore ditemi perché questo non è un approccio razionale!

Nel frattempo… per tutti gli altri… avete dato uno sguardo alle vostre impostazioni delle privacy di recente? Volete veramente che il vostro profilo venga fuori per primo quando la gente cerca il vostro nome su Google? Volete veramente che quelle foto taggate con il vostro nome siano visibili agli amici degli amici? O il vostro status update visibile a tutte le vostre network? Pensateci. Guardate le vostre impostazioni. Le vostre aspettative corrispondono a quello che queste impostazioni dicono?

Questo articolo è una traduzione del post pubblicato da danah boyd sul suo blog sotto il titolo “Putting Privacy Settings in the Context of Use (in Facebook and elsewhere)“.

Alcuni giorni fa gli occhi di Gilad si sono spalancati e mi ha chiamato per dare uno sguardo al suo computer. Era su Facebook ed aveva appena scoperto un buco nel sistema di privacy. Aveva massimizzato il suo news feed per ricevere quante più informazioni possibili sulle fotografie. Come risultato veniva regolarmente aggiornato quando i suoi Amici commentavano sulle foto degli altri compreso le foto di persone di cui non era amico o nello stesso network. Questo è corretto e va bene. Tuttavia ha anche scoperto che poteva cliccare su queste foto e, da lì, guardare l’intero album delle foto degli Amici dei suoi Amici. Una volta uno dei suo Amici era stato taggato in uno di questi album, lui poteva vedere l’intero album, anche se non l’intero profilo del possessore dell’album. Questo gli ha provocato una certa delirante felicità perché sentiva di poter accedere a delle fotografie alle quali non avrebbe dovuto accedere… e gli è piaciuto.

Ci sono molte spiegazioni del perché questo avvenga. Potrebbe essere un bug di Facebook. Più probabilmente si tratta del risultato delle scelte di persone che, attraverso il troppo complesso sistema di impostazioni della privacy di Facebook – che neanche Gilad conosceva – consentono alle fotografie in cui sono taggati di essere visibili agli Amici degli Amici. In entrambi i casi Gilad si è sentito come se stesse guardando foto che non erano state pensate per lui. Allo stesso modo scommetterei che gli Amici dei figli di sua sorella non immaginavano che taggando queste foto con i loro nomi avrebbero reso disponibile l’intero album al fratello.

Le impostazioni delle privacy di Facebook sono i più flessibili e confusionari dell’intera industria del settore. Più e più volte mi capita di intervistare teenagers (ed adulti) che pensano di aver scelto impostazioni di privacy che facessero una cosa e che rimangono sorpresi (e a volte spaventati) di apprendere che le impostazioni scelte fanno in realtà altro. Oltretutto, per via di cose come il tagging delle foto, la gente spesso non è a conoscenza della visibilità di un contenuto al quale non hanno direttamente contribuito.  La gente continua a mettersi nei casini perché manca il controllo che pensano di avere. E questo non riguarda solo i ragazzini. Maestri e professori  -siete proprio sicuri che le foto che i vostri amici taggano a vostro nome non siano visibili ai vostri studenti? Genitori – So che molti di voi si sono fatti un profilo per ficcare il naso nelle vite dei vostri figli… ora che i vostri ex-compagni di scuola delle superiori sono anche loro dentro non saranno mica i vostri figli a ficcare il naso nelle vostre? Le dinamiche di potere sono bastarde che tu abbia 16 o 40 anni.

Perché le impostazioni della privacy rimangono un processo astratto rimosso dal contesto del contenuto stesso? Le impostazioni della privacy non dovrebbero riguardare solo il controllo; dovrebbero essere una combinazione di consapevolezza, contesto e controllo. Bisognerebbe essere in grado di conoscere la visibilità di un atto al momento in cui esso è compiuto e quando si accede alle tracce dello stesso.

Sviluppatori di tecnologie… vi imploro…. mettere le informazioni di privacy nel contesto del contenuto stesso. Quando pubblico una foto in un album fatemi vedere una lista di TUTTI quelli che possono vedere quella foto. Quando guardo una foto in un profilo di qualcuno fatemi vedere l’elenco di tutti quelli che possono vedere quella foto prima che lasci un commento. Non riuscirete a far comprendere alla gente le dimensioni della visibilità facendogli modulare alcune impostazioni di privacy ogni qualche mese non avendo idea di cosa “Amici degli Amici” significhi in realtà. Se esistessero queste impostazioni ed uno potesse sapere prima di caricare una foto che essa sarà visibile a 5.000 persone inclusi 10 ex-amanti ci penserebbe due volte prima di farlo. Oppure andrebbero a cambiare le impostazioni di privacy.

In un mondo ideale nel quale un accesso complesso al controllo non distruggerebbe un database, avrei suggerito un sistema grazie al quale essere in grado di modificare la lista delle persone che possono accedere ad un particolare contenuto al momento del caricamento. Quindi se io posto una foto e mi accorgo che è visibile a 100 persone, potrei scorrere manualmente la lista e rimuovere 10 di queste persone senza dover creare un gruppo specifico formato da tutti meno quelli che intendo escludere. So che questo significa un disastro in un database e che non posso chiederlo… ancora. Dovremmo rendere funzioni combinatorie su grandi numeri computabili in tempi ragionevoli, giusto? ::wink:: Nel frattempo fatemi vedere almeno il livello di visibilità e datemi la possibilità di modificare le mie impostazioni generali nel contesto d’uso.

Francamente… non comprendo perché le aziende che producono sistemi informatici non lo facciano. È perché non volete che i vostri utenti scoprano quanto visibili i loro contenuti siano? È perché i vostri database relazionali sono diretti e ciò rende questa lista faticosa da calcolare? O ci sono altre ragioni che non riesco ad immaginare? Ma seriamente, se volete porre un freno a questo disastro sociale che deriva dal fatto che le persone scelgano in modo errato le loro impostazioni di privacy, perché non mettere queste informazioni nel contesto? Perché non fargli vedere quanto visibili siano i loro atti mettendo a disposizione un sistema di feedback che gli faccia vedere cosa sta succedendo? Per favore ditemi perché questo non è un approccio razionale!

Nel frattempo… per tutti gli altri… avete dato uno sguardo alle vostre impostazioni delle privacy di recente? Volete veramente che il vostro profilo venga fuori per primo quando la gente cerca il vostro nome su Google? Volete veramente che quelle foto taggate con il vostro nome siano visibili agli amici degli amici? O il vostro status update visibile a tutte le vostre network? Pensateci. Guardate le vostre impostazioni. Le vostre aspettative corrispondono a quello che queste impostazioni dicono?

What's next #7: Ripensare le comunità, ripensare i luoghi

La scorsa settimana, dal 15 al 18 Ottobre, si è svolto a Copenaghen la nona edizione del convegno annuale dell’associazione dei ricercatori che studiano Internet. Detto così potrebbe sembrare una delle tante conferenze più o meno interessanti che si organizzano in tutto il mondo ma basta dare un rapido sguardo al programma per capire fin dai titoli degli interventi e dai nomi dei partecipanti l’importanza e l’imponenza di questo evento.
Gli oltre 400 paper, organizzati in 10 panel e/o tavole rotonde contemporanee, mi hanno spesso creato un piacevole senso di imbarazzo della scelta. Ho cercato di seguire tutto quanto aveva a che fare con i siti di social network rinunciando a malincuore ai panel sulle fan culture e sulla società civile e la politica in generale.
Fra i nomi (a me noti e senza contare gli amici) presenti fra i partecipanti Mia Consalvo, Amanda Lenhart, Leslie Haddon, Sonia Livingstone, Jean Burgess e TL Taylor.
Dei tre keynote ho seguito e registrato per voi quello di Mimi Ito.

P.S. Noto solo adesos che nel Wiki della conferenza ci sono diversi link che fanno da utile contesto a questo video: http://wiki.aoir.org/index.php?title=Ir9-K1_Mimi_Ito_Keynote

La scorsa settimana, dal 15 al 18 Ottobre, si è svolto a Copenaghen la nona edizione del convegno annuale dell’associazione dei ricercatori che studiano Internet. Detto così potrebbe sembrare una delle tante conferenze più o meno interessanti che si organizzano in tutto il mondo ma basta dare un rapido sguardo al programma per capire fin dai titoli degli interventi e dai nomi dei partecipanti l’importanza e l’imponenza di questo evento.

Gli oltre 400 paper, organizzati in 10 panel e/o tavole rotonde contemporanee, mi hanno spesso creato un piacevole senso di imbarazzo della scelta. Ho cercato di seguire tutto quanto aveva a che fare con i siti di social network rinunciando a malincuore ai panel sulle fan culture e sulla società civile e la politica in generale.

Fra i nomi (a me noti e senza contare gli amici) presenti fra i partecipanti Mia Consalvo, Amanda Lenhart, Leslie Haddon, Sonia Livingstone, Jean Burgess e TL Taylor.

Dei tre keynote ho seguito e registrato per voi quello di Mimi Ito.

P.S. Noto solo adesos che nel Wiki della conferenza ci sono diversi link che fanno da utile contesto a questo video: http://wiki.aoir.org/index.php?title=Ir9-K1_Mimi_Ito_Keynote

La scorsa settimana, dal 15 al 18 Ottobre, si è svolto a Copenaghen la nona edizione del convegno annuale dell’associazione dei ricercatori che studiano Internet. Detto così potrebbe sembrare una delle tante conferenze più o meno interessanti che si organizzano in tutto il mondo ma basta dare un rapido sguardo al programma per capire fin dai titoli degli interventi e dai nomi dei partecipanti l’importanza e l’imponenza di questo evento.

Gli oltre 400 paper, organizzati in 10 panel e/o tavole rotonde contemporanee, mi hanno spesso creato un piacevole senso di imbarazzo della scelta. Ho cercato di seguire tutto quanto aveva a che fare con i siti di social network rinunciando a malincuore ai panel sulle fan culture e sulla società civile e la politica in generale.

Fra i nomi (a me noti e senza contare gli amici) presenti fra i partecipanti Mia Consalvo, Amanda Lenhart, Leslie Haddon, Sonia Livingstone, Jean Burgess e TL Taylor.

Dei tre keynote ho seguito e registrato per voi quello di Mimi Ito.

P.S. Noto solo adesos che nel Wiki della conferenza ci sono diversi link che fanno da utile contesto a questo video: http://wiki.aoir.org/index.php?title=Ir9-K1_Mimi_Ito_Keynote

What's next #6: Previously on What's Next

Faccio di necessità virtù e mando in onda un riassunto delle puntate precedenti. Per mancanza di tempo il What’s Next di questa settimana è sostituito dall’intervista che Antonio Sofi mi ha gentilemente fatto per la sua rubrica Quinta di Copertina. Il tema è Facebook, la privacy e la (quasi) morte dei blog.Faccio di necessità virtù e mando in onda un riassunto delle puntate precedenti. Per mancanza di tempo il What’s Next di questa settimana è sostituito dall’intervista che Antonio Sofi mi ha gentilemente fatto per la sua rubrica Quinta di Copertina. Il tema è Facebook, la privacy e la (quasi) morte dei blog.Faccio di necessità virtù e mando in onda un riassunto delle puntate precedenti. Per mancanza di tempo il What’s Next di questa settimana è sostituito dall’intervista che Antonio Sofi mi ha gentilemente fatto per la sua rubrica Quinta di Copertina. Il tema è Facebook, la privacy e la (quasi) morte dei blog.

Faccio di necessità virtù e mando in onda un riassunto delle puntate precedenti. Per mancanza di tempo il What’s Next di questa settimana è sostituito dall’intervista che Antonio Sofi mi ha gentilemente fatto per la sua rubrica Quinta di Copertina. Il tema è Facebook, la privacy e la (quasi) morte dei blog.
Buon ascolto.

Faccio di necessità virtù e mando in onda un riassunto delle puntate precedenti. Per mancanza di tempo il What’s Next di questa settimana è sostituito dall’intervista che Antonio Sofi mi ha gentilemente fatto per la sua rubrica Quinta di Copertina. Il tema è Facebook, la privacy e la (quasi) morte dei blog.

Buon ascolto.

Faccio di necessità virtù e mando in onda un riassunto delle puntate precedenti. Per mancanza di tempo il What’s Next di questa settimana è sostituito dall’intervista che Antonio Sofi mi ha gentilemente fatto per la sua rubrica Quinta di Copertina. Il tema è Facebook, la privacy e la (quasi) morte dei blog.

Buon ascolto.

What's next #5: Io, il mio spazio ed il pubblico invisibile. La privacy in Facebook

Molti giovani abbandonano i blog per i siti di social network alla ricerca di una paradossale privacy nello spazio mediato di rete. Ma è veramente garantita la privacy su siti di social network come Badoo e Facebook?Molti giovani abbandonano i blog per i siti di social network alla ricerca di una paradossale privacy nello spazio mediato di rete. Ma è veramente garantita la privacy su siti di social network come Badoo e Facebook?Molti giovani abbandonano i blog per i siti di social network alla ricerca di una paradossale privacy nello spazio mediato di rete. Ma è veramente garantita la privacy su siti di social network come Badoo e Facebook?

Nel corso del mese di settembre gli italiani su Facebook sono più che raddoppiati passando dai 600.000 di fine agosto a oltre 1.200.000 (alla data di stesura di questo articolo).

Sul successo globale dei siti di social network esistono alcune ipotesi ed alcune credenze popolari (ovvero del MySpace per adulti). Fra le più note c’è l’ipotesi formulata più volte da danah boyd che spiegherebbe il perché i teenager americani hanno aperto in massa una pagina su MySpace (per poi migrare verso Facebook).

In pratica l’idea è che i siti di social network (SNSs) siano parte di una strategia, in parte inconsapevole, per assolvere il naturale bisogno dei ragazzi di socializzare fra pari sfuggendo al controllo dei genitori. L’opzione di socializzare online, afferma danah, diventa ancora più impellente quando il controllo dei genitori e degli adulti in genere, preoccupati per la sicurezza dei propri figli, si spinge fino a limitare le tradizionali uscite di casa da soli e le visite a casa di amici e compagni di classe (si veda nel box un estratto di una delle interviste realizzate con i teenagers dalla ricercatrice americana).

Amy (16, Seattle): My mom doesn’t let me out of the house very often, so that’s pretty much all I do, is I sit on MySpace and talk to people and text and talk on the phone, cause my mom’s always got some crazy reason to keep me in the house.

Jordan (15, Austin): See, I’m not [allowed outside] so much. My mom’s from Mexico and like – it’s like completely like different.
danah: Why?
Jordan: I don’t know. It’s just like she thinks I’ll get kidnapped.

(boyd, danah. 2008. “Teen Socialization Practices in Networked Publics.” MacAthur Forum, Palo Alto, California, April 23.)

La percezione di essere fra amici che offrono i SNSs è piuttosto forte. Il paragone che viene più facilmente in mente è quello con una classica homepage personale o un blog. Se dal punto di vista teorico è piuttosto chiaro che i contenuti pubblicati su Internet sono esposti ad un pubblico indistinto, non è altrettanto chiaro quanto questa percezione di essere esposti ad un pubblico sconosciuto ed inconoscibile sia diffusa fra chi pubblica contenuti sul web (in particolare fra i giovani che lo fanno più spesso ed in modo sistematico).

L’ipotesi che ho formulato come corollario a quanto affermato da danah boyd è che in una fase iniziale di domesticazione dell’uso del web la percezione di avere fra le mani un “mezzo di comunicazione di massa per le masse” sia molto labile. In pratica la stragrande maggioranza di chi pubblica in rete i propri contenuti non ha una chiara sensazione di quanto questi contenuti siano pubblici. Si tratta di una fase di domesticazione che è, nel caso specifico del web, sociale ed individuale al tempo stesso. Per la prima volta nella storia siamo infatti di fronte ad una generazione di adulti (genitori ed insegnanti) che, a causa della rapidità dello sviluppo tecnologico, non appare in grado di accompagnare i giovani verso un uso maturo del mezzo.

In questo scenario l’apprendimento sull’uso maturo della rete avviene essenzialmente fra pari e spesso si basa su prove ed errori che grazie alla natura potenzialmente epidemica della diffusione dell’informazione sul web passo rapidamente da esperienze personali a “coscienza collettiva generazionale”. Lo shock di scoprire che un adulto (genitori, insegnanti, capo, media o uomini di marketing –  per non parlare dei malintenzionati) può accedere facilmente al tuo blog e alla tue fotografie provoca una forma di apprendimento istantanea della nozione di  pubblico indistinto nello spazio mediato di rete.

Capire che pubblicare in rete (in siti non protetti da password) i propri contenuti significa esporli ad un pubblico imprevedibile è uno degli skills fondamentali della new media literacy.

Ma cosa avviene quando il bisogno di socializzare fra pari nello spazio mediato di rete si accompagna a questa consapevolezza?

Si cercano spazi dove pubblicare i propri contenuti restringendo l’accesso solo ai propri amici.

Spazi come MySpace e Facebook e gli altri SNSs.

Pensate a quanto è evocativo in questo senso il nome MySpace (il MIO spazio) o all’importanza che hanno le impostazione per la gestione della privacy sui contenuti del proprio profilo nella nuova interfaccia di Facebook.

Ben inteso che la fuga verso i SNSs non risolve di per sé il problema/possibilità del pubblico indistinto. Nelle impostazioni iniziali di un profilo di Facebook, ad esempio, i contenuti pubblicati sono accessibili tanto ai propri amici, quanto al Network di cui si sceglie di essere parte (anche se inizialmente non si è parte di alcun network). Al tempo stesso è evidente che tutti i livelli di privacy disponibili in questi siti offrono, a patto di comprenderne l’utilizzo e sulla carta, un elevato grado di protezione dei propri contenuti.

Al tempo stesso non va dimenticato che il pubblico indistinto è anche a fondamento delle capacità trasformative del web. Le band emergenti che usano MySpace per promuovere i propri brani, ad esempio, sfruttano proprio le potenzialità connesse al pubblico indistinto ed ai “mezzi di comunicazione di massa per le masse”.

Ma esporsi ad un pubblico indistinto può anche suscitare un certo fascino. Limitando l’accesso al proprio profilo alle sole persone che si conoscono già, ci si preclude per scelta la possibilità che qualcuno che non ci conosce possa interessarsi a noi per via delle informazioni disponibili sul nostro profilo. Questo può valere tanto nel campo lavorativo quanto in quello del dating.

Non esiste dunque una ricetta unica. Quello che appare invece necessario è comprendere l’esistenza del pubblico indistinto e sulla base di questa consapevolezza e dei propri obiettivi scegliere, eventualmente caso per caso e SNS per SNS, il grado di esposizione al pubblico indistinto che si desidera.

Ancora una volta il mezzo in sé non risolve problemi se non se ne fa un uso consapevole.

A ulteriore corollario di questa ipotesi letta in relazione alla situazione italiana ho formulato alcune considerazioni sulle differenze di approccio ai problemi della privacy che avrebbero gli utenti italiani di Facebook e Badoo.

A questo scopo ho costruito un breve questionario per validare o meno la mia idea.

Il questionario è stato già compilato in pochissimi giorni da oltre cento persone. Mi piacerebbe arrivare a 2000 possibilmente equamente distribuiti fra utenti di Facebook e Badoo.

So che non è facile e per questo vi chiedo di collaborare attivamente alla diffusione del questionario attraverso i vostri blog e reti sociali.

Ci sono un paio di modi per farlo.

1) Pop up code (da inserire sul vostro blog):

2) Facendo circolare attraverso Facebook, Twitter o qualsiasi altro social network il seguente link: http://www.surveymonkey.com/s.aspx?sm=SBft_2bRdjLsy2zE6W140Qaw_3d_3d.

Vi ringrazio in anticipo per la collaborazione. Il prossimo appuntamento con What’s next #6 sarà venerdì 10 ottobre. Con alcuni amici poi ci vediamo lo stesso giorno anche di persona per il Festival dei Blog. Se non potete aspettare fino al 10 potete sempre dare uno sguardo di tanto in tanto a friendfeed.

Nel corso del mese di settembre gli italiani su Facebook sono più che raddoppiati passando dai 600.000 di fine agosto a oltre 1.200.000 (alla data di stesura di questo articolo).

Sul successo globale dei siti di social network esistono alcune ipotesi ed alcune credenze popolari (ovvero del MySpace per adulti). Fra le più note c’è l’ipotesi formulata più volte da danah boyd che spiegherebbe il perché i teenager americani hanno aperto in massa una pagina su MySpace (per poi migrare verso Facebook).

In pratica l’idea è che i siti di social network (SNSs) siano parte di una strategia, in parte inconsapevole, per assolvere il naturale bisogno dei ragazzi di socializzare fra pari sfuggendo al controllo dei genitori. L’opzione di socializzare online, afferma danah, diventa ancora più impellente quando il controllo dei genitori e degli adulti in genere, preoccupati per la sicurezza dei propri figli, si spinge fino a limitare le tradizionali uscite di casa da soli e le visite a casa di amici e compagni di classe (si veda nel box un estratto di una delle interviste realizzate con i teenagers dalla ricercatrice americana).

Amy (16, Seattle): My mom doesn’t let me out of the house very often, so that’s pretty much all I do, is I sit on MySpace and talk to people and text and talk on the phone, cause my mom’s always got some crazy reason to keep me in the house.

Jordan (15, Austin): See, I’m not [allowed outside] so much. My mom’s from Mexico and like – it’s like completely like different.
danah: Why?
Jordan: I don’t know. It’s just like she thinks I’ll get kidnapped.

(boyd, danah. 2008. “Teen Socialization Practices in Networked Publics.” MacAthur Forum, Palo Alto, California, April 23.)

La percezione di essere fra amici che offrono i SNSs è piuttosto forte. Il paragone che viene più facilmente in mente è quello con una classica homepage personale o un blog. Se dal punto di vista teorico è piuttosto chiaro che i contenuti pubblicati su Internet sono esposti ad un pubblico indistinto, non è altrettanto chiaro quanto questa percezione di essere esposti ad un pubblico sconosciuto ed inconoscibile sia diffusa fra chi pubblica contenuti sul web (in particolare fra i giovani che lo fanno più spesso ed in modo sistematico).

L’ipotesi che ho formulato come corollario a quanto affermato da danah boyd è che in una fase iniziale di domesticazione dell’uso del web la percezione di avere fra le mani un “mezzo di comunicazione di massa per le masse” sia molto labile. In pratica la stragrande maggioranza di chi pubblica in rete i propri contenuti non ha una chiara sensazione di quanto questi contenuti siano pubblici. Si tratta di una fase di domesticazione che è, nel caso specifico del web, sociale ed individuale al tempo stesso. Per la prima volta nella storia siamo infatti di fronte ad una generazione di adulti (genitori ed insegnanti) che, a causa della rapidità dello sviluppo tecnologico, non appare in grado di accompagnare i giovani verso un uso maturo del mezzo.

In questo scenario l’apprendimento sull’uso maturo della rete avviene essenzialmente fra pari e spesso si basa su prove ed errori che grazie alla natura potenzialmente epidemica della diffusione dell’informazione sul web passo rapidamente da esperienze personali a “coscienza collettiva generazionale”. Lo shock di scoprire che un adulto (genitori, insegnanti, capo, media o uomini di marketing –  per non parlare dei malintenzionati) può accedere facilmente al tuo blog e alla tue fotografie provoca una forma di apprendimento istantanea della nozione di  pubblico indistinto nello spazio mediato di rete.

Capire che pubblicare in rete (in siti non protetti da password) i propri contenuti significa esporli ad un pubblico imprevedibile è uno degli skills fondamentali della new media literacy.

Ma cosa avviene quando il bisogno di socializzare fra pari nello spazio mediato di rete si accompagna a questa consapevolezza?

Si cercano spazi dove pubblicare i propri contenuti restringendo l’accesso solo ai propri amici.

Spazi come MySpace e Facebook e gli altri SNSs.

Pensate a quanto è evocativo in questo senso il nome MySpace (il MIO spazio) o all’importanza che hanno le impostazione per la gestione della privacy sui contenuti del proprio profilo nella nuova interfaccia di Facebook.

Ben inteso che la fuga verso i SNSs non risolve di per sé il problema/possibilità del pubblico indistinto. Nelle impostazioni iniziali di un profilo di Facebook, ad esempio, i contenuti pubblicati sono accessibili tanto ai propri amici, quanto al Network di cui si sceglie di essere parte (anche se inizialmente non si è parte di alcun network). Al tempo stesso è evidente che tutti i livelli di privacy disponibili in questi siti offrono, a patto di comprenderne l’utilizzo e sulla carta, un elevato grado di protezione dei propri contenuti.

Al tempo stesso non va dimenticato che il pubblico indistinto è anche a fondamento delle capacità trasformative del web. Le band emergenti che usano MySpace per promuovere i propri brani, ad esempio, sfruttano proprio le potenzialità connesse al pubblico indistinto ed ai “mezzi di comunicazione di massa per le masse”.

Ma esporsi ad un pubblico indistinto può anche suscitare un certo fascino. Limitando l’accesso al proprio profilo alle sole persone che si conoscono già, ci si preclude per scelta la possibilità che qualcuno che non ci conosce possa interessarsi a noi per via delle informazioni disponibili sul nostro profilo. Questo può valere tanto nel campo lavorativo quanto in quello del dating.

Non esiste dunque una ricetta unica. Quello che appare invece necessario è comprendere l’esistenza del pubblico indistinto e sulla base di questa consapevolezza e dei propri obiettivi scegliere, eventualmente caso per caso e SNS per SNS, il grado di esposizione al pubblico indistinto che si desidera.

Ancora una volta il mezzo in sé non risolve problemi se non se ne fa un uso consapevole.

A ulteriore corollario di questa ipotesi letta in relazione alla situazione italiana ho formulato alcune considerazioni sulle differenze di approccio ai problemi della privacy che avrebbero gli utenti italiani di Facebook e Badoo.

A questo scopo ho costruito un breve questionario per validare o meno la mia idea.

Il questionario è stato già compilato in pochissimi giorni da oltre cento persone. Mi piacerebbe arrivare a 2000 possibilmente equamente distribuiti fra utenti di Facebook e Badoo.

So che non è facile e per questo vi chiedo di collaborare attivamente alla diffusione del questionario attraverso i vostri blog e reti sociali.

Ci sono un paio di modi per farlo.

1) Pop up code (da inserire sul vostro blog):

2) Facendo circolare attraverso Facebook, Twitter o qualsiasi altro social network il seguente link: http://www.surveymonkey.com/s.aspx?sm=SBft_2bRdjLsy2zE6W140Qaw_3d_3d.

Vi ringrazio in anticipo per la collaborazione. Il prossimo appuntamento con What’s next #6 sarà venerdì 10 ottobre. Con alcuni amici poi ci vediamo lo stesso giorno anche di persona per il Festival dei Blog. Se non potete aspettare fino al 10 potete sempre dare uno sguardo di tanto in tanto a friendfeed.

Nel corso del mese di settembre gli italiani su Facebook sono più che raddoppiati passando dai 600.000 di fine agosto a oltre 1.200.000 (alla data di stesura di questo articolo).

Sul successo globale dei siti di social network esistono alcune ipotesi ed alcune credenze popolari (ovvero del MySpace per adulti). Fra le più note c’è l’ipotesi formulata più volte da danah boyd che spiegherebbe il perché i teenager americani hanno aperto in massa una pagina su MySpace (per poi migrare verso Facebook).

In pratica l’idea è che i siti di social network (SNSs) siano parte di una strategia, in parte inconsapevole, per assolvere il naturale bisogno dei ragazzi di socializzare fra pari sfuggendo al controllo dei genitori. L’opzione di socializzare online, afferma danah, diventa ancora più impellente quando il controllo dei genitori e degli adulti in genere, preoccupati per la sicurezza dei propri figli, si spinge fino a limitare le tradizionali uscite di casa da soli e le visite a casa di amici e compagni di classe (si veda nel box un estratto di una delle interviste realizzate con i teenagers dalla ricercatrice americana).

Amy (16, Seattle): My mom doesn’t let me out of the house very often, so that’s pretty much all I do, is I sit on MySpace and talk to people and text and talk on the phone, cause my mom’s always got some crazy reason to keep me in the house.

Jordan (15, Austin): See, I’m not [allowed outside] so much. My mom’s from Mexico and like – it’s like completely like different.
danah: Why?
Jordan: I don’t know. It’s just like she thinks I’ll get kidnapped.

(boyd, danah. 2008. “Teen Socialization Practices in Networked Publics.” MacAthur Forum, Palo Alto, California, April 23.)

La percezione di essere fra amici che offrono i SNSs è piuttosto forte. Il paragone che viene più facilmente in mente è quello con una classica homepage personale o un blog. Se dal punto di vista teorico è piuttosto chiaro che i contenuti pubblicati su Internet sono esposti ad un pubblico indistinto, non è altrettanto chiaro quanto questa percezione di essere esposti ad un pubblico sconosciuto ed inconoscibile sia diffusa fra chi pubblica contenuti sul web (in particolare fra i giovani che lo fanno più spesso ed in modo sistematico).

L’ipotesi che ho formulato come corollario a quanto affermato da danah boyd è che in una fase iniziale di domesticazione dell’uso del web la percezione di avere fra le mani un “mezzo di comunicazione di massa per le masse” sia molto labile. In pratica la stragrande maggioranza di chi pubblica in rete i propri contenuti non ha una chiara sensazione di quanto questi contenuti siano pubblici. Si tratta di una fase di domesticazione che è, nel caso specifico del web, sociale ed individuale al tempo stesso. Per la prima volta nella storia siamo infatti di fronte ad una generazione di adulti (genitori ed insegnanti) che, a causa della rapidità dello sviluppo tecnologico, non appare in grado di accompagnare i giovani verso un uso maturo del mezzo.

In questo scenario l’apprendimento sull’uso maturo della rete avviene essenzialmente fra pari e spesso si basa su prove ed errori che grazie alla natura potenzialmente epidemica della diffusione dell’informazione sul web passo rapidamente da esperienze personali a “coscienza collettiva generazionale”. Lo shock di scoprire che un adulto (genitori, insegnanti, capo, media o uomini di marketing –  per non parlare dei malintenzionati) può accedere facilmente al tuo blog e alla tue fotografie provoca una forma di apprendimento istantanea della nozione di  pubblico indistinto nello spazio mediato di rete.

Capire che pubblicare in rete (in siti non protetti da password) i propri contenuti significa esporli ad un pubblico imprevedibile è uno degli skills fondamentali della new media literacy.

Ma cosa avviene quando il bisogno di socializzare fra pari nello spazio mediato di rete si accompagna a questa consapevolezza?

Si cercano spazi dove pubblicare i propri contenuti restringendo l’accesso solo ai propri amici.

Spazi come MySpace e Facebook e gli altri SNSs.

Pensate a quanto è evocativo in questo senso il nome MySpace (il MIO spazio) o all’importanza che hanno le impostazione per la gestione della privacy sui contenuti del proprio profilo nella nuova interfaccia di Facebook.

Ben inteso che la fuga verso i SNSs non risolve di per sé il problema/possibilità del pubblico indistinto. Nelle impostazioni iniziali di un profilo di Facebook, ad esempio, i contenuti pubblicati sono accessibili tanto ai propri amici, quanto al Network di cui si sceglie di essere parte (anche se inizialmente non si è parte di alcun network). Al tempo stesso è evidente che tutti i livelli di privacy disponibili in questi siti offrono, a patto di comprenderne l’utilizzo e sulla carta, un elevato grado di protezione dei propri contenuti.

Al tempo stesso non va dimenticato che il pubblico indistinto è anche a fondamento delle capacità trasformative del web. Le band emergenti che usano MySpace per promuovere i propri brani, ad esempio, sfruttano proprio le potenzialità connesse al pubblico indistinto ed ai “mezzi di comunicazione di massa per le masse”.

Ma esporsi ad un pubblico indistinto può anche suscitare un certo fascino. Limitando l’accesso al proprio profilo alle sole persone che si conoscono già, ci si preclude per scelta la possibilità che qualcuno che non ci conosce possa interessarsi a noi per via delle informazioni disponibili sul nostro profilo. Questo può valere tanto nel campo lavorativo quanto in quello del dating.

Non esiste dunque una ricetta unica. Quello che appare invece necessario è comprendere l’esistenza del pubblico indistinto e sulla base di questa consapevolezza e dei propri obiettivi scegliere, eventualmente caso per caso e SNS per SNS, il grado di esposizione al pubblico indistinto che si desidera.

Ancora una volta il mezzo in sé non risolve problemi se non se ne fa un uso consapevole.

A ulteriore corollario di questa ipotesi letta in relazione alla situazione italiana ho formulato alcune considerazioni sulle differenze di approccio ai problemi della privacy che avrebbero gli utenti italiani di Facebook e Badoo.

A questo scopo ho costruito un breve questionario per validare o meno la mia idea.

Il questionario è stato già compilato in pochissimi giorni da oltre cento persone. Mi piacerebbe arrivare a 2000 possibilmente equamente distribuiti fra utenti di Facebook e Badoo.

So che non è facile e per questo vi chiedo di collaborare attivamente alla diffusione del questionario attraverso i vostri blog e reti sociali.

Ci sono un paio di modi per farlo.

1) Pop up code (da inserire sul vostro blog):

2) Facendo circolare attraverso Facebook, Twitter o qualsiasi altro social network il seguente link: http://www.surveymonkey.com/s.aspx?sm=SBft_2bRdjLsy2zE6W140Qaw_3d_3d.

Vi ringrazio in anticipo per la collaborazione. Il prossimo appuntamento con What’s next #6 sarà venerdì 10 ottobre. Con alcuni amici poi ci vediamo lo stesso giorno anche di persona per il Festival dei Blog. Se non potete aspettare fino al 10 potete sempre dare uno sguardo di tanto in tanto a friendfeed.

What's next #4: Dietro le quinte di "conversazioni dal basso"

Nelle puntante precedenti di “Conversazioni dal Basso”….
In occasione del secondo compleanno del Festival dei Blog facciamo il punto su successi e fallimenti di un format sperimentale per l’organizzazione di eventi su e con il web.Nelle puntante precedenti di “Conversazioni dal Basso”….
In occasione del secondo compleanno del Festival dei Blog facciamo il punto su successi e fallimenti di un format sperimentale per l’organizzazione di eventi su e con il web.Nelle puntante precedenti di “Conversazioni dal Basso”….
In occasione del secondo compleanno del Festival dei Blog facciamo il punto su successi e fallimenti di un format sperimentale per l’organizzazione di eventi su e con il web.

A raccontarla oggi sembra quasi un’idea scontata. Organizzare in un contesto accademico un evento sui blog con protagonisti i blogger.
L’idea ci è balenata nella mente sul finire del 2006 durante una delle sessioni di procrastinazione strutturata che organizziamo periodicamente al LaRiCA.
Subito dopo è venuto fuori il nome “Conversazioni dal Basso”. Una sorta di traduzione creativa dell’aggettivo inglese grassroots diventato popolare in associazione con il termine journalism grazie a We the Media.
Poco dopo ci sono arrivate delle proposte di logo.
Fin dall’inizio è stato chiaro che “Conversazioni dal Basso” non avrebbe dovuto semplicemente parlare di blog e social media ma che avrebbe invece dovuto farlo secondo le logiche stesse della cultura partecipativa.
Per questo abbiamo realizzato un blog per raccontare l’evento ma anche un wiki per promuovere la forma di collaborazione più aperta e destrutturata possibile.
Solo in questo modo sarebbe stato qualcosa di più di una semplice conferenza, qualcosa di più di una mera vetrina per i nostri studi sui media sociali.
Certo doveva essere anche questo, ma al tempo stesso rappresentare un laboratorio per studiare quei processi vivendoli da protagonisti e non da semplici spettatori.
Si perché contrariamente alla tradizione dell’oggettività scientifica, esistono fenomeni che non possono essere compresi se non si è disposti ad entrare nel fenomeno stesso vivendolo dall’interno (si veda il bel pezzo Brave New World of Digital Intimacy sul New York Times).
Ad un certo punto il nostro background sociocibernetico di studi sui sistemi sociali, complessità e logiche dell’osservazione di secondo ordine, la prospettiva dell’AcaFan di cui parla Henry Jenkins, il coordinamento di comunità online finalizzate ad uno scopo ed i fenomeni che volevamo studiare stavano convergendo tutti verso un’unica prospettiva alla luce della quale il tempo dedicato ad organizzare un evento o – come si sarebbe rivelato in seguito – una serie di eventi, poteva essere considerato, anche da una prospettiva di ricerca, ben speso.
Prima abbiamo sperimentato il coinvolgimento dei blogger organizzando un workshop dove sarebbero stati protagonisti e co-organizzatori e non semplici comparse. Poi abbiamo deciso di allargare ancora di più la nostra comunità includendo alcuni nostri studenti ed un numero ancora più vasto di blogger.
Sono nati così il primo ed secondo workshop (dedicato alla politica) “Conversazioni dal Basso” ed il primo Festival dei Blog a Urbino.
Nel tempo il gruppo di volontari che co-organizzano attivamente gli eventi è cresciuto da una decina a circa trenta persone e al tempo stesso abbiamo iniziato ad usare un numero di strumenti web sempre più vasto ed eterogeneo.
Per la collaborazione stiamo usando il Basecamp di 37signals, per la condivisione di file drop.io, per la promozione gli eventi di Facebook, per le dirette web UStream, per le iscrizioni il bellissimo EventBrite, per i video un canale di YouTube. Questo senza considerare le quasi mille foto etichettate “conversazionidalbasso” su Flickr.
Ovviamente portare le logiche di apertura e dell’auto-organizzazione nell’ambito di una struttura spesso gerarchica e chiusa come l’accademia (non che altre organizzazioni che abbia visto in Italia lo siano meno) non è stato facile e non lo è tuttora. Conciliare la creatività ed i ritmi lavorativi di un gruppo di digital natives (fra l’altro volontari) con l’esigenza di promuovere delicatissime quanto necessarie forme di collaborazione intra ed inter-universitarie è un lavoro stimolante ma non facile.
In questo senso il Festival dei Blog di Urbino è molto diverso dalla Blog Fest di Riva del Garda (lo dico anche a beneficio della giornalista di Italia 1 che mi ha telefonato circa un mese fa).
Nessuno di noi è un professionista dell’organizzazione di eventi, il budget complessivo del Festival dei Blog ’07 è stato di molto inferiore a 10.000 euro e quello di quest’anno, grazie agli sponsor e alle donazioni dei singoli, non graverà che in piccolissima parte sulle tasche dell’istituzione che organizza l’evento.
Ovviamente nè io nè altri miei colleghi guadagna un euro dagli eventi “Conversazioni dal Basso”.
Però in esperienza, conoscenza di persone smart e visibilità abbiamo guadagnato nel corso di questi anni una cifra inestimabile.
Parte di questa cifra proviamo a restituirla alla comunità cercando con impegno di organizzare ogni anno eventi più interessanti, divertenti ed innovativi.
Fare la stessa cosa due volte non ci piace.
Ecco perchè nonostante il Treasure Hunt Wireless Game di ottobre 2007 sia stato molto divertente, abbiamo deciso di rilanciare con i Giochi Olimpici dei Blogger.
Ecco perchè abbiamo pensato di ospitare la prima Girl Geek Dinner non metropolitana affidandone l’organizzazione all’entusiasmo di quattro giovanissime ragazze geek.
Ecco perchè abbiamo proposto ad un gruppo di studenti di organizzare in completa autonomia il concorso fotografico “Living in a Wireless Campus”.
Ecco perché abbiamo deciso di sperimentare un format di BarCamp Accademico che fa della contraddizione fra questi due termini la sua stessa ragione di esistenza e nel farlo condensa simbolicamente in sè stesso lo spirito delle “Conversazioni dal Basso”.
Anche quest’anno sono sicuro che mi stancherò e mi divertirò.
Ci vediamo li?
P.S. Se stai leggendo questo articolo e sei una “blogstar” di quelle che vivono raccontando alle aziende le potenzialità della cultura partecipativa e del web, questo è il tuo momento per restituire qualcosa alla comunità. Partecipa e diffondi la campagna di auto-finanziamento 🙂
CROWD FUNDING: Acquista un “Supporters Ticket” a donazione libera ed aiutaci a finanziare l’Academic BarCamp. Bastano anche solo 5 €.

A raccontarla oggi sembra quasi un’idea scontata. Organizzare in un contesto accademico un evento sui blog con protagonisti i blogger.

L’idea ci è balenata nella mente sul finire del 2006 durante una delle sessioni di procrastinazione strutturata che organizziamo periodicamente al LaRiCA.

Subito dopo è venuto fuori il nome “Conversazioni dal Basso”. Una sorta di traduzione creativa dell’aggettivo inglese grassroots diventato popolare in associazione con il termine journalism grazie a We the Media.

Poco dopo ci sono arrivate delle proposte di logo.

Fin dall’inizio è stato chiaro che “Conversazioni dal Basso” non avrebbe dovuto semplicemente parlare di blog e social media ma che avrebbe invece dovuto farlo secondo le logiche stesse della cultura partecipativa.

Per questo abbiamo realizzato un blog per raccontare l’evento ma anche un wiki per promuovere la forma di collaborazione più aperta e destrutturata possibile.

Solo in questo modo sarebbe stato qualcosa di più di una semplice conferenza, qualcosa di più di una mera vetrina per i nostri studi sui media sociali.

Certo doveva essere anche questo, ma al tempo stesso rappresentare un laboratorio per studiare quei processi vivendoli da protagonisti e non da semplici spettatori.

Si perché contrariamente alla tradizione dell’oggettività scientifica, esistono fenomeni che non possono essere compresi se non si è disposti ad entrare nel fenomeno stesso vivendolo dall’interno (si veda il bel pezzo Brave New World of Digital Intimacy sul New York Times).

Ad un certo punto il nostro background sociocibernetico di studi sui sistemi sociali, complessità e logiche dell’osservazione di secondo ordine, la prospettiva dell’AcaFan di cui parla Henry Jenkins, il coordinamento di comunità online finalizzate ad uno scopo ed i fenomeni che volevamo studiare stavano convergendo tutti verso un’unica prospettiva alla luce della quale il tempo dedicato ad organizzare un evento o – come si sarebbe rivelato in seguito – una serie di eventi, poteva essere considerato, anche da una prospettiva di ricerca, ben speso.

Prima abbiamo sperimentato il coinvolgimento dei blogger organizzando un workshop dove sarebbero stati protagonisti e co-organizzatori e non semplici comparse. Poi abbiamo deciso di allargare ancora di più la nostra comunità includendo alcuni nostri studenti ed un numero ancora più vasto di blogger.

Sono nati così il primo ed secondo workshop (dedicato alla politica) “Conversazioni dal Basso” ed il primo Festival dei Blog a Urbino.

Nel tempo il gruppo di volontari che co-organizzano attivamente gli eventi è cresciuto da una decina a circa trenta persone e al tempo stesso abbiamo iniziato ad usare un numero di strumenti web sempre più vasto ed eterogeneo.

Per la collaborazione stiamo usando il Basecamp di 37signals, per la condivisione di file drop.io, per la promozione gli eventi di Facebook, per le dirette web UStream, per le iscrizioni il bellissimo EventBrite, per i video un canale di YouTube. Questo senza considerare le quasi mille foto etichettate “conversazionidalbasso” su Flickr.

Ovviamente portare le logiche di apertura e dell’auto-organizzazione nell’ambito di una struttura spesso gerarchica e chiusa come l’accademia (non che altre organizzazioni che abbia visto in Italia lo siano meno) non è stato facile e non lo è tuttora. Conciliare la creatività ed i ritmi lavorativi di un gruppo di digital natives (fra l’altro volontari) con l’esigenza di promuovere delicatissime quanto necessarie forme di collaborazione intra ed inter-universitarie è un lavoro stimolante ma non facile.

In questo senso il Festival dei Blog di Urbino è molto diverso dalla Blog Fest di Riva del Garda (lo dico anche a beneficio della giornalista di Italia 1 che mi ha telefonato circa un mese fa).

Nessuno di noi è un professionista dell’organizzazione di eventi, il budget complessivo del Festival dei Blog ’07 è stato di molto inferiore a 10.000 euro e quello di quest’anno, grazie agli sponsor e alle donazioni dei singoli, non graverà che in piccolissima parte sulle tasche dell’istituzione che organizza l’evento.

Ovviamente nè io nè altri miei colleghi guadagna un euro dagli eventi “Conversazioni dal Basso”.

Però in esperienza, conoscenza di persone smart e visibilità abbiamo guadagnato nel corso di questi anni una cifra inestimabile.

Parte di questa cifra proviamo a restituirla alla comunità cercando con impegno di organizzare ogni anno eventi più interessanti, divertenti ed innovativi.

Fare la stessa cosa due volte non ci piace.

Ecco perchè nonostante il Treasure Hunt Wireless Game di ottobre 2007 sia stato molto divertente, abbiamo deciso di rilanciare con i Giochi Olimpici dei Blogger.

Ecco perchè abbiamo pensato di ospitare la prima Girl Geek Dinner non metropolitana affidandone l’organizzazione all’entusiasmo di quattro giovanissime ragazze geek.

Ecco perchè abbiamo proposto ad un gruppo di studenti di organizzare in completa autonomia il concorso fotografico “Living in a Wireless Campus”.

Ecco perché abbiamo deciso di sperimentare un format di BarCamp Accademico che fa della contraddizione fra questi due termini la sua stessa ragione di esistenza e nel farlo condensa simbolicamente in sè stesso lo spirito delle “Conversazioni dal Basso”.

Anche quest’anno sono sicuro che mi stancherò e mi divertirò.

Ci vediamo li?

P.S. Se stai leggendo questo articolo e sei una “blogstar” di quelle che vivono raccontando alle aziende le potenzialità della cultura partecipativa e del web, questo è il tuo momento per restituire qualcosa alla comunità. Partecipa e diffondi la campagna di auto-finanziamento 🙂

CROWD FUNDING: Acquista un “Supporters Ticket” a donazione libera ed aiutaci a finanziare l’Academic BarCamp. Bastano anche solo 5 €.

A raccontarla oggi sembra quasi un’idea scontata. Organizzare in un contesto accademico un evento sui blog con protagonisti i blogger.

L’idea ci è balenata nella mente sul finire del 2006 durante una delle sessioni di procrastinazione strutturata che organizziamo periodicamente al LaRiCA.

Subito dopo è venuto fuori il nome “Conversazioni dal Basso”. Una sorta di traduzione creativa dell’aggettivo inglese grassroots diventato popolare in associazione con il termine journalism grazie a We the Media.

Poco dopo ci sono arrivate delle proposte di logo.

Fin dall’inizio è stato chiaro che “Conversazioni dal Basso” non avrebbe dovuto semplicemente parlare di blog e social media ma che avrebbe invece dovuto farlo secondo le logiche stesse della cultura partecipativa.

Per questo abbiamo realizzato un blog per raccontare l’evento ma anche un wiki per promuovere la forma di collaborazione più aperta e destrutturata possibile.

Solo in questo modo sarebbe stato qualcosa di più di una semplice conferenza, qualcosa di più di una mera vetrina per i nostri studi sui media sociali.

Certo doveva essere anche questo, ma al tempo stesso rappresentare un laboratorio per studiare quei processi vivendoli da protagonisti e non da semplici spettatori.

Si perché contrariamente alla tradizione dell’oggettività scientifica, esistono fenomeni che non possono essere compresi se non si è disposti ad entrare nel fenomeno stesso vivendolo dall’interno (si veda il bel pezzo Brave New World of Digital Intimacy sul New York Times).

Ad un certo punto il nostro background sociocibernetico di studi sui sistemi sociali, complessità e logiche dell’osservazione di secondo ordine, la prospettiva dell’AcaFan di cui parla Henry Jenkins, il coordinamento di comunità online finalizzate ad uno scopo ed i fenomeni che volevamo studiare stavano convergendo tutti verso un’unica prospettiva alla luce della quale il tempo dedicato ad organizzare un evento o – come si sarebbe rivelato in seguito – una serie di eventi, poteva essere considerato, anche da una prospettiva di ricerca, ben speso.

Prima abbiamo sperimentato il coinvolgimento dei blogger organizzando un workshop dove sarebbero stati protagonisti e co-organizzatori e non semplici comparse. Poi abbiamo deciso di allargare ancora di più la nostra comunità includendo alcuni nostri studenti ed un numero ancora più vasto di blogger.

Sono nati così il primo ed secondo workshop (dedicato alla politica) “Conversazioni dal Basso” ed il primo Festival dei Blog a Urbino.

Nel tempo il gruppo di volontari che co-organizzano attivamente gli eventi è cresciuto da una decina a circa trenta persone e al tempo stesso abbiamo iniziato ad usare un numero di strumenti web sempre più vasto ed eterogeneo.

Per la collaborazione stiamo usando il Basecamp di 37signals, per la condivisione di file drop.io, per la promozione gli eventi di Facebook, per le dirette web UStream, per le iscrizioni il bellissimo EventBrite, per i video un canale di YouTube. Questo senza considerare le quasi mille foto etichettate “conversazionidalbasso” su Flickr.

Ovviamente portare le logiche di apertura e dell’auto-organizzazione nell’ambito di una struttura spesso gerarchica e chiusa come l’accademia (non che altre organizzazioni che abbia visto in Italia lo siano meno) non è stato facile e non lo è tuttora. Conciliare la creatività ed i ritmi lavorativi di un gruppo di digital natives (fra l’altro volontari) con l’esigenza di promuovere delicatissime quanto necessarie forme di collaborazione intra ed inter-universitarie è un lavoro stimolante ma non facile.

In questo senso il Festival dei Blog di Urbino è molto diverso dalla Blog Fest di Riva del Garda (lo dico anche a beneficio della giornalista di Italia 1 che mi ha telefonato circa un mese fa).

Nessuno di noi è un professionista dell’organizzazione di eventi, il budget complessivo del Festival dei Blog ’07 è stato di molto inferiore a 10.000 euro e quello di quest’anno, grazie agli sponsor e alle donazioni dei singoli, non graverà che in piccolissima parte sulle tasche dell’istituzione che organizza l’evento.

Ovviamente nè io nè altri miei colleghi guadagna un euro dagli eventi “Conversazioni dal Basso”.

Però in esperienza, conoscenza di persone smart e visibilità abbiamo guadagnato nel corso di questi anni una cifra inestimabile.

Parte di questa cifra proviamo a restituirla alla comunità cercando con impegno di organizzare ogni anno eventi più interessanti, divertenti ed innovativi.

Fare la stessa cosa due volte non ci piace.

Ecco perchè nonostante il Treasure Hunt Wireless Game di ottobre 2007 sia stato molto divertente, abbiamo deciso di rilanciare con i Giochi Olimpici dei Blogger.

Ecco perchè abbiamo pensato di ospitare la prima Girl Geek Dinner non metropolitana affidandone l’organizzazione all’entusiasmo di quattro giovanissime ragazze geek.

Ecco perchè abbiamo proposto ad un gruppo di studenti di organizzare in completa autonomia il concorso fotografico “Living in a Wireless Campus”.

Ecco perché abbiamo deciso di sperimentare un format di BarCamp Accademico che fa della contraddizione fra questi due termini la sua stessa ragione di esistenza e nel farlo condensa simbolicamente in sè stesso lo spirito delle “Conversazioni dal Basso”.

Anche quest’anno sono sicuro che mi stancherò e mi divertirò.

Ci vediamo li?

P.S. Se stai leggendo questo articolo e sei una “blogstar” di quelle che vivono raccontando alle aziende le potenzialità della cultura partecipativa e del web, questo è il tuo momento per restituire qualcosa alla comunità. Partecipa e diffondi la campagna di auto-finanziamento 🙂

CROWD FUNDING: Acquista un “Supporters Ticket” a donazione libera ed aiutaci a finanziare l’Academic BarCamp. Bastano anche solo 5 €.

What's next #3: “Farsi media. Mezzi di comunicazione di massa per le masse”

L’accesso di massa alla comunicazione verso un pubblico indistinto è a fondamento della rivoluzione dei social media. Permanenza, replicabilità, pubblico indistinto e cercabilità, rilette in una prospettiva storica di evoluzione dei media, descrivono i lineamenti della società che verrà.L’accesso di massa alla comunicazione verso un pubblico indistinto è a fondamento della rivoluzione dei social media. Permanenza, replicabilità, pubblico indistinto e cercabilità, rilette in una prospettiva storica di evoluzione dei media, descrivono i lineamenti della società che verrà.L’accesso di massa alla comunicazione verso un pubblico indistinto è a fondamento della rivoluzione dei social media. Permanenza, replicabilità, pubblico indistinto e cercabilità, rilette in una prospettiva storica di evoluzione dei media, descrivono i lineamenti della società che verrà.

Era una serata di fine estate del 2005 quella durante la quale, con Luca e Giovanni, abbiamo iniziato a riflettere sul processo del “farsi media”.
Da allora non abbiamo più smesso di parlarne anche se il libro che avevamo progettato insieme quella sera (di cui dovrebbero esistere ancora degli appunti da qualche parte) e che forse un giorno scriveremo, non è mai stato in realtà scritto.
Non che non ci fosse materiale. Piuttosto le idee e le riflessioni intorno al “farsi media” sono confluite nei post dei nostri blog ed in molti articoli scientifici che abbiamo pubblicato da allora. I tempi della pubblicazione di un libro sono sempre più inconciliabili con i tempi della ricerca su fenomeni in continuo mutamento come il web.
Nel frattempo molto è cambiato.
Se avessi scritto questo post nel 2005 avrei dovuto iniziare spiegando perché Internet sta cambiano in modo profondo la nostra società. Oggi anche gli scettici (e ne ho incontrati tanti in questi anni) non possono negare che la società dei “mezzi di comunicazione di massa per le masse” (questo sarebbe stato il sottotitolo del libro) è strutturalmente diversa dalla società sviluppatasi a partire dall’invenzione della stampa ed evolutati attraverso radio e TV.
L’accesso di massa alle comunicazioni di massa è un classico esempio di differenza quantitativa che diventa qualitativa. Ma cosa si intende per “accesso di massa alle comunicazioni di massa”?
Per spiegare questo gioco di parole è necessario comprendere l’essenza stessa della comunicazione di massa: ovvero la radicale separazione fra autore e fruitore.
Un giornalista, così come uno scrittore o l’autore di un programma televisivo, non può mai conoscere con precisione e certezza il pubblico al quale si sta rivolgendo.
La comunicazione di massa è per definizione una comunicazione verso una massa ovvero un pubblico indistinto.
Comunicare con qualcuno che non si conosce è estremamente difficile. Per farlo è necessario comunque avere in mente un’idea di chi sarà il nostro pubblico per poter scegliere cosa dire e come dirlo. Per questo motivo chi si rivolge ad un pubblico costruisce, per approssimazione e sulla base dei dati che conosce e che può conoscere, il pubblico nella sua mente.
Oggi l’accesso alla comunicazione verso un pubblico indistinto non è più ristretto ad una élite di professionisti. Chiunque, attraverso la pubblicazione dei propri contenuti in rete, può conversare con le “audience invisibili”.
A pensarci bene il processo di scrittura di un post in un blog è analogo, da questo punto di vista, a quello della scrittura di un articolo di un giornale.
Ogni autore di un blog ha in mente il suo pubblico e questo pubblico è sempre strutturalmente diverso da quello che ti puoi immaginare (avete mai dato uno sguardo alle keywords di ricerca usate dai visitatori del vostro blog?).
Pensare di conoscere il proprio pubblico è una presunzione rischiosa.
Lo sanno bene quei ragazzi che hanno fatto esperienza di scrivere sul proprio blog pensando di rivolgersi alla propria cerchia di amici e scoperto in seguito con sgomento di essere stati letti dai professori o dai genitori. Un’esperienza tanto traumatica quanto formativa che serve più di mille spiegazioni scientifiche a far comprendere istantaneamente quanto indistinto, imprevedibile ed inconoscibile sia l’audience di un contenuto pubblicato in rete. Credo che sia quello strano senso di invasione di un privato che non è tale che spiega la necessità di cercare ambienti più protetti per pubblicare in rete in propri contenuti come i siti di social network. La consapevolezza di avere di fronte un pubblico indistinto è, con tutta probabilità, uno degli skills della new media literacy che si dovrebbe insegnare a chi usa la rete per la prima volta.
La consapevolezza di avere di fronte un pubblico indistinto può atterrire ma è anche alla base della potenzialità trasformative della rete. Lo sanno bene i blogger professionisti che hanno compreso per primi come sfruttare a proprio vantaggio il nuovo accesso alla comunicazione di massa (si veda, uno per tutti, il recente caso sollevato dal post “Email che fanno male”).
Quello che a volte sfugge a chi ha compreso le potenzialità connesse alla visibilità verso un pubblico indistinto, è che esiste un’utenza che di questa visibilità farebbe volentieri a meno.
Non a caso che l’invisibile audience sia una delle quattro proprietà che danah boyd attribuisce alla comunicazione che avviene nello spazio mediato di rete.
Secondo danah boyd lo spazio mediato di rete si affianca senza sostituirlo allo spazio geografico. Mentre le distanze nello spazio geografico sono misurante in metri, nello spazio mediato di rete contano i nodi della rete sociale che devi percorrere per raggiungere la risorsa di cui hai bisogno. Lo spazio di rete è mediato nel senso che ha caratteristiche analoghe a quelle della comunicazione mediata (come ad esempio le invisible audiences e la persistence). Al tempo stesso ha una dimensione di rete grazie alla replicability (propria di tutti i contenuti digitali) e alla searchability.
Guardando alle quattro proprietà in una prospettiva storica potremmo descrivere con questo schema lo scenario della società moderna caratterizzata dall’avvento dei mezzi di comunicazione di massa fino all’avvento delle tecnologie della replicabilità digitale (anche se la replicabilità meccanica, come ci ha insegnato Walter Benjamin inizia molto prima).

Per la prima volta nella storia un gruppo limitato di persone (few) accede alla comunicazione di massa (ovvero verso un pubblico indistinto).
Non mi soffermerò qui sulle conseguenze di questo passaggio epocale perché, come noto, si tratta di uno dei fenomeni più studiati della storia dei media e della società (si veda per tutti il capitolo sul così detto piano del sociale del libro i media-mondo).
L’avvento del web ha poi reso i contenuti prodotti dai professionisti delle comunicazioni di massa ricercabili.
Si pensi, ad esempio, al caso di Google Book Search o di Google News.

Ma questo era solo l’inizio.
Poi è venuto il così detto Web 2.0 che, abbattendo i costi di produzione e distribuzione, ha portato alle masse (many) la comunicazione verso un pubblico indistinto e la ricercabilità di questi contenuti.

Penso che questa sequenza di schemi (che uso da qualche mese nelle mie presentazioni) spieghi bene il processo che abbiamo chiamato “Farsi Media” su un piano sociale.
Cosa ne pensate?
***
Lo so che avevo promesso di parlare della conferenza e-Research ’08 della scorsa settimana ma sinceramente non avevo molto da dire. L’evento si è dimostrato alquanto deludente e l’Oxford Internet Institute stesso, per quel poco che ho potuto vedere, non mi ha impressionato particolarmente. L’e-social science è in pratica l’applicazione degli strumenti computerizzati allo studio delle scienze sociali ed il risultato “sorprendente” a cui sono giunti dopo un programma di investimenti in ricerca che ci è parso molto ingente (a giudicare dai gadget che i vari progetti distribuivano) è che, applicando questi metodi, le scienze sociali si trovano ad affrontare gli stessi problemi di complessità con cui sono alle prese le discipline scientifiche dalla meccanica statistica in poi 😮
L’unico progetto degno di nota è questo social network per ricercatori: http://www.myexperiment.org/.
***
Prossimo appuntamento con What’s Next #4 è per venerdì 26 settembre.
Racconterò i dietro le quinte dell’organizzazione degli eventi della serie “Conversazioni dal Basso” ed in particolare del Festival dei Blog approfittandone per fare una riflessione più generale a partire dalle riflessioni contenute nell’ultimo libro di Clay Shirky Here Comes Everybody: The Power of Organizing Without Organizations.
Per chi non può aspettare una settimana consiglio, come al solito, di seguire FriendFeed.

Era una serata di fine estate del 2005 quella durante la quale, con Luca e Giovanni, abbiamo iniziato a riflettere sul processo del “farsi media”.

Da allora non abbiamo più smesso di parlarne anche se il libro che avevamo progettato insieme quella sera (di cui dovrebbero esistere ancora degli appunti da qualche parte) e che forse un giorno scriveremo, non è mai stato in realtà scritto.

Non che non ci fosse materiale. Piuttosto le idee e le riflessioni intorno al “farsi media” sono confluite nei post dei nostri blog ed in molti articoli scientifici che abbiamo pubblicato da allora. I tempi della pubblicazione di un libro sono sempre più inconciliabili con i tempi della ricerca su fenomeni in continuo mutamento come il web.

Nel frattempo molto è cambiato.

Se avessi scritto questo post nel 2005 avrei dovuto iniziare spiegando perché Internet sta cambiano in modo profondo la nostra società. Oggi anche gli scettici (e ne ho incontrati tanti in questi anni) non possono negare che la società dei “mezzi di comunicazione di massa per le masse” (questo sarebbe stato il sottotitolo del libro) è strutturalmente diversa dalla società sviluppatasi a partire dall’invenzione della stampa ed evolutati attraverso radio e TV.

L’accesso di massa alle comunicazioni di massa è un classico esempio di differenza quantitativa che diventa qualitativa. Ma cosa si intende per “accesso di massa alle comunicazioni di massa”?

Per spiegare questo gioco di parole è necessario comprendere l’essenza stessa della comunicazione di massa: ovvero la radicale separazione fra autore e fruitore.

Un giornalista, così come uno scrittore o l’autore di un programma televisivo, non può mai conoscere con precisione e certezza il pubblico al quale si sta rivolgendo.

La comunicazione di massa è per definizione una comunicazione verso una massa ovvero un pubblico indistinto.

Comunicare con qualcuno che non si conosce è estremamente difficile. Per farlo è necessario comunque avere in mente un’idea di chi sarà il nostro pubblico per poter scegliere cosa dire e come dirlo. Per questo motivo chi si rivolge ad un pubblico costruisce, per approssimazione e sulla base dei dati che conosce e che può conoscere, il pubblico nella sua mente.

Oggi l’accesso alla comunicazione verso un pubblico indistinto non è più ristretto ad una élite di professionisti. Chiunque, attraverso la pubblicazione dei propri contenuti in rete, può conversare con le “audience invisibili”.

A pensarci bene il processo di scrittura di un post in un blog è analogo, da questo punto di vista, a quello della scrittura di un articolo di un giornale.

Ogni autore di un blog ha in mente il suo pubblico e questo pubblico è sempre strutturalmente diverso da quello che ti puoi immaginare (avete mai dato uno sguardo alle keywords di ricerca usate dai visitatori del vostro blog?).

Pensare di conoscere il proprio pubblico è una presunzione rischiosa.

Lo sanno bene quei ragazzi che hanno fatto esperienza di scrivere sul proprio blog pensando di rivolgersi alla propria cerchia di amici e scoperto in seguito con sgomento di essere stati letti dai professori o dai genitori. Un’esperienza tanto traumatica quanto formativa che serve più di mille spiegazioni scientifiche a far comprendere istantaneamente quanto indistinto, imprevedibile ed inconoscibile sia l’audience di un contenuto pubblicato in rete. Credo che sia quello strano senso di invasione di un privato che non è tale che spiega la necessità di cercare ambienti più protetti per pubblicare in rete in propri contenuti come i siti di social network. La consapevolezza di avere di fronte un pubblico indistinto è, con tutta probabilità, uno degli skills della new media literacy che si dovrebbe insegnare a chi usa la rete per la prima volta.

La consapevolezza di avere di fronte un pubblico indistinto può atterrire ma è anche alla base della potenzialità trasformative della rete. Lo sanno bene i blogger professionisti che hanno compreso per primi come sfruttare a proprio vantaggio il nuovo accesso alla comunicazione di massa (si veda, uno per tutti, il recente caso sollevato dal post “Email che fanno male”).

Quello che a volte sfugge a chi ha compreso le potenzialità connesse alla visibilità verso un pubblico indistinto, è che esiste un’utenza che di questa visibilità farebbe volentieri a meno.

Non a caso che l’invisibile audience sia una delle quattro proprietà che danah boyd attribuisce alla comunicazione che avviene nello spazio mediato di rete.

Secondo danah boyd lo spazio mediato di rete si affianca senza sostituirlo allo spazio geografico. Mentre le distanze nello spazio geografico sono misurante in metri, nello spazio mediato di rete contano i nodi della rete sociale che devi percorrere per raggiungere la risorsa di cui hai bisogno. Lo spazio di rete è mediato nel senso che ha caratteristiche analoghe a quelle della comunicazione mediata (come ad esempio le invisible audiences e la persistence). Al tempo stesso ha una dimensione di rete grazie alla replicability (propria di tutti i contenuti digitali) e alla searchability.

Guardando alle quattro proprietà in una prospettiva storica potremmo descrivere con questo schema lo scenario della società moderna caratterizzata dall’avvento dei mezzi di comunicazione di massa fino all’avvento delle tecnologie della replicabilità digitale (anche se la replicabilità meccanica, come ci ha insegnato Walter Benjamin inizia molto prima).

Per la prima volta nella storia un gruppo limitato di persone (few) accede alla comunicazione di massa (ovvero verso un pubblico indistinto).

Non mi soffermerò qui sulle conseguenze di questo passaggio epocale perché, come noto, si tratta di uno dei fenomeni più studiati della storia dei media e della società (si veda per tutti il capitolo sul così detto piano del sociale del libro i media-mondo).

L’avvento del web ha poi reso i contenuti prodotti dai professionisti delle comunicazioni di massa ricercabili.

Si pensi, ad esempio, al caso di Google Book Search o di Google News.

Ma questo era solo l’inizio.

Poi è venuto il così detto Web 2.0 che, abbattendo i costi di produzione e distribuzione, ha portato alle masse (many) la comunicazione verso un pubblico indistinto e la ricercabilità di questi contenuti.

Penso che questa sequenza di schemi (che uso da qualche mese nelle mie presentazioni) spieghi bene il processo che abbiamo chiamato “Farsi Media” su un piano sociale.

Cosa ne pensate?

***

Lo so che avevo promesso di parlare della conferenza e-Research ’08 della scorsa settimana ma sinceramente non avevo molto da dire. L’evento si è dimostrato alquanto deludente e l’Oxford Internet Institute stesso, per quel poco che ho potuto vedere, non mi ha impressionato particolarmente. L’e-social science è in pratica l’applicazione degli strumenti computerizzati allo studio delle scienze sociali ed il risultato “sorprendente” a cui sono giunti dopo un programma di investimenti in ricerca che ci è parso molto ingente (a giudicare dai gadget che i vari progetti distribuivano) è che, applicando questi metodi, le scienze sociali si trovano ad affrontare gli stessi problemi di complessità con cui sono alle prese le discipline scientifiche dalla meccanica statistica in poi 😮

L’unico progetto degno di nota è questo social network per ricercatori: http://www.myexperiment.org/.

***

Prossimo appuntamento con What’s Next #4 è per venerdì 26 settembre.

Racconterò i dietro le quinte dell’organizzazione degli eventi della serie “Conversazioni dal Basso” ed in particolare del Festival dei Blog approfittandone per fare una riflessione più generale a partire dalle riflessioni contenute nell’ultimo libro di Clay Shirky Here Comes Everybody: The Power of Organizing Without Organizations.

Per chi non può aspettare una settimana consiglio, come al solito, di seguire FriendFeed.

Era una serata di fine estate del 2005 quella durante la quale, con Luca e Giovanni, abbiamo iniziato a riflettere sul processo del “farsi media”.

Da allora non abbiamo più smesso di parlarne anche se il libro che avevamo progettato insieme quella sera (di cui dovrebbero esistere ancora degli appunti da qualche parte) e che forse un giorno scriveremo, non è mai stato in realtà scritto.

Non che non ci fosse materiale. Piuttosto le idee e le riflessioni intorno al “farsi media” sono confluite nei post dei nostri blog ed in molti articoli scientifici che abbiamo pubblicato da allora. I tempi della pubblicazione di un libro sono sempre più inconciliabili con i tempi della ricerca su fenomeni in continuo mutamento come il web.

Nel frattempo molto è cambiato.

Se avessi scritto questo post nel 2005 avrei dovuto iniziare spiegando perché Internet sta cambiano in modo profondo la nostra società. Oggi anche gli scettici (e ne ho incontrati tanti in questi anni) non possono negare che la società dei “mezzi di comunicazione di massa per le masse” (questo sarebbe stato il sottotitolo del libro) è strutturalmente diversa dalla società sviluppatasi a partire dall’invenzione della stampa ed evolutati attraverso radio e TV.

L’accesso di massa alle comunicazioni di massa è un classico esempio di differenza quantitativa che diventa qualitativa. Ma cosa si intende per “accesso di massa alle comunicazioni di massa”?

Per spiegare questo gioco di parole è necessario comprendere l’essenza stessa della comunicazione di massa: ovvero la radicale separazione fra autore e fruitore.

Un giornalista, così come uno scrittore o l’autore di un programma televisivo, non può mai conoscere con precisione e certezza il pubblico al quale si sta rivolgendo.

La comunicazione di massa è per definizione una comunicazione verso una massa ovvero un pubblico indistinto.

Comunicare con qualcuno che non si conosce è estremamente difficile. Per farlo è necessario comunque avere in mente un’idea di chi sarà il nostro pubblico per poter scegliere cosa dire e come dirlo. Per questo motivo chi si rivolge ad un pubblico costruisce, per approssimazione e sulla base dei dati che conosce e che può conoscere, il pubblico nella sua mente.

Oggi l’accesso alla comunicazione verso un pubblico indistinto non è più ristretto ad una élite di professionisti. Chiunque, attraverso la pubblicazione dei propri contenuti in rete, può conversare con le “audience invisibili”.

A pensarci bene il processo di scrittura di un post in un blog è analogo, da questo punto di vista, a quello della scrittura di un articolo di un giornale.

Ogni autore di un blog ha in mente il suo pubblico e questo pubblico è sempre strutturalmente diverso da quello che ti puoi immaginare (avete mai dato uno sguardo alle keywords di ricerca usate dai visitatori del vostro blog?).

Pensare di conoscere il proprio pubblico è una presunzione rischiosa.

Lo sanno bene quei ragazzi che hanno fatto esperienza di scrivere sul proprio blog pensando di rivolgersi alla propria cerchia di amici e scoperto in seguito con sgomento di essere stati letti dai professori o dai genitori. Un’esperienza tanto traumatica quanto formativa che serve più di mille spiegazioni scientifiche a far comprendere istantaneamente quanto indistinto, imprevedibile ed inconoscibile sia l’audience di un contenuto pubblicato in rete. Credo che sia quello strano senso di invasione di un privato che non è tale che spiega la necessità di cercare ambienti più protetti per pubblicare in rete in propri contenuti come i siti di social network. La consapevolezza di avere di fronte un pubblico indistinto è, con tutta probabilità, uno degli skills della new media literacy che si dovrebbe insegnare a chi usa la rete per la prima volta.

La consapevolezza di avere di fronte un pubblico indistinto può atterrire ma è anche alla base della potenzialità trasformative della rete. Lo sanno bene i blogger professionisti che hanno compreso per primi come sfruttare a proprio vantaggio il nuovo accesso alla comunicazione di massa (si veda, uno per tutti, il recente caso sollevato dal post “Email che fanno male”).

Quello che a volte sfugge a chi ha compreso le potenzialità connesse alla visibilità verso un pubblico indistinto, è che esiste un’utenza che di questa visibilità farebbe volentieri a meno.

Non a caso che l’invisibile audience sia una delle quattro proprietà che danah boyd attribuisce alla comunicazione che avviene nello spazio mediato di rete.

Secondo danah boyd lo spazio mediato di rete si affianca senza sostituirlo allo spazio geografico. Mentre le distanze nello spazio geografico sono misurante in metri, nello spazio mediato di rete contano i nodi della rete sociale che devi percorrere per raggiungere la risorsa di cui hai bisogno. Lo spazio di rete è mediato nel senso che ha caratteristiche analoghe a quelle della comunicazione mediata (come ad esempio le invisible audiences e la persistence). Al tempo stesso ha una dimensione di rete grazie alla replicability (propria di tutti i contenuti digitali) e alla searchability.

Guardando alle quattro proprietà in una prospettiva storica potremmo descrivere con questo schema lo scenario della società moderna caratterizzata dall’avvento dei mezzi di comunicazione di massa fino all’avvento delle tecnologie della replicabilità digitale (anche se la replicabilità meccanica, come ci ha insegnato Walter Benjamin inizia molto prima).

Per la prima volta nella storia un gruppo limitato di persone (few) accede alla comunicazione di massa (ovvero verso un pubblico indistinto).

Non mi soffermerò qui sulle conseguenze di questo passaggio epocale perché, come noto, si tratta di uno dei fenomeni più studiati della storia dei media e della società (si veda per tutti il capitolo sul così detto piano del sociale del libro i media-mondo).

L’avvento del web ha poi reso i contenuti prodotti dai professionisti delle comunicazioni di massa ricercabili.

Si pensi, ad esempio, al caso di Google Book Search o di Google News.

Ma questo era solo l’inizio.

Poi è venuto il così detto Web 2.0 che, abbattendo i costi di produzione e distribuzione, ha portato alle masse (many) la comunicazione verso un pubblico indistinto e la ricercabilità di questi contenuti.

Penso che questa sequenza di schemi (che uso da qualche mese nelle mie presentazioni) spieghi bene il processo che abbiamo chiamato “Farsi Media” su un piano sociale.

Cosa ne pensate?

***

Lo so che avevo promesso di parlare della conferenza e-Research ’08 della scorsa settimana ma sinceramente non avevo molto da dire. L’evento si è dimostrato alquanto deludente e l’Oxford Internet Institute stesso, per quel poco che ho potuto vedere, non mi ha impressionato particolarmente. L’e-social science è in pratica l’applicazione degli strumenti computerizzati allo studio delle scienze sociali ed il risultato “sorprendente” a cui sono giunti dopo un programma di investimenti in ricerca che ci è parso molto ingente (a giudicare dai gadget che i vari progetti distribuivano) è che, applicando questi metodi, le scienze sociali si trovano ad affrontare gli stessi problemi di complessità con cui sono alle prese le discipline scientifiche dalla meccanica statistica in poi 😮

L’unico progetto degno di nota è questo social network per ricercatori: http://www.myexperiment.org/.

***

Prossimo appuntamento con What’s Next #4 è per venerdì 26 settembre.

Racconterò i dietro le quinte dell’organizzazione degli eventi della serie “Conversazioni dal Basso” ed in particolare del Festival dei Blog approfittandone per fare una riflessione più generale a partire dalle riflessioni contenute nell’ultimo libro di Clay Shirky Here Comes Everybody: The Power of Organizing Without Organizations.

Per chi non può aspettare una settimana consiglio, come al solito, di seguire FriendFeed.

What's next #2: Non credere a nessuno che abbia più di venticinque anni

L’età delle persone a cui non bisogna credere si è abbassata dai 30 degli anni ’70 ai 25 ma lo spirito non è cambiato. Esiste un legame profondo ed inestricabile fra cybercultura e controcultura e Little Brother (l’ultimo romanzo di Cory Doctorow) lo racconta in modo straordinario descrivendo la lotta impari fra un novello Davide, il 17enne Marcus (aka M1k3y) ed il Golia rappresentato dal Department of Home Security.L’età delle persone a cui non bisogna credere si è abbassata dai 30 degli anni ’70 ai 25 ma lo spirito non è cambiato. Esiste un legame profondo ed inestricabile fra cybercultura e controcultura e Little Brother (l’ultimo romanzo di Cory Doctorow) lo racconta in modo straordinario descrivendo la lotta impari fra un novello Davide, il 17enne Marcus (aka M1k3y) ed il Golia rappresentato dal Department of Home Security.L’età delle persone a cui non bisogna credere si è abbassata dai 30 degli anni ’70 ai 25 ma lo spirito non è cambiato. Esiste un legame profondo ed inestricabile fra cybercultura e controcultura e Little Brother (l’ultimo romanzo di Cory Doctorow) lo racconta in modo straordinario descrivendo la lotta impari fra un novello Davide, il 17enne Marcus (aka M1k3y) ed il Golia rappresentato dal Department of Home Security.

ll grembiule ed il voto in condotta sono solo l’inizio.
Basta sentire i discorsi degli adulti (o guardare i telegiornali in TV) per capire che lo scenario raccontato da Cory Doctorow in Little Brother è molto meno fantascientifico di quanto si possa credere.
Uno scenario cui fa da sfondo una scuola che in nome della sicurezza degli alunni si affida alle tecnologie del controllo cibernetico diffuso (telecamere, metal detector, etc) per ridurne di fatto la libertà e azzerare la privacy.
Libertà in cambio di sicurezza è la metafora guida dell’incubo globale post 11 settembre e Little Brother ha lo straordinario pregio di mettere in luce tutti i limiti ed i pericoli di questa semplice equazione.
I limiti sono insiti nella stessa natura del controllo cibernetico.
Quando un fenomeno assume dimensioni troppo consistenti da poter essere gestito con i metodi tradizionali ci si affida alla statistica per individuare i fenomeni devianti dallo standard. Si tratta della logica che è alla base, ad esempio, dei filtri anti-spam che svolgono per noi lo sporco lavoro di selezionare i messaggi spazzatura da quelli dei nostri amici, familiari e colleghi di lavoro.
La stessa logica può essere applicata anche al controllo sociale.
E’ possibile, ad esempio, tenere traccia dei percorsi di tutti gli utenti delle metropolitana di Roma per avere un profilo medio degli spostamenti dell’utente tipo. Qualcuno che, ad esempio, dal lunedì al sabato percorre sempre lo stesso tratto: dalla fermata vicino casa a quella dell’ufficio e viceversa. Una volta tracciato un profilo medio si possono evidenziare tutte le forme di devianza significativa rispetto a questa media alla ricerca di comportamenti sospetti (si pensi ad esempio esempio al percorso irregolare che fa uno spacciatore per le sue consegne quotidiane). Il comportamento sospetto fa poi scattare controlli più approfonditi che costano alla società tempo e denaro.
Il limite intrinseco del “controllo della mancanza di controllo” è ben descritto dal “paradosso del falso positivo” descritto nel libro e riportato nel box.

Supponiamo di avere una nuova malattia chiamata SuperAIDS.
Solo una persona su un milione ha il SuperAIDS.
Hai sviluppato un test per il SuperAIDS che è accurato al 99%. Ovvero il 99% delle volte offre un risultato corretto positivo se il soggetto è infetto e falso se il soggetto è in salute.
Somministri il test ad un milione di persone.
Una persona su un milione ha il SuperAIDS.
Una persona ogni cento a cui è stato somministrato il test genererà un “falso positivo” che dirà che questa persona ha il SuperAIDS anche se non lo ha.
Questo è ciò che significa “accurato al 99%”: 1% di errore.
Quanto fa un 1% di un milione? 1.000.000/100 = 10.000
Una persona su un milione ha il SuperAIDS.
Ma se testi un milione di persone scelte in modo casuale troverai probabilmente un solo caso vero di SuperAIDS.
Ma il test non identificherà una sola persona. Ne identificherà 10.000.
Ecco che il tuo test efficace nel 99% dei casi si rivelerà inaccurato il 99,99% delle volte. (Cory Doctorow/Little Brother, p. 52 – traduzione mia)

Su fenomeni sufficientemente rari il controllo cibernetico basato sull’inferenza bayesiana, per quanto accurato sia, può generare una necessità di controllo i cui costi economici e sociali superano facilmente il valore del beneficio che si intende ottenere.
Il “controllo della mancanza di controllo” genera la necessità di ulteriore controllo in una spirale potenzialmente infinita.
E questo solo per parlare dell’inefficacia.
La pericolosità è in qualche modo più semplice da comprendere.
Quando il controllo si basa sull’inclusione più che sulla reclusione, la comunicazione ne diventa il perno.
E’ il fenomeno per il quale possedere un telefono cellulare rende il mondo raggiungibile rendendoti raggiungibile dal mondo stesso. Una volta accettata l’inclusione non è possibile tornare indietro ed anche il non essere raggiungibile può diventare facilmente motivo di sospetto (“Perché lo hai spento?”).
Quando si dice comunicazione oggi si dice Internet e non sorprende dunque che le forme di controllo più raffinate abbiano luogo in rete. Google basa sul data mining delle attività dei suoi utenti il suo straordinario successo. Una volta ho letto da qualche parte che se Google fosse un ristorante analizzerebbe anche i resti rimasti nel piatto per comprendere meglio le esigenze dei propri clienti ed adattarvisi.
Google è il campione del controllo cibernetico. La loro mission è rendere accessibile tutta l’informazione del mondo ma quello che in realtà fanno è analizzare l’informazione su come il mondo accede all’informazione. Il gioco che fanno è tuttavia palese ed è interessante che alcuni di questi dati vengano restituiti al mondo stesso nella forma di servizi come il Google Zeitgesit, Google Trends o Google Insights for Search (per citare solo i casi più evidenti).
Ma il controllo diffuso può essere pericoloso anche per un secondo motivo.
Limitare la libertà per favorire il controllo è una strategia propria dei sistemi totalitari ed ogni sistema totalitario genera delle forme di resistenza il cui obiettivo è quello di sfuggire a questo controllo in nome della libertà.
Il romanzo di Cory Doctorow legge tutto questo in chiave generazionale suggerendo neanche troppo velatamente la nascita di un movimento di resistenza delle giovani generazioni native del digitale nei confronti degli adulti ossessionati dalla sicurezza. Una prospettiva drammatica ma al tempo stesso resa possibile dal fatto che quando il controllo è basato sulla comunicazione la competenza nell’uso del mezzo diventa cruciale.
La metafora stessa dei nativi digitali, come ha fatto notare Henry Jenkins, è in questo senso tutt’altro che neutra e meriterebbe forse un uso più cauto e ponderato di quanto non si faccia invece oggi.
Proprio per questo è interessante come il romanzo stemperi nel finale la contrapposizione generazionale (si legga la recensione di Henry Jenkins che ben racconta come e perchè).
Esiste un legame profondo ed inestricabile fra cybercultura e controcultura e Little Brother lo racconta in modo straordinario descrivendo la lotta impari fra un novello Davide, il 17enne Marcus (aka M1k3y) ed il Golia rappresentato dal Department of Home Security. Una lotta i cui esiti, grazie all’empowerment reso possibile dalla conoscenza delle tecnologie di rete e alle capacità delle reti stesse di supportare lo sviluppo di comunità orientate all’azione, diventa meno scontata di quanto si possa immaginare.
Per questo motivo Little Brother è un romanzo da leggere e far leggere sopratutto ai nativi digitali stessi.
Il romanzo è scaricabile gratuitamente ma vi consiglio di fare come ho fatto io ed ordinarne una copia da Amazon fin quando il cambio euro/dollaro ci è favorevole.
L’appuntamento con What’s Next #3 è per venerdì 19 settembre.
Si parlerà di e-social science a partire dagli spunti raccolti durante l’Oxford eResearch Conference 2008.
Per chi non può aspettare una settimana consiglio, come al solito, di seguire FriendFeed.

ll grembiule ed il voto in condotta sono solo l’inizio.

Basta sentire i discorsi degli adulti (o guardare i telegiornali in TV) per capire che lo scenario raccontato da Cory Doctorow in Little Brother è molto meno fantascientifico di quanto si possa credere.

Uno scenario cui fa da sfondo una scuola che in nome della sicurezza degli alunni si affida alle tecnologie del controllo cibernetico diffuso (telecamere, metal detector, etc) per ridurne di fatto la libertà e azzerare la privacy.

Libertà in cambio di sicurezza è la metafora guida dell’incubo globale post 11 settembre e Little Brother ha lo straordinario pregio di mettere in luce tutti i limiti ed i pericoli di questa semplice equazione.

I limiti sono insiti nella stessa natura del controllo cibernetico.

Quando un fenomeno assume dimensioni troppo consistenti da poter essere gestito con i metodi tradizionali ci si affida alla statistica per individuare i fenomeni devianti dallo standard. Si tratta della logica che è alla base, ad esempio, dei filtri anti-spam che svolgono per noi lo sporco lavoro di selezionare i messaggi spazzatura da quelli dei nostri amici, familiari e colleghi di lavoro.

La stessa logica può essere applicata anche al controllo sociale.

E’ possibile, ad esempio, tenere traccia dei percorsi di tutti gli utenti delle metropolitana di Roma per avere un profilo medio degli spostamenti dell’utente tipo. Qualcuno che, ad esempio, dal lunedì al sabato percorre sempre lo stesso tratto: dalla fermata vicino casa a quella dell’ufficio e viceversa. Una volta tracciato un profilo medio si possono evidenziare tutte le forme di devianza significativa rispetto a questa media alla ricerca di comportamenti sospetti (si pensi ad esempio esempio al percorso irregolare che fa uno spacciatore per le sue consegne quotidiane). Il comportamento sospetto fa poi scattare controlli più approfonditi che costano alla società tempo e denaro.

Il limite intrinseco del “controllo della mancanza di controllo” è ben descritto dal “paradosso del falso positivo” descritto nel libro e riportato nel box.

Supponiamo di avere una nuova malattia chiamata SuperAIDS.

Solo una persona su un milione ha il SuperAIDS.

Hai sviluppato un test per il SuperAIDS che è accurato al 99%. Ovvero il 99% delle volte offre un risultato corretto positivo se il soggetto è infetto e falso se il soggetto è in salute.

Somministri il test ad un milione di persone.

Una persona su un milione ha il SuperAIDS.

Una persona ogni cento a cui è stato somministrato il test genererà un “falso positivo” che dirà che questa persona ha il SuperAIDS anche se non lo ha.

Questo è ciò che significa “accurato al 99%”: 1% di errore.

Quanto fa un 1% di un milione? 1.000.000/100 = 10.000

Una persona su un milione ha il SuperAIDS.

Ma se testi un milione di persone scelte in modo casuale troverai probabilmente un solo caso vero di SuperAIDS.

Ma il test non identificherà una sola persona. Ne identificherà 10.000.

Ecco che il tuo test efficace nel 99% dei casi si rivelerà inaccurato il 99,99% delle volte. (Cory Doctorow/Little Brother, p. 52 – traduzione mia)

Su fenomeni sufficientemente rari il controllo cibernetico basato sull’inferenza bayesiana, per quanto accurato sia, può generare una necessità di controllo i cui costi economici e sociali superano facilmente il valore del beneficio che si intende ottenere.

Il “controllo della mancanza di controllo” genera la necessità di ulteriore controllo in una spirale potenzialmente infinita.

E questo solo per parlare dell’inefficacia.

La pericolosità è in qualche modo più semplice da comprendere.

Quando il controllo si basa sull’inclusione più che sulla reclusione, la comunicazione ne diventa il perno.

E’ il fenomeno per il quale possedere un telefono cellulare rende il mondo raggiungibile rendendoti raggiungibile dal mondo stesso. Una volta accettata l’inclusione non è possibile tornare indietro ed anche il non essere raggiungibile può diventare facilmente motivo di sospetto (“Perché lo hai spento?”).

Quando si dice comunicazione oggi si dice Internet e non sorprende dunque che le forme di controllo più raffinate abbiano luogo in rete. Google basa sul data mining delle attività dei suoi utenti il suo straordinario successo. Una volta ho letto da qualche parte che se Google fosse un ristorante analizzerebbe anche i resti rimasti nel piatto per comprendere meglio le esigenze dei propri clienti ed adattarvisi.

Google è il campione del controllo cibernetico. La loro mission è rendere accessibile tutta l’informazione del mondo ma quello che in realtà fanno è analizzare l’informazione su come il mondo accede all’informazione. Il gioco che fanno è tuttavia palese ed è interessante che alcuni di questi dati vengano restituiti al mondo stesso nella forma di servizi come il Google Zeitgesit, Google Trends o Google Insights for Search (per citare solo i casi più evidenti).

Ma il controllo diffuso può essere pericoloso anche per un secondo motivo.

Limitare la libertà per favorire il controllo è una strategia propria dei sistemi totalitari ed ogni sistema totalitario genera delle forme di resistenza il cui obiettivo è quello di sfuggire a questo controllo in nome della libertà.

Il romanzo di Cory Doctorow legge tutto questo in chiave generazionale suggerendo neanche troppo velatamente la nascita di un movimento di resistenza delle giovani generazioni native del digitale nei confronti degli adulti ossessionati dalla sicurezza. Una prospettiva drammatica ma al tempo stesso resa possibile dal fatto che quando il controllo è basato sulla comunicazione la competenza nell’uso del mezzo diventa cruciale.

La metafora stessa dei nativi digitali, come ha fatto notare Henry Jenkins, è in questo senso tutt’altro che neutra e meriterebbe forse un uso più cauto e ponderato di quanto non si faccia invece oggi.

Proprio per questo è interessante come il romanzo stemperi nel finale la contrapposizione generazionale (si legga la recensione di Henry Jenkins che ben racconta come e perchè).

Esiste un legame profondo ed inestricabile fra cybercultura e controcultura e Little Brother lo racconta in modo straordinario descrivendo la lotta impari fra un novello Davide, il 17enne Marcus (aka M1k3y) ed il Golia rappresentato dal Department of Home Security. Una lotta i cui esiti, grazie all’empowerment reso possibile dalla conoscenza delle tecnologie di rete e alle capacità delle reti stesse di supportare lo sviluppo di comunità orientate all’azione, diventa meno scontata di quanto si possa immaginare.

Per questo motivo Little Brother è un romanzo da leggere e far leggere sopratutto ai nativi digitali stessi.

Il romanzo è scaricabile gratuitamente ma vi consiglio di fare come ho fatto io ed ordinarne una copia da Amazon fin quando il cambio euro/dollaro ci è favorevole.

L’appuntamento con What’s Next #3 è per venerdì 19 settembre.

Si parlerà di e-social science a partire dagli spunti raccolti durante l’Oxford eResearch Conference 2008.

Per chi non può aspettare una settimana consiglio, come al solito, di seguire FriendFeed.

ll grembiule ed il voto in condotta sono solo l’inizio.

Basta sentire i discorsi degli adulti (o guardare i telegiornali in TV) per capire che lo scenario raccontato da Cory Doctorow in Little Brother è molto meno fantascientifico di quanto si possa credere.

Uno scenario cui fa da sfondo una scuola che in nome della sicurezza degli alunni si affida alle tecnologie del controllo cibernetico diffuso (telecamere, metal detector, etc) per ridurne di fatto la libertà e azzerare la privacy.

Libertà in cambio di sicurezza è la metafora guida dell’incubo globale post 11 settembre e Little Brother ha lo straordinario pregio di mettere in luce tutti i limiti ed i pericoli di questa semplice equazione.

I limiti sono insiti nella stessa natura del controllo cibernetico.

Quando un fenomeno assume dimensioni troppo consistenti da poter essere gestito con i metodi tradizionali ci si affida alla statistica per individuare i fenomeni devianti dallo standard. Si tratta della logica che è alla base, ad esempio, dei filtri anti-spam che svolgono per noi lo sporco lavoro di selezionare i messaggi spazzatura da quelli dei nostri amici, familiari e colleghi di lavoro.

La stessa logica può essere applicata anche al controllo sociale.

E’ possibile, ad esempio, tenere traccia dei percorsi di tutti gli utenti delle metropolitana di Roma per avere un profilo medio degli spostamenti dell’utente tipo. Qualcuno che, ad esempio, dal lunedì al sabato percorre sempre lo stesso tratto: dalla fermata vicino casa a quella dell’ufficio e viceversa. Una volta tracciato un profilo medio si possono evidenziare tutte le forme di devianza significativa rispetto a questa media alla ricerca di comportamenti sospetti (si pensi ad esempio esempio al percorso irregolare che fa uno spacciatore per le sue consegne quotidiane). Il comportamento sospetto fa poi scattare controlli più approfonditi che costano alla società tempo e denaro.

Il limite intrinseco del “controllo della mancanza di controllo” è ben descritto dal “paradosso del falso positivo” descritto nel libro e riportato nel box.

Supponiamo di avere una nuova malattia chiamata SuperAIDS.

Solo una persona su un milione ha il SuperAIDS.

Hai sviluppato un test per il SuperAIDS che è accurato al 99%. Ovvero il 99% delle volte offre un risultato corretto positivo se il soggetto è infetto e falso se il soggetto è in salute.

Somministri il test ad un milione di persone.

Una persona su un milione ha il SuperAIDS.

Una persona ogni cento a cui è stato somministrato il test genererà un “falso positivo” che dirà che questa persona ha il SuperAIDS anche se non lo ha.

Questo è ciò che significa “accurato al 99%”: 1% di errore.

Quanto fa un 1% di un milione? 1.000.000/100 = 10.000

Una persona su un milione ha il SuperAIDS.

Ma se testi un milione di persone scelte in modo casuale troverai probabilmente un solo caso vero di SuperAIDS.

Ma il test non identificherà una sola persona. Ne identificherà 10.000.

Ecco che il tuo test efficace nel 99% dei casi si rivelerà inaccurato il 99,99% delle volte. (Cory Doctorow/Little Brother, p. 52 – traduzione mia)

Su fenomeni sufficientemente rari il controllo cibernetico basato sull’inferenza bayesiana, per quanto accurato sia, può generare una necessità di controllo i cui costi economici e sociali superano facilmente il valore del beneficio che si intende ottenere.

Il “controllo della mancanza di controllo” genera la necessità di ulteriore controllo in una spirale potenzialmente infinita.

E questo solo per parlare dell’inefficacia.

La pericolosità è in qualche modo più semplice da comprendere.

Quando il controllo si basa sull’inclusione più che sulla reclusione, la comunicazione ne diventa il perno.

E’ il fenomeno per il quale possedere un telefono cellulare rende il mondo raggiungibile rendendoti raggiungibile dal mondo stesso. Una volta accettata l’inclusione non è possibile tornare indietro ed anche il non essere raggiungibile può diventare facilmente motivo di sospetto (“Perché lo hai spento?”).

Quando si dice comunicazione oggi si dice Internet e non sorprende dunque che le forme di controllo più raffinate abbiano luogo in rete. Google basa sul data mining delle attività dei suoi utenti il suo straordinario successo. Una volta ho letto da qualche parte che se Google fosse un ristorante analizzerebbe anche i resti rimasti nel piatto per comprendere meglio le esigenze dei propri clienti ed adattarvisi.

Google è il campione del controllo cibernetico. La loro mission è rendere accessibile tutta l’informazione del mondo ma quello che in realtà fanno è analizzare l’informazione su come il mondo accede all’informazione. Il gioco che fanno è tuttavia palese ed è interessante che alcuni di questi dati vengano restituiti al mondo stesso nella forma di servizi come il Google Zeitgesit, Google Trends o Google Insights for Search (per citare solo i casi più evidenti).

Ma il controllo diffuso può essere pericoloso anche per un secondo motivo.

Limitare la libertà per favorire il controllo è una strategia propria dei sistemi totalitari ed ogni sistema totalitario genera delle forme di resistenza il cui obiettivo è quello di sfuggire a questo controllo in nome della libertà.

Il romanzo di Cory Doctorow legge tutto questo in chiave generazionale suggerendo neanche troppo velatamente la nascita di un movimento di resistenza delle giovani generazioni native del digitale nei confronti degli adulti ossessionati dalla sicurezza. Una prospettiva drammatica ma al tempo stesso resa possibile dal fatto che quando il controllo è basato sulla comunicazione la competenza nell’uso del mezzo diventa cruciale.

La metafora stessa dei nativi digitali, come ha fatto notare Henry Jenkins, è in questo senso tutt’altro che neutra e meriterebbe forse un uso più cauto e ponderato di quanto non si faccia invece oggi.

Proprio per questo è interessante come il romanzo stemperi nel finale la contrapposizione generazionale (si legga la recensione di Henry Jenkins che ben racconta come e perchè).

Esiste un legame profondo ed inestricabile fra cybercultura e controcultura e Little Brother lo racconta in modo straordinario descrivendo la lotta impari fra un novello Davide, il 17enne Marcus (aka M1k3y) ed il Golia rappresentato dal Department of Home Security. Una lotta i cui esiti, grazie all’empowerment reso possibile dalla conoscenza delle tecnologie di rete e alle capacità delle reti stesse di supportare lo sviluppo di comunità orientate all’azione, diventa meno scontata di quanto si possa immaginare.

Per questo motivo Little Brother è un romanzo da leggere e far leggere sopratutto ai nativi digitali stessi.

Il romanzo è scaricabile gratuitamente ma vi consiglio di fare come ho fatto io ed ordinarne una copia da Amazon fin quando il cambio euro/dollaro ci è favorevole.

L’appuntamento con What’s Next #3 è per venerdì 19 settembre.

Si parlerà di e-social science a partire dagli spunti raccolti durante l’Oxford eResearch Conference 2008.

Per chi non può aspettare una settimana consiglio, come al solito, di seguire FriendFeed.

What's next #1: Facebook e Badoo in Italia

Nel primo numero di What’s Next un aggiornamento sullo stato di avanzamento della ricerca comparativa fra Facebook e Badoo in Italia. Nonostante la straordinaria crescita di Facebook nel corso del 2008, Badoo è ancora il SNSs preferito dagli italiani. Più maschile, giovane e prevalentemente centro-meridionale, l’utente tipo di Badoo in Italia rimane, nonostante questi nuovi dati, un fenomeno dove molto è ancora da scoprire.Nel primo numero di What’s Next un aggiornamento sullo stato di avanzamento della ricerca comparativa fra Facebook e Badoo in Italia. Nonostante la straordinaria crescita di Facebook nel corso del 2008, Badoo è ancora il SNSs preferito dagli italiani. Più maschile, giovane e prevalentemente centro-meridionale, l’utente tipo di Badoo in Italia rimane, nonostante questi nuovi dati, un fenomeno dove molto è ancora da scoprire.Nel primo numero di What’s Next un aggiornamento sullo stato di avanzamento della ricerca comparativa fra Facebook e Badoo in Italia. Nonostante la straordinaria crescita di Facebook nel corso del 2008, Badoo è ancora il SNSs preferito dagli italiani. Più maschile, giovane e prevalentemente centro-meridionale, l’utente tipo di Badoo in Italia rimane, nonostante questi nuovi dati, un fenomeno dove molto è ancora da scoprire.

I siti di social network (SNSs) come MySpace, Facebook, Orkut, Friendster o Bebo, da quando sono comparsi, hanno attratto milioni di utenti in tutto il mondo. Pur trattandosi di un successo globale un attento esame delle piattaforme più usate in ciascuna nazione può evidenziare percorsi di domesticazione anche molto diversi motivati da differenze culturali, ragioni storiche e caratteristiche specifiche di ogni singolo sito di social network.
A questo tema sarà dedicato il panel Social Network Site in national context a cui parteciperò durante la conferenza IR 9.0: Rethinking Communities, Rethinking Place (qualche altro italiano viene?).
Secondo un recente studio pubblicato da comScore (ben descritto in questo post da Vincenzo Cosenza) mentre in Nord America si è raggiunto un livello di adozione che non lascia molti spazi per incrementi percentuali significativi, i SNSs si stanno rapidamente diffondendo in tutti gli altri continenti.
In questo senso è particolarmente interessante lo studio realizzato dall’azienda svedese Royal Pingdom che sfruttando il servizio Google Insight for Search ha comparato l’attenzione locale verso i principali siti di social network in modo simile a quanto avevo fatto tempo fa usando Google Trends. Google Insight for Search premette di comparare il volume di ricerche generato da due o più parole chiave su Google. Al tempo stesso il servizio consente di limitare geograficamente le ricerche per comparare l’uso di una stessa parola chiave in due o più nazioni diverse.
Usando la stessa tecnica e rappresentazione grafica ho analizzato e creato una heat map  con i dati per un sesto social network non incluso nello studio di Royal Pingdom.
Il risultato, visibile nella slide 7, conferma come già notato in precedenza la popolarità di Badoo in Italia.

The Italian way to SNSs

View SlideShare presentation or Upload your own. (tags: sns facebook)

Lo scopo della ricerca che sto conducendo è proprio di comprendere i motivi di questo successo locale verificando se esistano delle variabili culturali, economiche o demografiche proprie del nostro Paese o caratteristiche specifiche del servizio in questione che lo giustifichino.
Allo scopo di meglio strutturare la ricerca ho deciso di confrontare Facebook, il social network più popolare del momento nel mondo, con Badoo nello specifico del nostro contesto nazionale. Un buon punto di partenza per conoscere la storia di questi due servizi sono le rispettive pagine su Wikipedia: Facebook e Badoo.
Per i lettori non abituali di questo blog segnalo i precedenti post in cui ho discusso alcuni aspetti di questo stesso tema:

Alla data di scrittura di questo articolo Badoo dichiara oltre 2.500.000 profili utente mentre Facebook qualcosa più di 600.000 (con una crescita straordinaria che è iniziata nel 2008 e non accenna ad arrestarsi). I dati sono stati ottenuti con specifiche interrogazioni all’interno dei due siti compiendo operazioni facilmente ripetibili da chiunque (si veda qui come fare per Facebook). La fonte è dunque lo stesso gestore del servizio e non di terze parti.
Lo studio che ho progettato è strutturato in più fasi:

  1. Una survey telefonica su un campione rappresentativo della popolazione italiana sopra i 18 anni (N = 1600) volta a costruire un quadro generale del fenomeno;
  2. Un confronto quantitativo sulle caratteristiche anagrafiche della popolazione di utenti di Facebook e Badoo con dati reperiti in diversi periodo a partire da dicembre 2007;
  3. Due focus group di 8 utenti ciascuno (due gruppi con oltre e meno di 25 anni) per ciascun sito di social network (ma sarebbe necessario farne molte di più | anyone interested to help?).

Allo stato di scrittura di questo post le fasi 1 (i cui risultati sono stati ampiamente diffusi e commentati in rete) e 2 sono state completate.
Questo post fa il punto sullo stato di avanzamento di questa ricerca in relazione specificamente alla fase 2.
Uno dei risultati principali a cui sono giunto è ben riassunto nella seguente heat map realizzata con la stessa tecnica e strumento descritti in precedenza.

Facebook & Badoo Google Insight heat map
Facebook & Badoo Google Insight heat map

Come si può facilmente notare anche all’interno di una stessa nazione la popolarità dei siti di social network è vincolata geograficamente. Il confronto fra queste due mappe suggerisce che Facebook sia prevalentemente usato nel nord Italia e Badoo nel centro e sopratutto a Sud.
Questa mappa manca tuttavia di un terzo protagonista importante che pur non essendo parte specifica della ricerca non può essere ignorato.
Netlog è infatti secondo in popolarità solo a Badoo (anche se a guardare il trend dell’ultimo mese sembra averlo addirittura superato) e pur non essendo stato possibile recuperare il numero complessivo degli utenti italiani è facile comprendere le dimensioni del fenomeno osservando questa immagine.
Google Insights compairson between Facebook, Badoo and Netlog in Italy (retrived August 2008)
Google Insights compairson between Facebook, Badoo and Netlog in Italy

Interessante anche la mappa di calore di Netlog che, pur non essendo un fenomeno specificamente italiano come Badoo, meriterebbe per certe sue caratteristiche come la distribuzione geografica visibile in questa immagine, uno studio dedicato.
Netlog popularity Google Insight heat map
Netlog popularity Google Insight heat map

Come accennato l’utenza italiana di Facebook è esplosa durante il 2008. Stando ai dati raccolti, nel segmento 16-19 anni si registra una crescita del 232% nel corso degli ultimi 8 mesi. Nello stesso periodo dell’anno e per lo stesso segmento di popolazione Badoo è cresciuto del 24% (la comparazione si basa sulla supposizione che gli utenti come meno di 18 anni su Badoo si attribuiscano un età superiore).
Per comodità ho raccolto questi dati in un foglio di calcolo di Google.
Chi lo desideri è dunque libero di analizzare questi dati come meglio crede o di creare un foglio di calcolo analogo con dati aggiornati in futuro.
Analizzando questi dati ho notato che:

  1. Fino a 25 anni gli utenti di Facebook sono più donne che uomini mentre per Badoo questo avviene solo nel segmento dei diciottenni;
  2. 25 anni è per Facebook il discrimine a partire dal quale il numero degli utenti descresce;
  3. La distribuzione di età degli utenti di Badoo è significativamente più schiacciata verso i giovani rispetto a Facebook.

Percentuale di utenti Facebook e Badoo in Italia (< 50 anni)
Percentuale di utenti Facebook e Badoo in Italia (< 50 anni)

Confrontando le curve della distribuzione di età con quelle pubblicate in questo studio di Rapleaf appare evidente che la popolazione di Facebook in Italia è molto più adulta di quanto lo sia in media. Al contrario la curva di Badoo più simile a quella media dei SNSs dedicati ai giovani.
via Rapleaf Report
via Rapleaf Report

Anche il dato relativo al genere merita attenzione perché conferma un trend già evidenziatosi altrove (PEW e Rapleaf).
Differenze di genere in Facebook e Badoo in Italia
Differenze di genere in Facebook e Badoo in Italia

Anche in Italia, le ragazze usano i social network più degli uomini e minore è l’età del segmento che si prende in esame maggiore è questa differenza. In media l’utenza di Badoo è molto più sbilianciata in termini di genere a favore dei maschi (65% maschi, 35% femmine) mentre in Facebook non si notano differenze significative (47% Maschi, 45% Femmine).
Altri dati interessanti per completare il quadro del confronto possono essere ottenuti utilizzando Google Trends for Websites che, a differenza del servizio citato in precedenza, stima il volume di traffico verso un certo sito. Si veda questo post di Vincenzo Cosenza ed i relativi commenti. In particolare è interessante confrontare i siti che i visitatori di Facebook e Badoo visitano più spesso. Ne escono due profili di utenza completamente diversi.
Uno spunto che potrebbe essere interessante seguire è quello di confrontare le tipologie di siti “Also visited” fra Italia e altre nazioni su i principali SNSs.
Questo è il quadro di riferimento complessivo che sono riuscito a ricostruire fino a questo momento.
Dal complesso di questi dati mi sembra possibile formulare alcune ipotesi che vale la pena approfondire attraverso i focus group nella fase successiva del lavoro.

  1. In una prospettiva di capitale sociale mi sembra che Badoo sia uno strumento più orientato al bridging e Facebook al bonding ovvero a rinsaldare le amicizie eistenti;
  2. La distribuzione geografica della popolazione dei due SNSs (analisi che potrebbe essere approfondita prendendo i dati dei profili x singola provincia su Badoo | anyone interested to help?) lascia immaginare che le diverse variabili economiche e socio-demografiche che caratterizzano il sud, il centro ed il nord italia possano influenzare la scelta della piattaforma di social network preferita;
  3. Sembra ipotizzabile fra Badoo e Facebook in Italia un divario analogo a quello che danah boyd ha notato fra MySpace e Facebook negli Stati Uniti;
  4. Poichè i profili di Badoo sono pubblici (basta avere il link diretto al profilo o ad uno dei contenuti) mentre quelli di Facebook sono visibili di default solo al proprio network è ipotizzabile anche che gli utenti di Badoo percepiscano meno il problema della privacy in rete. L’ipotesi è che non esista una chiara percezione di quanto pubblico sia un contenuto esposto in rete e che la maturazione di questa consapevolezza sia un’indice di uso più maturo della rete. [Il fatto che tutto sia così pubblico su Badoo potrebbe consentire ricerche semi-automatizzate basate sulla tecnica dello scraping dei contenuti e dei commenti e la navigazione di profilo in profilo seguendo i link dei friends | any tech guy interested to help?]

Nei prossimi giorni ho intenzione di promuovere una survery via web (anche se non era prevista inizialmente) e pubblicherò il protocollo dei focus group in modo che chiunque voglia aiutarmi possa intervistare un gruppo di utenti di Facebook e Badoo e spedirimi poi il file audio o la trascrizione o semplicemente le sue impressioni (contattatemi se siete interessati).
Come al solito mi interessa sentire il vostro parere, le vostre sensazioni, le vostre opinioni ed i suggerimenti nei commenti.
Il prossimo appuntamento con What’s Next è venerdì 12 settembre nel frattempo c’è friendfeed.

I siti di social network (SNSs) come MySpace, Facebook, Orkut, Friendster o Bebo, da quando sono comparsi, hanno attratto milioni di utenti in tutto il mondo. Pur trattandosi di un successo globale un attento esame delle piattaforme più usate in ciascuna nazione può evidenziare percorsi di domesticazione anche molto diversi motivati da differenze culturali, ragioni storiche e caratteristiche specifiche di ogni singolo sito di social network.

A questo tema sarà dedicato il panel Social Network Site in national context a cui parteciperò durante la conferenza IR 9.0: Rethinking Communities, Rethinking Place (qualche altro italiano viene?).

Secondo un recente studio pubblicato da comScore (ben descritto in questo post da Vincenzo Cosenza) mentre in Nord America si è raggiunto un livello di adozione che non lascia molti spazi per incrementi percentuali significativi, i SNSs si stanno rapidamente diffondendo in tutti gli altri continenti.

In questo senso è particolarmente interessante lo studio realizzato dall’azienda svedese Royal Pingdom che sfruttando il servizio Google Insight for Search ha comparato l’attenzione locale verso i principali siti di social network in modo simile a quanto avevo fatto tempo fa usando Google Trends. Google Insight for Search premette di comparare il volume di ricerche generato da due o più parole chiave su Google. Al tempo stesso il servizio consente di limitare geograficamente le ricerche per comparare l’uso di una stessa parola chiave in due o più nazioni diverse.

Usando la stessa tecnica e rappresentazione grafica ho analizzato e creato una heat map  con i dati per un sesto social network non incluso nello studio di Royal Pingdom.

Il risultato, visibile nella slide 7, conferma come già notato in precedenza la popolarità di Badoo in Italia.

The Italian way to SNSs

View SlideShare presentation or Upload your own. (tags: sns facebook)

Lo scopo della ricerca che sto conducendo è proprio di comprendere i motivi di questo successo locale verificando se esistano delle variabili culturali, economiche o demografiche proprie del nostro Paese o caratteristiche specifiche del servizio in questione che lo giustifichino.

Allo scopo di meglio strutturare la ricerca ho deciso di confrontare Facebook, il social network più popolare del momento nel mondo, con Badoo nello specifico del nostro contesto nazionale. Un buon punto di partenza per conoscere la storia di questi due servizi sono le rispettive pagine su Wikipedia: Facebook e Badoo.

Per i lettori non abituali di questo blog segnalo i precedenti post in cui ho discusso alcuni aspetti di questo stesso tema:

Alla data di scrittura di questo articolo Badoo dichiara oltre 2.500.000 profili utente mentre Facebook qualcosa più di 600.000 (con una crescita straordinaria che è iniziata nel 2008 e non accenna ad arrestarsi). I dati sono stati ottenuti con specifiche interrogazioni all’interno dei due siti compiendo operazioni facilmente ripetibili da chiunque (si veda qui come fare per Facebook). La fonte è dunque lo stesso gestore del servizio e non di terze parti.

Lo studio che ho progettato è strutturato in più fasi:

  1. Una survey telefonica su un campione rappresentativo della popolazione italiana sopra i 18 anni (N = 1600) volta a costruire un quadro generale del fenomeno;
  2. Un confronto quantitativo sulle caratteristiche anagrafiche della popolazione di utenti di Facebook e Badoo con dati reperiti in diversi periodo a partire da dicembre 2007;
  3. Due focus group di 8 utenti ciascuno (due gruppi con oltre e meno di 25 anni) per ciascun sito di social network (ma sarebbe necessario farne molte di più | anyone interested to help?).

Allo stato di scrittura di questo post le fasi 1 (i cui risultati sono stati ampiamente diffusi e commentati in rete) e 2 sono state completate.

Questo post fa il punto sullo stato di avanzamento di questa ricerca in relazione specificamente alla fase 2.

Uno dei risultati principali a cui sono giunto è ben riassunto nella seguente heat map realizzata con la stessa tecnica e strumento descritti in precedenza.

Facebook & Badoo Google Insight heat map
Facebook & Badoo Google Insight heat map

Come si può facilmente notare anche all’interno di una stessa nazione la popolarità dei siti di social network è vincolata geograficamente. Il confronto fra queste due mappe suggerisce che Facebook sia prevalentemente usato nel nord Italia e Badoo nel centro e sopratutto a Sud.

Questa mappa manca tuttavia di un terzo protagonista importante che pur non essendo parte specifica della ricerca non può essere ignorato.

Netlog è infatti secondo in popolarità solo a Badoo (anche se a guardare il trend dell’ultimo mese sembra averlo addirittura superato) e pur non essendo stato possibile recuperare il numero complessivo degli utenti italiani è facile comprendere le dimensioni del fenomeno osservando questa immagine.

Google Insights compairson between Facebook, Badoo and Netlog in Italy (retrived August 2008)
Google Insights compairson between Facebook, Badoo and Netlog in Italy

Interessante anche la mappa di calore di Netlog che, pur non essendo un fenomeno specificamente italiano come Badoo, meriterebbe per certe sue caratteristiche come la distribuzione geografica visibile in questa immagine, uno studio dedicato.

Netlog popularity Google Insight heat map
Netlog popularity Google Insight heat map

Come accennato l’utenza italiana di Facebook è esplosa durante il 2008. Stando ai dati raccolti, nel segmento 16-19 anni si registra una crescita del 232% nel corso degli ultimi 8 mesi. Nello stesso periodo dell’anno e per lo stesso segmento di popolazione Badoo è cresciuto del 24% (la comparazione si basa sulla supposizione che gli utenti come meno di 18 anni su Badoo si attribuiscano un età superiore).

Per comodità ho raccolto questi dati in un foglio di calcolo di Google.

Chi lo desideri è dunque libero di analizzare questi dati come meglio crede o di creare un foglio di calcolo analogo con dati aggiornati in futuro.

Analizzando questi dati ho notato che:

  1. Fino a 25 anni gli utenti di Facebook sono più donne che uomini mentre per Badoo questo avviene solo nel segmento dei diciottenni;
  2. 25 anni è per Facebook il discrimine a partire dal quale il numero degli utenti descresce;
  3. La distribuzione di età degli utenti di Badoo è significativamente più schiacciata verso i giovani rispetto a Facebook.
Percentuale di utenti Facebook e Badoo in Italia (< 50 anni)
Percentuale di utenti Facebook e Badoo in Italia (< 50 anni)

Confrontando le curve della distribuzione di età con quelle pubblicate in questo studio di Rapleaf appare evidente che la popolazione di Facebook in Italia è molto più adulta di quanto lo sia in media. Al contrario la curva di Badoo più simile a quella media dei SNSs dedicati ai giovani.

via Rapleaf Report
via Rapleaf Report

Anche il dato relativo al genere merita attenzione perché conferma un trend già evidenziatosi altrove (PEW e Rapleaf).

Differenze di genere in Facebook e Badoo in Italia
Differenze di genere in Facebook e Badoo in Italia

Anche in Italia, le ragazze usano i social network più degli uomini e minore è l’età del segmento che si prende in esame maggiore è questa differenza. In media l’utenza di Badoo è molto più sbilianciata in termini di genere a favore dei maschi (65% maschi, 35% femmine) mentre in Facebook non si notano differenze significative (47% Maschi, 45% Femmine).

Altri dati interessanti per completare il quadro del confronto possono essere ottenuti utilizzando Google Trends for Websites che, a differenza del servizio citato in precedenza, stima il volume di traffico verso un certo sito. Si veda questo post di Vincenzo Cosenza ed i relativi commenti. In particolare è interessante confrontare i siti che i visitatori di Facebook e Badoo visitano più spesso. Ne escono due profili di utenza completamente diversi.

Uno spunto che potrebbe essere interessante seguire è quello di confrontare le tipologie di siti “Also visited” fra Italia e altre nazioni su i principali SNSs.

Questo è il quadro di riferimento complessivo che sono riuscito a ricostruire fino a questo momento.

Dal complesso di questi dati mi sembra possibile formulare alcune ipotesi che vale la pena approfondire attraverso i focus group nella fase successiva del lavoro.

  1. In una prospettiva di capitale sociale mi sembra che Badoo sia uno strumento più orientato al bridging e Facebook al bonding ovvero a rinsaldare le amicizie eistenti;
  2. La distribuzione geografica della popolazione dei due SNSs (analisi che potrebbe essere approfondita prendendo i dati dei profili x singola provincia su Badoo | anyone interested to help?) lascia immaginare che le diverse variabili economiche e socio-demografiche che caratterizzano il sud, il centro ed il nord italia possano influenzare la scelta della piattaforma di social network preferita;
  3. Sembra ipotizzabile fra Badoo e Facebook in Italia un divario analogo a quello che danah boyd ha notato fra MySpace e Facebook negli Stati Uniti;
  4. Poichè i profili di Badoo sono pubblici (basta avere il link diretto al profilo o ad uno dei contenuti) mentre quelli di Facebook sono visibili di default solo al proprio network è ipotizzabile anche che gli utenti di Badoo percepiscano meno il problema della privacy in rete. L’ipotesi è che non esista una chiara percezione di quanto pubblico sia un contenuto esposto in rete e che la maturazione di questa consapevolezza sia un’indice di uso più maturo della rete. [Il fatto che tutto sia così pubblico su Badoo potrebbe consentire ricerche semi-automatizzate basate sulla tecnica dello scraping dei contenuti e dei commenti e la navigazione di profilo in profilo seguendo i link dei friends | any tech guy interested to help?]

Nei prossimi giorni ho intenzione di promuovere una survery via web (anche se non era prevista inizialmente) e pubblicherò il protocollo dei focus group in modo che chiunque voglia aiutarmi possa intervistare un gruppo di utenti di Facebook e Badoo e spedirimi poi il file audio o la trascrizione o semplicemente le sue impressioni (contattatemi se siete interessati).

Come al solito mi interessa sentire il vostro parere, le vostre sensazioni, le vostre opinioni ed i suggerimenti nei commenti.

Il prossimo appuntamento con What’s Next è venerdì 12 settembre nel frattempo c’è friendfeed.

I siti di social network (SNSs) come MySpace, Facebook, Orkut, Friendster o Bebo, da quando sono comparsi, hanno attratto milioni di utenti in tutto il mondo. Pur trattandosi di un successo globale un attento esame delle piattaforme più usate in ciascuna nazione può evidenziare percorsi di domesticazione anche molto diversi motivati da differenze culturali, ragioni storiche e caratteristiche specifiche di ogni singolo sito di social network.

A questo tema sarà dedicato il panel Social Network Site in national context a cui parteciperò durante la conferenza IR 9.0: Rethinking Communities, Rethinking Place (qualche altro italiano viene?).

Secondo un recente studio pubblicato da comScore (ben descritto in questo post da Vincenzo Cosenza) mentre in Nord America si è raggiunto un livello di adozione che non lascia molti spazi per incrementi percentuali significativi, i SNSs si stanno rapidamente diffondendo in tutti gli altri continenti.

In questo senso è particolarmente interessante lo studio realizzato dall’azienda svedese Royal Pingdom che sfruttando il servizio Google Insight for Search ha comparato l’attenzione locale verso i principali siti di social network in modo simile a quanto avevo fatto tempo fa usando Google Trends. Google Insight for Search premette di comparare il volume di ricerche generato da due o più parole chiave su Google. Al tempo stesso il servizio consente di limitare geograficamente le ricerche per comparare l’uso di una stessa parola chiave in due o più nazioni diverse.

Usando la stessa tecnica e rappresentazione grafica ho analizzato e creato una heat map  con i dati per un sesto social network non incluso nello studio di Royal Pingdom.

Il risultato, visibile nella slide 7, conferma come già notato in precedenza la popolarità di Badoo in Italia.

The Italian way to SNSs

View SlideShare presentation or Upload your own. (tags: sns facebook)

Lo scopo della ricerca che sto conducendo è proprio di comprendere i motivi di questo successo locale verificando se esistano delle variabili culturali, economiche o demografiche proprie del nostro Paese o caratteristiche specifiche del servizio in questione che lo giustifichino.

Allo scopo di meglio strutturare la ricerca ho deciso di confrontare Facebook, il social network più popolare del momento nel mondo, con Badoo nello specifico del nostro contesto nazionale. Un buon punto di partenza per conoscere la storia di questi due servizi sono le rispettive pagine su Wikipedia: Facebook e Badoo.

Per i lettori non abituali di questo blog segnalo i precedenti post in cui ho discusso alcuni aspetti di questo stesso tema:

Alla data di scrittura di questo articolo Badoo dichiara oltre 2.500.000 profili utente mentre Facebook qualcosa più di 600.000 (con una crescita straordinaria che è iniziata nel 2008 e non accenna ad arrestarsi). I dati sono stati ottenuti con specifiche interrogazioni all’interno dei due siti compiendo operazioni facilmente ripetibili da chiunque (si veda qui come fare per Facebook). La fonte è dunque lo stesso gestore del servizio e non di terze parti.

Lo studio che ho progettato è strutturato in più fasi:

  1. Una survey telefonica su un campione rappresentativo della popolazione italiana sopra i 18 anni (N = 1600) volta a costruire un quadro generale del fenomeno;
  2. Un confronto quantitativo sulle caratteristiche anagrafiche della popolazione di utenti di Facebook e Badoo con dati reperiti in diversi periodo a partire da dicembre 2007;
  3. Due focus group di 8 utenti ciascuno (due gruppi con oltre e meno di 25 anni) per ciascun sito di social network (ma sarebbe necessario farne molte di più | anyone interested to help?).

Allo stato di scrittura di questo post le fasi 1 (i cui risultati sono stati ampiamente diffusi e commentati in rete) e 2 sono state completate.

Questo post fa il punto sullo stato di avanzamento di questa ricerca in relazione specificamente alla fase 2.

Uno dei risultati principali a cui sono giunto è ben riassunto nella seguente heat map realizzata con la stessa tecnica e strumento descritti in precedenza.

Facebook & Badoo Google Insight heat map
Facebook & Badoo Google Insight heat map

Come si può facilmente notare anche all’interno di una stessa nazione la popolarità dei siti di social network è vincolata geograficamente. Il confronto fra queste due mappe suggerisce che Facebook sia prevalentemente usato nel nord Italia e Badoo nel centro e sopratutto a Sud.

Questa mappa manca tuttavia di un terzo protagonista importante che pur non essendo parte specifica della ricerca non può essere ignorato.

Netlog è infatti secondo in popolarità solo a Badoo (anche se a guardare il trend dell’ultimo mese sembra averlo addirittura superato) e pur non essendo stato possibile recuperare il numero complessivo degli utenti italiani è facile comprendere le dimensioni del fenomeno osservando questa immagine.

Google Insights compairson between Facebook, Badoo and Netlog in Italy (retrived August 2008)
Google Insights compairson between Facebook, Badoo and Netlog in Italy

Interessante anche la mappa di calore di Netlog che, pur non essendo un fenomeno specificamente italiano come Badoo, meriterebbe per certe sue caratteristiche come la distribuzione geografica visibile in questa immagine, uno studio dedicato.

Netlog popularity Google Insight heat map
Netlog popularity Google Insight heat map

Come accennato l’utenza italiana di Facebook è esplosa durante il 2008. Stando ai dati raccolti, nel segmento 16-19 anni si registra una crescita del 232% nel corso degli ultimi 8 mesi. Nello stesso periodo dell’anno e per lo stesso segmento di popolazione Badoo è cresciuto del 24% (la comparazione si basa sulla supposizione che gli utenti come meno di 18 anni su Badoo si attribuiscano un età superiore).

Per comodità ho raccolto questi dati in un foglio di calcolo di Google.

Chi lo desideri è dunque libero di analizzare questi dati come meglio crede o di creare un foglio di calcolo analogo con dati aggiornati in futuro.

Analizzando questi dati ho notato che:

  1. Fino a 25 anni gli utenti di Facebook sono più donne che uomini mentre per Badoo questo avviene solo nel segmento dei diciottenni;
  2. 25 anni è per Facebook il discrimine a partire dal quale il numero degli utenti descresce;
  3. La distribuzione di età degli utenti di Badoo è significativamente più schiacciata verso i giovani rispetto a Facebook.
Percentuale di utenti Facebook e Badoo in Italia (< 50 anni)
Percentuale di utenti Facebook e Badoo in Italia (< 50 anni)

Confrontando le curve della distribuzione di età con quelle pubblicate in questo studio di Rapleaf appare evidente che la popolazione di Facebook in Italia è molto più adulta di quanto lo sia in media. Al contrario la curva di Badoo più simile a quella media dei SNSs dedicati ai giovani.

via Rapleaf Report
via Rapleaf Report

Anche il dato relativo al genere merita attenzione perché conferma un trend già evidenziatosi altrove (PEW e Rapleaf).

Differenze di genere in Facebook e Badoo in Italia
Differenze di genere in Facebook e Badoo in Italia

Anche in Italia, le ragazze usano i social network più degli uomini e minore è l’età del segmento che si prende in esame maggiore è questa differenza. In media l’utenza di Badoo è molto più sbilianciata in termini di genere a favore dei maschi (65% maschi, 35% femmine) mentre in Facebook non si notano differenze significative (47% Maschi, 45% Femmine).

Altri dati interessanti per completare il quadro del confronto possono essere ottenuti utilizzando Google Trends for Websites che, a differenza del servizio citato in precedenza, stima il volume di traffico verso un certo sito. Si veda questo post di Vincenzo Cosenza ed i relativi commenti. In particolare è interessante confrontare i siti che i visitatori di Facebook e Badoo visitano più spesso. Ne escono due profili di utenza completamente diversi.

Uno spunto che potrebbe essere interessante seguire è quello di confrontare le tipologie di siti “Also visited” fra Italia e altre nazioni su i principali SNSs.

Questo è il quadro di riferimento complessivo che sono riuscito a ricostruire fino a questo momento.

Dal complesso di questi dati mi sembra possibile formulare alcune ipotesi che vale la pena approfondire attraverso i focus group nella fase successiva del lavoro.

  1. In una prospettiva di capitale sociale mi sembra che Badoo sia uno strumento più orientato al bridging e Facebook al bonding ovvero a rinsaldare le amicizie eistenti;
  2. La distribuzione geografica della popolazione dei due SNSs (analisi che potrebbe essere approfondita prendendo i dati dei profili x singola provincia su Badoo | anyone interested to help?) lascia immaginare che le diverse variabili economiche e socio-demografiche che caratterizzano il sud, il centro ed il nord italia possano influenzare la scelta della piattaforma di social network preferita;
  3. Sembra ipotizzabile fra Badoo e Facebook in Italia un divario analogo a quello che danah boyd ha notato fra MySpace e Facebook negli Stati Uniti;
  4. Poichè i profili di Badoo sono pubblici (basta avere il link diretto al profilo o ad uno dei contenuti) mentre quelli di Facebook sono visibili di default solo al proprio network è ipotizzabile anche che gli utenti di Badoo percepiscano meno il problema della privacy in rete. L’ipotesi è che non esista una chiara percezione di quanto pubblico sia un contenuto esposto in rete e che la maturazione di questa consapevolezza sia un’indice di uso più maturo della rete. [Il fatto che tutto sia così pubblico su Badoo potrebbe consentire ricerche semi-automatizzate basate sulla tecnica dello scraping dei contenuti e dei commenti e la navigazione di profilo in profilo seguendo i link dei friends | any tech guy interested to help?]

Nei prossimi giorni ho intenzione di promuovere una survery via web (anche se non era prevista inizialmente) e pubblicherò il protocollo dei focus group in modo che chiunque voglia aiutarmi possa intervistare un gruppo di utenti di Facebook e Badoo e spedirimi poi il file audio o la trascrizione o semplicemente le sue impressioni (contattatemi se siete interessati).

Come al solito mi interessa sentire il vostro parere, le vostre sensazioni, le vostre opinioni ed i suggerimenti nei commenti.

Il prossimo appuntamento con What’s Next è venerdì 12 settembre nel frattempo c’è friendfeed.

What's Next?

Da settembre a dicembre un nuovo appuntamento settimanale su nextmedia & society. Ogni venerdì si parlerà di social networks, digital natives, privacy e tecnologie mobili.
Primo appuntamento il 5 settembre 2008.Da settembre a dicembre un nuovo appuntamento settimanale su nextmedia & society. Ogni venerdì si parlerà di social networks, digital natives, privacy e tecnologie mobili.
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Per chi se lo stesse chiedendo questo blog non ha chiuso.
Come ho già spiegato da tempo trovo la forma blog ormai eccessivamente lenta per fare quello che faccio più spesso: condividere e commentare gli articoli interessanti che trovo in rete.
La rapidità di queste segnalazioni e la brevità dei commenti non mi aiuta tuttavia ad allenare le capacità di scrittura e di costruzione di un testo. Ho infatti notato una maggiore difficoltà a scrivere da quando ho smesso di aggiornare con costanza questo spazio.
Per questo motivo ho deciso di pubblicare con cadenza settimanale (dal 5 settembre al 4 gennaio) un post lungo ed il più possibile curato nei contenuti e nella forma.
Una specie di rubrica settimanale che ho pensato di chiamare “What’s next”.
“What’s next” tratterà fra l’altro di social networks, digital natives, condivisione e community building for collective actions, privacy/publicy e geolocalizzazione/mobile media.
L’appuntamento è dunque per il 5 settembre con gli ultimi aggiornamenti sulla ricerca comparativa fra l’uso di Facebook e Badoo in Italia.

Geek And Poke: The Next Big Thing
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