Facebook fra privacy e "trasparenza radicale"

Riflessioni in ordine sparso su Facebook e la linea di continuità fra privacy e trasparenza radicale.Riflessioni in ordine sparso su Facebook e la linea di continuità fra privacy e trasparenza radicale.Riflessioni in ordine sparso su Facebook e la linea di continuità fra privacy e trasparenza radicale.

Negli ultimi giorni si fa un gran parlare della privacy su Facebook. Negli Stati Uniti è in corso una vera e propria campagna che critica duramente le ultime scelte in materia di privacy del sito di social network più popolare al mondo spingendosi fino a chiedere esplicitamente una regolamentazione governativa alla fornitura del servizio (come avviene per l’acqua, il gas, l’accesso alla rete telefonica, etc).
Nel corso del 2009 Facebook ha realizzato di avere un problema.
Le tendenze in termini di numero di utenti e di traffico verso il sito erano in crescita ma il fatto che moltissima parte dei contenuti generati dagli utenti sul network fossero visibili solo ad una cerchia ristretta di altri utenti, ne limitava fortemente le possibilità di sfruttamento commerciale (non è possibile per esempio costruire un motore di ricerca che restituisca tutte le conversazioni che avvengono su un certo brand o prodotto). Per questo motivo all’inizio di dicembre 2009 il fondatore Mark Zuckerberg annunciava in una lettera aperta un radicale cambiamento nel sistema di gestione della privacy. Impostazioni ri-organizzate, più chiare e semplici da usare con in più la possibilità di scegliere a chi mostrare ogni singolo post.

Un bel giorno, dunque, ogni utente di Facebook si è trovato davanti una finestra (lo strumento di transizione) che chiedeva di scegliere cosa rendere accessibile a chi. Per aiutare l’utente a scegliere, alcune impostazioni di questa finestra erano pre-impostate. Se avevi già modificato in passato le tue impostazioni di privacy Facebook ti suggeriva di mantenerle, se invece non le avevi mai impostate Facebook proponeva alcune scelte…

based on how lots of people are sharing information today.
For example, we’ll be recommending that you make available to everyone a limited set of information that helps people find and connect with you, information like “About Me” and where you work or go to school. For more sensitive information, like photos and videos in which you’ve been tagged and your phone number, we’ll be recommending a more restrictive setting.

Fra queste scelte, guarda caso, c’era quella di rendere pubblici i contenuti postati ovvero gli status update, i like, le foto i video e le note. Secondo dati diffusi da Facebook stessa, il 65% degli utenti che non avevano mai cambiato le loro impostazioni di privacy hanno accettato le impostazioni suggerite rendendo dunque pubblici i contenuti pubblicati. Una volta pubblici questi contenuti possono essere aggregati in pagine come questa o ricercate in motori di ricerca (anche esterni a Facebook) come questo.
Lascio giudicare voi sull’eticità di questo comportamento. Purtroppo si tratta di una regola e non di un’eccezione. Per Facebook è vitale spingere gli utenti a rendere quanti più contenuti possibile pubblici e proverà in ogni modo a farlo. Al tempo stesso Zuckerberg sa bene, anche quando dichiara che l’era della privacy è finita, che chi usa Facebook lo fa perché ha la sensazione di poter scegliere cosa condividere con chi. Per questo motivo il movimento verso il tutto pubblico di default è lento ma costante come mostrano in modo molto chiaro questi grafici (per inciso penso che alcune cose, l’autore di questi grafici, se le sia un po’ inventate però da comunque un’idea di ciò che è successo) ma non è accompagnato da una parallela scomparsa delle impostazioni che consentono di decidere cosa condividere con chi. Anzi è indubbio che queste impostazioni siano state nel tempo potenziate.
Ovviamente tutto è migliorabile e criticabile. Il documento che spiega la privacy in Facebook è più lungo della costituzione americana e le impostazioni di privacy talmente dettagliate da creare una babele di possibilità e possibili combinazioni difficile da comprendere e da gestire. Bisogna però ammettere che gestire uno spazio sociale frequentato da 400 milioni di utenti di tutto il mondo con esigenze che cambiano nel tempo e reazioni all’introduzione di nuove funzionalità mai del tutto prevedibili è un compito non facile. Inoltre la complessità delle esigenze di privacy è intrinseca. Semmai si può pensare che se fosse ri-progettata da zero beneficerebbe di un design più funzionale ma la complessità resterebbe.
Purtroppo non esiste al momento una possibilità alternativa a Facebook sia per il numero di nostri amici che utilizzano questo strumento, sia per la raffinatezza dei controlli di privacy che rende disponibili. Una alternativa aperta e non proprietaria è tecnicamente possibile ed auspicabile (anzi c’è già chi è riuscito argutamente a raccogliere qualche centinaio di migliaio di dollari intorno a questa idea ). A oggi Facebook agisce di fatto in un regime di monopolio.
L’idea di considerare Facebook un servizio pubblico da regolamentare mi trova tuttavia contrario. Se la campagna (o movimento di opinione pubblica che dir si voglia) è finalizzata a mettere in guardia gli utenti del social network circa i rischi di sovraesposizione volontaria, ben venga. Ma regolamentare un servizio privato basato su Internet non mi convince.
Comprendo perfettamente i rischi insiti nell’idea della trasparenza radicale. Intendiamoci, la possibilità di postare qualcosa su Internet e fare in modo che questa sia esposta a tutto il mondo fa parte delle potenzialità straordinarie della rete. Ci sono ottimi motivi per desiderare la massima esposizione possibile: se voglio promuovere un brand, se desidero promuovere le mie idee, etc. Non condivido quanto dice Scoble sul reboot della privacy, ma è utile leggerlo per comprendere il lato buono del “tutto pubblico”. Ma se sei un teenager o un dissidente di una dittatura la tua prospettiva è molto diversa. Si tratta di estremi opposti e ogni utente di Internet dovrebbe essere messo in grado di scegliere cosa mostrare a chi.
Facebook, che ci piaccia o no, fa esattamente questo.

Negli ultimi giorni si fa un gran parlare della privacy su Facebook. Negli Stati Uniti è in corso una vera e propria campagna che critica duramente le ultime scelte in materia di privacy del sito di social network più popolare al mondo spingendosi fino a chiedere esplicitamente una regolamentazione governativa alla fornitura del servizio (come avviene per l’acqua, il gas, l’accesso alla rete telefonica, etc).

Nel corso del 2009 Facebook ha realizzato di avere un problema.

Le tendenze in termini di numero di utenti e di traffico verso il sito erano in crescita ma il fatto che moltissima parte dei contenuti generati dagli utenti sul network fossero visibili solo ad una cerchia ristretta di altri utenti, ne limitava fortemente le possibilità di sfruttamento commerciale (non è possibile per esempio costruire un motore di ricerca che restituisca tutte le conversazioni che avvengono su un certo brand o prodotto). Per questo motivo all’inizio di dicembre 2009 il fondatore Mark Zuckerberg annunciava in una lettera aperta un radicale cambiamento nel sistema di gestione della privacy. Impostazioni ri-organizzate, più chiare e semplici da usare con in più la possibilità di scegliere a chi mostrare ogni singolo post.

Un bel giorno, dunque, ogni utente di Facebook si è trovato davanti una finestra (lo strumento di transizione) che chiedeva di scegliere cosa rendere accessibile a chi. Per aiutare l’utente a scegliere, alcune impostazioni di questa finestra erano pre-impostate. Se avevi già modificato in passato le tue impostazioni di privacy Facebook ti suggeriva di mantenerle, se invece non le avevi mai impostate Facebook proponeva alcune scelte…

based on how lots of people are sharing information today.

For example, we’ll be recommending that you make available to everyone a limited set of information that helps people find and connect with you, information like “About Me” and where you work or go to school. For more sensitive information, like photos and videos in which you’ve been tagged and your phone number, we’ll be recommending a more restrictive setting.

Fra queste scelte, guarda caso, c’era quella di rendere pubblici i contenuti postati ovvero gli status update, i like, le foto i video e le note. Secondo dati diffusi da Facebook stessa, il 65% degli utenti che non avevano mai cambiato le loro impostazioni di privacy hanno accettato le impostazioni suggerite rendendo dunque pubblici i contenuti pubblicati. Una volta pubblici questi contenuti possono essere aggregati in pagine come questa o ricercate in motori di ricerca (anche esterni a Facebook) come questo.

Lascio giudicare voi sull’eticità di questo comportamento. Purtroppo si tratta di una regola e non di un’eccezione. Per Facebook è vitale spingere gli utenti a rendere quanti più contenuti possibile pubblici e proverà in ogni modo a farlo. Al tempo stesso Zuckerberg sa bene, anche quando dichiara che l’era della privacy è finita, che chi usa Facebook lo fa perché ha la sensazione di poter scegliere cosa condividere con chi. Per questo motivo il movimento verso il tutto pubblico di default è lento ma costante come mostrano in modo molto chiaro questi grafici (per inciso penso che alcune cose, l’autore di questi grafici, se le sia un po’ inventate però da comunque un’idea di ciò che è successo) ma non è accompagnato da una parallela scomparsa delle impostazioni che consentono di decidere cosa condividere con chi. Anzi è indubbio che queste impostazioni siano state nel tempo potenziate.

Ovviamente tutto è migliorabile e criticabile. Il documento che spiega la privacy in Facebook è più lungo della costituzione americana e le impostazioni di privacy talmente dettagliate da creare una babele di possibilità e possibili combinazioni difficile da comprendere e da gestire. Bisogna però ammettere che gestire uno spazio sociale frequentato da 400 milioni di utenti di tutto il mondo con esigenze che cambiano nel tempo e reazioni all’introduzione di nuove funzionalità mai del tutto prevedibili è un compito non facile. Inoltre la complessità delle esigenze di privacy è intrinseca. Semmai si può pensare che se fosse ri-progettata da zero beneficerebbe di un design più funzionale ma la complessità resterebbe.

Purtroppo non esiste al momento una possibilità alternativa a Facebook sia per il numero di nostri amici che utilizzano questo strumento, sia per la raffinatezza dei controlli di privacy che rende disponibili. Una alternativa aperta e non proprietaria è tecnicamente possibile ed auspicabile (anzi c’è già chi è riuscito argutamente a raccogliere qualche centinaio di migliaio di dollari intorno a questa idea ). A oggi Facebook agisce di fatto in un regime di monopolio.

L’idea di considerare Facebook un servizio pubblico da regolamentare mi trova tuttavia contrario. Se la campagna (o movimento di opinione pubblica che dir si voglia) è finalizzata a mettere in guardia gli utenti del social network circa i rischi di sovraesposizione volontaria, ben venga. Ma regolamentare un servizio privato basato su Internet non mi convince.

Comprendo perfettamente i rischi insiti nell’idea della trasparenza radicale. Intendiamoci, la possibilità di postare qualcosa su Internet e fare in modo che questa sia esposta a tutto il mondo fa parte delle potenzialità straordinarie della rete. Ci sono ottimi motivi per desiderare la massima esposizione possibile: se voglio promuovere un brand, se desidero promuovere le mie idee, etc. Non condivido quanto dice Scoble sul reboot della privacy, ma è utile leggerlo per comprendere il lato buono del “tutto pubblico”. Ma se sei un teenager o un dissidente di una dittatura la tua prospettiva è molto diversa. Si tratta di estremi opposti e ogni utente di Internet dovrebbe essere messo in grado di scegliere cosa mostrare a chi.

Facebook, che ci piaccia o no, fa esattamente questo.

Negli ultimi giorni si fa un gran parlare della privacy su Facebook. Negli Stati Uniti è in corso una vera e propria campagna che critica duramente le ultime scelte in materia di privacy del sito di social network più popolare al mondo spingendosi fino a chiedere esplicitamente una regolamentazione governativa alla fornitura del servizio (come avviene per l’acqua, il gas, l’accesso alla rete telefonica, etc).

Nel corso del 2009 Facebook ha realizzato di avere un problema.

Le tendenze in termini di numero di utenti e di traffico verso il sito erano in crescita ma il fatto che moltissima parte dei contenuti generati dagli utenti sul network fossero visibili solo ad una cerchia ristretta di altri utenti, ne limitava fortemente le possibilità di sfruttamento commerciale (non è possibile per esempio costruire un motore di ricerca che restituisca tutte le conversazioni che avvengono su un certo brand o prodotto). Per questo motivo all’inizio di dicembre 2009 il fondatore Mark Zuckerberg annunciava in una lettera aperta un radicale cambiamento nel sistema di gestione della privacy. Impostazioni ri-organizzate, più chiare e semplici da usare con in più la possibilità di scegliere a chi mostrare ogni singolo post.

Un bel giorno, dunque, ogni utente di Facebook si è trovato davanti una finestra (lo strumento di transizione) che chiedeva di scegliere cosa rendere accessibile a chi. Per aiutare l’utente a scegliere, alcune impostazioni di questa finestra erano pre-impostate. Se avevi già modificato in passato le tue impostazioni di privacy Facebook ti suggeriva di mantenerle, se invece non le avevi mai impostate Facebook proponeva alcune scelte…

based on how lots of people are sharing information today.

For example, we’ll be recommending that you make available to everyone a limited set of information that helps people find and connect with you, information like “About Me” and where you work or go to school. For more sensitive information, like photos and videos in which you’ve been tagged and your phone number, we’ll be recommending a more restrictive setting.

Fra queste scelte, guarda caso, c’era quella di rendere pubblici i contenuti postati ovvero gli status update, i like, le foto i video e le note. Secondo dati diffusi da Facebook stessa, il 65% degli utenti che non avevano mai cambiato le loro impostazioni di privacy hanno accettato le impostazioni suggerite rendendo dunque pubblici i contenuti pubblicati. Una volta pubblici questi contenuti possono essere aggregati in pagine come questa o ricercate in motori di ricerca (anche esterni a Facebook) come questo.

Lascio giudicare voi sull’eticità di questo comportamento. Purtroppo si tratta di una regola e non di un’eccezione. Per Facebook è vitale spingere gli utenti a rendere quanti più contenuti possibile pubblici e proverà in ogni modo a farlo. Al tempo stesso Zuckerberg sa bene, anche quando dichiara che l’era della privacy è finita, che chi usa Facebook lo fa perché ha la sensazione di poter scegliere cosa condividere con chi. Per questo motivo il movimento verso il tutto pubblico di default è lento ma costante come mostrano in modo molto chiaro questi grafici (per inciso penso che alcune cose, l’autore di questi grafici, se le sia un po’ inventate però da comunque un’idea di ciò che è successo) ma non è accompagnato da una parallela scomparsa delle impostazioni che consentono di decidere cosa condividere con chi. Anzi è indubbio che queste impostazioni siano state nel tempo potenziate.

Ovviamente tutto è migliorabile e criticabile. Il documento che spiega la privacy in Facebook è più lungo della costituzione americana e le impostazioni di privacy talmente dettagliate da creare una babele di possibilità e possibili combinazioni difficile da comprendere e da gestire. Bisogna però ammettere che gestire uno spazio sociale frequentato da 400 milioni di utenti di tutto il mondo con esigenze che cambiano nel tempo e reazioni all’introduzione di nuove funzionalità mai del tutto prevedibili è un compito non facile. Inoltre la complessità delle esigenze di privacy è intrinseca. Semmai si può pensare che se fosse ri-progettata da zero beneficerebbe di un design più funzionale ma la complessità resterebbe.

Purtroppo non esiste al momento una possibilità alternativa a Facebook sia per il numero di nostri amici che utilizzano questo strumento, sia per la raffinatezza dei controlli di privacy che rende disponibili. Una alternativa aperta e non proprietaria è tecnicamente possibile ed auspicabile (anzi c’è già chi è riuscito argutamente a raccogliere qualche centinaio di migliaio di dollari intorno a questa idea ). A oggi Facebook agisce di fatto in un regime di monopolio.

L’idea di considerare Facebook un servizio pubblico da regolamentare mi trova tuttavia contrario. Se la campagna (o movimento di opinione pubblica che dir si voglia) è finalizzata a mettere in guardia gli utenti del social network circa i rischi di sovraesposizione volontaria, ben venga. Ma regolamentare un servizio privato basato su Internet non mi convince.

Comprendo perfettamente i rischi insiti nell’idea della trasparenza radicale. Intendiamoci, la possibilità di postare qualcosa su Internet e fare in modo che questa sia esposta a tutto il mondo fa parte delle potenzialità straordinarie della rete. Ci sono ottimi motivi per desiderare la massima esposizione possibile: se voglio promuovere un brand, se desidero promuovere le mie idee, etc. Non condivido quanto dice Scoble sul reboot della privacy, ma è utile leggerlo per comprendere il lato buono del “tutto pubblico”. Ma se sei un teenager o un dissidente di una dittatura la tua prospettiva è molto diversa. Si tratta di estremi opposti e ogni utente di Internet dovrebbe essere messo in grado di scegliere cosa mostrare a chi.

Facebook, che ci piaccia o no, fa esattamente questo.

What's next #S02E00: Alice in the box

Episodio pilota della nuova serie di What’s next dedicato alla teoria delle stringhe.Episodio pilota della nuova serie di What’s next dedicato alla teoria delle stringhe.Episodio pilota della nuova serie di What’s next dedicato alla teoria delle stringhe.

Ci sono spazi che non sono luoghi e luoghi che non hanno tempo.
Posti stregati dall’incantesimo dell’eterno presente. Quando li attraversi, dopo pochi passi, hai subito la strana sensazione di essere il primo a farlo. Se riesci a non fare troppo caso a quelle scritte sui muri – a cui presto non presterai comunque più attenzione – puoi persino arrivare a pensare che quel luogo sia lì solo per te. Per te e per le persone che condividono il tuo stesso percorso nel medesimo tempo. Dopo forse scompare. O forse no. Poco importa. Qualunque cosa accada dopo, tu e la tua rete sociale comportamentale – quella dove gli Amici non li hai scelti e/o aggiunti come nella rubrica del telefono, ma piuttosto trovati un po’ per caso mentre condividevate un’esperienza – sarete fuori da lì.
Sembra che accada prima di quanto non accada in realtà. Questi luoghi alterano le percezioni. Poi ognuno prende la sua strada. Rimane l’esperienza condivisa, qualche foto. Nel tempo affiorano dubbi sulla sorte di quei posacenere ricavati dai barattoloni di tonno. A volte viene voglia di tornare indietro a controllare che tutto sia come prima, ma il timore che non sia così fa desistere.
Strano. Mentre eri lì, vittima dell’incantesimo, non ti era mai interessato molto né dei posacenere, né di tutto ciò che li conteneva.
Ma gli incantesimi generano a volte illusioni imperfette. Di quelle che consentono talvolta di vedere il codice che genera la matrice. Di percepire il tempo dello spazio. E tu vuoi la pillola rossa o quella blu? La rossa, se vuoi, la trovi a http://bit.ly/9F4AsC.
[extended version dell’articolo che potete leggere sulla prossima edizione della rivista Open House]
[Photo originally uploaded on September 7, 2007 by paul goyette]
[Disclamier: questo è solo un pilot. Non è detto che venga veramente girata o mandata mai in onda l’intera serie]

Ci sono spazi che non sono luoghi e luoghi che non hanno tempo.

Posti stregati dall’incantesimo dell’eterno presente. Quando li attraversi, dopo pochi passi, hai subito la strana sensazione di essere il primo a farlo. Se riesci a non fare troppo caso a quelle scritte sui muri – a cui presto non presterai comunque più attenzione – puoi persino arrivare a pensare che quel luogo sia lì solo per te. Per te e per le persone che condividono il tuo stesso percorso nel medesimo tempo. Dopo forse scompare. O forse no. Poco importa. Qualunque cosa accada dopo, tu e la tua rete sociale comportamentale – quella dove gli Amici non li hai scelti e/o aggiunti come nella rubrica del telefono, ma piuttosto trovati un po’ per caso mentre condividevate un’esperienza – sarete fuori da lì.

Sembra che accada prima di quanto non accada in realtà. Questi luoghi alterano le percezioni. Poi ognuno prende la sua strada. Rimane l’esperienza condivisa, qualche foto. Nel tempo affiorano dubbi sulla sorte di quei posacenere ricavati dai barattoloni di tonno. A volte viene voglia di tornare indietro a controllare che tutto sia come prima, ma il timore che non sia così fa desistere.

Strano. Mentre eri lì, vittima dell’incantesimo, non ti era mai interessato molto né dei posacenere, né di tutto ciò che li conteneva.

Ma gli incantesimi generano a volte illusioni imperfette. Di quelle che consentono talvolta di vedere il codice che genera la matrice. Di percepire il tempo dello spazio. E tu vuoi la pillola rossa o quella blu? La rossa, se vuoi, la trovi a http://bit.ly/9F4AsC.

[extended version dell’articolo che potete leggere sulla prossima edizione della rivista Open House]

[Photo originally uploaded on September 7, 2007 by paul goyette]

[Disclamier: questo è solo un pilot. Non è detto che venga veramente girata o mandata mai in onda l’intera serie]

Ci sono spazi che non sono luoghi e luoghi che non hanno tempo.

Posti stregati dall’incantesimo dell’eterno presente. Quando li attraversi, dopo pochi passi, hai subito la strana sensazione di essere il primo a farlo. Se riesci a non fare troppo caso a quelle scritte sui muri – a cui presto non presterai comunque più attenzione – puoi persino arrivare a pensare che quel luogo sia lì solo per te. Per te e per le persone che condividono il tuo stesso percorso nel medesimo tempo. Dopo forse scompare. O forse no. Poco importa. Qualunque cosa accada dopo, tu e la tua rete sociale comportamentale – quella dove gli Amici non li hai scelti e/o aggiunti come nella rubrica del telefono, ma piuttosto trovati un po’ per caso mentre condividevate un’esperienza – sarete fuori da lì.

Sembra che accada prima di quanto non accada in realtà. Questi luoghi alterano le percezioni. Poi ognuno prende la sua strada. Rimane l’esperienza condivisa, qualche foto. Nel tempo affiorano dubbi sulla sorte di quei posacenere ricavati dai barattoloni di tonno. A volte viene voglia di tornare indietro a controllare che tutto sia come prima, ma il timore che non sia così fa desistere.

Strano. Mentre eri lì, vittima dell’incantesimo, non ti era mai interessato molto né dei posacenere, né di tutto ciò che li conteneva.

Ma gli incantesimi generano a volte illusioni imperfette. Di quelle che consentono talvolta di vedere il codice che genera la matrice. Di percepire il tempo dello spazio. E tu vuoi la pillola rossa o quella blu? La rossa, se vuoi, la trovi a http://bit.ly/9F4AsC.

[extended version dell’articolo che potete leggere sulla prossima edizione della rivista Open House]

[Photo originally uploaded on September 7, 2007 by paul goyette]

[Disclamier: questo è solo un pilot. Non è detto che venga veramente girata o mandata mai in onda l’intera serie]

Modernity 2.0 a Urbino con danah boyd

Dal 29 giugno al 5 luglio si terrà ad Urbino, per la prima volta in Italia, la nona conferenza mondiale di sociocibernetica. La conferenza che verrà come protagonisti ricercatori provenienti da tutto il mondo è dedicato a riflettere sull’impatto dei social media sulla nostra società.Dal 29 giugno al 5 luglio si terrà ad Urbino, per la prima volta in Italia, la nona conferenza mondiale di sociocibernetica. La conferenza che verrà come protagonisti ricercatori provenienti da tutto il mondo è dedicato a riflettere sull’impatto dei social media sulla nostra società.Dal 29 giugno al 5 luglio si terrà ad Urbino, per la prima volta in Italia, la nona conferenza mondiale di sociocibernetica. La conferenza che verrà come protagonisti ricercatori provenienti da tutto il mondo è dedicato a riflettere sull’impatto dei social media sulla nostra società.

Ho il piacere di annunciare oggi un progetto al quale sto lavorando da tempo ma di cui non ho mai parlato fino a questo momento qui.
Da alcuni mesi il LaRiCA sta collaborando attivamente con i colleghi dell’RC51 dell’International Sociological Association all’organizzazione della nona conferenza mondiale di socio-cibernetica che avremo il piacere di ospitare dal 29 giugno al 5 luglio ad Urbino.
Il tema scelto è l’impatto dei social media sulla nostra società. Con il termine social media si fa riferimento a tutti quelli spazi della comunicazione supportati dalle recenti tecnologie internet che consentono di produrre e diffondere contenuti (testi, video, audio, etc.) in rete a costi contenuti. L’abbassamento dei costi legati alla produzione e diffusione di questi contenuti ha democratizzato l’accesso alla comunicazione da uno a molti un tempo riservati ai professionisti del settore. La produzione spesso collaborativa di questi contenuti e l’esposizione ai contenuti prodotti dai pari sta cambiano la dieta mediale degli individui e incrinando i rapporti di potere consolidati all’interno della società (nelle famiglie, nelle scuole, fra imprese e consumatori, fra cittadini ed istituzioni, fra giornalisti e lettori).
Esempi di social media sono dunque i blog, YouTube e Facebook.
Modernity 2.0 è dedicata a riflettere in una prospettiva socio-cibernetica su come e se la disponibilità di queste tecnologie sta cambiando le persone e la nostra società.
La conferenza è un evento inedito in Italia per dimensione, tematiche e rilevanza dei relatori proposti.
La call for paper ha infatti attratto proposte di intervento provenienti da tutto il mondo. Fra queste sono stati selezionati cinquantuno papers suddivisi poi nelle seguenti aree tematiche: “Cultura convergente e Pubblici connessi”, “Media, politica e potere”, “Metodologie emergenti”, “Studi di media comparati”.
Fra i paper verso i quali nutro maggiormente attesa segnalo un paio di casi di studio su Obama ed un inedito Bebbe Grillo osservato dagli Stati Uniti (Alberto Pepe, University of California Los Angeles e Corinna di Gennaro, Harvard University).  Mi incuriosice inoltre parecchio Structure and Dynamics of Indonesian Blogger Community in Virtual Space di Adi Nugroho Onggoboyo. Se siete curiosi potete cmq leggere tutti gli abstract nella pagina papers del sito ufficiale del convegno.
Si ritroveranno ad Urbino ricercatori che studiano questo fenomeno provenienti da tutto il mondo: Messico, Armenia, Austria, UK, Lettonia, Svezia, Bolivia, Stati Uniti, Germania, Olanda, Canada, Spagna, Indonesia, Danimarca, Brasile, Argentina ed ovviamente Italia.
A completare il programma ci sono due ospiti invitati che nei loro rispettivi settori sono comunemente considerati fra i massimi esperti dalle rispettive comunità accademiche.
danah boyd (Microsoft Research New England)
Ricercatrice presso Microsoft Research New England e Fellow dell’Harvard Berkman Center for Internet and Society. PhD presso la School of Information at UC-Berkeley con una tesi intitolata “Taken Out of Context: American Teen Sociality in Networked Publics” nella quale ha esaminato il ruolo giocato dai siti di social network come MySpace e Facebook nella vita quotidiana e sulle relazioni social dei teenagers americani. Presso il Berkman Center, danah ha co-diretto l’Internet Safety Technical Task Force il suo scopo è identificare potenziali soluzioni per favorire un uso sicuro della rete da parte dei bambini.

Giuseppe O. Longo (Università degli Studi di Trieste)
Giuseppe O. Longo è ordinario di Teoria dell’informazione alla Facoltà d’Ingegneria dell’Università di Trieste. Ha introdotto in Italia la teoria dell’informazione. Attualmente si occupa soprattutto di epistemologia, di intelligenza artificiale, di problemi della comunicazione e delle conseguenze sociali dello sviluppo tecnico, in particolare di robo-etica, pubblicando articoli su riviste specializzate e svolgendo un’intensa attività di conferenziere. Su questi temi ha tenuto numerose relazioni, ha partecipato a convegni e congressi e ha pubblicato i saggi “Il nuovo Golem: come il computer cambia la nostra cultura” (Laterza, 1998, 4a edizione 2003), “Homo Technologicus” (Meltemi, Roma, 2001, 2a edizione 2005) e “Il simbionte: prove di umanità futura” (Meltemi, Roma, 2003). E’ stato traduttore per le case editrici Boringhieri e Adelphi (15 libri dall’inglese e dal tedesco, tra cui opere di Gregory Bateson, Marvin Minsky, Douglas Hofstadter, Iräneus Eibl-Eibesfeld) e nel 1991 ha vinto il premio “Monselice” per la traduzione scientifica.
La conferenza è organizzata da un comitato internazionale presieduto dal Prof. Bernard Scott (Cranfield University Defence Academy e Presidente della sezione RC51 dell’ISA – International Sociological Association dedicata alla socio-cibernetica). Il comitato è composto da membri dell’RC51 e da docenti e ricercatori del laboratorio di Ricerca LaRiCA dell’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”.
La registrazione per la conferenza chiude domenica 24 maggio.
Potete registrarvi o leggere i nomi delle persone che intendono partecipare a http://rc51.eventbrite.com/.

Ho il piacere di annunciare oggi un progetto al quale sto lavorando da tempo ma di cui non ho mai parlato fino a questo momento qui.

Da alcuni mesi il LaRiCA sta collaborando attivamente con i colleghi dell’RC51 dell’International Sociological Association all’organizzazione della nona conferenza mondiale di socio-cibernetica che avremo il piacere di ospitare dal 29 giugno al 5 luglio ad Urbino.

Il tema scelto è l’impatto dei social media sulla nostra società. Con il termine social media si fa riferimento a tutti quelli spazi della comunicazione supportati dalle recenti tecnologie internet che consentono di produrre e diffondere contenuti (testi, video, audio, etc.) in rete a costi contenuti. L’abbassamento dei costi legati alla produzione e diffusione di questi contenuti ha democratizzato l’accesso alla comunicazione da uno a molti un tempo riservati ai professionisti del settore. La produzione spesso collaborativa di questi contenuti e l’esposizione ai contenuti prodotti dai pari sta cambiano la dieta mediale degli individui e incrinando i rapporti di potere consolidati all’interno della società (nelle famiglie, nelle scuole, fra imprese e consumatori, fra cittadini ed istituzioni, fra giornalisti e lettori).

Esempi di social media sono dunque i blog, YouTube e Facebook.

Modernity 2.0 è dedicata a riflettere in una prospettiva socio-cibernetica su come e se la disponibilità di queste tecnologie sta cambiando le persone e la nostra società.

La conferenza è un evento inedito in Italia per dimensione, tematiche e rilevanza dei relatori proposti.

La call for paper ha infatti attratto proposte di intervento provenienti da tutto il mondo. Fra queste sono stati selezionati cinquantuno papers suddivisi poi nelle seguenti aree tematiche: “Cultura convergente e Pubblici connessi”, “Media, politica e potere”, “Metodologie emergenti”, “Studi di media comparati”.

Fra i paper verso i quali nutro maggiormente attesa segnalo un paio di casi di studio su Obama ed un inedito Bebbe Grillo osservato dagli Stati Uniti (Alberto Pepe, University of California Los Angeles e Corinna di Gennaro, Harvard University).  Mi incuriosice inoltre parecchio Structure and Dynamics of Indonesian Blogger Community in Virtual Space di Adi Nugroho Onggoboyo. Se siete curiosi potete cmq leggere tutti gli abstract nella pagina papers del sito ufficiale del convegno.

Si ritroveranno ad Urbino ricercatori che studiano questo fenomeno provenienti da tutto il mondo: Messico, Armenia, Austria, UK, Lettonia, Svezia, Bolivia, Stati Uniti, Germania, Olanda, Canada, Spagna, Indonesia, Danimarca, Brasile, Argentina ed ovviamente Italia.

A completare il programma ci sono due ospiti invitati che nei loro rispettivi settori sono comunemente considerati fra i massimi esperti dalle rispettive comunità accademiche.

danah boyd (Microsoft Research New England)

Ricercatrice presso Microsoft Research New England e Fellow dell’Harvard Berkman Center for Internet and Society. PhD presso la School of Information at UC-Berkeley con una tesi intitolata “Taken Out of Context: American Teen Sociality in Networked Publics” nella quale ha esaminato il ruolo giocato dai siti di social network come MySpace e Facebook nella vita quotidiana e sulle relazioni social dei teenagers americani. Presso il Berkman Center, danah ha co-diretto l’Internet Safety Technical Task Force il suo scopo è identificare potenziali soluzioni per favorire un uso sicuro della rete da parte dei bambini.

Giuseppe O. Longo (Università degli Studi di Trieste)

Giuseppe O. Longo è ordinario di Teoria dell’informazione alla Facoltà d’Ingegneria dell’Università di Trieste. Ha introdotto in Italia la teoria dell’informazione. Attualmente si occupa soprattutto di epistemologia, di intelligenza artificiale, di problemi della comunicazione e delle conseguenze sociali dello sviluppo tecnico, in particolare di robo-etica, pubblicando articoli su riviste specializzate e svolgendo un’intensa attività di conferenziere. Su questi temi ha tenuto numerose relazioni, ha partecipato a convegni e congressi e ha pubblicato i saggi “Il nuovo Golem: come il computer cambia la nostra cultura” (Laterza, 1998, 4a edizione 2003), “Homo Technologicus” (Meltemi, Roma, 2001, 2a edizione 2005) e “Il simbionte: prove di umanità futura” (Meltemi, Roma, 2003). E’ stato traduttore per le case editrici Boringhieri e Adelphi (15 libri dall’inglese e dal tedesco, tra cui opere di Gregory Bateson, Marvin Minsky, Douglas Hofstadter, Iräneus Eibl-Eibesfeld) e nel 1991 ha vinto il premio “Monselice” per la traduzione scientifica.

La conferenza è organizzata da un comitato internazionale presieduto dal Prof. Bernard Scott (Cranfield University Defence Academy e Presidente della sezione RC51 dell’ISA – International Sociological Association dedicata alla socio-cibernetica). Il comitato è composto da membri dell’RC51 e da docenti e ricercatori del laboratorio di Ricerca LaRiCA dell’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”.

La registrazione per la conferenza chiude domenica 24 maggio.

Potete registrarvi o leggere i nomi delle persone che intendono partecipare a http://rc51.eventbrite.com/.

Ho il piacere di annunciare oggi un progetto al quale sto lavorando da tempo ma di cui non ho mai parlato fino a questo momento qui.

Da alcuni mesi il LaRiCA sta collaborando attivamente con i colleghi dell’RC51 dell’International Sociological Association all’organizzazione della nona conferenza mondiale di socio-cibernetica che avremo il piacere di ospitare dal 29 giugno al 5 luglio ad Urbino.

Il tema scelto è l’impatto dei social media sulla nostra società. Con il termine social media si fa riferimento a tutti quelli spazi della comunicazione supportati dalle recenti tecnologie internet che consentono di produrre e diffondere contenuti (testi, video, audio, etc.) in rete a costi contenuti. L’abbassamento dei costi legati alla produzione e diffusione di questi contenuti ha democratizzato l’accesso alla comunicazione da uno a molti un tempo riservati ai professionisti del settore. La produzione spesso collaborativa di questi contenuti e l’esposizione ai contenuti prodotti dai pari sta cambiano la dieta mediale degli individui e incrinando i rapporti di potere consolidati all’interno della società (nelle famiglie, nelle scuole, fra imprese e consumatori, fra cittadini ed istituzioni, fra giornalisti e lettori).

Esempi di social media sono dunque i blog, YouTube e Facebook.

Modernity 2.0 è dedicata a riflettere in una prospettiva socio-cibernetica su come e se la disponibilità di queste tecnologie sta cambiando le persone e la nostra società.

La conferenza è un evento inedito in Italia per dimensione, tematiche e rilevanza dei relatori proposti.

La call for paper ha infatti attratto proposte di intervento provenienti da tutto il mondo. Fra queste sono stati selezionati cinquantuno papers suddivisi poi nelle seguenti aree tematiche: “Cultura convergente e Pubblici connessi”, “Media, politica e potere”, “Metodologie emergenti”, “Studi di media comparati”.

Fra i paper verso i quali nutro maggiormente attesa segnalo un paio di casi di studio su Obama ed un inedito Bebbe Grillo osservato dagli Stati Uniti (Alberto Pepe, University of California Los Angeles e Corinna di Gennaro, Harvard University).  Mi incuriosice inoltre parecchio Structure and Dynamics of Indonesian Blogger Community in Virtual Space di Adi Nugroho Onggoboyo. Se siete curiosi potete cmq leggere tutti gli abstract nella pagina papers del sito ufficiale del convegno.

Si ritroveranno ad Urbino ricercatori che studiano questo fenomeno provenienti da tutto il mondo: Messico, Armenia, Austria, UK, Lettonia, Svezia, Bolivia, Stati Uniti, Germania, Olanda, Canada, Spagna, Indonesia, Danimarca, Brasile, Argentina ed ovviamente Italia.

A completare il programma ci sono due ospiti invitati che nei loro rispettivi settori sono comunemente considerati fra i massimi esperti dalle rispettive comunità accademiche.

danah boyd (Microsoft Research New England)

Ricercatrice presso Microsoft Research New England e Fellow dell’Harvard Berkman Center for Internet and Society. PhD presso la School of Information at UC-Berkeley con una tesi intitolata “Taken Out of Context: American Teen Sociality in Networked Publics” nella quale ha esaminato il ruolo giocato dai siti di social network come MySpace e Facebook nella vita quotidiana e sulle relazioni social dei teenagers americani. Presso il Berkman Center, danah ha co-diretto l’Internet Safety Technical Task Force il suo scopo è identificare potenziali soluzioni per favorire un uso sicuro della rete da parte dei bambini.

Giuseppe O. Longo (Università degli Studi di Trieste)

Giuseppe O. Longo è ordinario di Teoria dell’informazione alla Facoltà d’Ingegneria dell’Università di Trieste. Ha introdotto in Italia la teoria dell’informazione. Attualmente si occupa soprattutto di epistemologia, di intelligenza artificiale, di problemi della comunicazione e delle conseguenze sociali dello sviluppo tecnico, in particolare di robo-etica, pubblicando articoli su riviste specializzate e svolgendo un’intensa attività di conferenziere. Su questi temi ha tenuto numerose relazioni, ha partecipato a convegni e congressi e ha pubblicato i saggi “Il nuovo Golem: come il computer cambia la nostra cultura” (Laterza, 1998, 4a edizione 2003), “Homo Technologicus” (Meltemi, Roma, 2001, 2a edizione 2005) e “Il simbionte: prove di umanità futura” (Meltemi, Roma, 2003). E’ stato traduttore per le case editrici Boringhieri e Adelphi (15 libri dall’inglese e dal tedesco, tra cui opere di Gregory Bateson, Marvin Minsky, Douglas Hofstadter, Iräneus Eibl-Eibesfeld) e nel 1991 ha vinto il premio “Monselice” per la traduzione scientifica.

La conferenza è organizzata da un comitato internazionale presieduto dal Prof. Bernard Scott (Cranfield University Defence Academy e Presidente della sezione RC51 dell’ISA – International Sociological Association dedicata alla socio-cibernetica). Il comitato è composto da membri dell’RC51 e da docenti e ricercatori del laboratorio di Ricerca LaRiCA dell’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”.

La registrazione per la conferenza chiude domenica 24 maggio.

Potete registrarvi o leggere i nomi delle persone che intendono partecipare a http://rc51.eventbrite.com/.

What’s next #16: Social Network Sites Italia

L’ultimo numero della serie What’s Next lancia un’inedita iniziativa di collaborazione legata al primo studio sistematico dell’impatto dei siti di social network in Italia.L’ultimo numero della serie What’s Next lancia un’inedita iniziativa di collaborazione legata al primo studio sistematico dell’impatto dei siti di social network in Italia.L’ultimo numero della serie What’s Next lancia un’inedita iniziativa di collaborazione legata al primo studio sistematico dell’impatto dei siti di social network in Italia.

E siamo così arrivati all’ultima puntata di What’s next.
Con questo post si chiude un ciclo iniziato il 5 settembre 2008 che consta in totale di 16 post usciti con cadenza settimanale (circa… cioè io ci ho provato ma non sempre ci sono riuscito). Per leggere l’intera seria o un post che vi siete persi è sufficiente seguire seguire questo link. Approfitto dell’occasione per ringraziare Thomas Galli che in questi mesi ha cercato ed editato le immagini necessarie a rendere questi post più accattivanti dal punto di vista estetico.
Ma per un’avventura che si chiude ce ne è subito una che si apre.
In questi giorni ho lavorato alacremente alla bozza di un progetto di ricerca al quale tengo molto. Si tratta della naturale evoluzione di un filone delle mie attività di ricerca di cui ho spesso parlato nei post della serie What’s Next.
Social Network Sites Italia è un nuovo spazio di supporto allo sviluppo di un vasto ed ambizioso progetto di ricerca sull’impatto dei siti di social network sulla società italiana.
L’idea è quella promuovere attorno a questo spazio una comunità allargata di ricercatori che possano contribuire tanto alla stesura quanto alla realizzazione del progetto di ricerca.
Il progetto parteciperà al bando di co-finanziamento PRIN 2008 e se approvato darà origine al primo studio sistematico sui siti di social network in Italia.
L’iniziativa è senza precedenti sotto diversi punti di vista:

  1. Che io sappia è la prima volta che un progetto di questo genere viene creato collaborativamente e pubblicamente attraverso il web. Il documento di progetto stesso è disponibile in Social Network Sites Italia ed aperto al commento di tutti. I ricercatori delle unità operative interessate possono inoltre contribuire direttamente attraverso la piattaforma Google Docs;
  2. La metodologia quanti-qualitativa proposta dovrebbe coinvolgere un gruppo molto vasto ed eterogeneo di soggetti (3000 interviste telefoniche e 100 colloqui in profondità) come mai prima d’ora è stato possibile fare in Italia;
  3. Le fasi del progetto, i dati ed i risultati saranno pubblicati in modo puntuale e trasparente nello spazio già creato sotto licenza creative commons;
  4. Il web sarà utilizzato in modo estensivo come piattaforma di collaborazione aperta fra i ricercatori e la vasta comunità di soggetti interessati a comprendere meglio l’impatto sociale di questo fenomeno in Italia.

Il progetto avrà durata biennale e coinvolgerà fino ad un massimo di cinque team di ricerca appartenenti a diversi atenei italiani. Sono state previste forme di collaborazione per diversi soggetti che vanno dal personale strutturato delle università italiane ai dottorandi e laureandi, dalle imprese del settore ai blogger.
Ognuno può contribuire aggiungendo commenti, segnalazioni, parlando del progetto nei blog e social network, collaborando alla traduzione, alle attività di trascrizione e alla gestione degli spazi di collaborazione online della comunità dei ricercatori o facendo una piccola donazione.
Chi vuole può iniziare già adesso partendo da qui.
P.S. Vi ricordo l’appuntamento con lo speciale Out of Context dedicato ad un commento approdondito della tesi di dottorato di danah boyd.

E siamo così arrivati all’ultima puntata di What’s next.

Con questo post si chiude un ciclo iniziato il 5 settembre 2008 che consta in totale di 16 post usciti con cadenza settimanale (circa… cioè io ci ho provato ma non sempre ci sono riuscito). Per leggere l’intera seria o un post che vi siete persi è sufficiente seguire seguire questo link. Approfitto dell’occasione per ringraziare Thomas Galli che in questi mesi ha cercato ed editato le immagini necessarie a rendere questi post più accattivanti dal punto di vista estetico.

Ma per un’avventura che si chiude ce ne è subito una che si apre.

In questi giorni ho lavorato alacremente alla bozza di un progetto di ricerca al quale tengo molto. Si tratta della naturale evoluzione di un filone delle mie attività di ricerca di cui ho spesso parlato nei post della serie What’s Next.

Social Network Sites Italia è un nuovo spazio di supporto allo sviluppo di un vasto ed ambizioso progetto di ricerca sull’impatto dei siti di social network sulla società italiana.

L’idea è quella promuovere attorno a questo spazio una comunità allargata di ricercatori che possano contribuire tanto alla stesura quanto alla realizzazione del progetto di ricerca.

Il progetto parteciperà al bando di co-finanziamento PRIN 2008 e se approvato darà origine al primo studio sistematico sui siti di social network in Italia.

L’iniziativa è senza precedenti sotto diversi punti di vista:

  1. Che io sappia è la prima volta che un progetto di questo genere viene creato collaborativamente e pubblicamente attraverso il web. Il documento di progetto stesso è disponibile in Social Network Sites Italia ed aperto al commento di tutti. I ricercatori delle unità operative interessate possono inoltre contribuire direttamente attraverso la piattaforma Google Docs;
  2. La metodologia quanti-qualitativa proposta dovrebbe coinvolgere un gruppo molto vasto ed eterogeneo di soggetti (3000 interviste telefoniche e 100 colloqui in profondità) come mai prima d’ora è stato possibile fare in Italia;
  3. Le fasi del progetto, i dati ed i risultati saranno pubblicati in modo puntuale e trasparente nello spazio già creato sotto licenza creative commons;
  4. Il web sarà utilizzato in modo estensivo come piattaforma di collaborazione aperta fra i ricercatori e la vasta comunità di soggetti interessati a comprendere meglio l’impatto sociale di questo fenomeno in Italia.

Il progetto avrà durata biennale e coinvolgerà fino ad un massimo di cinque team di ricerca appartenenti a diversi atenei italiani. Sono state previste forme di collaborazione per diversi soggetti che vanno dal personale strutturato delle università italiane ai dottorandi e laureandi, dalle imprese del settore ai blogger.

Ognuno può contribuire aggiungendo commenti, segnalazioni, parlando del progetto nei blog e social network, collaborando alla traduzione, alle attività di trascrizione e alla gestione degli spazi di collaborazione online della comunità dei ricercatori o facendo una piccola donazione.

Chi vuole può iniziare già adesso partendo da qui.

P.S. Vi ricordo l’appuntamento con lo speciale Out of Context dedicato ad un commento approdondito della tesi di dottorato di danah boyd.

E siamo così arrivati all’ultima puntata di What’s next.

Con questo post si chiude un ciclo iniziato il 5 settembre 2008 che consta in totale di 16 post usciti con cadenza settimanale (circa… cioè io ci ho provato ma non sempre ci sono riuscito). Per leggere l’intera seria o un post che vi siete persi è sufficiente seguire seguire questo link. Approfitto dell’occasione per ringraziare Thomas Galli che in questi mesi ha cercato ed editato le immagini necessarie a rendere questi post più accattivanti dal punto di vista estetico.

Ma per un’avventura che si chiude ce ne è subito una che si apre.

In questi giorni ho lavorato alacremente alla bozza di un progetto di ricerca al quale tengo molto. Si tratta della naturale evoluzione di un filone delle mie attività di ricerca di cui ho spesso parlato nei post della serie What’s Next.

Social Network Sites Italia è un nuovo spazio di supporto allo sviluppo di un vasto ed ambizioso progetto di ricerca sull’impatto dei siti di social network sulla società italiana.

L’idea è quella promuovere attorno a questo spazio una comunità allargata di ricercatori che possano contribuire tanto alla stesura quanto alla realizzazione del progetto di ricerca.

Il progetto parteciperà al bando di co-finanziamento PRIN 2008 e se approvato darà origine al primo studio sistematico sui siti di social network in Italia.

L’iniziativa è senza precedenti sotto diversi punti di vista:

  1. Che io sappia è la prima volta che un progetto di questo genere viene creato collaborativamente e pubblicamente attraverso il web. Il documento di progetto stesso è disponibile in Social Network Sites Italia ed aperto al commento di tutti. I ricercatori delle unità operative interessate possono inoltre contribuire direttamente attraverso la piattaforma Google Docs;
  2. La metodologia quanti-qualitativa proposta dovrebbe coinvolgere un gruppo molto vasto ed eterogeneo di soggetti (3000 interviste telefoniche e 100 colloqui in profondità) come mai prima d’ora è stato possibile fare in Italia;
  3. Le fasi del progetto, i dati ed i risultati saranno pubblicati in modo puntuale e trasparente nello spazio già creato sotto licenza creative commons;
  4. Il web sarà utilizzato in modo estensivo come piattaforma di collaborazione aperta fra i ricercatori e la vasta comunità di soggetti interessati a comprendere meglio l’impatto sociale di questo fenomeno in Italia.

Il progetto avrà durata biennale e coinvolgerà fino ad un massimo di cinque team di ricerca appartenenti a diversi atenei italiani. Sono state previste forme di collaborazione per diversi soggetti che vanno dal personale strutturato delle università italiane ai dottorandi e laureandi, dalle imprese del settore ai blogger.

Ognuno può contribuire aggiungendo commenti, segnalazioni, parlando del progetto nei blog e social network, collaborando alla traduzione, alle attività di trascrizione e alla gestione degli spazi di collaborazione online della comunità dei ricercatori o facendo una piccola donazione.

Chi vuole può iniziare già adesso partendo da qui.

P.S. Vi ricordo l’appuntamento con lo speciale Out of Context dedicato ad un commento approdondito della tesi di dottorato di danah boyd.

What’s next #12: Il paziente e gli UCG. Rischi ed opportunità dell'e-Health 2.0

Le logiche del web 2.0 contaminano anche il mondo della sanità. Nascono nuove applicazioni basate sul contenuto generato dai pazienti (o dai medici) che offrono come sempre assieme nuove opportunità e nuovi rischi.Le logiche del web 2.0 contaminano anche il mondo della sanità. Nascono nuove applicazioni basate sul contenuto generato dai pazienti (o dai medici) che offrono come sempre assieme nuove opportunità e nuovi rischi.Le logiche del web 2.0 contaminano anche il mondo della sanità. Nascono nuove applicazioni basate sul contenuto generato dai pazienti (o dai medici) che offrono come sempre assieme nuove opportunità e nuovi rischi.


Da qualche mese un piccolo gruppo di ricercatori LaRiCA collabora ad un progetto finanziato dal Ministro del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali e gestito da CUP 2000 (una società di Bologna specializzata in soluzione per l’e-health). Il progetto si propone di raccogliere, classificare e visualizzare in uno spazio web le esperienze ed i progetti in corso volti a erogare servizi e prestazioni sanitarie direttamente a casa del paziente facendo uso di Internet o altri canali digitali (e-care).
L’ambiente web, basato su Drupal, è già attivo da tempo ed implementa in modo interessante alcuni servizi social (feed rss, servizi di condivisione e bookmarking, tag clouds, visualizzazioni dei progetti basti sull’utilizzo che gli utenti fanno del sito, etc.).
Potete dare uno sguardo voi stessi a: http://www.onecare.cup2000.it/.
Il LaRiCA si è occupato prevalentemente di raccogliere ed analizzare i servizi web che fanno uso delle logiche del web sociale (o 2.0) per cambiare, a diversi livelli, le modalità di fruizione e di erogazione dei servizi sanitari. Da tempo Internet si è andata affermando come una risorsa per il reperimento di informazioni sanitarie (secondo una recente survey di Pew Internet il 78% degli americani che dispongono di una connessione a banda larga cercano informazioni relative alla salute online). È invece più recente la tendenza, sulla scia del successo dei servizio basati sul contenuto generato dagli utenti, a creare servizi di e-health web-based basati sull’idea che i pazienti sono produttori e non solo consumatori di contenuti.
A prima vista l’idea che contenuti la cui esattezza è così importante siano prodotti dagli utenti (non dunque dai professionisti) può destare più di una preoccupazione. I servizi che abbiamo individuato sono riusciti tuttavia a cogliere le opportunità di questo approccio minimizzando il rischio ad esso connesso.
Queste opportunità possono essere fatte ricadere in altrettante categorie di applicazioni web 2.0. Ne abbiamo individuate essenzialmente tre: i sistemi di Online Health Records, i sistemi per la fornitura di servizi medici on line (e-healthcare market) e i siti di social network tematici.


Gli OnLine Health Records sono sistemi che permettono la creazione e la gestione della propria cartella clinica on line. Tutti i dati relativi a patologie, cure mediche, esami e trattamenti effettuati da qualsiasi soggetto possono, con tali sistemi, essere salvati in rete e attraverso questa gestiti, condivisi, consultati o integrati.
I vantaggi sono dettati dall’estrema duttilità nella fruizione delle informazioni e dall’elevata possibilità di interazione tra medico e paziente.
Quest’ultimo si pone al centro del sistema potendo decidere in modo autonomo quando e dove usufruire dei suoi dati, quale persona autorizzare alla visione degli stessi, a quale medico inviare la propria cartella per ottenere un consulto. Il paziente può gestire in modo autonomo un insieme di dati raccolti in un unico “luogo”, consultabile in modo istantaneo in qualunque parte del mondo.
È possibile strutturare in questo modo sistemi anche molto complessi che prevedono, come nel caso del sistema HealthVault di Microsoft, l’aggiornamento in tempo reale dei parametri vitali del paziente attraverso l’uso di device portatili che monitorano costantemente il soggetto e inviano i dati nell’online health record. In questo modo il medico potrà essere informato costantemente, ovunque si trovi, sulle condizioni del proprio paziente potendo intervenire, se necessario, anche in tempo reale. Allo stesso modo il carattere permanente delle informazioni consente la sedimentazione nel tempo degli eventi che hanno caratterizzano la storia clinica di un soggetto fornendone un quadro completo indipendentemente dalle strutture presso le quali il paziente si è rivolto nel tempo.
Gli Online Health Records possono inoltre svolgere un ulteriore importante funzione nel rendere visibile al paziente stesso la propria storia clinica. La possibilità di monitorare e visualizzare in modo semplice l’evolversi del tempo di certi parametri crea anche nel paziente delle inedite possibilità di riflettere sulla relazione fra i comportamenti quotidiani (attività fisica, quantità e tipologia di cibo) ed i parametri medici riscontrati (in un certo senso è lo stesso principio del Wii Fit). Fanno parte di questa specifica categoria l’applicazione per iPhone Diamedic (per pazienti diabetici) e Weight Tracker.
Alla flessibilità di gestione ed accessibilità delle informazioni accumulate attraverso questi sistemi si associa anche una netta diminuzione dei costi da parte delle strutture mediche. I dati vengono salvati nei server Internet delle aziende che rendono disponibile il servizio permettendo sia ai pazienti che alle strutture sanitarie di usufruire di sistemi molto più potenti e sicuri di quelli dei singoli ospedali, dei singoli medici o dei singoli pazienti, senza alcun costo di utilizzo e gestione. Questo rappresenta, per il momento, il settore in cui le applicazioni su larga scala sembrano essere più imminenti, non è un caso che colossi del mercato informatico come Google e Microsoft (Google Health e Microsoft HealthVault) stiano investendo in queste applicazioni ingenti capitali.
In altri casi, le applicazioni supportate dal Web 2.0 permettono di fruire di servizi sempre più personalizzati che in un’ottica di customerizzazione e domiciliarità consentono agli utenti di scegliere in modo consapevole medici, strutture ospedaliere, esami clinici (es. Vitals, American Well, Healthgrades, etc.). Attraverso sistemi di rating on line è possibile, ad esempio, comparare la qualità di strutture sanitarie, cure mediche e quant’altro. In alcuni casi l’utente, individua, attraverso l’aiuto on line di un medico, le cure più adatte per la sua patologia, confronta la qualità, il costo, i tempi dei servizi forniti da diverse strutture e diversi medici e alla fine acquista il pacchetto più conveniente. Dopo aver effettuato gli esami acquistati, potrà esprimere il proprio parere sulla qualità del servizio erogato che fungerà da indicazione per gli utenti successivi.
È il caso di Carol.com, un sistema che consente all’utente di scegliere e prenotare l’esame clinico più adatto alle proprie esigienze attraverso una ricerca fatta per parole chiave (Medical, Dental, Classes, Vision, Cosmetic, Behavioral Health) o per categorie (Men’s Health, Women’s Health, Back & Joint, Diabetes, Higth Blood Pressure). La rete, attiva nelle zone di Minneapolis e Saint Paul, si avvale della collaborazione di 26 centri o strutture ospedaliere e 8 compagnie di assicurazioni presenti in quell’area.
L’applicazione permette di comparare in tempo reale una serie di parametri relativi allo stesso servizio erogato dalle diverse strutture della zona e leggere i commenti di coloro che hanno già acquistato quel servizio o quel pacchetto di servizi in una determinata struttura.
In questo modo è possibile confrontare un ampio spettro di informazioni relativo, ad esempio, al costo, alla disposizione geografica delle strutture mediche che erogano quel particolare servizio, alle liste d’attesa, alla qualità delle strutture ospedaliere, alla qualità e la disponibilità del personale.
L’applicazione si presenta come un on line market place in cui, in posizione di totale parità, si confrontano gli utenti da una parte e il sistema sanitario dall’altra. Questo consente agli utenti di scegliere in modo autonomo e consapevole il servizio più adatto alle proprie esigenze e a coloro che erogano il servizio di avere un feedback immediato e a costo zero attraverso cui monitorare e migliorare la qualità dei propri prodotti.
Si tratta di forme e linguaggi mediali già sperimentati in altri campi. Il paragone (con le dovute differenze) è col famosissimo eBay, applicazione che mette in contatto venditori e compratori di tutto il mondo in cui l’apertura totale al mercato, la trasparenza e la centralità dell’utente costituiscono degli elementi chiave.
La terza tipologia di applicazioni web 2.0 per la sanità è costituita da siti di social network tematici (SharingHope, Patients Like Me) che permettono la condivisione di esperienze personali e di pareri informali, riguardo patologie o situazioni specifiche con l’intento di fornire un supporto di tipo psicologico agli utenti. Attraverso questo tipo di applicazioni si crea un senso di comunità capace di sopperire alle carenze (di informazione, di sostegno morale, etc.) del sistema sanitario relative alla gestione non tanto dei risvolti clinici della malattia, quanto di quelli umani.
Un esempio è DailyStrenght un grande social network costituito da gruppi di supporto online su una quantità enorme di patologie. Esistono attualmente più di 500 gruppi di discussioni sulle più disparate patologie riguardanti le tre aree della salute mentale, della salute fisica e dei problemi di natura personale. Gli utenti possono discutere in completo anonimato delle proprie condizioni mediche con persone che abbiano sperimentato la stessa situazione e con medici competenti sulle diverse patologie.
Esiste una sezione in cui è possibile crearsi un profilo personale che fornisce una descrizione di base dell’utente, mostra le sue attività, le notizie che ha segnalato o le conversazioni che ha fatto all’interno dei forum di discussione. È un sistema in stile MySpace o Facebook all’interno del quale è possibile tenere un diario, fare amicizie, caricare foto e video.
Una delle parti più convincenti è la treatment directory, in cui i membri possono riportare i trattamenti effettuati e la loro efficacia, discuterne insieme, segnalare nuove ricerche, articoli e cure alternative.
Tali sistemi possono attuare quel circolo virtuoso già evidenziato in precedenza. Non solo possono generare comunità che si autoalimentano aiutando nello stesso tempo chi ha bisogno di un sostegno, ma producono relazioni che generano conoscenza. La mole di conversazioni prodotta, se osservata con attenzione può costituire una enorme risorsa di informazioni per il sistema della sanità, a cominciare dalle strutture ospedaliere, dai professionisti e dalle industrie del settore. Queste possono recepire gli stimoli, i bisogni e le aspettative espresse da queste comunità per migliorare i propri servizi e i propri prodotti.
Rimane da capire quanto i benefici dell’e-health 2.0 aprono al tempo stesso a nuovi rischi. Da quello di imbattersi in informazioni non corrette perché prodotte da non professionisti a quelli relativi alla privacy.
In particolare la capacità degli utenti di produrre contenuti tende a ristrutturare, anche in ambito sanitario, il rapporto fra strutture sanitarie, medici e pazienti. La prassi dell’ascolto, come sta diventando lentamente chiaro per le aziende, diverrà col tempo una necessità anche per chi offre servizi nel campo della salute.
Mi chiedo se veramente il sistema sanitario italiano sarà in grado di sviluppare questa capacità di ascolto.
Cosa ne pensate? Ci sono più opportunità o rischi nel mondo dell’e-Health 2.0?
P.S. Questo post è in gran parte tratto da un report scritto dal mio collega Giulio Gabbianelli.
P.P.S. L’immagine è provvisoria. Pubblicherò quella giusta non appena avrò risolto un problema tecnico che sta affliggendo il server che ospita il blog.

Da qualche mese un piccolo gruppo di ricercatori LaRiCA collabora ad un progetto finanziato dal Ministro del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali e gestito da CUP 2000 (una società di Bologna specializzata in soluzione per l’e-health). Il progetto si propone di raccogliere, classificare e visualizzare in uno spazio web le esperienze ed i progetti in corso volti a erogare servizi e prestazioni sanitarie direttamente a casa del paziente facendo uso di Internet o altri canali digitali (e-care).

L’ambiente web, basato su Drupal, è già attivo da tempo ed implementa in modo interessante alcuni servizi social (feed rss, servizi di condivisione e bookmarking, tag clouds, visualizzazioni dei progetti basti sull’utilizzo che gli utenti fanno del sito, etc.).

Potete dare uno sguardo voi stessi a: http://www.onecare.cup2000.it/.

Il LaRiCA si è occupato prevalentemente di raccogliere ed analizzare i servizi web che fanno uso delle logiche del web sociale (o 2.0) per cambiare, a diversi livelli, le modalità di fruizione e di erogazione dei servizi sanitari. Da tempo Internet si è andata affermando come una risorsa per il reperimento di informazioni sanitarie (secondo una recente survey di Pew Internet il 78% degli americani che dispongono di una connessione a banda larga cercano informazioni relative alla salute online). È invece più recente la tendenza, sulla scia del successo dei servizio basati sul contenuto generato dagli utenti, a creare servizi di e-health web-based basati sull’idea che i pazienti sono produttori e non solo consumatori di contenuti.

A prima vista l’idea che contenuti la cui esattezza è così importante siano prodotti dagli utenti (non dunque dai professionisti) può destare più di una preoccupazione. I servizi che abbiamo individuato sono riusciti tuttavia a cogliere le opportunità di questo approccio minimizzando il rischio ad esso connesso.

Queste opportunità possono essere fatte ricadere in altrettante categorie di applicazioni web 2.0. Ne abbiamo individuate essenzialmente tre: i sistemi di Online Health Records, i sistemi per la fornitura di servizi medici on line (e-healthcare market) e i siti di social network tematici.

Gli OnLine Health Records sono sistemi che permettono la creazione e la gestione della propria cartella clinica on line. Tutti i dati relativi a patologie, cure mediche, esami e trattamenti effettuati da qualsiasi soggetto possono, con tali sistemi, essere salvati in rete e attraverso questa gestiti, condivisi, consultati o integrati.

I vantaggi sono dettati dall’estrema duttilità nella fruizione delle informazioni e dall’elevata possibilità di interazione tra medico e paziente.

Quest’ultimo si pone al centro del sistema potendo decidere in modo autonomo quando e dove usufruire dei suoi dati, quale persona autorizzare alla visione degli stessi, a quale medico inviare la propria cartella per ottenere un consulto. Il paziente può gestire in modo autonomo un insieme di dati raccolti in un unico “luogo”, consultabile in modo istantaneo in qualunque parte del mondo.

È possibile strutturare in questo modo sistemi anche molto complessi che prevedono, come nel caso del sistema HealthVault di Microsoft, l’aggiornamento in tempo reale dei parametri vitali del paziente attraverso l’uso di device portatili che monitorano costantemente il soggetto e inviano i dati nell’online health record. In questo modo il medico potrà essere informato costantemente, ovunque si trovi, sulle condizioni del proprio paziente potendo intervenire, se necessario, anche in tempo reale. Allo stesso modo il carattere permanente delle informazioni consente la sedimentazione nel tempo degli eventi che hanno caratterizzano la storia clinica di un soggetto fornendone un quadro completo indipendentemente dalle strutture presso le quali il paziente si è rivolto nel tempo.

Gli Online Health Records possono inoltre svolgere un ulteriore importante funzione nel rendere visibile al paziente stesso la propria storia clinica. La possibilità di monitorare e visualizzare in modo semplice l’evolversi del tempo di certi parametri crea anche nel paziente delle inedite possibilità di riflettere sulla relazione fra i comportamenti quotidiani (attività fisica, quantità e tipologia di cibo) ed i parametri medici riscontrati (in un certo senso è lo stesso principio del Wii Fit). Fanno parte di questa specifica categoria l’applicazione per iPhone Diamedic (per pazienti diabetici) e Weight Tracker.

Alla flessibilità di gestione ed accessibilità delle informazioni accumulate attraverso questi sistemi si associa anche una netta diminuzione dei costi da parte delle strutture mediche. I dati vengono salvati nei server Internet delle aziende che rendono disponibile il servizio permettendo sia ai pazienti che alle strutture sanitarie di usufruire di sistemi molto più potenti e sicuri di quelli dei singoli ospedali, dei singoli medici o dei singoli pazienti, senza alcun costo di utilizzo e gestione. Questo rappresenta, per il momento, il settore in cui le applicazioni su larga scala sembrano essere più imminenti, non è un caso che colossi del mercato informatico come Google e Microsoft (Google Health e Microsoft HealthVault) stiano investendo in queste applicazioni ingenti capitali.

In altri casi, le applicazioni supportate dal Web 2.0 permettono di fruire di servizi sempre più personalizzati che in un’ottica di customerizzazione e domiciliarità consentono agli utenti di scegliere in modo consapevole medici, strutture ospedaliere, esami clinici (es. Vitals, American Well, Healthgrades, etc.). Attraverso sistemi di rating on line è possibile, ad esempio, comparare la qualità di strutture sanitarie, cure mediche e quant’altro. In alcuni casi l’utente, individua, attraverso l’aiuto on line di un medico, le cure più adatte per la sua patologia, confronta la qualità, il costo, i tempi dei servizi forniti da diverse strutture e diversi medici e alla fine acquista il pacchetto più conveniente. Dopo aver effettuato gli esami acquistati, potrà esprimere il proprio parere sulla qualità del servizio erogato che fungerà da indicazione per gli utenti successivi.

È il caso di Carol.com, un sistema che consente all’utente di scegliere e prenotare l’esame clinico più adatto alle proprie esigienze attraverso una ricerca fatta per parole chiave (Medical, Dental, Classes, Vision, Cosmetic, Behavioral Health) o per categorie (Men’s Health, Women’s Health, Back & Joint, Diabetes, Higth Blood Pressure). La rete, attiva nelle zone di Minneapolis e Saint Paul, si avvale della collaborazione di 26 centri o strutture ospedaliere e 8 compagnie di assicurazioni presenti in quell’area.

L’applicazione permette di comparare in tempo reale una serie di parametri relativi allo stesso servizio erogato dalle diverse strutture della zona e leggere i commenti di coloro che hanno già acquistato quel servizio o quel pacchetto di servizi in una determinata struttura.

In questo modo è possibile confrontare un ampio spettro di informazioni relativo, ad esempio, al costo, alla disposizione geografica delle strutture mediche che erogano quel particolare servizio, alle liste d’attesa, alla qualità delle strutture ospedaliere, alla qualità e la disponibilità del personale.

L’applicazione si presenta come un on line market place in cui, in posizione di totale parità, si confrontano gli utenti da una parte e il sistema sanitario dall’altra. Questo consente agli utenti di scegliere in modo autonomo e consapevole il servizio più adatto alle proprie esigenze e a coloro che erogano il servizio di avere un feedback immediato e a costo zero attraverso cui monitorare e migliorare la qualità dei propri prodotti.

Si tratta di forme e linguaggi mediali già sperimentati in altri campi. Il paragone (con le dovute differenze) è col famosissimo eBay, applicazione che mette in contatto venditori e compratori di tutto il mondo in cui l’apertura totale al mercato, la trasparenza e la centralità dell’utente costituiscono degli elementi chiave.

La terza tipologia di applicazioni web 2.0 per la sanità è costituita da siti di social network tematici (SharingHope, Patients Like Me) che permettono la condivisione di esperienze personali e di pareri informali, riguardo patologie o situazioni specifiche con l’intento di fornire un supporto di tipo psicologico agli utenti. Attraverso questo tipo di applicazioni si crea un senso di comunità capace di sopperire alle carenze (di informazione, di sostegno morale, etc.) del sistema sanitario relative alla gestione non tanto dei risvolti clinici della malattia, quanto di quelli umani.

Un esempio è DailyStrenght un grande social network costituito da gruppi di supporto online su una quantità enorme di patologie. Esistono attualmente più di 500 gruppi di discussioni sulle più disparate patologie riguardanti le tre aree della salute mentale, della salute fisica e dei problemi di natura personale. Gli utenti possono discutere in completo anonimato delle proprie condizioni mediche con persone che abbiano sperimentato la stessa situazione e con medici competenti sulle diverse patologie.

Esiste una sezione in cui è possibile crearsi un profilo personale che fornisce una descrizione di base dell’utente, mostra le sue attività, le notizie che ha segnalato o le conversazioni che ha fatto all’interno dei forum di discussione. È un sistema in stile MySpace o Facebook all’interno del quale è possibile tenere un diario, fare amicizie, caricare foto e video.

Una delle parti più convincenti è la treatment directory, in cui i membri possono riportare i trattamenti effettuati e la loro efficacia, discuterne insieme, segnalare nuove ricerche, articoli e cure alternative.

Tali sistemi possono attuare quel circolo virtuoso già evidenziato in precedenza. Non solo possono generare comunità che si autoalimentano aiutando nello stesso tempo chi ha bisogno di un sostegno, ma producono relazioni che generano conoscenza. La mole di conversazioni prodotta, se osservata con attenzione può costituire una enorme risorsa di informazioni per il sistema della sanità, a cominciare dalle strutture ospedaliere, dai professionisti e dalle industrie del settore. Queste possono recepire gli stimoli, i bisogni e le aspettative espresse da queste comunità per migliorare i propri servizi e i propri prodotti.

Rimane da capire quanto i benefici dell’e-health 2.0 aprono al tempo stesso a nuovi rischi. Da quello di imbattersi in informazioni non corrette perché prodotte da non professionisti a quelli relativi alla privacy.

In particolare la capacità degli utenti di produrre contenuti tende a ristrutturare, anche in ambito sanitario, il rapporto fra strutture sanitarie, medici e pazienti. La prassi dell’ascolto, come sta diventando lentamente chiaro per le aziende, diverrà col tempo una necessità anche per chi offre servizi nel campo della salute.

Mi chiedo se veramente il sistema sanitario italiano sarà in grado di sviluppare questa capacità di ascolto.

Cosa ne pensate? Ci sono più opportunità o rischi nel mondo dell’e-Health 2.0?

P.S. Questo post è in gran parte tratto da un report scritto dal mio collega Giulio Gabbianelli.

P.P.S. L’immagine è provvisoria. Pubblicherò quella giusta non appena avrò risolto un problema tecnico che sta affliggendo il server che ospita il blog.

Da qualche mese un piccolo gruppo di ricercatori LaRiCA collabora ad un progetto finanziato dal Ministro del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali e gestito da CUP 2000 (una società di Bologna specializzata in soluzione per l’e-health). Il progetto si propone di raccogliere, classificare e visualizzare in uno spazio web le esperienze ed i progetti in corso volti a erogare servizi e prestazioni sanitarie direttamente a casa del paziente facendo uso di Internet o altri canali digitali (e-care).

L’ambiente web, basato su Drupal, è già attivo da tempo ed implementa in modo interessante alcuni servizi social (feed rss, servizi di condivisione e bookmarking, tag clouds, visualizzazioni dei progetti basti sull’utilizzo che gli utenti fanno del sito, etc.).

Potete dare uno sguardo voi stessi a: http://www.onecare.cup2000.it/.

Il LaRiCA si è occupato prevalentemente di raccogliere ed analizzare i servizi web che fanno uso delle logiche del web sociale (o 2.0) per cambiare, a diversi livelli, le modalità di fruizione e di erogazione dei servizi sanitari. Da tempo Internet si è andata affermando come una risorsa per il reperimento di informazioni sanitarie (secondo una recente survey di Pew Internet il 78% degli americani che dispongono di una connessione a banda larga cercano informazioni relative alla salute online). È invece più recente la tendenza, sulla scia del successo dei servizio basati sul contenuto generato dagli utenti, a creare servizi di e-health web-based basati sull’idea che i pazienti sono produttori e non solo consumatori di contenuti.

A prima vista l’idea che contenuti la cui esattezza è così importante siano prodotti dagli utenti (non dunque dai professionisti) può destare più di una preoccupazione. I servizi che abbiamo individuato sono riusciti tuttavia a cogliere le opportunità di questo approccio minimizzando il rischio ad esso connesso.

Queste opportunità possono essere fatte ricadere in altrettante categorie di applicazioni web 2.0. Ne abbiamo individuate essenzialmente tre: i sistemi di Online Health Records, i sistemi per la fornitura di servizi medici on line (e-healthcare market) e i siti di social network tematici.

Gli OnLine Health Records sono sistemi che permettono la creazione e la gestione della propria cartella clinica on line. Tutti i dati relativi a patologie, cure mediche, esami e trattamenti effettuati da qualsiasi soggetto possono, con tali sistemi, essere salvati in rete e attraverso questa gestiti, condivisi, consultati o integrati.

I vantaggi sono dettati dall’estrema duttilità nella fruizione delle informazioni e dall’elevata possibilità di interazione tra medico e paziente.

Quest’ultimo si pone al centro del sistema potendo decidere in modo autonomo quando e dove usufruire dei suoi dati, quale persona autorizzare alla visione degli stessi, a quale medico inviare la propria cartella per ottenere un consulto. Il paziente può gestire in modo autonomo un insieme di dati raccolti in un unico “luogo”, consultabile in modo istantaneo in qualunque parte del mondo.

È possibile strutturare in questo modo sistemi anche molto complessi che prevedono, come nel caso del sistema HealthVault di Microsoft, l’aggiornamento in tempo reale dei parametri vitali del paziente attraverso l’uso di device portatili che monitorano costantemente il soggetto e inviano i dati nell’online health record. In questo modo il medico potrà essere informato costantemente, ovunque si trovi, sulle condizioni del proprio paziente potendo intervenire, se necessario, anche in tempo reale. Allo stesso modo il carattere permanente delle informazioni consente la sedimentazione nel tempo degli eventi che hanno caratterizzano la storia clinica di un soggetto fornendone un quadro completo indipendentemente dalle strutture presso le quali il paziente si è rivolto nel tempo.

Gli Online Health Records possono inoltre svolgere un ulteriore importante funzione nel rendere visibile al paziente stesso la propria storia clinica. La possibilità di monitorare e visualizzare in modo semplice l’evolversi del tempo di certi parametri crea anche nel paziente delle inedite possibilità di riflettere sulla relazione fra i comportamenti quotidiani (attività fisica, quantità e tipologia di cibo) ed i parametri medici riscontrati (in un certo senso è lo stesso principio del Wii Fit). Fanno parte di questa specifica categoria l’applicazione per iPhone Diamedic (per pazienti diabetici) e Weight Tracker.

Alla flessibilità di gestione ed accessibilità delle informazioni accumulate attraverso questi sistemi si associa anche una netta diminuzione dei costi da parte delle strutture mediche. I dati vengono salvati nei server Internet delle aziende che rendono disponibile il servizio permettendo sia ai pazienti che alle strutture sanitarie di usufruire di sistemi molto più potenti e sicuri di quelli dei singoli ospedali, dei singoli medici o dei singoli pazienti, senza alcun costo di utilizzo e gestione. Questo rappresenta, per il momento, il settore in cui le applicazioni su larga scala sembrano essere più imminenti, non è un caso che colossi del mercato informatico come Google e Microsoft (Google Health e Microsoft HealthVault) stiano investendo in queste applicazioni ingenti capitali.

In altri casi, le applicazioni supportate dal Web 2.0 permettono di fruire di servizi sempre più personalizzati che in un’ottica di customerizzazione e domiciliarità consentono agli utenti di scegliere in modo consapevole medici, strutture ospedaliere, esami clinici (es. Vitals, American Well, Healthgrades, etc.). Attraverso sistemi di rating on line è possibile, ad esempio, comparare la qualità di strutture sanitarie, cure mediche e quant’altro. In alcuni casi l’utente, individua, attraverso l’aiuto on line di un medico, le cure più adatte per la sua patologia, confronta la qualità, il costo, i tempi dei servizi forniti da diverse strutture e diversi medici e alla fine acquista il pacchetto più conveniente. Dopo aver effettuato gli esami acquistati, potrà esprimere il proprio parere sulla qualità del servizio erogato che fungerà da indicazione per gli utenti successivi.

È il caso di Carol.com, un sistema che consente all’utente di scegliere e prenotare l’esame clinico più adatto alle proprie esigienze attraverso una ricerca fatta per parole chiave (Medical, Dental, Classes, Vision, Cosmetic, Behavioral Health) o per categorie (Men’s Health, Women’s Health, Back & Joint, Diabetes, Higth Blood Pressure). La rete, attiva nelle zone di Minneapolis e Saint Paul, si avvale della collaborazione di 26 centri o strutture ospedaliere e 8 compagnie di assicurazioni presenti in quell’area.

L’applicazione permette di comparare in tempo reale una serie di parametri relativi allo stesso servizio erogato dalle diverse strutture della zona e leggere i commenti di coloro che hanno già acquistato quel servizio o quel pacchetto di servizi in una determinata struttura.

In questo modo è possibile confrontare un ampio spettro di informazioni relativo, ad esempio, al costo, alla disposizione geografica delle strutture mediche che erogano quel particolare servizio, alle liste d’attesa, alla qualità delle strutture ospedaliere, alla qualità e la disponibilità del personale.

L’applicazione si presenta come un on line market place in cui, in posizione di totale parità, si confrontano gli utenti da una parte e il sistema sanitario dall’altra. Questo consente agli utenti di scegliere in modo autonomo e consapevole il servizio più adatto alle proprie esigenze e a coloro che erogano il servizio di avere un feedback immediato e a costo zero attraverso cui monitorare e migliorare la qualità dei propri prodotti.

Si tratta di forme e linguaggi mediali già sperimentati in altri campi. Il paragone (con le dovute differenze) è col famosissimo eBay, applicazione che mette in contatto venditori e compratori di tutto il mondo in cui l’apertura totale al mercato, la trasparenza e la centralità dell’utente costituiscono degli elementi chiave.

La terza tipologia di applicazioni web 2.0 per la sanità è costituita da siti di social network tematici (SharingHope, Patients Like Me) che permettono la condivisione di esperienze personali e di pareri informali, riguardo patologie o situazioni specifiche con l’intento di fornire un supporto di tipo psicologico agli utenti. Attraverso questo tipo di applicazioni si crea un senso di comunità capace di sopperire alle carenze (di informazione, di sostegno morale, etc.) del sistema sanitario relative alla gestione non tanto dei risvolti clinici della malattia, quanto di quelli umani.

Un esempio è DailyStrenght un grande social network costituito da gruppi di supporto online su una quantità enorme di patologie. Esistono attualmente più di 500 gruppi di discussioni sulle più disparate patologie riguardanti le tre aree della salute mentale, della salute fisica e dei problemi di natura personale. Gli utenti possono discutere in completo anonimato delle proprie condizioni mediche con persone che abbiano sperimentato la stessa situazione e con medici competenti sulle diverse patologie.

Esiste una sezione in cui è possibile crearsi un profilo personale che fornisce una descrizione di base dell’utente, mostra le sue attività, le notizie che ha segnalato o le conversazioni che ha fatto all’interno dei forum di discussione. È un sistema in stile MySpace o Facebook all’interno del quale è possibile tenere un diario, fare amicizie, caricare foto e video.

Una delle parti più convincenti è la treatment directory, in cui i membri possono riportare i trattamenti effettuati e la loro efficacia, discuterne insieme, segnalare nuove ricerche, articoli e cure alternative.

Tali sistemi possono attuare quel circolo virtuoso già evidenziato in precedenza. Non solo possono generare comunità che si autoalimentano aiutando nello stesso tempo chi ha bisogno di un sostegno, ma producono relazioni che generano conoscenza. La mole di conversazioni prodotta, se osservata con attenzione può costituire una enorme risorsa di informazioni per il sistema della sanità, a cominciare dalle strutture ospedaliere, dai professionisti e dalle industrie del settore. Queste possono recepire gli stimoli, i bisogni e le aspettative espresse da queste comunità per migliorare i propri servizi e i propri prodotti.

Rimane da capire quanto i benefici dell’e-health 2.0 aprono al tempo stesso a nuovi rischi. Da quello di imbattersi in informazioni non corrette perché prodotte da non professionisti a quelli relativi alla privacy.

In particolare la capacità degli utenti di produrre contenuti tende a ristrutturare, anche in ambito sanitario, il rapporto fra strutture sanitarie, medici e pazienti. La prassi dell’ascolto, come sta diventando lentamente chiaro per le aziende, diverrà col tempo una necessità anche per chi offre servizi nel campo della salute.

Mi chiedo se veramente il sistema sanitario italiano sarà in grado di sviluppare questa capacità di ascolto.

Cosa ne pensate? Ci sono più opportunità o rischi nel mondo dell’e-Health 2.0?

P.S. Questo post è in gran parte tratto da un report scritto dal mio collega Giulio Gabbianelli.

P.P.S. L’immagine è provvisoria. Pubblicherò quella giusta non appena avrò risolto un problema tecnico che sta affliggendo il server che ospita il blog.

What's next #9: quando le conversazioni dal basso, da sole, non bastano

L’uso efficace di Internet ha contribuito in modo sostanziale al successo di Barack Obama. Anche grazie a Facebook e alla posta elettronica la campagna è stata scandita da tappe che richiedevano la partecipazione rendendola semplice come seguire una ricetta di cucina.L’uso efficace di Internet ha contribuito in modo sostanziale al successo di Barack Obama. Anche grazie a Facebook e alla posta elettronica la campagna è stata scandita da tappe che richiedevano la partecipazione rendendola semplice come seguire una ricetta di cucina.L’uso efficace di Internet ha contribuito in modo sostanziale al successo di Barack Obama. Anche grazie a Facebook e alla posta elettronica la campagna è stata scandita da tappe che richiedevano la partecipazione rendendola semplice come seguire una ricetta di cucina.



Alcuni mesi fa, come molti altri anche in Italia, mi sono iscritto a http://my.barackobama.com.

Non che potessi veramente fare qualcosa di concreto per supportare una causa in cui credevo (le donazioni per i non cittadini USA sono, ad esempio, proibite) quanto piuttosto per osservare più da vicino l’uso che lo staff di Obama ha fatto del suo social network e del web in generale.

Era il 13 luglio e da allora ho ricevuto oltre 90 messaggi di posta elettronica ed updates via Facebook.

A rileggerli oggi tutti insieme pare di assistere ad una straordinaria lezione su come si gestisce una comunità online.

Ogni messaggio inviato ha un mittente ed una firma personale. I mittenti sono David Plouffe, Joe Biden, Michelle Obama, Barack Obama ed occasionalmente altri personaggi che firmano i messaggi e risultano come mittenti nell’inbox (anche se il replay è impostato per tutti a info@barackobama.com).

Ogni messaggio ha un tema chiaro e tutt’altro che generico. Può essere legato al raggiungimento degli obiettivi di auto-finanziamento di fine mese, ad eventi quali il discorso di accettazione della nomination o i dibattiti televisivi (prima e dopo per le reazioni), a rispondere in modo immediato agli spot di McCain, alla disponibilità di nuovi gadget, a sollecitare azioni mirate di volontariato su specifici Stati o questioni.

Make a donation of $5 or more right now to show John McCain and Governor Palin that when they attack us with lies and smears, it literally makes our campaign stronger

Esemplare in questo senso i messaggi che seguivano alle dichiarazioni di McCain contro Obama.

I messaggi che seguivano a questi spot o dichiarazioni erano tutti costruiti sfruttando abilmente la retorica del “lui ha tanti soldi e si può permettere di comprare spot televisivi in cui ci attacca, reagiamo tutti insieme raccogliendo più fondi per avere anche noi i nostri spot”.

Quale che fosse l’oggetto del messaggio l’obiettivo era quasi sempre quello di raccogliere fondi.

Ogni messaggio ha in calce un link: donate. Un link apparentemente sempre uguale ma in realtà sempre diverso perché contiene un codice unico che consente ai gestori del sito di differenziare la provenienza degli accessi. Praticamente in tutti i messaggi c’è, oltre che a questo link in calce, un link in grassetto nel testo che invita a donare 5 o più dollari per un motivo specifico legato all’oggetto del messaggio.

Take a look and make a donation of $5 or more to get it on the air for those who may have missed it

Please donate $5 or more before the deadline to help register voters, get out the vote, and win this election

Make a donation of $5 or more today to help Get Out The Vote in Ohio and other early vote states

Make a donation of $5 or more right now to bring about the change we need

Then make a donation of $5 or more to help keep this ad on the air

The time to make a difference in this election is running out — please make a donation of $5 or more right now

Your donation of $5 or more today is essential to our unprecedented get out the vote operation in these final days

Will you make a donation of $5 or more today and double your impact?

Make a donation of $10 or more and you’ll receive a limited edition Obama-Biden car magnet

You can decide where we fight — and how strong our team will be. Please make a donation of $5 or more before the deadline

Your first donation of $10 or more will provide resources urgently needed before the deadline. And you’ll receive a limited edition Obama-Biden car magnet

If you make a donation of $10 or more before the deadline, you’ll receive a limited edition Obama-Biden car magnet

Make a donation of $10 or more to own a piece of this movement before the final deadline

Will you make a donation of $5 or more before the deadline?

Watch Barack’s closing argument and make a donation of $5 or more to get every vote we need to win.

Take a minute to remember why you joined this movement, then please make a donation of $5 or more today?

Watch Barack’s speech and make your first donation of $5 or more before it’s too late

Make a donation of $5 or more today to expand our efforts in these new battleground states

And if you make a donation of $30 or more today, you’ll also receive a “Change the World” T-shirt

Make a donation of $5 or more right now: Make a donation and you could get a front row seat to history

Nei rari casi in cui il messaggio non invita direttamente a finanziare la campagna con un link in grassetto come questi, c’è sempre e comunque un’azione chiara che viene proposta con un link in grassetto “Host a Last Call for Change house party on Wednesday, October 29th”, “Watch this video and sign up to help get out the vote on Tuesday, November 4th“)

I lunghi mesi che precedevano il 4 novembre sono stati trasformati in una corsa a tappe dove, per mantenere alta l’attenzione, bisognava talvolta inventarsi (come nel caso dei vari gadget messi in vendita mano mano, di alcuni video realizzati ad-hoc e dei concorsi come quello per stare dietro il palco in occasione della nomination) l’evento.

Ovviamente i messaggi di posta elettronica sono solo una piccola parte della campagna. Gli stessi messaggi erano, ad esempio, inviati agli oltre 2 milioni e mezzo di supporter della pagine di Barack Obama su Facebook. L’uso di Facebook e l’integrazione fra questo strumento e gli altri diventerò di certo un caso di studio. Decine di applicazioni sono state realizzate ad-hoc per supportare la registrazione al voto, la ricerca delle informazioni su come e dove votare o, la mia preferita, quella per invitare i ragazzi a parlare con i loro genitori delle elezioni (l’elenco delle cose da fare e da non fare è straordinario e andrebbe letto ed applicato sempre e comunque a prescindere).

Tutto il sistema di messaggi convergeva poi sul sito ufficiale.

Questo sito è stato costruito e gestito magistralmente. In particolare credo che l’Action Center farà scuola e rappresenta molto bene la simbiosi fra mobilitazione dal basso e coordinamento che questa campagna è riuscita a realizzare.

Per ogni azione è stata realizzata una pagina divisa in 4 tab: Getting Started, Before, During, After.

In ogni tab è spiegato in modo chiaro e spesso passo passo cosa fare e come farlo. Mi ricordo di aver letto ad esempio le istruzioni per organizzare una festa in casa per vedere insieme il discorso di accettazione della nomination di agosto che spiegava chi invitare, come farlo, come organizzare la serata quali materiali preparare, distribuire e riconsegnare allo staff di Obama (una guida simile è ancora disponibile nell’organizing resource center).

Il successo di Barack Obama è senza dubbio dovuto alla capacità di usare Internet  in ambito politico come mai prima era stato fatto. Ancora una volta, come nel caso di Wikipedia, un piccolo nucleo di volontari riesce a coordinare, grazie ad un uso accorto della rete, un enorme numero di partecipanti.

Se c’è una cosa che dovremmo imparare è che per passare dalla condivisione all’azione collettiva (per usare il linguaggio di Clay Shirky – il cui ultimo libro sta per uscire in italiano per Codice) l’auto-organizzazione non basta. Come nei BarCamp serve qualcuno che faccia un po’ più degli altri, si assuma maggiori responsabilità e svolga un ruolo di coordinamento affinché tutti gli altri possano partecipare attivamente ed efficacemente all’evento.

Senza i pochi non ci sarebbero i molti e viceversa. Senza Internet non ci sarebbe il collegamento.

La retorica dell’auto-organizzazione pura è una chimera.

Le conversazioni dal basso, da sole, non bastano.

P.S. Il community manager è il mestiere del futuro.

Alcuni mesi fa, come molti altri anche in Italia, mi sono iscritto a http://my.barackobama.com.

Non che potessi veramente fare qualcosa di concreto per supportare una causa in cui credevo (le donazioni per i non cittadini USA sono, ad esempio, proibite) quanto piuttosto per osservare più da vicino l’uso che lo staff di Obama ha fatto del suo social network e del web in generale.

Era il 13 luglio e da allora ho ricevuto oltre 90 messaggi di posta elettronica ed updates via Facebook.

A rileggerli oggi tutti insieme pare di assistere ad una straordinaria lezione su come si gestisce una comunità online.

Ogni messaggio inviato ha un mittente ed una firma personale. I mittenti sono David Plouffe, Joe Biden, Michelle Obama, Barack Obama ed occasionalmente altri personaggi che firmano i messaggi e risultano come mittenti nell’inbox (anche se il replay è impostato per tutti a info@barackobama.com).

Ogni messaggio ha un tema chiaro e tutt’altro che generico. Può essere legato al raggiungimento degli obiettivi di auto-finanziamento di fine mese, ad eventi quali il discorso di accettazione della nomination o i dibattiti televisivi (prima e dopo per le reazioni), a rispondere in modo immediato agli spot di McCain, alla disponibilità di nuovi gadget, a sollecitare azioni mirate di volontariato su specifici Stati o questioni.

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Esemplare in questo senso i messaggi che seguivano alle dichiarazioni di McCain contro Obama.

I messaggi che seguivano a questi spot o dichiarazioni erano tutti costruiti sfruttando abilmente la retorica del “lui ha tanti soldi e si può permettere di comprare spot televisivi in cui ci attacca, reagiamo tutti insieme raccogliendo più fondi per avere anche noi i nostri spot”.

Quale che fosse l’oggetto del messaggio l’obiettivo era quasi sempre quello di raccogliere fondi.

Ogni messaggio ha in calce un link: donate. Un link apparentemente sempre uguale ma in realtà sempre diverso perché contiene un codice unico che consente ai gestori del sito di differenziare la provenienza degli accessi. Praticamente in tutti i messaggi c’è, oltre che a questo link in calce, un link in grassetto nel testo che invita a donare 5 o più dollari per un motivo specifico legato all’oggetto del messaggio.

Take a look and make a donation of $5 or more to get it on the air for those who may have missed it

Please donate $5 or more before the deadline to help register voters, get out the vote, and win this election

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I lunghi mesi che precedevano il 4 novembre sono stati trasformati in una corsa a tappe dove, per mantenere alta l’attenzione, bisognava talvolta inventarsi (come nel caso dei vari gadget messi in vendita mano mano, di alcuni video realizzati ad-hoc e dei concorsi come quello per stare dietro il palco in occasione della nomination) l’evento.

Ovviamente i messaggi di posta elettronica sono solo una piccola parte della campagna. Gli stessi messaggi erano, ad esempio, inviati agli oltre 2 milioni e mezzo di supporter della pagine di Barack Obama su Facebook. L’uso di Facebook e l’integrazione fra questo strumento e gli altri diventerò di certo un caso di studio. Decine di applicazioni sono state realizzate ad-hoc per supportare la registrazione al voto, la ricerca delle informazioni su come e dove votare o, la mia preferita, quella per invitare i ragazzi a parlare con i loro genitori delle elezioni (l’elenco delle cose da fare e da non fare è straordinario e andrebbe letto ed applicato sempre e comunque a prescindere).

Tutto il sistema di messaggi convergeva poi sul sito ufficiale.

Questo sito è stato costruito e gestito magistralmente. In particolare credo che l’Action Center farà scuola e rappresenta molto bene la simbiosi fra mobilitazione dal basso e coordinamento che questa campagna è riuscita a realizzare.

Per ogni azione è stata realizzata una pagina divisa in 4 tab: Getting Started, Before, During, After.

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Il successo di Barack Obama è senza dubbio dovuto alla capacità di usare Internet  in ambito politico come mai prima era stato fatto. Ancora una volta, come nel caso di Wikipedia, un piccolo nucleo di volontari riesce a coordinare, grazie ad un uso accorto della rete, un enorme numero di partecipanti.

Se c’è una cosa che dovremmo imparare è che per passare dalla condivisione all’azione collettiva (per usare il linguaggio di Clay Shirky – il cui ultimo libro sta per uscire in italiano per Codice) l’auto-organizzazione non basta. Come nei BarCamp serve qualcuno che faccia un po’ più degli altri, si assuma maggiori responsabilità e svolga un ruolo di coordinamento affinché tutti gli altri possano partecipare attivamente ed efficacemente all’evento.

Senza i pochi non ci sarebbero i molti e viceversa. Senza Internet non ci sarebbe il collegamento.

La retorica dell’auto-organizzazione pura è una chimera.

Le conversazioni dal basso, da sole, non bastano.

P.S. Il community manager è il mestiere del futuro.

Alcuni mesi fa, come molti altri anche in Italia, mi sono iscritto a http://my.barackobama.com.

Non che potessi veramente fare qualcosa di concreto per supportare una causa in cui credevo (le donazioni per i non cittadini USA sono, ad esempio, proibite) quanto piuttosto per osservare più da vicino l’uso che lo staff di Obama ha fatto del suo social network e del web in generale.

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A rileggerli oggi tutti insieme pare di assistere ad una straordinaria lezione su come si gestisce una comunità online.

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Ogni messaggio ha un tema chiaro e tutt’altro che generico. Può essere legato al raggiungimento degli obiettivi di auto-finanziamento di fine mese, ad eventi quali il discorso di accettazione della nomination o i dibattiti televisivi (prima e dopo per le reazioni), a rispondere in modo immediato agli spot di McCain, alla disponibilità di nuovi gadget, a sollecitare azioni mirate di volontariato su specifici Stati o questioni.

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Nei rari casi in cui il messaggio non invita direttamente a finanziare la campagna con un link in grassetto come questi, c’è sempre e comunque un’azione chiara che viene proposta con un link in grassetto “Host a Last Call for Change house party on Wednesday, October 29th”, “Watch this video and sign up to help get out the vote on Tuesday, November 4th“)

I lunghi mesi che precedevano il 4 novembre sono stati trasformati in una corsa a tappe dove, per mantenere alta l’attenzione, bisognava talvolta inventarsi (come nel caso dei vari gadget messi in vendita mano mano, di alcuni video realizzati ad-hoc e dei concorsi come quello per stare dietro il palco in occasione della nomination) l’evento.

Ovviamente i messaggi di posta elettronica sono solo una piccola parte della campagna. Gli stessi messaggi erano, ad esempio, inviati agli oltre 2 milioni e mezzo di supporter della pagine di Barack Obama su Facebook. L’uso di Facebook e l’integrazione fra questo strumento e gli altri diventerò di certo un caso di studio. Decine di applicazioni sono state realizzate ad-hoc per supportare la registrazione al voto, la ricerca delle informazioni su come e dove votare o, la mia preferita, quella per invitare i ragazzi a parlare con i loro genitori delle elezioni (l’elenco delle cose da fare e da non fare è straordinario e andrebbe letto ed applicato sempre e comunque a prescindere).

Tutto il sistema di messaggi convergeva poi sul sito ufficiale.

Questo sito è stato costruito e gestito magistralmente. In particolare credo che l’Action Center farà scuola e rappresenta molto bene la simbiosi fra mobilitazione dal basso e coordinamento che questa campagna è riuscita a realizzare.

Per ogni azione è stata realizzata una pagina divisa in 4 tab: Getting Started, Before, During, After.

In ogni tab è spiegato in modo chiaro e spesso passo passo cosa fare e come farlo. Mi ricordo di aver letto ad esempio le istruzioni per organizzare una festa in casa per vedere insieme il discorso di accettazione della nomination di agosto che spiegava chi invitare, come farlo, come organizzare la serata quali materiali preparare, distribuire e riconsegnare allo staff di Obama (una guida simile è ancora disponibile nell’organizing resource center).

Il successo di Barack Obama è senza dubbio dovuto alla capacità di usare Internet  in ambito politico come mai prima era stato fatto. Ancora una volta, come nel caso di Wikipedia, un piccolo nucleo di volontari riesce a coordinare, grazie ad un uso accorto della rete, un enorme numero di partecipanti.

Se c’è una cosa che dovremmo imparare è che per passare dalla condivisione all’azione collettiva (per usare il linguaggio di Clay Shirky – il cui ultimo libro sta per uscire in italiano per Codice) l’auto-organizzazione non basta. Come nei BarCamp serve qualcuno che faccia un po’ più degli altri, si assuma maggiori responsabilità e svolga un ruolo di coordinamento affinché tutti gli altri possano partecipare attivamente ed efficacemente all’evento.

Senza i pochi non ci sarebbero i molti e viceversa. Senza Internet non ci sarebbe il collegamento.

La retorica dell’auto-organizzazione pura è una chimera.

Le conversazioni dal basso, da sole, non bastano.

P.S. Il community manager è il mestiere del futuro.

What's next #1: Facebook e Badoo in Italia

Nel primo numero di What’s Next un aggiornamento sullo stato di avanzamento della ricerca comparativa fra Facebook e Badoo in Italia. Nonostante la straordinaria crescita di Facebook nel corso del 2008, Badoo è ancora il SNSs preferito dagli italiani. Più maschile, giovane e prevalentemente centro-meridionale, l’utente tipo di Badoo in Italia rimane, nonostante questi nuovi dati, un fenomeno dove molto è ancora da scoprire.Nel primo numero di What’s Next un aggiornamento sullo stato di avanzamento della ricerca comparativa fra Facebook e Badoo in Italia. Nonostante la straordinaria crescita di Facebook nel corso del 2008, Badoo è ancora il SNSs preferito dagli italiani. Più maschile, giovane e prevalentemente centro-meridionale, l’utente tipo di Badoo in Italia rimane, nonostante questi nuovi dati, un fenomeno dove molto è ancora da scoprire.Nel primo numero di What’s Next un aggiornamento sullo stato di avanzamento della ricerca comparativa fra Facebook e Badoo in Italia. Nonostante la straordinaria crescita di Facebook nel corso del 2008, Badoo è ancora il SNSs preferito dagli italiani. Più maschile, giovane e prevalentemente centro-meridionale, l’utente tipo di Badoo in Italia rimane, nonostante questi nuovi dati, un fenomeno dove molto è ancora da scoprire.

I siti di social network (SNSs) come MySpace, Facebook, Orkut, Friendster o Bebo, da quando sono comparsi, hanno attratto milioni di utenti in tutto il mondo. Pur trattandosi di un successo globale un attento esame delle piattaforme più usate in ciascuna nazione può evidenziare percorsi di domesticazione anche molto diversi motivati da differenze culturali, ragioni storiche e caratteristiche specifiche di ogni singolo sito di social network.
A questo tema sarà dedicato il panel Social Network Site in national context a cui parteciperò durante la conferenza IR 9.0: Rethinking Communities, Rethinking Place (qualche altro italiano viene?).
Secondo un recente studio pubblicato da comScore (ben descritto in questo post da Vincenzo Cosenza) mentre in Nord America si è raggiunto un livello di adozione che non lascia molti spazi per incrementi percentuali significativi, i SNSs si stanno rapidamente diffondendo in tutti gli altri continenti.
In questo senso è particolarmente interessante lo studio realizzato dall’azienda svedese Royal Pingdom che sfruttando il servizio Google Insight for Search ha comparato l’attenzione locale verso i principali siti di social network in modo simile a quanto avevo fatto tempo fa usando Google Trends. Google Insight for Search premette di comparare il volume di ricerche generato da due o più parole chiave su Google. Al tempo stesso il servizio consente di limitare geograficamente le ricerche per comparare l’uso di una stessa parola chiave in due o più nazioni diverse.
Usando la stessa tecnica e rappresentazione grafica ho analizzato e creato una heat map  con i dati per un sesto social network non incluso nello studio di Royal Pingdom.
Il risultato, visibile nella slide 7, conferma come già notato in precedenza la popolarità di Badoo in Italia.

The Italian way to SNSs

View SlideShare presentation or Upload your own. (tags: sns facebook)

Lo scopo della ricerca che sto conducendo è proprio di comprendere i motivi di questo successo locale verificando se esistano delle variabili culturali, economiche o demografiche proprie del nostro Paese o caratteristiche specifiche del servizio in questione che lo giustifichino.
Allo scopo di meglio strutturare la ricerca ho deciso di confrontare Facebook, il social network più popolare del momento nel mondo, con Badoo nello specifico del nostro contesto nazionale. Un buon punto di partenza per conoscere la storia di questi due servizi sono le rispettive pagine su Wikipedia: Facebook e Badoo.
Per i lettori non abituali di questo blog segnalo i precedenti post in cui ho discusso alcuni aspetti di questo stesso tema:

Alla data di scrittura di questo articolo Badoo dichiara oltre 2.500.000 profili utente mentre Facebook qualcosa più di 600.000 (con una crescita straordinaria che è iniziata nel 2008 e non accenna ad arrestarsi). I dati sono stati ottenuti con specifiche interrogazioni all’interno dei due siti compiendo operazioni facilmente ripetibili da chiunque (si veda qui come fare per Facebook). La fonte è dunque lo stesso gestore del servizio e non di terze parti.
Lo studio che ho progettato è strutturato in più fasi:

  1. Una survey telefonica su un campione rappresentativo della popolazione italiana sopra i 18 anni (N = 1600) volta a costruire un quadro generale del fenomeno;
  2. Un confronto quantitativo sulle caratteristiche anagrafiche della popolazione di utenti di Facebook e Badoo con dati reperiti in diversi periodo a partire da dicembre 2007;
  3. Due focus group di 8 utenti ciascuno (due gruppi con oltre e meno di 25 anni) per ciascun sito di social network (ma sarebbe necessario farne molte di più | anyone interested to help?).

Allo stato di scrittura di questo post le fasi 1 (i cui risultati sono stati ampiamente diffusi e commentati in rete) e 2 sono state completate.
Questo post fa il punto sullo stato di avanzamento di questa ricerca in relazione specificamente alla fase 2.
Uno dei risultati principali a cui sono giunto è ben riassunto nella seguente heat map realizzata con la stessa tecnica e strumento descritti in precedenza.

Facebook & Badoo Google Insight heat map
Facebook & Badoo Google Insight heat map

Come si può facilmente notare anche all’interno di una stessa nazione la popolarità dei siti di social network è vincolata geograficamente. Il confronto fra queste due mappe suggerisce che Facebook sia prevalentemente usato nel nord Italia e Badoo nel centro e sopratutto a Sud.
Questa mappa manca tuttavia di un terzo protagonista importante che pur non essendo parte specifica della ricerca non può essere ignorato.
Netlog è infatti secondo in popolarità solo a Badoo (anche se a guardare il trend dell’ultimo mese sembra averlo addirittura superato) e pur non essendo stato possibile recuperare il numero complessivo degli utenti italiani è facile comprendere le dimensioni del fenomeno osservando questa immagine.
Google Insights compairson between Facebook, Badoo and Netlog in Italy (retrived August 2008)
Google Insights compairson between Facebook, Badoo and Netlog in Italy

Interessante anche la mappa di calore di Netlog che, pur non essendo un fenomeno specificamente italiano come Badoo, meriterebbe per certe sue caratteristiche come la distribuzione geografica visibile in questa immagine, uno studio dedicato.
Netlog popularity Google Insight heat map
Netlog popularity Google Insight heat map

Come accennato l’utenza italiana di Facebook è esplosa durante il 2008. Stando ai dati raccolti, nel segmento 16-19 anni si registra una crescita del 232% nel corso degli ultimi 8 mesi. Nello stesso periodo dell’anno e per lo stesso segmento di popolazione Badoo è cresciuto del 24% (la comparazione si basa sulla supposizione che gli utenti come meno di 18 anni su Badoo si attribuiscano un età superiore).
Per comodità ho raccolto questi dati in un foglio di calcolo di Google.
Chi lo desideri è dunque libero di analizzare questi dati come meglio crede o di creare un foglio di calcolo analogo con dati aggiornati in futuro.
Analizzando questi dati ho notato che:

  1. Fino a 25 anni gli utenti di Facebook sono più donne che uomini mentre per Badoo questo avviene solo nel segmento dei diciottenni;
  2. 25 anni è per Facebook il discrimine a partire dal quale il numero degli utenti descresce;
  3. La distribuzione di età degli utenti di Badoo è significativamente più schiacciata verso i giovani rispetto a Facebook.

Percentuale di utenti Facebook e Badoo in Italia (< 50 anni)
Percentuale di utenti Facebook e Badoo in Italia (< 50 anni)

Confrontando le curve della distribuzione di età con quelle pubblicate in questo studio di Rapleaf appare evidente che la popolazione di Facebook in Italia è molto più adulta di quanto lo sia in media. Al contrario la curva di Badoo più simile a quella media dei SNSs dedicati ai giovani.
via Rapleaf Report
via Rapleaf Report

Anche il dato relativo al genere merita attenzione perché conferma un trend già evidenziatosi altrove (PEW e Rapleaf).
Differenze di genere in Facebook e Badoo in Italia
Differenze di genere in Facebook e Badoo in Italia

Anche in Italia, le ragazze usano i social network più degli uomini e minore è l’età del segmento che si prende in esame maggiore è questa differenza. In media l’utenza di Badoo è molto più sbilianciata in termini di genere a favore dei maschi (65% maschi, 35% femmine) mentre in Facebook non si notano differenze significative (47% Maschi, 45% Femmine).
Altri dati interessanti per completare il quadro del confronto possono essere ottenuti utilizzando Google Trends for Websites che, a differenza del servizio citato in precedenza, stima il volume di traffico verso un certo sito. Si veda questo post di Vincenzo Cosenza ed i relativi commenti. In particolare è interessante confrontare i siti che i visitatori di Facebook e Badoo visitano più spesso. Ne escono due profili di utenza completamente diversi.
Uno spunto che potrebbe essere interessante seguire è quello di confrontare le tipologie di siti “Also visited” fra Italia e altre nazioni su i principali SNSs.
Questo è il quadro di riferimento complessivo che sono riuscito a ricostruire fino a questo momento.
Dal complesso di questi dati mi sembra possibile formulare alcune ipotesi che vale la pena approfondire attraverso i focus group nella fase successiva del lavoro.

  1. In una prospettiva di capitale sociale mi sembra che Badoo sia uno strumento più orientato al bridging e Facebook al bonding ovvero a rinsaldare le amicizie eistenti;
  2. La distribuzione geografica della popolazione dei due SNSs (analisi che potrebbe essere approfondita prendendo i dati dei profili x singola provincia su Badoo | anyone interested to help?) lascia immaginare che le diverse variabili economiche e socio-demografiche che caratterizzano il sud, il centro ed il nord italia possano influenzare la scelta della piattaforma di social network preferita;
  3. Sembra ipotizzabile fra Badoo e Facebook in Italia un divario analogo a quello che danah boyd ha notato fra MySpace e Facebook negli Stati Uniti;
  4. Poichè i profili di Badoo sono pubblici (basta avere il link diretto al profilo o ad uno dei contenuti) mentre quelli di Facebook sono visibili di default solo al proprio network è ipotizzabile anche che gli utenti di Badoo percepiscano meno il problema della privacy in rete. L’ipotesi è che non esista una chiara percezione di quanto pubblico sia un contenuto esposto in rete e che la maturazione di questa consapevolezza sia un’indice di uso più maturo della rete. [Il fatto che tutto sia così pubblico su Badoo potrebbe consentire ricerche semi-automatizzate basate sulla tecnica dello scraping dei contenuti e dei commenti e la navigazione di profilo in profilo seguendo i link dei friends | any tech guy interested to help?]

Nei prossimi giorni ho intenzione di promuovere una survery via web (anche se non era prevista inizialmente) e pubblicherò il protocollo dei focus group in modo che chiunque voglia aiutarmi possa intervistare un gruppo di utenti di Facebook e Badoo e spedirimi poi il file audio o la trascrizione o semplicemente le sue impressioni (contattatemi se siete interessati).
Come al solito mi interessa sentire il vostro parere, le vostre sensazioni, le vostre opinioni ed i suggerimenti nei commenti.
Il prossimo appuntamento con What’s Next è venerdì 12 settembre nel frattempo c’è friendfeed.

I siti di social network (SNSs) come MySpace, Facebook, Orkut, Friendster o Bebo, da quando sono comparsi, hanno attratto milioni di utenti in tutto il mondo. Pur trattandosi di un successo globale un attento esame delle piattaforme più usate in ciascuna nazione può evidenziare percorsi di domesticazione anche molto diversi motivati da differenze culturali, ragioni storiche e caratteristiche specifiche di ogni singolo sito di social network.

A questo tema sarà dedicato il panel Social Network Site in national context a cui parteciperò durante la conferenza IR 9.0: Rethinking Communities, Rethinking Place (qualche altro italiano viene?).

Secondo un recente studio pubblicato da comScore (ben descritto in questo post da Vincenzo Cosenza) mentre in Nord America si è raggiunto un livello di adozione che non lascia molti spazi per incrementi percentuali significativi, i SNSs si stanno rapidamente diffondendo in tutti gli altri continenti.

In questo senso è particolarmente interessante lo studio realizzato dall’azienda svedese Royal Pingdom che sfruttando il servizio Google Insight for Search ha comparato l’attenzione locale verso i principali siti di social network in modo simile a quanto avevo fatto tempo fa usando Google Trends. Google Insight for Search premette di comparare il volume di ricerche generato da due o più parole chiave su Google. Al tempo stesso il servizio consente di limitare geograficamente le ricerche per comparare l’uso di una stessa parola chiave in due o più nazioni diverse.

Usando la stessa tecnica e rappresentazione grafica ho analizzato e creato una heat map  con i dati per un sesto social network non incluso nello studio di Royal Pingdom.

Il risultato, visibile nella slide 7, conferma come già notato in precedenza la popolarità di Badoo in Italia.

The Italian way to SNSs

View SlideShare presentation or Upload your own. (tags: sns facebook)

Lo scopo della ricerca che sto conducendo è proprio di comprendere i motivi di questo successo locale verificando se esistano delle variabili culturali, economiche o demografiche proprie del nostro Paese o caratteristiche specifiche del servizio in questione che lo giustifichino.

Allo scopo di meglio strutturare la ricerca ho deciso di confrontare Facebook, il social network più popolare del momento nel mondo, con Badoo nello specifico del nostro contesto nazionale. Un buon punto di partenza per conoscere la storia di questi due servizi sono le rispettive pagine su Wikipedia: Facebook e Badoo.

Per i lettori non abituali di questo blog segnalo i precedenti post in cui ho discusso alcuni aspetti di questo stesso tema:

Alla data di scrittura di questo articolo Badoo dichiara oltre 2.500.000 profili utente mentre Facebook qualcosa più di 600.000 (con una crescita straordinaria che è iniziata nel 2008 e non accenna ad arrestarsi). I dati sono stati ottenuti con specifiche interrogazioni all’interno dei due siti compiendo operazioni facilmente ripetibili da chiunque (si veda qui come fare per Facebook). La fonte è dunque lo stesso gestore del servizio e non di terze parti.

Lo studio che ho progettato è strutturato in più fasi:

  1. Una survey telefonica su un campione rappresentativo della popolazione italiana sopra i 18 anni (N = 1600) volta a costruire un quadro generale del fenomeno;
  2. Un confronto quantitativo sulle caratteristiche anagrafiche della popolazione di utenti di Facebook e Badoo con dati reperiti in diversi periodo a partire da dicembre 2007;
  3. Due focus group di 8 utenti ciascuno (due gruppi con oltre e meno di 25 anni) per ciascun sito di social network (ma sarebbe necessario farne molte di più | anyone interested to help?).

Allo stato di scrittura di questo post le fasi 1 (i cui risultati sono stati ampiamente diffusi e commentati in rete) e 2 sono state completate.

Questo post fa il punto sullo stato di avanzamento di questa ricerca in relazione specificamente alla fase 2.

Uno dei risultati principali a cui sono giunto è ben riassunto nella seguente heat map realizzata con la stessa tecnica e strumento descritti in precedenza.

Facebook & Badoo Google Insight heat map
Facebook & Badoo Google Insight heat map

Come si può facilmente notare anche all’interno di una stessa nazione la popolarità dei siti di social network è vincolata geograficamente. Il confronto fra queste due mappe suggerisce che Facebook sia prevalentemente usato nel nord Italia e Badoo nel centro e sopratutto a Sud.

Questa mappa manca tuttavia di un terzo protagonista importante che pur non essendo parte specifica della ricerca non può essere ignorato.

Netlog è infatti secondo in popolarità solo a Badoo (anche se a guardare il trend dell’ultimo mese sembra averlo addirittura superato) e pur non essendo stato possibile recuperare il numero complessivo degli utenti italiani è facile comprendere le dimensioni del fenomeno osservando questa immagine.

Google Insights compairson between Facebook, Badoo and Netlog in Italy (retrived August 2008)
Google Insights compairson between Facebook, Badoo and Netlog in Italy

Interessante anche la mappa di calore di Netlog che, pur non essendo un fenomeno specificamente italiano come Badoo, meriterebbe per certe sue caratteristiche come la distribuzione geografica visibile in questa immagine, uno studio dedicato.

Netlog popularity Google Insight heat map
Netlog popularity Google Insight heat map

Come accennato l’utenza italiana di Facebook è esplosa durante il 2008. Stando ai dati raccolti, nel segmento 16-19 anni si registra una crescita del 232% nel corso degli ultimi 8 mesi. Nello stesso periodo dell’anno e per lo stesso segmento di popolazione Badoo è cresciuto del 24% (la comparazione si basa sulla supposizione che gli utenti come meno di 18 anni su Badoo si attribuiscano un età superiore).

Per comodità ho raccolto questi dati in un foglio di calcolo di Google.

Chi lo desideri è dunque libero di analizzare questi dati come meglio crede o di creare un foglio di calcolo analogo con dati aggiornati in futuro.

Analizzando questi dati ho notato che:

  1. Fino a 25 anni gli utenti di Facebook sono più donne che uomini mentre per Badoo questo avviene solo nel segmento dei diciottenni;
  2. 25 anni è per Facebook il discrimine a partire dal quale il numero degli utenti descresce;
  3. La distribuzione di età degli utenti di Badoo è significativamente più schiacciata verso i giovani rispetto a Facebook.
Percentuale di utenti Facebook e Badoo in Italia (< 50 anni)
Percentuale di utenti Facebook e Badoo in Italia (< 50 anni)

Confrontando le curve della distribuzione di età con quelle pubblicate in questo studio di Rapleaf appare evidente che la popolazione di Facebook in Italia è molto più adulta di quanto lo sia in media. Al contrario la curva di Badoo più simile a quella media dei SNSs dedicati ai giovani.

via Rapleaf Report
via Rapleaf Report

Anche il dato relativo al genere merita attenzione perché conferma un trend già evidenziatosi altrove (PEW e Rapleaf).

Differenze di genere in Facebook e Badoo in Italia
Differenze di genere in Facebook e Badoo in Italia

Anche in Italia, le ragazze usano i social network più degli uomini e minore è l’età del segmento che si prende in esame maggiore è questa differenza. In media l’utenza di Badoo è molto più sbilianciata in termini di genere a favore dei maschi (65% maschi, 35% femmine) mentre in Facebook non si notano differenze significative (47% Maschi, 45% Femmine).

Altri dati interessanti per completare il quadro del confronto possono essere ottenuti utilizzando Google Trends for Websites che, a differenza del servizio citato in precedenza, stima il volume di traffico verso un certo sito. Si veda questo post di Vincenzo Cosenza ed i relativi commenti. In particolare è interessante confrontare i siti che i visitatori di Facebook e Badoo visitano più spesso. Ne escono due profili di utenza completamente diversi.

Uno spunto che potrebbe essere interessante seguire è quello di confrontare le tipologie di siti “Also visited” fra Italia e altre nazioni su i principali SNSs.

Questo è il quadro di riferimento complessivo che sono riuscito a ricostruire fino a questo momento.

Dal complesso di questi dati mi sembra possibile formulare alcune ipotesi che vale la pena approfondire attraverso i focus group nella fase successiva del lavoro.

  1. In una prospettiva di capitale sociale mi sembra che Badoo sia uno strumento più orientato al bridging e Facebook al bonding ovvero a rinsaldare le amicizie eistenti;
  2. La distribuzione geografica della popolazione dei due SNSs (analisi che potrebbe essere approfondita prendendo i dati dei profili x singola provincia su Badoo | anyone interested to help?) lascia immaginare che le diverse variabili economiche e socio-demografiche che caratterizzano il sud, il centro ed il nord italia possano influenzare la scelta della piattaforma di social network preferita;
  3. Sembra ipotizzabile fra Badoo e Facebook in Italia un divario analogo a quello che danah boyd ha notato fra MySpace e Facebook negli Stati Uniti;
  4. Poichè i profili di Badoo sono pubblici (basta avere il link diretto al profilo o ad uno dei contenuti) mentre quelli di Facebook sono visibili di default solo al proprio network è ipotizzabile anche che gli utenti di Badoo percepiscano meno il problema della privacy in rete. L’ipotesi è che non esista una chiara percezione di quanto pubblico sia un contenuto esposto in rete e che la maturazione di questa consapevolezza sia un’indice di uso più maturo della rete. [Il fatto che tutto sia così pubblico su Badoo potrebbe consentire ricerche semi-automatizzate basate sulla tecnica dello scraping dei contenuti e dei commenti e la navigazione di profilo in profilo seguendo i link dei friends | any tech guy interested to help?]

Nei prossimi giorni ho intenzione di promuovere una survery via web (anche se non era prevista inizialmente) e pubblicherò il protocollo dei focus group in modo che chiunque voglia aiutarmi possa intervistare un gruppo di utenti di Facebook e Badoo e spedirimi poi il file audio o la trascrizione o semplicemente le sue impressioni (contattatemi se siete interessati).

Come al solito mi interessa sentire il vostro parere, le vostre sensazioni, le vostre opinioni ed i suggerimenti nei commenti.

Il prossimo appuntamento con What’s Next è venerdì 12 settembre nel frattempo c’è friendfeed.

I siti di social network (SNSs) come MySpace, Facebook, Orkut, Friendster o Bebo, da quando sono comparsi, hanno attratto milioni di utenti in tutto il mondo. Pur trattandosi di un successo globale un attento esame delle piattaforme più usate in ciascuna nazione può evidenziare percorsi di domesticazione anche molto diversi motivati da differenze culturali, ragioni storiche e caratteristiche specifiche di ogni singolo sito di social network.

A questo tema sarà dedicato il panel Social Network Site in national context a cui parteciperò durante la conferenza IR 9.0: Rethinking Communities, Rethinking Place (qualche altro italiano viene?).

Secondo un recente studio pubblicato da comScore (ben descritto in questo post da Vincenzo Cosenza) mentre in Nord America si è raggiunto un livello di adozione che non lascia molti spazi per incrementi percentuali significativi, i SNSs si stanno rapidamente diffondendo in tutti gli altri continenti.

In questo senso è particolarmente interessante lo studio realizzato dall’azienda svedese Royal Pingdom che sfruttando il servizio Google Insight for Search ha comparato l’attenzione locale verso i principali siti di social network in modo simile a quanto avevo fatto tempo fa usando Google Trends. Google Insight for Search premette di comparare il volume di ricerche generato da due o più parole chiave su Google. Al tempo stesso il servizio consente di limitare geograficamente le ricerche per comparare l’uso di una stessa parola chiave in due o più nazioni diverse.

Usando la stessa tecnica e rappresentazione grafica ho analizzato e creato una heat map  con i dati per un sesto social network non incluso nello studio di Royal Pingdom.

Il risultato, visibile nella slide 7, conferma come già notato in precedenza la popolarità di Badoo in Italia.

The Italian way to SNSs

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Lo scopo della ricerca che sto conducendo è proprio di comprendere i motivi di questo successo locale verificando se esistano delle variabili culturali, economiche o demografiche proprie del nostro Paese o caratteristiche specifiche del servizio in questione che lo giustifichino.

Allo scopo di meglio strutturare la ricerca ho deciso di confrontare Facebook, il social network più popolare del momento nel mondo, con Badoo nello specifico del nostro contesto nazionale. Un buon punto di partenza per conoscere la storia di questi due servizi sono le rispettive pagine su Wikipedia: Facebook e Badoo.

Per i lettori non abituali di questo blog segnalo i precedenti post in cui ho discusso alcuni aspetti di questo stesso tema:

Alla data di scrittura di questo articolo Badoo dichiara oltre 2.500.000 profili utente mentre Facebook qualcosa più di 600.000 (con una crescita straordinaria che è iniziata nel 2008 e non accenna ad arrestarsi). I dati sono stati ottenuti con specifiche interrogazioni all’interno dei due siti compiendo operazioni facilmente ripetibili da chiunque (si veda qui come fare per Facebook). La fonte è dunque lo stesso gestore del servizio e non di terze parti.

Lo studio che ho progettato è strutturato in più fasi:

  1. Una survey telefonica su un campione rappresentativo della popolazione italiana sopra i 18 anni (N = 1600) volta a costruire un quadro generale del fenomeno;
  2. Un confronto quantitativo sulle caratteristiche anagrafiche della popolazione di utenti di Facebook e Badoo con dati reperiti in diversi periodo a partire da dicembre 2007;
  3. Due focus group di 8 utenti ciascuno (due gruppi con oltre e meno di 25 anni) per ciascun sito di social network (ma sarebbe necessario farne molte di più | anyone interested to help?).

Allo stato di scrittura di questo post le fasi 1 (i cui risultati sono stati ampiamente diffusi e commentati in rete) e 2 sono state completate.

Questo post fa il punto sullo stato di avanzamento di questa ricerca in relazione specificamente alla fase 2.

Uno dei risultati principali a cui sono giunto è ben riassunto nella seguente heat map realizzata con la stessa tecnica e strumento descritti in precedenza.

Facebook & Badoo Google Insight heat map
Facebook & Badoo Google Insight heat map

Come si può facilmente notare anche all’interno di una stessa nazione la popolarità dei siti di social network è vincolata geograficamente. Il confronto fra queste due mappe suggerisce che Facebook sia prevalentemente usato nel nord Italia e Badoo nel centro e sopratutto a Sud.

Questa mappa manca tuttavia di un terzo protagonista importante che pur non essendo parte specifica della ricerca non può essere ignorato.

Netlog è infatti secondo in popolarità solo a Badoo (anche se a guardare il trend dell’ultimo mese sembra averlo addirittura superato) e pur non essendo stato possibile recuperare il numero complessivo degli utenti italiani è facile comprendere le dimensioni del fenomeno osservando questa immagine.

Google Insights compairson between Facebook, Badoo and Netlog in Italy (retrived August 2008)
Google Insights compairson between Facebook, Badoo and Netlog in Italy

Interessante anche la mappa di calore di Netlog che, pur non essendo un fenomeno specificamente italiano come Badoo, meriterebbe per certe sue caratteristiche come la distribuzione geografica visibile in questa immagine, uno studio dedicato.

Netlog popularity Google Insight heat map
Netlog popularity Google Insight heat map

Come accennato l’utenza italiana di Facebook è esplosa durante il 2008. Stando ai dati raccolti, nel segmento 16-19 anni si registra una crescita del 232% nel corso degli ultimi 8 mesi. Nello stesso periodo dell’anno e per lo stesso segmento di popolazione Badoo è cresciuto del 24% (la comparazione si basa sulla supposizione che gli utenti come meno di 18 anni su Badoo si attribuiscano un età superiore).

Per comodità ho raccolto questi dati in un foglio di calcolo di Google.

Chi lo desideri è dunque libero di analizzare questi dati come meglio crede o di creare un foglio di calcolo analogo con dati aggiornati in futuro.

Analizzando questi dati ho notato che:

  1. Fino a 25 anni gli utenti di Facebook sono più donne che uomini mentre per Badoo questo avviene solo nel segmento dei diciottenni;
  2. 25 anni è per Facebook il discrimine a partire dal quale il numero degli utenti descresce;
  3. La distribuzione di età degli utenti di Badoo è significativamente più schiacciata verso i giovani rispetto a Facebook.
Percentuale di utenti Facebook e Badoo in Italia (< 50 anni)
Percentuale di utenti Facebook e Badoo in Italia (< 50 anni)

Confrontando le curve della distribuzione di età con quelle pubblicate in questo studio di Rapleaf appare evidente che la popolazione di Facebook in Italia è molto più adulta di quanto lo sia in media. Al contrario la curva di Badoo più simile a quella media dei SNSs dedicati ai giovani.

via Rapleaf Report
via Rapleaf Report

Anche il dato relativo al genere merita attenzione perché conferma un trend già evidenziatosi altrove (PEW e Rapleaf).

Differenze di genere in Facebook e Badoo in Italia
Differenze di genere in Facebook e Badoo in Italia

Anche in Italia, le ragazze usano i social network più degli uomini e minore è l’età del segmento che si prende in esame maggiore è questa differenza. In media l’utenza di Badoo è molto più sbilianciata in termini di genere a favore dei maschi (65% maschi, 35% femmine) mentre in Facebook non si notano differenze significative (47% Maschi, 45% Femmine).

Altri dati interessanti per completare il quadro del confronto possono essere ottenuti utilizzando Google Trends for Websites che, a differenza del servizio citato in precedenza, stima il volume di traffico verso un certo sito. Si veda questo post di Vincenzo Cosenza ed i relativi commenti. In particolare è interessante confrontare i siti che i visitatori di Facebook e Badoo visitano più spesso. Ne escono due profili di utenza completamente diversi.

Uno spunto che potrebbe essere interessante seguire è quello di confrontare le tipologie di siti “Also visited” fra Italia e altre nazioni su i principali SNSs.

Questo è il quadro di riferimento complessivo che sono riuscito a ricostruire fino a questo momento.

Dal complesso di questi dati mi sembra possibile formulare alcune ipotesi che vale la pena approfondire attraverso i focus group nella fase successiva del lavoro.

  1. In una prospettiva di capitale sociale mi sembra che Badoo sia uno strumento più orientato al bridging e Facebook al bonding ovvero a rinsaldare le amicizie eistenti;
  2. La distribuzione geografica della popolazione dei due SNSs (analisi che potrebbe essere approfondita prendendo i dati dei profili x singola provincia su Badoo | anyone interested to help?) lascia immaginare che le diverse variabili economiche e socio-demografiche che caratterizzano il sud, il centro ed il nord italia possano influenzare la scelta della piattaforma di social network preferita;
  3. Sembra ipotizzabile fra Badoo e Facebook in Italia un divario analogo a quello che danah boyd ha notato fra MySpace e Facebook negli Stati Uniti;
  4. Poichè i profili di Badoo sono pubblici (basta avere il link diretto al profilo o ad uno dei contenuti) mentre quelli di Facebook sono visibili di default solo al proprio network è ipotizzabile anche che gli utenti di Badoo percepiscano meno il problema della privacy in rete. L’ipotesi è che non esista una chiara percezione di quanto pubblico sia un contenuto esposto in rete e che la maturazione di questa consapevolezza sia un’indice di uso più maturo della rete. [Il fatto che tutto sia così pubblico su Badoo potrebbe consentire ricerche semi-automatizzate basate sulla tecnica dello scraping dei contenuti e dei commenti e la navigazione di profilo in profilo seguendo i link dei friends | any tech guy interested to help?]

Nei prossimi giorni ho intenzione di promuovere una survery via web (anche se non era prevista inizialmente) e pubblicherò il protocollo dei focus group in modo che chiunque voglia aiutarmi possa intervistare un gruppo di utenti di Facebook e Badoo e spedirimi poi il file audio o la trascrizione o semplicemente le sue impressioni (contattatemi se siete interessati).

Come al solito mi interessa sentire il vostro parere, le vostre sensazioni, le vostre opinioni ed i suggerimenti nei commenti.

Il prossimo appuntamento con What’s Next è venerdì 12 settembre nel frattempo c’è friendfeed.