ULOOP: come motivare la cooperazione degli utenti?

Sviluppare una tecnologia come ULOOP significa anche comprendere quali aspetti guidano il modellamento di una comunità e le motivazioni che spingono gli individui ad agire a favore di essa. Incentivi come premi o sanzioni non bastano, servono meccanismi più complessi che facciano leva, seguendo la tesi di Yochai Benkler, anche su aspetti spesso trascurati come empatia e solidarietà. Questi meccanismi, in ogni caso, sembrano lavorare su due livelli: sistemico e interpersonale.

Terzo articolo della serie dedicata al progetto ULOOP a cura di Erica Giambitto.
Le ricerche sul capitale sociale, sulla sostenibilità sociale e la nostra attività nell’ambito di ULOOP hanno una domanda in comune: quali sono le motivazioni che spingono le persone appartenenti ad una stessa comunità a mettere a disposizione degli altri le proprio risorse e ad impegnarsi in prima persona per il bene collettivo?
In questo articolo cercheremo di capire come in ULOOP si è cercato di motivare la cooperazione degli utenti. L’innovazione di ULOOP si basa su due elementi chiave: considerare l’utente come una componente chiave dei servizi di rete e la creazione di wireless local loop on-the-fly. Questi sono realizzabili solo implementando meccanismi di gestione della fiducia e di incentivazione alla cooperazione (AA.VV. D.1.1: ULOOP User-Centric Wireless Local Loop, 2010).
Annche Yochai Benkler (Berkman Professor of Entrepreneurial Legal Studies, Harvard Law School, faculty co-director, Berkman Center for Internet and Society) riflette su come  creare sistemi basati su modelli cooperativi. Secondo Benkler l’utente deve essere considerato in tutte le sue sfaccettature, è importante, quindi, implementare nei sistemi cooperativi non solo incentivi di tipo materiale come premi e punizioni, ma anche di tipo sociale come empatia e solidarietà (Benkler, Y. The Penguin and The Leviathan, Crown Business, New York 2011).
Le caratteristiche chiave di ULOOP sono un valore che gli stessi utenti aggiungono al sistema, attraverso la loro partecipazione. Così la sostenibilità socio-economica di ULOOP dipende dalla densità di nodi presenti in un local loop (AA.VV. D2.2: ULOOP. Socio-economic sustainability report 2011) e dalla capacità del sistema di inserire gli utenti nella catena del valore. Per questo gli utenti sono stati divisi in categorie e, a seconda degli effetti positivi, negativi e trascurabili di cui fanno esperienza, sono stati previsti incentivi specifici per stimolarne la cooperazione. Questo tipo di incentivi sono principalmente di tipo materiale, fanno cioè leva su vantaggi e svantaggi derivanti da una data situazione.
Nel primo White Paper dedicato a ULOOP viene sollevata una questione importante: la cooperazione dipende dalla volontà dei nodi (utenti) di partecipare, ma anche da elementi percepiti come negativi che disincentivano la partecipazione, tra cui la percezione della scarsità delle risorse e la mancanza di fiducia tra gli utenti.
Scarsità di risorse disponibili nel nodo.
L’idea di condividere una risorsa finita, ad esempio l’ampiezza di banda o la capacità di processing del device, potrebbe disincentivare la cooperazione. Per questo  ULOOP incentiva lo scambio di risorse tra utenti permettendo loro di contribuire con la risorsa che hanno maggiormente a disposizione, o che in quel momento usano meno. Così l’utente che contribuisce, guadagna il diritto di ricevere la risorsa di cui ha bisogno nel momento più adatto alle sue esigenze. La risorsa che riceverà in cambio è stata condivisa da un altro utente, dunque è frutto di un’altra scelta individuale. Lo scambio non è negoziato autonomamente dai due utenti ma è gestito automaticamente dal sistema ULOOP. Gli utenti fanno dunque affidamento sul suo funzionamento come garante dello scambio. Chi tiene un comportamento scorretto viene, mediante il meccanismo della social trust, identificato e sanzionato, ad esempio con una riduzione delle possibilità di accesso o una riduzione di banda.
Questo tipo di incentivo sembra basato sul concetto di fiducia sistemica (Luhman 1979, cit. in E. Keimolen, D. Broeders “Quando alcuni sono più uguali degli altri… Fiducia, free riding e azione collettiva in una rete P2P in Sociologia della Comunicazione n. 40, Franco Angeli, 2009, p. 94-95). Quando calati in un sistema complesso, in cui si relazionano in collettività ampie e con sconosciuti, gli utenti non godono di fiducia reciproca ma ripongono fiducia nelle capacità del sistema di gestire questi scambi e il rischio che altri non contribuiscano, li danneggino o abbandonino il sistema danneggiandolo. <<La fiducia sistemica viene allora costruita automaticamente attraverso continue esperienze positive (feedback)>> (ibidem).
Mancanza di fiducia tra gli utenti.
La cooperazione in un sistema di relazioni create on-the-fly tra utenti che non si conoscono personalmente, deve far fronte al problema della mancanza di fiducia a livello interpersonale. La mancanza di fiducia tra utenti dipende dalla loro scarsa conoscenza reciproca. ULOOP propone diversi incentivi per ovviare a questa mancanza, innanzitutto prevede un sistema di riconoscimento univoco dell’user ID, tutelandone al tempo stesso la privacy. Dà la possibilità di creare legami tra utenti basati su interessi condivisi (stesse tipologie di file, stesse abitudini) e un sistema di valutazione reciproca collettiva (informazioni SNR, individuazione di malicious users, Quality of Experience).
Questi incentivi richiamano ciò che la letteratura sull’azione collettiva definisce meccanismi regolativi (ibidem, p. 93): l’esclusione, la reputazione, la reciprocità (Becker, Clement 2006, cit. in ibidem, p. 103; R. Alexander The biology of moral systems, cit. in Benkler The penguin and the leviathan, Crown Business, New York 2011, p. 42).
Dunque sembra che ULOOP gestisca le motivazioni alla cooperazione su due livelli. Un livello sistemico che crea fiducia nel funzionamento del sistema facendo leva sulle motivazioni strumentali alla cooperazione (Portes Alejandro, SOCIAL CAPITAL: Its Origins and Applications in Modern Sociology Annu. Rev. Sociol. 1998, pp.1-24). Si basano sulla enforceable trust, cioè il senso di appartenenza ad una comunità la cui esistenza è percepita come garanzia che il contributo dato verrà ripagato. Un livello interpersonale, che fa leva sulle motivazioni consumatorie alla cooperazione basate sulla bounded solidarity, per cui un individuo agisce per il bene collettivo anche se ad un costo personale, perché si sente parte del gruppo e si identifica in esso.
Sembra che anche Benkler lavori su questi due livelli, anche se non esplicitamente. Egli individua degli elementi chiave da implementare in un sistema perché sia cooperativo.

  1. Comunicazione: nella costruzione di un sistema cooperativo è fondamentale implementare la possibilità di comunicare tra gli utenti e, in maniera altrettanto importante, stimolare un processo di negoziazione e mediazione tra i punti di vista differenti. La comunicazione fa sviluppare empatia e fiducia negli altri, aiutando nella risoluzione di problemi.
  2. Empatia e Solidarietà: immedesimarsi in qualcun altro, provare le stesse emozioni e talvolta le stesse sensazioni (empatia) così come identificarsi in un gruppo (solidarietà), rende gli utenti disposti a sopportare un costo personale per il benessere del gruppo a cui sentono di appartenere. Per stimolare questo processo è importante umanizzare le persone, permettere di sapere chi sono e perché necessitano dell’aiuto o contributo di altri.
  3. Framing: creare un frame, un contesto che descriva il sistema come cooperativo, come una comunità, orientando l’interpretazione del sistema da parte degli utenti rendendoli maggiormente disposti alla cooperazione. Il frame, però, funziona solo se costruito sulla verità. Il sistema deve veramente essere progettato come cooperativo, altrimenti, non rispondendo alle aspettative degli utenti, si svuoterebbe dopo poco tempo.
  4. Reputazione, trasparenza e reciprocità: i sistemi che si basano sulla reciprocità, soprattutto quella indiretta, sono facilmente invasi da utenti che attingono al sistema senza contribuire, basta pensare al fenomeno dei free riders (Benkler 2011). La reputazione è lo strumento più importante che si ha per sostenere il sistema ma per essere veramente efficace necessita che l’identità delle persone coinvolte sia visibile e trasparente, sempre nei limiti della privacy.
  5. Equità, moralità, norme sociali: se percepiamo il sistema in cui siamo inseriti come  equo, siamo più predisposti a cooperare. Basarsi solo su incentivi e punizioni può essere controproducente, è necessario pensare se e come il nostro sistema risulti equo. Moralità: definire chiaramente i valori, discutendone, spiegandoli, evidenziando qual è la cosa che si ritiene giusta da fare in ogni situazione. Social Norms: Le norme sociali sono un codice che orientano il comportamento ma non sono stabilite a priori, sono emergenti, per questo generalmente la maggior parte delle persone tende a seguirle. Rendere trasparente il comportamento degli altri nelle diverse situazioni permetterà di conformarsi con ciò che è ritenuto “normale”.
  6. Modularità: cooperare ha un costo, è come l’impegno in una attività, una spesa economica per l’accesso a un servizio, la rinuncia ad una risorsa a favore di qualcun altro. Dunque uno dei primi elementi da attivare per incentivare la cooperazione è consentire la partecipazione per piccoli moduli di contribuito, permettendo a ciascuno di cooperare secondo le possibilità e disponibilità del momento.
  7. Premi e punizioni: siano essi materiali (ottenimento di vantaggi per il singolo), oppure sociali (raggiungimento di un benessere comune) ma sempre dati in base alle motivazioni degli utenti. Dare premi materiali a qualcuno che coopera alla comunità perché interessato al bene comune o, viceversa, premiare con la reputazione qualcuno interessato ad un aumento di risorse materiali, potrebbe causarne l’allontanamento spontaneo dalla comunità.
  8. Flessibilità: è necessario tenere presente i diversi profili motivazionali, anche quelli poco produttivi, perciò i sistemi che si avvalgono della cooperazione devono essere flessibili e consentire una contribuzione asimmetrica, sfruttando il principio della coda lunga.

Anche gli elementi suggeriti da Benkler si possono raggruppare e implementare nei due livelli di motivazione alla cooperazione: sistemico e interpersonale.
Comunicazione, empatia, solidarietà, reputazione, trasparenza, reciprocità e framing possono essere utili strumenti per costruire, a un livello interpersonale, la fiducia reciproca tra gli utenti, contribuendo a realizzare l’identificazione nel gruppo e a rafforzare la bounded solidarity.
Equità, moralità, norme sociali, modularità, premi, punizioni e flessibilità possono essere utili strumenti, a livello sistemico, per costruire la fiducia sistemica, contribuendo a rafforzare il senso di appartenenza alla comunità e la enforceable trust.Terzo articolo della serie dedicata al progetto ULOOP a cura di Erica Giambitto.
Le ricerche sul capitale sociale, sulla sostenibilità sociale e la nostra attività nell’ambito di ULOOP hanno una domanda in comune: quali sono le motivazioni che spingono le persone appartenenti ad una stessa comunità a mettere a disposizione degli altri le proprio risorse e ad impegnarsi in prima persona per il bene collettivo?
In questo articolo cercheremo di capire come in ULOOP si è cercato di motivare la cooperazione degli utenti. L’innovazione di ULOOP si basa su due elementi chiave: considerare l’utente come una componente chiave dei servizi di rete e la creazione di wireless local loop on-the-fly. Questi sono realizzabili solo implementando meccanismi di gestione della fiducia e di incentivazione alla cooperazione (AA.VV. D.1.1: ULOOP User-Centric Wireless Local Loop, 2010).
Annche Yochai Benkler (Berkman Professor of Entrepreneurial Legal Studies, Harvard Law School, faculty co-director, Berkman Center for Internet and Society) riflette su come  creare sistemi basati su modelli cooperativi. Secondo Benkler l’utente deve essere considerato in tutte le sue sfaccettature, è importante, quindi, implementare nei sistemi cooperativi non solo incentivi di tipo materiale come premi e punizioni, ma anche di tipo sociale come empatia e solidarietà (Benkler, Y. The Penguin and The Leviathan, Crown Business, New York 2011).
Le caratteristiche chiave di ULOOP sono un valore che gli stessi utenti aggiungono al sistema, attraverso la loro partecipazione. Così la sostenibilità socio-economica di ULOOP dipende dalla densità di nodi presenti in un local loop (AA.VV. D2.2: ULOOP. Socio-economic sustainability report 2011) e dalla capacità del sistema di inserire gli utenti nella catena del valore. Per questo gli utenti sono stati divisi in categorie e, a seconda degli effetti positivi, negativi e trascurabili di cui fanno esperienza, sono stati previsti incentivi specifici per stimolarne la cooperazione. Questo tipo di incentivi sono principalmente di tipo materiale, fanno cioè leva su vantaggi e svantaggi derivanti da una data situazione.
Nel primo White Paper dedicato a ULOOP viene sollevata una questione importante: la cooperazione dipende dalla volontà dei nodi (utenti) di partecipare, ma anche da elementi percepiti come negativi che disincentivano la partecipazione, tra cui la percezione della scarsità delle risorse e la mancanza di fiducia tra gli utenti.
Scarsità di risorse disponibili nel nodo.
L’idea di condividere una risorsa finita, ad esempio l’ampiezza di banda o la capacità di processing del device, potrebbe disincentivare la cooperazione. Per questo  ULOOP incentiva lo scambio di risorse tra utenti permettendo loro di contribuire con la risorsa che hanno maggiormente a disposizione, o che in quel momento usano meno. Così l’utente che contribuisce, guadagna il diritto di ricevere la risorsa di cui ha bisogno nel momento più adatto alle sue esigenze. La risorsa che riceverà in cambio è stata condivisa da un altro utente, dunque è frutto di un’altra scelta individuale. Lo scambio non è negoziato autonomamente dai due utenti ma è gestito automaticamente dal sistema ULOOP. Gli utenti fanno dunque affidamento sul suo funzionamento come garante dello scambio. Chi tiene un comportamento scorretto viene, mediante il meccanismo della social trust, identificato e sanzionato, ad esempio con una riduzione delle possibilità di accesso o una riduzione di banda.
Questo tipo di incentivo sembra basato sul concetto di fiducia sistemica (Luhman 1979, cit. in E. Keimolen, D. Broeders “Quando alcuni sono più uguali degli altri… Fiducia, free riding e azione collettiva in una rete P2P in Sociologia della Comunicazione n. 40, Franco Angeli, 2009, p. 94-95). Quando calati in un sistema complesso, in cui si relazionano in collettività ampie e con sconosciuti, gli utenti non godono di fiducia reciproca ma ripongono fiducia nelle capacità del sistema di gestire questi scambi e il rischio che altri non contribuiscano, li danneggino o abbandonino il sistema danneggiandolo. <<La fiducia sistemica viene allora costruita automaticamente attraverso continue esperienze positive (feedback)>> (ibidem).
Mancanza di fiducia tra gli utenti.
La cooperazione in un sistema di relazioni create on-the-fly tra utenti che non si conoscono personalmente, deve far fronte al problema della mancanza di fiducia a livello interpersonale. La mancanza di fiducia tra utenti dipende dalla loro scarsa conoscenza reciproca. ULOOP propone diversi incentivi per ovviare a questa mancanza, innanzitutto prevede un sistema di riconoscimento univoco dell’user ID, tutelandone al tempo stesso la privacy. Dà la possibilità di creare legami tra utenti basati su interessi condivisi (stesse tipologie di file, stesse abitudini) e un sistema di valutazione reciproca collettiva (informazioni SNR, individuazione di malicious users, Quality of Experience).
Questi incentivi richiamano ciò che la letteratura sull’azione collettiva definisce meccanismi regolativi (ibidem, p. 93): l’esclusione, la reputazione, la reciprocità (Becker, Clement 2006, cit. in ibidem, p. 103; R. Alexander The biology of moral systems, cit. in Benkler The penguin and the leviathan, Crown Business, New York 2011, p. 42).
Dunque sembra che ULOOP gestisca le motivazioni alla cooperazione su due livelli. Un livello sistemico che crea fiducia nel funzionamento del sistema facendo leva sulle motivazioni strumentali alla cooperazione (Portes Alejandro, SOCIAL CAPITAL: Its Origins and Applications in Modern Sociology Annu. Rev. Sociol. 1998, pp.1-24). Si basano sulla enforceable trust, cioè il senso di appartenenza ad una comunità la cui esistenza è percepita come garanzia che il contributo dato verrà ripagato. Un livello interpersonale, che fa leva sulle motivazioni consumatorie alla cooperazione basate sulla bounded solidarity, per cui un individuo agisce per il bene collettivo anche se ad un costo personale, perché si sente parte del gruppo e si identifica in esso.
Sembra che anche Benkler lavori su questi due livelli, anche se non esplicitamente. Egli individua degli elementi chiave da implementare in un sistema perché sia cooperativo.

  1. Comunicazione: nella costruzione di un sistema cooperativo è fondamentale implementare la possibilità di comunicare tra gli utenti e, in maniera altrettanto importante, stimolare un processo di negoziazione e mediazione tra i punti di vista differenti. La comunicazione fa sviluppare empatia e fiducia negli altri, aiutando nella risoluzione di problemi.
  2. Empatia e Solidarietà: immedesimarsi in qualcun altro, provare le stesse emozioni e talvolta le stesse sensazioni (empatia) così come identificarsi in un gruppo (solidarietà), rende gli utenti disposti a sopportare un costo personale per il benessere del gruppo a cui sentono di appartenere. Per stimolare questo processo è importante umanizzare le persone, permettere di sapere chi sono e perché necessitano dell’aiuto o contributo di altri.
  3. Framing: creare un frame, un contesto che descriva il sistema come cooperativo, come una comunità, orientando l’interpretazione del sistema da parte degli utenti rendendoli maggiormente disposti alla cooperazione. Il frame, però, funziona solo se costruito sulla verità. Il sistema deve veramente essere progettato come cooperativo, altrimenti, non rispondendo alle aspettative degli utenti, si svuoterebbe dopo poco tempo.
  4. Reputazione, trasparenza e reciprocità: i sistemi che si basano sulla reciprocità, soprattutto quella indiretta, sono facilmente invasi da utenti che attingono al sistema senza contribuire, basta pensare al fenomeno dei free riders (Benkler 2011). La reputazione è lo strumento più importante che si ha per sostenere il sistema ma per essere veramente efficace necessita che l’identità delle persone coinvolte sia visibile e trasparente, sempre nei limiti della privacy.
  5. Equità, moralità, norme sociali: se percepiamo il sistema in cui siamo inseriti come  equo, siamo più predisposti a cooperare. Basarsi solo su incentivi e punizioni può essere controproducente, è necessario pensare se e come il nostro sistema risulti equo. Moralità: definire chiaramente i valori, discutendone, spiegandoli, evidenziando qual è la cosa che si ritiene giusta da fare in ogni situazione. Social Norms: Le norme sociali sono un codice che orientano il comportamento ma non sono stabilite a priori, sono emergenti, per questo generalmente la maggior parte delle persone tende a seguirle. Rendere trasparente il comportamento degli altri nelle diverse situazioni permetterà di conformarsi con ciò che è ritenuto “normale”.
  6. Modularità: cooperare ha un costo, è come l’impegno in una attività, una spesa economica per l’accesso a un servizio, la rinuncia ad una risorsa a favore di qualcun altro. Dunque uno dei primi elementi da attivare per incentivare la cooperazione è consentire la partecipazione per piccoli moduli di contribuito, permettendo a ciascuno di cooperare secondo le possibilità e disponibilità del momento.
  7. Premi e punizioni: siano essi materiali (ottenimento di vantaggi per il singolo), oppure sociali (raggiungimento di un benessere comune) ma sempre dati in base alle motivazioni degli utenti. Dare premi materiali a qualcuno che coopera alla comunità perché interessato al bene comune o, viceversa, premiare con la reputazione qualcuno interessato ad un aumento di risorse materiali, potrebbe causarne l’allontanamento spontaneo dalla comunità.
  8. Flessibilità: è necessario tenere presente i diversi profili motivazionali, anche quelli poco produttivi, perciò i sistemi che si avvalgono della cooperazione devono essere flessibili e consentire una contribuzione asimmetrica, sfruttando il principio della coda lunga.

Anche gli elementi suggeriti da Benkler si possono raggruppare e implementare nei due livelli di motivazione alla cooperazione: sistemico e interpersonale.
Comunicazione, empatia, solidarietà, reputazione, trasparenza, reciprocità e framing possono essere utili strumenti per costruire, a un livello interpersonale, la fiducia reciproca tra gli utenti, contribuendo a realizzare l’identificazione nel gruppo e a rafforzare la bounded solidarity.
Equità, moralità, norme sociali, modularità, premi, punizioni e flessibilità possono essere utili strumenti, a livello sistemico, per costruire la fiducia sistemica, contribuendo a rafforzare il senso di appartenenza alla comunità e la enforceable trust.Terzo articolo della serie dedicata al progetto ULOOP a cura di Erica Giambitto.
Le ricerche sul capitale sociale, sulla sostenibilità sociale e la nostra attività nell’ambito di ULOOP hanno una domanda in comune: quali sono le motivazioni che spingono le persone appartenenti ad una stessa comunità a mettere a disposizione degli altri le proprio risorse e ad impegnarsi in prima persona per il bene collettivo?
In questo articolo cercheremo di capire come in ULOOP si è cercato di motivare la cooperazione degli utenti. L’innovazione di ULOOP si basa su due elementi chiave: considerare l’utente come una componente chiave dei servizi di rete e la creazione di wireless local loop on-the-fly. Questi sono realizzabili solo implementando meccanismi di gestione della fiducia e di incentivazione alla cooperazione (AA.VV. D.1.1: ULOOP User-Centric Wireless Local Loop, 2010).
Annche Yochai Benkler (Berkman Professor of Entrepreneurial Legal Studies, Harvard Law School, faculty co-director, Berkman Center for Internet and Society) riflette su come  creare sistemi basati su modelli cooperativi. Secondo Benkler l’utente deve essere considerato in tutte le sue sfaccettature, è importante, quindi, implementare nei sistemi cooperativi non solo incentivi di tipo materiale come premi e punizioni, ma anche di tipo sociale come empatia e solidarietà (Benkler, Y. The Penguin and The Leviathan, Crown Business, New York 2011).
Le caratteristiche chiave di ULOOP sono un valore che gli stessi utenti aggiungono al sistema, attraverso la loro partecipazione. Così la sostenibilità socio-economica di ULOOP dipende dalla densità di nodi presenti in un local loop (AA.VV. D2.2: ULOOP. Socio-economic sustainability report 2011) e dalla capacità del sistema di inserire gli utenti nella catena del valore. Per questo gli utenti sono stati divisi in categorie e, a seconda degli effetti positivi, negativi e trascurabili di cui fanno esperienza, sono stati previsti incentivi specifici per stimolarne la cooperazione. Questo tipo di incentivi sono principalmente di tipo materiale, fanno cioè leva su vantaggi e svantaggi derivanti da una data situazione.
Nel primo White Paper dedicato a ULOOP viene sollevata una questione importante: la cooperazione dipende dalla volontà dei nodi (utenti) di partecipare, ma anche da elementi percepiti come negativi che disincentivano la partecipazione, tra cui la percezione della scarsità delle risorse e la mancanza di fiducia tra gli utenti.
Scarsità di risorse disponibili nel nodo.
L’idea di condividere una risorsa finita, ad esempio l’ampiezza di banda o la capacità di processing del device, potrebbe disincentivare la cooperazione. Per questo  ULOOP incentiva lo scambio di risorse tra utenti permettendo loro di contribuire con la risorsa che hanno maggiormente a disposizione, o che in quel momento usano meno. Così l’utente che contribuisce, guadagna il diritto di ricevere la risorsa di cui ha bisogno nel momento più adatto alle sue esigenze. La risorsa che riceverà in cambio è stata condivisa da un altro utente, dunque è frutto di un’altra scelta individuale. Lo scambio non è negoziato autonomamente dai due utenti ma è gestito automaticamente dal sistema ULOOP. Gli utenti fanno dunque affidamento sul suo funzionamento come garante dello scambio. Chi tiene un comportamento scorretto viene, mediante il meccanismo della social trust, identificato e sanzionato, ad esempio con una riduzione delle possibilità di accesso o una riduzione di banda.
Questo tipo di incentivo sembra basato sul concetto di fiducia sistemica (Luhman 1979, cit. in E. Keimolen, D. Broeders “Quando alcuni sono più uguali degli altri… Fiducia, free riding e azione collettiva in una rete P2P in Sociologia della Comunicazione n. 40, Franco Angeli, 2009, p. 94-95). Quando calati in un sistema complesso, in cui si relazionano in collettività ampie e con sconosciuti, gli utenti non godono di fiducia reciproca ma ripongono fiducia nelle capacità del sistema di gestire questi scambi e il rischio che altri non contribuiscano, li danneggino o abbandonino il sistema danneggiandolo. <<La fiducia sistemica viene allora costruita automaticamente attraverso continue esperienze positive (feedback)>> (ibidem).
Mancanza di fiducia tra gli utenti.
La cooperazione in un sistema di relazioni create on-the-fly tra utenti che non si conoscono personalmente, deve far fronte al problema della mancanza di fiducia a livello interpersonale. La mancanza di fiducia tra utenti dipende dalla loro scarsa conoscenza reciproca. ULOOP propone diversi incentivi per ovviare a questa mancanza, innanzitutto prevede un sistema di riconoscimento univoco dell’user ID, tutelandone al tempo stesso la privacy. Dà la possibilità di creare legami tra utenti basati su interessi condivisi (stesse tipologie di file, stesse abitudini) e un sistema di valutazione reciproca collettiva (informazioni SNR, individuazione di malicious users, Quality of Experience).
Questi incentivi richiamano ciò che la letteratura sull’azione collettiva definisce meccanismi regolativi (ibidem, p. 93): l’esclusione, la reputazione, la reciprocità (Becker, Clement 2006, cit. in ibidem, p. 103; R. Alexander The biology of moral systems, cit. in Benkler The penguin and the leviathan, Crown Business, New York 2011, p. 42).
Dunque sembra che ULOOP gestisca le motivazioni alla cooperazione su due livelli. Un livello sistemico che crea fiducia nel funzionamento del sistema facendo leva sulle motivazioni strumentali alla cooperazione (Portes Alejandro, SOCIAL CAPITAL: Its Origins and Applications in Modern Sociology Annu. Rev. Sociol. 1998, pp.1-24). Si basano sulla enforceable trust, cioè il senso di appartenenza ad una comunità la cui esistenza è percepita come garanzia che il contributo dato verrà ripagato. Un livello interpersonale, che fa leva sulle motivazioni consumatorie alla cooperazione basate sulla bounded solidarity, per cui un individuo agisce per il bene collettivo anche se ad un costo personale, perché si sente parte del gruppo e si identifica in esso.
Sembra che anche Benkler lavori su questi due livelli, anche se non esplicitamente. Egli individua degli elementi chiave da implementare in un sistema perché sia cooperativo.

  1. Comunicazione: nella costruzione di un sistema cooperativo è fondamentale implementare la possibilità di comunicare tra gli utenti e, in maniera altrettanto importante, stimolare un processo di negoziazione e mediazione tra i punti di vista differenti. La comunicazione fa sviluppare empatia e fiducia negli altri, aiutando nella risoluzione di problemi.
  2. Empatia e Solidarietà: immedesimarsi in qualcun altro, provare le stesse emozioni e talvolta le stesse sensazioni (empatia) così come identificarsi in un gruppo (solidarietà), rende gli utenti disposti a sopportare un costo personale per il benessere del gruppo a cui sentono di appartenere. Per stimolare questo processo è importante umanizzare le persone, permettere di sapere chi sono e perché necessitano dell’aiuto o contributo di altri.
  3. Framing: creare un frame, un contesto che descriva il sistema come cooperativo, come una comunità, orientando l’interpretazione del sistema da parte degli utenti rendendoli maggiormente disposti alla cooperazione. Il frame, però, funziona solo se costruito sulla verità. Il sistema deve veramente essere progettato come cooperativo, altrimenti, non rispondendo alle aspettative degli utenti, si svuoterebbe dopo poco tempo.
  4. Reputazione, trasparenza e reciprocità: i sistemi che si basano sulla reciprocità, soprattutto quella indiretta, sono facilmente invasi da utenti che attingono al sistema senza contribuire, basta pensare al fenomeno dei free riders (Benkler 2011). La reputazione è lo strumento più importante che si ha per sostenere il sistema ma per essere veramente efficace necessita che l’identità delle persone coinvolte sia visibile e trasparente, sempre nei limiti della privacy.
  5. Equità, moralità, norme sociali: se percepiamo il sistema in cui siamo inseriti come  equo, siamo più predisposti a cooperare. Basarsi solo su incentivi e punizioni può essere controproducente, è necessario pensare se e come il nostro sistema risulti equo. Moralità: definire chiaramente i valori, discutendone, spiegandoli, evidenziando qual è la cosa che si ritiene giusta da fare in ogni situazione. Social Norms: Le norme sociali sono un codice che orientano il comportamento ma non sono stabilite a priori, sono emergenti, per questo generalmente la maggior parte delle persone tende a seguirle. Rendere trasparente il comportamento degli altri nelle diverse situazioni permetterà di conformarsi con ciò che è ritenuto “normale”.
  6. Modularità: cooperare ha un costo, è come l’impegno in una attività, una spesa economica per l’accesso a un servizio, la rinuncia ad una risorsa a favore di qualcun altro. Dunque uno dei primi elementi da attivare per incentivare la cooperazione è consentire la partecipazione per piccoli moduli di contribuito, permettendo a ciascuno di cooperare secondo le possibilità e disponibilità del momento.
  7. Premi e punizioni: siano essi materiali (ottenimento di vantaggi per il singolo), oppure sociali (raggiungimento di un benessere comune) ma sempre dati in base alle motivazioni degli utenti. Dare premi materiali a qualcuno che coopera alla comunità perché interessato al bene comune o, viceversa, premiare con la reputazione qualcuno interessato ad un aumento di risorse materiali, potrebbe causarne l’allontanamento spontaneo dalla comunità.
  8. Flessibilità: è necessario tenere presente i diversi profili motivazionali, anche quelli poco produttivi, perciò i sistemi che si avvalgono della cooperazione devono essere flessibili e consentire una contribuzione asimmetrica, sfruttando il principio della coda lunga.

Anche gli elementi suggeriti da Benkler si possono raggruppare e implementare nei due livelli di motivazione alla cooperazione: sistemico e interpersonale.
Comunicazione, empatia, solidarietà, reputazione, trasparenza, reciprocità e framing possono essere utili strumenti per costruire, a un livello interpersonale, la fiducia reciproca tra gli utenti, contribuendo a realizzare l’identificazione nel gruppo e a rafforzare la bounded solidarity.
Equità, moralità, norme sociali, modularità, premi, punizioni e flessibilità possono essere utili strumenti, a livello sistemico, per costruire la fiducia sistemica, contribuendo a rafforzare il senso di appartenenza alla comunità e la enforceable trust.

Osservatorio Università Italiane su Facebook

Dati in tempo reale per valutare la social media strategy degli atenei italiani

Oltre il 40% degli atenei italiani ha una presenza ufficiale su Facebook (fonte: http://ssrn.com/abstract=1978393). I dati cambiano tuttavia con frequenza quotidiana ed eventi specifici (come ad esempio le recenti nevicate) possono modificare significativamente l’intensità di utilizzo di questi strumenti da parte della comunità di riferimento di un ateneo. Per questo motivo ho deciso di dedicare un po’ di tempo a realizzare uno strumento in grado di tenere traccia di questi cambiamenti nel tempo. A questo scopo ho raffinato alcuni strumenti che avevo già utilizzato in passato per creare un vero e proprio osservatorio che racconti gli atenei italiani su Facebook calcolando quotidianamente indici sintetici di popolarità, popolarità ponderata sul numero degli iscritti e trend dell’attività sulla pagina ponderato in base alla popolarità della pagina stessa.
Alla pagina dell’osservatorio troverete i dati aggiornati quotidianamente. Il reperimento dei dati è affidato ad un script che aggiorna automaticamente il foglio di calcolo prelevandoli da Facebook Graph, archivia i dati del giorno precedente e crea le tabelle riassuntive ed i grafici.
Il servizio è in fase sperimentale. C’è un problema noto che riguarda la pagina dell’Università di Foggia i cui dati sono disponibili solo ad utenti di Facebook autenticati (probabilmente è attivo qualche limitazione geografica o di età sul target di utenti che può visualizzare la pagina). Questo fa si che lo script non sia in grado di reperire i dati di quella pagina.
Potrebbero inoltre mancare delle pagine. Nella pagina dell’osservatorio è descritta la metodologia che ci ha consentito di individuare le pagine ufficiali. Potrebbero tuttavia essere intercorsi dei cambiamenti dalla data di rilevazione e nuovi atenei potrebbero aver aperto pagine ufficiali. Provvederò ad aggiungere queste pagine dietro segnalazione.
Vai alla pagina dell’osservatorio.

Performance e diffusione dei social media nelle Università italiane

Uno studio empirico su come le Università italiane usano Facebook, YouTube e Twitter

Alessandro Lovari, durante la scuola di dottorato Meris, mi ha proposto, avendo letto il post sulla popolarità delle pagine Facebook delle Università italiane, di sviluppare insieme l’idea di analizzare se e come gli atenei italiani usassero i social media.
Dopo un paio di incontri in Skype, qualche telefonata e diverse ore di lavoro abbiamo completato la scrittura di questo articolo che prende in esame le presenze ufficiali sui media sociali di tutte i 95 atenei italiani. Poco più della metà degli atenei è presente su almeno un social media. Facebook è il più diffuso seguito da YouTube e Twitter. Gli atenei di medie dimensioni e le università private sono più presenti ed attive. Per valutare meglio le performance delle Università sui social media abbiamo sviluppato un indice che abbiamo denominato USMPI ovvero “university social media performance index”. Questo indice valuta la presenza e le performance degli atenei sui social media usando combinando una serie di metriche e rapportando alcune di esse alla dimensione dell’ateneo (i dettagli metodologici sono nel paragrafo 4.1 dell’articolo).
I dieci atenei che hanno fatto registrare le migliori performance sono:
Ateneo, USMPI
Libera Univ. Inter.le Studi Sociali “Guido Carli” LUISS-ROMA, 0.31
Università Commerciale “Luigi Bocconi” MILANO, 0.31
Politecnico di MILANO, 0.25
Università degli Studi di MILANO-BICOCCA, 0.24
Università degli Studi di URBINO “Carlo BO”, 0.19
Libera Univ. degli Studi “Maria SS.Assunta” – LUMSA – Roma, 0.19
Università “Cà Foscari” VENEZIA, 0.17
Libera Università di lingue e comunicazione IULM-MI, 0.17
Università degli Studi di PAVIA, 0.16
Università degli Studi di UDINE, 0.16
USMPI nel complesso varia da un minimo di 0 ad un massimo di 0.31. La media è 0.0502 e la deviazione standard 0.07351.
L’indice è stato realizzato con l’intento di essere facilmente calcolabile con un intervento umano minimo o nullo. Tutte le metriche analizzate sono basate su dati esposti pubblicamente dalle API delle piattaforme di social media.
Maggiori dettagli sull’indice e su tutta la ricerca sono disponibili nell’articolo (in inglese) che abbiamo pubblicato, in versione pre-print, su ssrn.
Lovari, Alessandro and Giglietto, Fabio, Social Media and Italian Universities: An Empirical Study on the Adoption and Use of Facebook, Twitter and Youtube (January 2, 2012). Available at SSRN: http://ssrn.com/abstract=1978393.
Consigli e suggerimenti sono più che benvenuti 🙂

Il Valore Reale del Denaro Virtuale. Dai giochi Online ai Mercati Valutari.

Video: “Il valore reale del denaro virtuale. Dai giochi Online ai mercati valutari”. Seminario organizzato dal Dipartimento di Scienze di Base e Fondamenti dell’università degli Studi di di Urbino “Carlo Bo” in collaborazione con l’Associazione Culturale NeuNet. Su questo tema si sono confrontati Alessandro Bogliolo, Paolo Polidori, Fabio Giglietto e Francesca Stradini.

Il 17 novembre 2011 ad Urbino presso il Collegio Raffaello si è tenuto il seminario “Il valore reale del denaro virtuale. Dai giochi Online ai mercati valutari” organizzato dal Dipartimento di Scienze di Base e Fondamenti dell’università degli Studi di di Urbino “Carlo Bo” in collaborazione con  l’Associazione Culturale NeuNet.
Il seminario è stato un importante momento di confronto tra diverse discipline riguardo numerosi temi che scaturiscono dall’emergente importanza del denaro virtuale. Il denaro virtuale, infatti, è sempre più pervasivo nella nostra quotidianità, a partire dall’aspetto ludico come avviene nei social network (si pensi a facebook e al sistema di cambio tra denaro reale e virtuale per poter usufruire appieno delle funzionalità di gioco, come ad esempio FarmVille) fino a diventare un vero e proprio modello di business, per cui il gioco (al quale si ha accesso gratuito) diventa piattaforma di lancio per generare scambi monetari: per poter proseguire ed evolvere nel gioco è necessario spendere denaro virtuale, acquistabile con denaro reale.
Si pensi, ancora, al mercato in via di sviluppo dell’ In-App Purchase e alla possibilità di acquistare nuove funzionalità personalizzate delle applicazioni scaricate gratuitamente. Le applicazioni, siano esse giochi o utilità, gratuite diventano una azione di marketing per vendere il prodotto e generare movimenti di denaro virtuale.
Ma prima di addentrarsi in una descrizione puntuale di quelle che sono le potenzialità del denaro virtuale è opportuno farsi alcune domande a partire da quella più importante e cioè che cos’è il denaro virtuale? Quali sono i meccanismi del suo funzionamento? Quali sono le sue applicazioni nel mondo reale? E quali sono i suoi impatti?
L’uso del denaro virtuale fa sorgere una serie di interrogativi a livello economico, fiscale e sociale. Su questi interrogativi si sono confrontati Alessandro Bogliolo (sistemi di elaborazione delle informazioni) su strumenti, tecnologia, applicazioni e problematiche del denaro virtuale, Paolo Polidori (Scienza delle finanze), su origine ed evoluzione della moneta fino alla moneta elettronica e al suo step evolutivo successivo e cioè la moneta virtuale, Fabio Giglietto (Sociologia dei processi culturali e comunicativi),  sul rapproto tra denaro e giochi online, denaro sia virtuale (interno ai giochi) sia reale (il tempo passato giocando diventa una merce) e Francesca Stradini (Diritto Tributario) sulla rilevanza fiscale delle transazioni online e sulle problematiche fiscali che il denaro virtuale potrebbe far emergere.
Pubblicheremo, a partire da oggi e nelle prossime settimana, l’intero seminario suddiviso in sei puntate. Enjoy!

Il valore reale del denaro virtuale – Prima Parte, Presentazioni from Erica Reika on Vimeo.

Il valore reale del denaro virtuale – Seconda Parte from Erica Reika on Vimeo.

Il valore reale del denaro virtuale – Terza Parte from Erica Reika on Vimeo.

Breve analisi della partecipazione dei fan nella pagina Facebook di Servizio Pubblico

Testando il nuovo social network importer plugin di nodexl

I ricercatori della social media research foundation hanno rilasciato ieri un plugin per Node XL che consente di accedere ad alcuni dati che riguardano gli utenti che interagiscono con una pagina Facebook facendo like o commentando un post.
Ho deciso di provare subito i plugin usando la pagina di Servizio Pubblico.
La prima scoperta che ho fatto è che il plugin consente di scaricare i dati degli ultimi dieci post.
Nel caso della pagina del programma di Santoro si tratta nello specifico dei post che vanno da questo a questo.
Il plugin considera un nodo ogni utente che ha interagito con la pagina e crea un arco ogni volta che due utenti hanno commentato (o fatto like) sullo stesso post. Suppongo che il legame creato rappresenti un mutuo interesse di un utente verso uno specifico tema.
Il testo dei post e di tutti i commenti vengono salvati e collegati all’utente rendendo questo plugin utile per piccoli progetti sull’analisi del contenuto. Per ogni nodo vengono scaricate tutte le informazioni disponibili pubblicamente (o alle quale si può accedere in virtù di un legame di amicizia). I dati che sono disponibili nella maggior parte dei casi sono nome, cognome, link alla foto profilo di Facebook e genere.
I dieci post presi in esame hanno ricevuto in totale 954 commenti da 703 utenti diversi. Il numero massimo di commenti per utente è 6. Non sorprendentemente la distribuzione è caratterizzata da pochi utenti che commentano molto e molti che commentano poco (543 o il 77,2% ha commentato solo una volta).
Chi commenta è in grande prevalenza maschio (71% m, 27% f ed il restante non specificato).
I post in questione hanno ricevuto in totale 1635 Mi Piace da 1016 utenti diversi. Il numero massimo di like per utente è 9. Considerate che mentre è possibile commentare più di una volta su un post non si può fare altrettanto con i Mi Piace. La distribuzione dei Mi Piace ha la consueta forma anche se, in questo caso, la percentuale di partecipanti che ha fatto un solo Like è inferiore (44,2%).
Anche chi clicca su Mi Piace è in prevalenza maschio anche se meno di quanto non avvenga per i commenti (60% m, 38% f ed il restante non specificato).
I temi che più hanno colpito l’immaginario degli spettatori attivi sono ben evidenziati in questa tagcloud.

Tagcloud dei commenti

Invece questa è la visualizzazione della rete dei commentatori.
Per dimensionare i nodi ho usato la metrica degree (avrei anche potuto usare il semplice numero di commenti ma poi mi sarei perso il fatto che un commento postato in un thread dove hanno postato poche persone è diverso da uno postato in un thread con molti partecipanti). Per posizionare i nodi ho usato l’algoritmo Fruchterman-Reingo (scelta di default in Node XL). Non ho aggiunto le etichette con i nomi sui nodi, ma avrei potuto.

Con un po’ di pazienza, ovvero scaricando i post in blocchi da 10 mentre la trasmissione è in onda, si possono ottenere i dati dei circa 30/40 post pubblicati durante la messa in onda per una analisi più completa.

Verso una definizione di sostenibilità sociale di una tecnologia

Verso una definizione operativa di sostenibilità sociale

Secondo articolo della serie dedicata al progetto ULOOP curato da Erica Giambitto.
Dopo la panoramica sul progetto ULOOP pubblicata qualche settimana fa, cerchiamo ora di definire meglio il campo di ricerca  e di arricchirlo. Ci eravamo posti la domanda di ricerca “ULOOP è una tecnologia socialmente sostenibile?”, abbiamo delineato alcuni aspetti della sostenibilità sociale, come ad esempio una gestione delle risorse che mantenga l’equilibrio del sistema, ed anche una idea di sostenibilità sociale intesa come risorsa, come capitale sociale, che emerge da una rete collaborativa di relazioni. Questi, però, sono  solo alcuni aspetti della sostenibilità sociale che rimane un concetto che difficilmente può essere racchiuso in una definizione univoca e che può invece essere pensato come un concetto sfaccettato, come suggerito da Stephen McKenzie nel suo articolo Social Sustainability: Towards some definitions” (S. McKenzie, Social sustainability: Towards some definitions, Hawke Research Institute Working Paper Series n.27, Hawke Research Insitute, University of South Australia, Magill 2004). Per questo è stato osservato da un’ampia serie di punti di vista diversi.
Come possono esserci utili questi approcci nella nostra ricerca sulla sostenibilità sociale di ULOOP?
Innanzitutto nel delineare in modo sempre più preciso questo duplice aspetto della sostenibilità sociale che la vede, da un lato, come gestione, azione e quindi un processo in atto in una comunità e, dall’altro lato la vede come risorsa, come capitale sociale emergente dalle relazioni che legano la comunità. È importante, però, tenere a mente che quando parliamo di sistema e di relazioni in ULOOP stiamo parlando di diversi tipi di soggetti che entrano in relazione. Come indicato nel white paper 03 gli attori in gioco sono molteplici (ULOOP users, End-Users, Users, Subscribers, Consumers, Service Providers, Operators) e  quindi la sostenibilità sociale dovrebbe essere legata alla relazione fra questi soggetti.
Come vedremo, di per sé la sostenibilità sociale è un concetto complesso dunque cercheremo dapprima di comprenderlo meglio e in seguito di cercare dei legami con ULOOP.
Verso uno studio della sostenibilità sociale

<<When discussing social sustainability, ‘What is…’ or ‘What do we mean by…’ are immediate and automatic responses>> (McKenzie, 2004)

Il problema di definizione della sostenibilità sociale nasce dall’origine stessa del concetto. Frutto di un lungo processo scaturito dai primi interrogativi sull’impatto ambientale di un’industrializzazione del mondo sempre più spinta, può essere considerata una conseguenza degli interrogativi sulla sostenibilità economica e sulla sostenibilità ambientale in un’ottica di sviluppo sostenibile. La ricerca sulla sostenibilità sociale è ancora molto legata ad aspetti economici ed ambientali, e non deve esserne svincolata, ma per poterla comprendere e analizzare veramente e per poterla valorizzare adeguatamente è necessario, secondo McKenzie focalizzarsi su di essa attraverso un approccio specifico realizzato dalle scienze sociali.
Negli anni Sessanta sorgevano i primi problemi di sostenibilità ambientale delle imprese e delle economie e, per questo, iniziava a sentirsi la necessità di elaborare delle politiche di sviluppo che permettessero una crescita economica non deleteria per l’ambiente e che migliorasse le qualità della vita delle persone. Nacque per questo l’Organizzazione per lo Sviluppo e la Cooperazione Economica (OECD).
Negli anni Ottanta si fece un notevole passo avanti nell’agenda della sostenibilità. La Commissione delle Nazioni Unite su Sviluppo e Ambiente (fondata nel 1983 dalle Nazioni Unite) inizia il suo lavoro per una nuova era di crescita economica basata su politiche che sostengono e proteggono le risorse ambientali. Viene riconosciuto da un lato l’aggravarsi dei problemi ambientali e, dall’altro, che questi problemi ambientali potevano essere dovuti anche a fattori sociali: degrado, povertà, pressione demografica e diseguaglianza sociale sono alcuni dei fattori sociali individuati come maggiore causa di degrado ambientale.
Si comincia a parlare di sviluppo sostenibile come mantenimento di <<processi ecologici essenziali e sistemi di supporto alla vita>> . (IUCN/UNEP/WWF, World conservation strategy: living resource conservation for sustainable development, IUCN/UNEP/WWF, Gland, Switzerland, 1980. Citato in McKenzie 2004, p. 4).
Da qui il passo successivo è rappresentato dal rapporto Brundtland, il quale definisce lo sviluppo sostenibile come

<<uno sviluppo che incontra i bisogni del presente senza compromettere le capacità delle future generazioni di soddisfare i propri bisogni>> (WCED, Brundtland G.H , Mansour  K.,  1987 common future,  Oxford University Press, Oxford, GB; Citato in Canu 2011).

Il fattore sociale viene di fatto inserito nell’agenda della sostenibilità, ma nonostante questo le critiche mosse a questo approccio mostrano alcune perplessità.
McKenzie fa notare che il fattore sociale, sebbene incluso nell’agenda di ricerca è ancora “subordinato” all’idea dello sviluppo economico di tipo “colonialista”, le stesse perplessità che sollevava Latouche e che abbiamo considerato nel nostro precedente articolo.
L’idea secondo cui portando sviluppo economico nelle aree con basso capitale sociale e cioè con scarsa coesione sociale e povertà, si può invertire la tendenza riducendo così l’impatto ambientale, è fortemente criticata poiché rispecchia, secondo Joshi, un’ottica colonialista e non un vero interesse per l’ambiente e per una società più equa (M M Joshi, Sustainable consumption: issues of a paradigm shift, Indian Council of Social Science Research, Occasional Monograph Series, No 1, New Delhi, 2002, p 7; Citato in McKenzie 2004, p. 4). Un’altra critica è stata mossa alla “vaghezza” della definizione: spesso questa si trasforma in una cortina di fumo dietro la quale si nascondono le imprese per non realizzare realmente uno sviluppo più equo. (Michael Jacobs, ‘Sustainable development: a contested concept’ in A Dobson, ed, Fairness and futurity: essays on environmental sustainability and social justice, Oxford University Press, Oxford, 1999, p 24; Citato in McKenzie 2004).
Il problema più importante ai fini della nostra ricerca continua ad essere il fatto che i principali “soggetti” considerati rimangono l’ambiente e lo sviluppo economico. Il tentativo di creare un equilibrio tra questi due fattori, considerati come contrapposti, non ha permesso di considerare il fattore sociale come altrettanto importante.
Negli anni Novanta le Università Australiane e la ricerca Australiana, si sono mosse per realizzare un approccio sempre più interdisciplinare alla sostenibilità. Dove per interdisciplinare si intende una sinergia tra dipartimenti di ricerca, dedicati ognuno ad un aspetto delle scienze sociali. Tra queste il Group of Eight cioè la rete delle otto università più antiche e prestigiose dell’Australia, la University of Queensland Faculty of Social and Behavioural Sciences; la Australian Academy of, the Humanities; l’Academy of the Social Sciences; la University of New South Wales Social Policy Research Centre e la University of New England Institute for Rural Futures.
Da qui, la University of South Australia ha lavorato sulla definizione di sostenibilità:

<<Sustainability—including sustainable environments, sustainable societies and sustainable economies. This priority would mean attention inter alia to issues relating to water use, renewable energy, democratic citizenship, social justice, equity, impact of globalised economies on work and triple bottom line approaches.>> (intervento della University of South Australia durante il processo consultativo sulle priorità di ricerca nazionali Australiane, citato da McKenzie 2004 )

Successivamente ha dato vita all’Hawke Research Institute proprio per dedicarsi in modo specifico ai fattori sociali che incidono sulla sostenibilità. Nonostante questi sforzi, l’impronta di ricerca a livello nazionale era ancora molto legata alle scienze economiche e tecniche, per questo la National Academy of the Humanities ha cercato di specificare riorganizzare gli obiettivi di ricerca:

<< We believe that the existing priority goals need to be re-drafted to acknowledge the fundamental human origins of environmental problems>> (National Academy of the Humanities,The humanities and Australia’s National Research Priorities p.13, citato in McKenzie 2004)

La sostenibilità ambientale è, secondo questa idea, anche una questione sociale, dal momento che i problemi ambientali hanno origine dal comportamento dell’uomo. Questo ha permesso finalmente di riconoscere il ruolo centrale degli elementi sociali e culturali nella questione della sostenibilità. La ricerca delle scienze sociali si sta affermando come campo autonomo di analisi, anche se al momento ancora risente di questa consapevolezza giunta in un secondo momento. Le scienze sociali sono ancora considerate come qualcosa da integrare in un processo già cominciato, come supporto ad un processo di analisi già iniziato.
Per McKenzie, dunque è sì necessaria una ricerca interdisciplinare sul concetto di sostenibilità ma, prima di tutto, è necessario che le scienze sociali si interroghino in maniera autonoma e indipendente sul concetto di sostenibilità sociale. Una volta definita la sostenibilità sociale come un campo indipendente di studi, una volta elaborati dei modelli di analisi, allora la ricerca sociale, quella ambientale ed economica potranno lavorare in sinergia per lo sviluppo di una sostenibilità che vede i fattori ambientali, sociali ed economici come equivalenti.
Verso una definizione di sostenibilità sociale
Nel suo testo McKenzie fornisce una definizione operativa di sostenibilità sociale:

<<Social sustainability is: a life-enhancing condition within communities, and a process within communities that can achieve that condition.>> (S. McKenzie, Social sustainability: Towards some definitions, Hawke Research Institute Working Paper Series n.27, Hawke Research Insitute, University of South Australia, Magill 2004, p. 12.)

La sostenibilità sociale è dunque vista come una condizione descritta da alcune caratteristiche che, quando presenti, sono considerate come indicatori della condizione stessa. Gli ultimi tre elementi sono invece dei meccanismi, essi descrivono delle azioni che rendono possibile il processo di sostenibilità sociale:

  • Equità d’accesso ai servizi chiave (incluse salute, educazione, trasporti, casa e svaghi);
  • Equità tra le generazioni (le future generazioni non saranno svantaggiate dalle attività della generazione attuale);
  • Un sistema di relazioni culturali in cui gli aspetti positivi di culture diverse sono valorizzati e protetti, e in cui l’integrazione culturale è supportata e promossa quando è desiderata da individui e gruppi;
  • La diffusa partecipazione politica dei cittadini non solo nelle procedure elettorali ma anche nelle altre aree dell’attività politica, particolarmente a livello locale;
  • Un sistema per trasmettere consapevolezza sulla sostenibilità sociale da una generazione alla successiva;
  • Un senso di responsabilità di comunità per mantenere quel sistema di trasmissione;
  • Meccanismi che permettono ad una comunità di identificare collettivamente le sue capacità e i suoi bisogni;
  • Meccanismi che permettono ad una comunità di soddisfare i suoi stessi bisogni dove possibile attraverso  un’azione di comunità;
  • Meccanismi di difesa politica per soddisfare le esigenze che non possono essere soddisfatte con l’azione della comunità.

Sostenibilità come condizione misurabile e come capitale sociale emergente
La sostenibilità è qui intesa come una condizione misurabile in base alla presenza o all’assenza di questi indicatori, al momento riduttivi e non esaustivi, attraverso cui è possibile, per McKenzie, sviluppare un’agenda di ricerca della sostenibilità sociale che faccia esclusivo riferimento all’aspetto sociale.
Un altro studio in questo senso è quello compiuto da Cocklin e Alston per la  Academy of the Social Sciences realizzata all’interno del progetto Australia’s Community Sustainability (Chris Cocklin and Margaret Alston, eds., Community sustainability in rural Australia: a question of capital, Centre for Rural Social Research, Wagga Wagga, NSW, 2003; Citato in McKenzie 2004). Lo scopo degli autori è quello di misurare e valutare le variazioni del capitale sociale in una comunità monitorando le variazioni all’interno dei cinque sottoinsiemi che lo compongono: capitale naturale (risorse naturali), umano (conoscenza e abilità dei singoli individui), sociale (reti produttive e valori condivisi), istituzionale (strutture istituzionali nel privato, nel pubblico e nel terzo settore) e di prodotto (costruzioni, beni prodotti, risorse monetarie). L’ipotesi di lavoro è che la sostenibilità sociale di una comunità sia misurabile rispetto alla presenza e al valore di questi “stock” di capitale in diversi settori.
Nel nostro primo articolo avevamo visto come ULOOP potesse configurarsi come una rete di relazioni da cui emerge capitale sociale e, quindi, tenendo come riferimento il modello di sviluppo fornito nel white paper 03 e non avendo ancora un caso reale su cui lavorare, potremmo utilizzare le caratteristiche distintive di ULOOP per ipotizzare delle sottocategorie: Capitale di Risorse (ampiezza di banda, potere computazionale, livello di energia, stampanti); Capitale di Informazioni (info turistiche, pubblicità, opinioni, localizzazioni); Capitale Potenziale (o di Disponibilità:  risorse computazionali, di connessione internet, di servizi, di informazioni); Capitale di Sicurezza (supporto alla mobilità, trasferimenti trasparenti); potremmo aggiungere una sottocategoria dedicata al Capitale Umano (conoscenze, abilità, disponibilità di diventare nodi) e una sottocategoria dedicata al Capitale di Struttura (fornita da operatori e da service provider).
L’ipotesi di Cocklin e Alston viene approfondita da Pepperdine (Sharon Pepperdine, Social Indicators of Rural Community Sustainability: An Example from the Woady Yaloak Catchment, 2000, Department of Geography & Environmental Studies, The University of Melbourne), che  in uno studio specifico sulla comunità di Woady Yaloak Catchmen (comunità di rinnovamento del territorio attraverso uno sviluppo sostenibile, portato avanti grazie a contributi “bottom up” della popolazione), cerca di sviluppare degli indicatori sociali che descrivano la sostenibilità sociale, anche grazie alla partecipazione degli appartenenti alla comunità. Attraverso interviste, sondaggi e questionari ha identificato degli importanti temi ritenuti rilevanti che ha successivamente raggruppato in 15 indicatori chiave della sostenibilità sociale.

  1. Coesione: coordinamento, abilità di lavorare insieme
  2. Senso di comunità: vita di comunità, partecipazione attiva
  3. Prosperità: ricambio della popolazione inclusi i giovani adulti, mentalità positiva, rivendita di proprietà
  4. Senso del vicinato: comunità amichevole e di supporto
  5. Accettazione: differenti punti di vista, di idee, di nuovi arrivati; conoscenza dei vicini
  6. Opportunità di partecipare alle attività sociali (intrattenimento, culturale, ricreazionale e sport) e affari pubblici; presenza di persone motivate ed entusiaste
  7. Opportunità d’impiego che includano giovani e adulti
  8. Scarsa integrazione sociale: separazioni di famiglie, droga e crimine, suicidio
  9. Attaccamento all’area
  10. Apertura mentale: apertura verso “estranei” e donne
  11. Vitalità economica: tempo per vacanze e svago, pensionamento, sicurezza finanziaria
  12. Input di comunità: gruppi di comunità, negozi locali, fiducia della comunità in se stessa
  13. Comunicazione: quotidiano locale
  14. Unità: volontariato, valori comuni
  15. Stabilità della popolazione

Questi indicatori forniscono, secondo Pepperdine uno strumento per ottenere una visione soggettiva, dall’interno di una comunità sulla sua sostenibilità misurando la realtà in cui vivono. Sono indicatori sociali soggettivi e possono essere usati a fianco degli indicatori “oggettivi”, come ad esempio i dati di censimento, per dare un’immagine più ampia delle tendenze nella sostenibilità e che la svincolano da indicatori legati principalmente allo sviluppo economico.
Un fatto importante da mettere in evidenza secondo Pepperdine è che gli indicatori ritenuti più rilevanti dalla popolazione riguardano la coesione sociale, il senso di appartenenza, il senso del vicinato e l’accettazione della diversità; indicatori molto diversi da quelli considerati tradizionalmente come “oggettivi” (prosperità economica, possibilità d’impiego e vitalità economica) e che, secondo la popolazione, consentono alla comunità di proseguire e di migliorare nel suo progetto di riqualificazione sostenibile del territorio.
Lo studio di Pepperdine fa riferimento ad una specifica comunità rurale e ci rendiamo conto dei limiti che questo comporta nella nostra ricerca.  È importante, infatti, esplicitare che gli indicatori così sviluppati sono specifici di quella comunità, sebbene siano abbastanza generali da poter essere utilizzati anche in altri luoghi. Credo, dunque, che sia necessario sviluppare degli indicatori specifici per il nostro progetto. Visto però lo stato dell’arte nella ricerca sulla sostenibilità sociale e la sua, ancora forte, subordinazione al concetto di sostenibilità ambientale in relazione ad un territorio, una così selettiva attenzione agli aspetti sociali messa in atto dalla comunità stessa ci sembra particolarmente interessante. È necessario anche considerare che qui si fa riferimento ad un territorio specifico e al suo sviluppo reso possibile dal senso di comunità interno e dalla vicinanza fisica.
Nel caso di ULOOP, invece, sebbene ci sia un legame con il luogo fisico (per citare alcuni esempi legati allo spazio: geolocalizzazione, estensione della copertura tra nodi vicini, advertising di prossimità, informazioni turistiche fornite dagli abitanti locali) potrebbe non svilupparsi quella percezione di territorio fisico da condividere e valorizzare con uno sforzo comune. Ma se consideriamo un altro tipo di territorio, un altro tipo di luogo che è quello prodotto dalla comunicazione (scambi comunicativi, di relazione e di dati), ULOOP potrebbe essere percepito come uno spazio, sì virtuale, ma da tenere “in vita” attraverso la partecipazione di ogni singolo individuo coinvolto.
Potremmo, seguendo questa direzione,  dire che questa partecipazione per essere efficace, e dunque garantire come effetto il funzionamento della rete ULOOP, dovrebbe possedere e rispecchiare gli indicatori di sostenibilità sociale sopra proposti. Potremmo, quindi, ricercare nei casi d’uso previsti dal progetto, quei temi identificati da Pepperdine:

  1. Coesione, Senso di comunità, Input di comunità, Unità – tourist community services, attack detection by cooperation, coordination of group activities, trust driven access control;
  2. Prosperità, Senso del vicinato, Accettazione, Apertura mentale verso “estranei” – extended broadband coverage, 3G offloading, liability support, load balancing and adaptation, Shared devices;
  3. Opportunità di partecipare alle attività sociali, Opportunità d’impiego, Vitalità economica – shared device, proximity advertising;
  4. Comunicazione – intra ULOOP communication

Come poco sopra accennato, un’altra strada da seguire in questo lavoro  potrebbe essere quella di elaborare, con un contributo di tipo bottom up, degli indicatori di sostenibilità sociale specifici di ULOOP. Non avendo ancora un prototipo su cui lavorare, però, potremmo seguire questa strada su una comunità che rispecchi in qualche modo il modello di funzionamento di ULOOP.
Sostenibilità come Processo 
Tornando alla definizione di sostenibilità sociale data da McKenzie, egli ne parla sì come una condizione di miglioramento della vita in una comunità, descrivibile attraverso delle caratteristiche, ma anche come un processo interno alla comunità che serve a raggiungere quella condizione di equilibrio e realizzato attraverso dei meccanismi.
Meccanismi che contribuiscono nell’identificazione collettiva dei punti di forza della comunità e dei suoi bisogni; meccanismi interni di soddisfazione dei bisogni della comunità attraverso azioni collettive e meccanismi di azione politica per soddisfare le esigenze che non possono essere soddisfatte con l’azione della comunità.
Anche ULOOP prevede dei meccanismi, chiamati meccanismi di incentivo alla cooperazione, necessari per motivare le persone in modo che prendano parte a ULOOP, e dunque per far raggiungere una condizione di sostenibilità che ne permetta il funzionamento. I meccanismi di incentivo possono essere di vario tipo, in particolare: benefici che vengono dall’utilizzo di ULOOP per ogni soggetto, il coinvolgimento nella creazione di valore per sé e per gli altri, lo scambio di ruoli che permette un’equa distribuzione di vantaggi e svantaggi il meccanismo di creazione della reputazione, e aspetti più tecnici come la monetizzazione del valore prodotto. Seguendo il ragionamento di McKenzie, se la sostenibilità sociale considerata come risorsa o come quantità misurabile è descritta e definita da una serie di indicatori, per osservarla come processo dobbiamo, invece, rivolgere la nostra attenzione a quelle azioni prodotte dalla comunità stessa che danno forma e sviluppo al processo.
Trovo utile, dunque, approfondire la riflessione sugli stessi interrogativi di ricerca che si pone McKenzie a questo punto della sua analisi e cioè:

  • What are the main mechanisms by which the community collectively identifies its own needs?
  • How have these mechanisms developed?
  • Is the community satisfied with these mechanisms, and what are some ways in which they think these might be improved?
  • Does this community’s means to identify its needs provide a suitable model for consideration by other communities?
Ancora, dunque, non abbiamo risposte ma il nostro sguardo per osservare ULOOP si è allargato, oltre che approfondito.
È un processo che si sviluppa di volta in volta, perciò per gli step successivi, stay tuned! 😉

Secondo articolo della serie dedicata al progetto ULOOP curato da Erica Giambitto.
Dopo la panoramica sul progetto ULOOP pubblicata qualche settimana fa, cerchiamo ora di definire meglio il campo di ricerca  e di arricchirlo. Ci eravamo posti la domanda di ricerca “ULOOP è una tecnologia socialmente sostenibile?”, abbiamo delineato alcuni aspetti della sostenibilità sociale, come ad esempio una gestione delle risorse che mantenga l’equilibrio del sistema, ed anche una idea di sostenibilità sociale intesa come risorsa, come capitale sociale, che emerge da una rete collaborativa di relazioni. Questi, però, sono  solo alcuni aspetti della sostenibilità sociale che rimane un concetto che difficilmente può essere racchiuso in una definizione univoca e che può invece essere pensato come un concetto sfaccettato, come suggerito da Stephen McKenzie nel suo articolo Social Sustainability: Towards some definitions” (S. McKenzie, Social sustainability: Towards some definitions, Hawke Research Institute Working Paper Series n.27, Hawke Research Insitute, University of South Australia, Magill 2004). Per questo è stato osservato da un’ampia serie di punti di vista diversi.
Come possono esserci utili questi approcci nella nostra ricerca sulla sostenibilità sociale di ULOOP?
Innanzitutto nel delineare in modo sempre più preciso questo duplice aspetto della sostenibilità sociale che la vede, da un lato, come gestione, azione e quindi un processo in atto in una comunità e, dall’altro lato la vede come risorsa, come capitale sociale emergente dalle relazioni che legano la comunità. È importante, però, tenere a mente che quando parliamo di sistema e di relazioni in ULOOP stiamo parlando di diversi tipi di soggetti che entrano in relazione. Come indicato nel white paper 03 gli attori in gioco sono molteplici (ULOOP users, End-Users, Users, Subscribers, Consumers, Service Providers, Operators) e  quindi la sostenibilità sociale dovrebbe essere legata alla relazione fra questi soggetti.
Come vedremo, di per sé la sostenibilità sociale è un concetto complesso dunque cercheremo dapprima di comprenderlo meglio e in seguito di cercare dei legami con ULOOP.
Verso uno studio della sostenibilità sociale

<<When discussing social sustainability, ‘What is…’ or ‘What do we mean by…’ are immediate and automatic responses>> (McKenzie, 2004)

Il problema di definizione della sostenibilità sociale nasce dall’origine stessa del concetto. Frutto di un lungo processo scaturito dai primi interrogativi sull’impatto ambientale di un’industrializzazione del mondo sempre più spinta, può essere considerata una conseguenza degli interrogativi sulla sostenibilità economica e sulla sostenibilità ambientale in un’ottica di sviluppo sostenibile. La ricerca sulla sostenibilità sociale è ancora molto legata ad aspetti economici ed ambientali, e non deve esserne svincolata, ma per poterla comprendere e analizzare veramente e per poterla valorizzare adeguatamente è necessario, secondo McKenzie focalizzarsi su di essa attraverso un approccio specifico realizzato dalle scienze sociali.
Negli anni Sessanta sorgevano i primi problemi di sostenibilità ambientale delle imprese e delle economie e, per questo, iniziava a sentirsi la necessità di elaborare delle politiche di sviluppo che permettessero una crescita economica non deleteria per l’ambiente e che migliorasse le qualità della vita delle persone. Nacque per questo l’Organizzazione per lo Sviluppo e la Cooperazione Economica (OECD).
Negli anni Ottanta si fece un notevole passo avanti nell’agenda della sostenibilità. La Commissione delle Nazioni Unite su Sviluppo e Ambiente (fondata nel 1983 dalle Nazioni Unite) inizia il suo lavoro per una nuova era di crescita economica basata su politiche che sostengono e proteggono le risorse ambientali. Viene riconosciuto da un lato l’aggravarsi dei problemi ambientali e, dall’altro, che questi problemi ambientali potevano essere dovuti anche a fattori sociali: degrado, povertà, pressione demografica e diseguaglianza sociale sono alcuni dei fattori sociali individuati come maggiore causa di degrado ambientale.
Si comincia a parlare di sviluppo sostenibile come mantenimento di <<processi ecologici essenziali e sistemi di supporto alla vita>> . (IUCN/UNEP/WWF, World conservation strategy: living resource conservation for sustainable development, IUCN/UNEP/WWF, Gland, Switzerland, 1980. Citato in McKenzie 2004, p. 4).
Da qui il passo successivo è rappresentato dal rapporto Brundtland, il quale definisce lo sviluppo sostenibile come

<<uno sviluppo che incontra i bisogni del presente senza compromettere le capacità delle future generazioni di soddisfare i propri bisogni>> (WCED, Brundtland G.H , Mansour  K.,  1987 common future,  Oxford University Press, Oxford, GB; Citato in Canu 2011).

Il fattore sociale viene di fatto inserito nell’agenda della sostenibilità, ma nonostante questo le critiche mosse a questo approccio mostrano alcune perplessità.
McKenzie fa notare che il fattore sociale, sebbene incluso nell’agenda di ricerca è ancora “subordinato” all’idea dello sviluppo economico di tipo “colonialista”, le stesse perplessità che sollevava Latouche e che abbiamo considerato nel nostro precedente articolo.
L’idea secondo cui portando sviluppo economico nelle aree con basso capitale sociale e cioè con scarsa coesione sociale e povertà, si può invertire la tendenza riducendo così l’impatto ambientale, è fortemente criticata poiché rispecchia, secondo Joshi, un’ottica colonialista e non un vero interesse per l’ambiente e per una società più equa (M M Joshi, Sustainable consumption: issues of a paradigm shift, Indian Council of Social Science Research, Occasional Monograph Series, No 1, New Delhi, 2002, p 7; Citato in McKenzie 2004, p. 4). Un’altra critica è stata mossa alla “vaghezza” della definizione: spesso questa si trasforma in una cortina di fumo dietro la quale si nascondono le imprese per non realizzare realmente uno sviluppo più equo. (Michael Jacobs, ‘Sustainable development: a contested concept’ in A Dobson, ed, Fairness and futurity: essays on environmental sustainability and social justice, Oxford University Press, Oxford, 1999, p 24; Citato in McKenzie 2004).
Il problema più importante ai fini della nostra ricerca continua ad essere il fatto che i principali “soggetti” considerati rimangono l’ambiente e lo sviluppo economico. Il tentativo di creare un equilibrio tra questi due fattori, considerati come contrapposti, non ha permesso di considerare il fattore sociale come altrettanto importante.
Negli anni Novanta le Università Australiane e la ricerca Australiana, si sono mosse per realizzare un approccio sempre più interdisciplinare alla sostenibilità. Dove per interdisciplinare si intende una sinergia tra dipartimenti di ricerca, dedicati ognuno ad un aspetto delle scienze sociali. Tra queste il Group of Eight cioè la rete delle otto università più antiche e prestigiose dell’Australia, la University of Queensland Faculty of Social and Behavioural Sciences; la Australian Academy of, the Humanities; l’Academy of the Social Sciences; la University of New South Wales Social Policy Research Centre e la University of New England Institute for Rural Futures.
Da qui, la University of South Australia ha lavorato sulla definizione di sostenibilità:

<<Sustainability—including sustainable environments, sustainable societies and sustainable economies. This priority would mean attention inter alia to issues relating to water use, renewable energy, democratic citizenship, social justice, equity, impact of globalised economies on work and triple bottom line approaches.>> (intervento della University of South Australia durante il processo consultativo sulle priorità di ricerca nazionali Australiane, citato da McKenzie 2004 )

Successivamente ha dato vita all’Hawke Research Institute proprio per dedicarsi in modo specifico ai fattori sociali che incidono sulla sostenibilità. Nonostante questi sforzi, l’impronta di ricerca a livello nazionale era ancora molto legata alle scienze economiche e tecniche, per questo la National Academy of the Humanities ha cercato di specificare riorganizzare gli obiettivi di ricerca:

<< We believe that the existing priority goals need to be re-drafted to acknowledge the fundamental human origins of environmental problems>> (National Academy of the Humanities,The humanities and Australia’s National Research Priorities p.13, citato in McKenzie 2004)

La sostenibilità ambientale è, secondo questa idea, anche una questione sociale, dal momento che i problemi ambientali hanno origine dal comportamento dell’uomo. Questo ha permesso finalmente di riconoscere il ruolo centrale degli elementi sociali e culturali nella questione della sostenibilità. La ricerca delle scienze sociali si sta affermando come campo autonomo di analisi, anche se al momento ancora risente di questa consapevolezza giunta in un secondo momento. Le scienze sociali sono ancora considerate come qualcosa da integrare in un processo già cominciato, come supporto ad un processo di analisi già iniziato.
Per McKenzie, dunque è sì necessaria una ricerca interdisciplinare sul concetto di sostenibilità ma, prima di tutto, è necessario che le scienze sociali si interroghino in maniera autonoma e indipendente sul concetto di sostenibilità sociale. Una volta definita la sostenibilità sociale come un campo indipendente di studi, una volta elaborati dei modelli di analisi, allora la ricerca sociale, quella ambientale ed economica potranno lavorare in sinergia per lo sviluppo di una sostenibilità che vede i fattori ambientali, sociali ed economici come equivalenti.
Verso una definizione di sostenibilità sociale
Nel suo testo McKenzie fornisce una definizione operativa di sostenibilità sociale:

<<Social sustainability is: a life-enhancing condition within communities, and a process within communities that can achieve that condition.>> (S. McKenzie, Social sustainability: Towards some definitions, Hawke Research Institute Working Paper Series n.27, Hawke Research Insitute, University of South Australia, Magill 2004, p. 12.)

La sostenibilità sociale è dunque vista come una condizione descritta da alcune caratteristiche che, quando presenti, sono considerate come indicatori della condizione stessa. Gli ultimi tre elementi sono invece dei meccanismi, essi descrivono delle azioni che rendono possibile il processo di sostenibilità sociale:

  • Equità d’accesso ai servizi chiave (incluse salute, educazione, trasporti, casa e svaghi);
  • Equità tra le generazioni (le future generazioni non saranno svantaggiate dalle attività della generazione attuale);
  • Un sistema di relazioni culturali in cui gli aspetti positivi di culture diverse sono valorizzati e protetti, e in cui l’integrazione culturale è supportata e promossa quando è desiderata da individui e gruppi;
  • La diffusa partecipazione politica dei cittadini non solo nelle procedure elettorali ma anche nelle altre aree dell’attività politica, particolarmente a livello locale;
  • Un sistema per trasmettere consapevolezza sulla sostenibilità sociale da una generazione alla successiva;
  • Un senso di responsabilità di comunità per mantenere quel sistema di trasmissione;
  • Meccanismi che permettono ad una comunità di identificare collettivamente le sue capacità e i suoi bisogni;
  • Meccanismi che permettono ad una comunità di soddisfare i suoi stessi bisogni dove possibile attraverso  un’azione di comunità;
  • Meccanismi di difesa politica per soddisfare le esigenze che non possono essere soddisfatte con l’azione della comunità.

Sostenibilità come condizione misurabile e come capitale sociale emergente
La sostenibilità è qui intesa come una condizione misurabile in base alla presenza o all’assenza di questi indicatori, al momento riduttivi e non esaustivi, attraverso cui è possibile, per McKenzie, sviluppare un’agenda di ricerca della sostenibilità sociale che faccia esclusivo riferimento all’aspetto sociale.
Un altro studio in questo senso è quello compiuto da Cocklin e Alston per la  Academy of the Social Sciences realizzata all’interno del progetto Australia’s Community Sustainability (Chris Cocklin and Margaret Alston, eds., Community sustainability in rural Australia: a question of capital, Centre for Rural Social Research, Wagga Wagga, NSW, 2003; Citato in McKenzie 2004). Lo scopo degli autori è quello di misurare e valutare le variazioni del capitale sociale in una comunità monitorando le variazioni all’interno dei cinque sottoinsiemi che lo compongono: capitale naturale (risorse naturali), umano (conoscenza e abilità dei singoli individui), sociale (reti produttive e valori condivisi), istituzionale (strutture istituzionali nel privato, nel pubblico e nel terzo settore) e di prodotto (costruzioni, beni prodotti, risorse monetarie). L’ipotesi di lavoro è che la sostenibilità sociale di una comunità sia misurabile rispetto alla presenza e al valore di questi “stock” di capitale in diversi settori.
Nel nostro primo articolo avevamo visto come ULOOP potesse configurarsi come una rete di relazioni da cui emerge capitale sociale e, quindi, tenendo come riferimento il modello di sviluppo fornito nel white paper 03 e non avendo ancora un caso reale su cui lavorare, potremmo utilizzare le caratteristiche distintive di ULOOP per ipotizzare delle sottocategorie: Capitale di Risorse (ampiezza di banda, potere computazionale, livello di energia, stampanti); Capitale di Informazioni (info turistiche, pubblicità, opinioni, localizzazioni); Capitale Potenziale (o di Disponibilità:  risorse computazionali, di connessione internet, di servizi, di informazioni); Capitale di Sicurezza (supporto alla mobilità, trasferimenti trasparenti); potremmo aggiungere una sottocategoria dedicata al Capitale Umano (conoscenze, abilità, disponibilità di diventare nodi) e una sottocategoria dedicata al Capitale di Struttura (fornita da operatori e da service provider).
L’ipotesi di Cocklin e Alston viene approfondita da Pepperdine (Sharon Pepperdine, Social Indicators of Rural Community Sustainability: An Example from the Woady Yaloak Catchment, 2000, Department of Geography & Environmental Studies, The University of Melbourne), che  in uno studio specifico sulla comunità di Woady Yaloak Catchmen (comunità di rinnovamento del territorio attraverso uno sviluppo sostenibile, portato avanti grazie a contributi “bottom up” della popolazione), cerca di sviluppare degli indicatori sociali che descrivano la sostenibilità sociale, anche grazie alla partecipazione degli appartenenti alla comunità. Attraverso interviste, sondaggi e questionari ha identificato degli importanti temi ritenuti rilevanti che ha successivamente raggruppato in 15 indicatori chiave della sostenibilità sociale.

  1. Coesione: coordinamento, abilità di lavorare insieme
  2. Senso di comunità: vita di comunità, partecipazione attiva
  3. Prosperità: ricambio della popolazione inclusi i giovani adulti, mentalità positiva, rivendita di proprietà
  4. Senso del vicinato: comunità amichevole e di supporto
  5. Accettazione: differenti punti di vista, di idee, di nuovi arrivati; conoscenza dei vicini
  6. Opportunità di partecipare alle attività sociali (intrattenimento, culturale, ricreazionale e sport) e affari pubblici; presenza di persone motivate ed entusiaste
  7. Opportunità d’impiego che includano giovani e adulti
  8. Scarsa integrazione sociale: separazioni di famiglie, droga e crimine, suicidio
  9. Attaccamento all’area
  10. Apertura mentale: apertura verso “estranei” e donne
  11. Vitalità economica: tempo per vacanze e svago, pensionamento, sicurezza finanziaria
  12. Input di comunità: gruppi di comunità, negozi locali, fiducia della comunità in se stessa
  13. Comunicazione: quotidiano locale
  14. Unità: volontariato, valori comuni
  15. Stabilità della popolazione

Questi indicatori forniscono, secondo Pepperdine uno strumento per ottenere una visione soggettiva, dall’interno di una comunità sulla sua sostenibilità misurando la realtà in cui vivono. Sono indicatori sociali soggettivi e possono essere usati a fianco degli indicatori “oggettivi”, come ad esempio i dati di censimento, per dare un’immagine più ampia delle tendenze nella sostenibilità e che la svincolano da indicatori legati principalmente allo sviluppo economico.
Un fatto importante da mettere in evidenza secondo Pepperdine è che gli indicatori ritenuti più rilevanti dalla popolazione riguardano la coesione sociale, il senso di appartenenza, il senso del vicinato e l’accettazione della diversità; indicatori molto diversi da quelli considerati tradizionalmente come “oggettivi” (prosperità economica, possibilità d’impiego e vitalità economica) e che, secondo la popolazione, consentono alla comunità di proseguire e di migliorare nel suo progetto di riqualificazione sostenibile del territorio.
Lo studio di Pepperdine fa riferimento ad una specifica comunità rurale e ci rendiamo conto dei limiti che questo comporta nella nostra ricerca.  È importante, infatti, esplicitare che gli indicatori così sviluppati sono specifici di quella comunità, sebbene siano abbastanza generali da poter essere utilizzati anche in altri luoghi. Credo, dunque, che sia necessario sviluppare degli indicatori specifici per il nostro progetto. Visto però lo stato dell’arte nella ricerca sulla sostenibilità sociale e la sua, ancora forte, subordinazione al concetto di sostenibilità ambientale in relazione ad un territorio, una così selettiva attenzione agli aspetti sociali messa in atto dalla comunità stessa ci sembra particolarmente interessante. È necessario anche considerare che qui si fa riferimento ad un territorio specifico e al suo sviluppo reso possibile dal senso di comunità interno e dalla vicinanza fisica.
Nel caso di ULOOP, invece, sebbene ci sia un legame con il luogo fisico (per citare alcuni esempi legati allo spazio: geolocalizzazione, estensione della copertura tra nodi vicini, advertising di prossimità, informazioni turistiche fornite dagli abitanti locali) potrebbe non svilupparsi quella percezione di territorio fisico da condividere e valorizzare con uno sforzo comune. Ma se consideriamo un altro tipo di territorio, un altro tipo di luogo che è quello prodotto dalla comunicazione (scambi comunicativi, di relazione e di dati), ULOOP potrebbe essere percepito come uno spazio, sì virtuale, ma da tenere “in vita” attraverso la partecipazione di ogni singolo individuo coinvolto.
Potremmo, seguendo questa direzione,  dire che questa partecipazione per essere efficace, e dunque garantire come effetto il funzionamento della rete ULOOP, dovrebbe possedere e rispecchiare gli indicatori di sostenibilità sociale sopra proposti. Potremmo, quindi, ricercare nei casi d’uso previsti dal progetto, quei temi identificati da Pepperdine:

  1. Coesione, Senso di comunità, Input di comunità, Unità – tourist community services, attack detection by cooperation, coordination of group activities, trust driven access control;
  2. Prosperità, Senso del vicinato, Accettazione, Apertura mentale verso “estranei” – extended broadband coverage, 3G offloading, liability support, load balancing and adaptation, Shared devices;
  3. Opportunità di partecipare alle attività sociali, Opportunità d’impiego, Vitalità economica – shared device, proximity advertising;
  4. Comunicazione – intra ULOOP communication

Come poco sopra accennato, un’altra strada da seguire in questo lavoro  potrebbe essere quella di elaborare, con un contributo di tipo bottom up, degli indicatori di sostenibilità sociale specifici di ULOOP. Non avendo ancora un prototipo su cui lavorare, però, potremmo seguire questa strada su una comunità che rispecchi in qualche modo il modello di funzionamento di ULOOP.
Sostenibilità come Processo 
Tornando alla definizione di sostenibilità sociale data da McKenzie, egli ne parla sì come una condizione di miglioramento della vita in una comunità, descrivibile attraverso delle caratteristiche, ma anche come un processo interno alla comunità che serve a raggiungere quella condizione di equilibrio e realizzato attraverso dei meccanismi.
Meccanismi che contribuiscono nell’identificazione collettiva dei punti di forza della comunità e dei suoi bisogni; meccanismi interni di soddisfazione dei bisogni della comunità attraverso azioni collettive e meccanismi di azione politica per soddisfare le esigenze che non possono essere soddisfatte con l’azione della comunità.
Anche ULOOP prevede dei meccanismi, chiamati meccanismi di incentivo alla cooperazione, necessari per motivare le persone in modo che prendano parte a ULOOP, e dunque per far raggiungere una condizione di sostenibilità che ne permetta il funzionamento. I meccanismi di incentivo possono essere di vario tipo, in particolare: benefici che vengono dall’utilizzo di ULOOP per ogni soggetto, il coinvolgimento nella creazione di valore per sé e per gli altri, lo scambio di ruoli che permette un’equa distribuzione di vantaggi e svantaggi il meccanismo di creazione della reputazione, e aspetti più tecnici come la monetizzazione del valore prodotto. Seguendo il ragionamento di McKenzie, se la sostenibilità sociale considerata come risorsa o come quantità misurabile è descritta e definita da una serie di indicatori, per osservarla come processo dobbiamo, invece, rivolgere la nostra attenzione a quelle azioni prodotte dalla comunità stessa che danno forma e sviluppo al processo.
Trovo utile, dunque, approfondire la riflessione sugli stessi interrogativi di ricerca che si pone McKenzie a questo punto della sua analisi e cioè:

  • What are the main mechanisms by which the community collectively identifies its own needs?
  • How have these mechanisms developed?
  • Is the community satisfied with these mechanisms, and what are some ways in which they think these might be improved?
  • Does this community’s means to identify its needs provide a suitable model for consideration by other communities?
Ancora, dunque, non abbiamo risposte ma il nostro sguardo per osservare ULOOP si è allargato, oltre che approfondito.
È un processo che si sviluppa di volta in volta, perciò per gli step successivi, stay tuned! 😉

Secondo articolo della serie dedicata al progetto ULOOP curato da Erica Giambitto.
Dopo la panoramica sul progetto ULOOP pubblicata qualche settimana fa, cerchiamo ora di definire meglio il campo di ricerca  e di arricchirlo. Ci eravamo posti la domanda di ricerca “ULOOP è una tecnologia socialmente sostenibile?”, abbiamo delineato alcuni aspetti della sostenibilità sociale, come ad esempio una gestione delle risorse che mantenga l’equilibrio del sistema, ed anche una idea di sostenibilità sociale intesa come risorsa, come capitale sociale, che emerge da una rete collaborativa di relazioni. Questi, però, sono  solo alcuni aspetti della sostenibilità sociale che rimane un concetto che difficilmente può essere racchiuso in una definizione univoca e che può invece essere pensato come un concetto sfaccettato, come suggerito da Stephen McKenzie nel suo articolo Social Sustainability: Towards some definitions” (S. McKenzie, Social sustainability: Towards some definitions, Hawke Research Institute Working Paper Series n.27, Hawke Research Insitute, University of South Australia, Magill 2004). Per questo è stato osservato da un’ampia serie di punti di vista diversi.
Come possono esserci utili questi approcci nella nostra ricerca sulla sostenibilità sociale di ULOOP?
Innanzitutto nel delineare in modo sempre più preciso questo duplice aspetto della sostenibilità sociale che la vede, da un lato, come gestione, azione e quindi un processo in atto in una comunità e, dall’altro lato la vede come risorsa, come capitale sociale emergente dalle relazioni che legano la comunità. È importante, però, tenere a mente che quando parliamo di sistema e di relazioni in ULOOP stiamo parlando di diversi tipi di soggetti che entrano in relazione. Come indicato nel white paper 03 gli attori in gioco sono molteplici (ULOOP users, End-Users, Users, Subscribers, Consumers, Service Providers, Operators) e  quindi la sostenibilità sociale dovrebbe essere legata alla relazione fra questi soggetti.
Come vedremo, di per sé la sostenibilità sociale è un concetto complesso dunque cercheremo dapprima di comprenderlo meglio e in seguito di cercare dei legami con ULOOP.
Verso uno studio della sostenibilità sociale

<<When discussing social sustainability, ‘What is…’ or ‘What do we mean by…’ are immediate and automatic responses>> (McKenzie, 2004)

Il problema di definizione della sostenibilità sociale nasce dall’origine stessa del concetto. Frutto di un lungo processo scaturito dai primi interrogativi sull’impatto ambientale di un’industrializzazione del mondo sempre più spinta, può essere considerata una conseguenza degli interrogativi sulla sostenibilità economica e sulla sostenibilità ambientale in un’ottica di sviluppo sostenibile. La ricerca sulla sostenibilità sociale è ancora molto legata ad aspetti economici ed ambientali, e non deve esserne svincolata, ma per poterla comprendere e analizzare veramente e per poterla valorizzare adeguatamente è necessario, secondo McKenzie focalizzarsi su di essa attraverso un approccio specifico realizzato dalle scienze sociali.
Negli anni Sessanta sorgevano i primi problemi di sostenibilità ambientale delle imprese e delle economie e, per questo, iniziava a sentirsi la necessità di elaborare delle politiche di sviluppo che permettessero una crescita economica non deleteria per l’ambiente e che migliorasse le qualità della vita delle persone. Nacque per questo l’Organizzazione per lo Sviluppo e la Cooperazione Economica (OECD).
Negli anni Ottanta si fece un notevole passo avanti nell’agenda della sostenibilità. La Commissione delle Nazioni Unite su Sviluppo e Ambiente (fondata nel 1983 dalle Nazioni Unite) inizia il suo lavoro per una nuova era di crescita economica basata su politiche che sostengono e proteggono le risorse ambientali. Viene riconosciuto da un lato l’aggravarsi dei problemi ambientali e, dall’altro, che questi problemi ambientali potevano essere dovuti anche a fattori sociali: degrado, povertà, pressione demografica e diseguaglianza sociale sono alcuni dei fattori sociali individuati come maggiore causa di degrado ambientale.
Si comincia a parlare di sviluppo sostenibile come mantenimento di <<processi ecologici essenziali e sistemi di supporto alla vita>> . (IUCN/UNEP/WWF, World conservation strategy: living resource conservation for sustainable development, IUCN/UNEP/WWF, Gland, Switzerland, 1980. Citato in McKenzie 2004, p. 4).
Da qui il passo successivo è rappresentato dal rapporto Brundtland, il quale definisce lo sviluppo sostenibile come

<<uno sviluppo che incontra i bisogni del presente senza compromettere le capacità delle future generazioni di soddisfare i propri bisogni>> (WCED, Brundtland G.H , Mansour  K.,  1987 common future,  Oxford University Press, Oxford, GB; Citato in Canu 2011).

Il fattore sociale viene di fatto inserito nell’agenda della sostenibilità, ma nonostante questo le critiche mosse a questo approccio mostrano alcune perplessità.
McKenzie fa notare che il fattore sociale, sebbene incluso nell’agenda di ricerca è ancora “subordinato” all’idea dello sviluppo economico di tipo “colonialista”, le stesse perplessità che sollevava Latouche e che abbiamo considerato nel nostro precedente articolo.
L’idea secondo cui portando sviluppo economico nelle aree con basso capitale sociale e cioè con scarsa coesione sociale e povertà, si può invertire la tendenza riducendo così l’impatto ambientale, è fortemente criticata poiché rispecchia, secondo Joshi, un’ottica colonialista e non un vero interesse per l’ambiente e per una società più equa (M M Joshi, Sustainable consumption: issues of a paradigm shift, Indian Council of Social Science Research, Occasional Monograph Series, No 1, New Delhi, 2002, p 7; Citato in McKenzie 2004, p. 4). Un’altra critica è stata mossa alla “vaghezza” della definizione: spesso questa si trasforma in una cortina di fumo dietro la quale si nascondono le imprese per non realizzare realmente uno sviluppo più equo. (Michael Jacobs, ‘Sustainable development: a contested concept’ in A Dobson, ed, Fairness and futurity: essays on environmental sustainability and social justice, Oxford University Press, Oxford, 1999, p 24; Citato in McKenzie 2004).
Il problema più importante ai fini della nostra ricerca continua ad essere il fatto che i principali “soggetti” considerati rimangono l’ambiente e lo sviluppo economico. Il tentativo di creare un equilibrio tra questi due fattori, considerati come contrapposti, non ha permesso di considerare il fattore sociale come altrettanto importante.
Negli anni Novanta le Università Australiane e la ricerca Australiana, si sono mosse per realizzare un approccio sempre più interdisciplinare alla sostenibilità. Dove per interdisciplinare si intende una sinergia tra dipartimenti di ricerca, dedicati ognuno ad un aspetto delle scienze sociali. Tra queste il Group of Eight cioè la rete delle otto università più antiche e prestigiose dell’Australia, la University of Queensland Faculty of Social and Behavioural Sciences; la Australian Academy of, the Humanities; l’Academy of the Social Sciences; la University of New South Wales Social Policy Research Centre e la University of New England Institute for Rural Futures.
Da qui, la University of South Australia ha lavorato sulla definizione di sostenibilità:

<<Sustainability—including sustainable environments, sustainable societies and sustainable economies. This priority would mean attention inter alia to issues relating to water use, renewable energy, democratic citizenship, social justice, equity, impact of globalised economies on work and triple bottom line approaches.>> (intervento della University of South Australia durante il processo consultativo sulle priorità di ricerca nazionali Australiane, citato da McKenzie 2004 )

Successivamente ha dato vita all’Hawke Research Institute proprio per dedicarsi in modo specifico ai fattori sociali che incidono sulla sostenibilità. Nonostante questi sforzi, l’impronta di ricerca a livello nazionale era ancora molto legata alle scienze economiche e tecniche, per questo la National Academy of the Humanities ha cercato di specificare riorganizzare gli obiettivi di ricerca:

<< We believe that the existing priority goals need to be re-drafted to acknowledge the fundamental human origins of environmental problems>> (National Academy of the Humanities,The humanities and Australia’s National Research Priorities p.13, citato in McKenzie 2004)

La sostenibilità ambientale è, secondo questa idea, anche una questione sociale, dal momento che i problemi ambientali hanno origine dal comportamento dell’uomo. Questo ha permesso finalmente di riconoscere il ruolo centrale degli elementi sociali e culturali nella questione della sostenibilità. La ricerca delle scienze sociali si sta affermando come campo autonomo di analisi, anche se al momento ancora risente di questa consapevolezza giunta in un secondo momento. Le scienze sociali sono ancora considerate come qualcosa da integrare in un processo già cominciato, come supporto ad un processo di analisi già iniziato.
Per McKenzie, dunque è sì necessaria una ricerca interdisciplinare sul concetto di sostenibilità ma, prima di tutto, è necessario che le scienze sociali si interroghino in maniera autonoma e indipendente sul concetto di sostenibilità sociale. Una volta definita la sostenibilità sociale come un campo indipendente di studi, una volta elaborati dei modelli di analisi, allora la ricerca sociale, quella ambientale ed economica potranno lavorare in sinergia per lo sviluppo di una sostenibilità che vede i fattori ambientali, sociali ed economici come equivalenti.
Verso una definizione di sostenibilità sociale
Nel suo testo McKenzie fornisce una definizione operativa di sostenibilità sociale:

<<Social sustainability is: a life-enhancing condition within communities, and a process within communities that can achieve that condition.>> (S. McKenzie, Social sustainability: Towards some definitions, Hawke Research Institute Working Paper Series n.27, Hawke Research Insitute, University of South Australia, Magill 2004, p. 12.)

La sostenibilità sociale è dunque vista come una condizione descritta da alcune caratteristiche che, quando presenti, sono considerate come indicatori della condizione stessa. Gli ultimi tre elementi sono invece dei meccanismi, essi descrivono delle azioni che rendono possibile il processo di sostenibilità sociale:

  • Equità d’accesso ai servizi chiave (incluse salute, educazione, trasporti, casa e svaghi);
  • Equità tra le generazioni (le future generazioni non saranno svantaggiate dalle attività della generazione attuale);
  • Un sistema di relazioni culturali in cui gli aspetti positivi di culture diverse sono valorizzati e protetti, e in cui l’integrazione culturale è supportata e promossa quando è desiderata da individui e gruppi;
  • La diffusa partecipazione politica dei cittadini non solo nelle procedure elettorali ma anche nelle altre aree dell’attività politica, particolarmente a livello locale;
  • Un sistema per trasmettere consapevolezza sulla sostenibilità sociale da una generazione alla successiva;
  • Un senso di responsabilità di comunità per mantenere quel sistema di trasmissione;
  • Meccanismi che permettono ad una comunità di identificare collettivamente le sue capacità e i suoi bisogni;
  • Meccanismi che permettono ad una comunità di soddisfare i suoi stessi bisogni dove possibile attraverso  un’azione di comunità;
  • Meccanismi di difesa politica per soddisfare le esigenze che non possono essere soddisfatte con l’azione della comunità.

Sostenibilità come condizione misurabile e come capitale sociale emergente
La sostenibilità è qui intesa come una condizione misurabile in base alla presenza o all’assenza di questi indicatori, al momento riduttivi e non esaustivi, attraverso cui è possibile, per McKenzie, sviluppare un’agenda di ricerca della sostenibilità sociale che faccia esclusivo riferimento all’aspetto sociale.
Un altro studio in questo senso è quello compiuto da Cocklin e Alston per la  Academy of the Social Sciences realizzata all’interno del progetto Australia’s Community Sustainability (Chris Cocklin and Margaret Alston, eds., Community sustainability in rural Australia: a question of capital, Centre for Rural Social Research, Wagga Wagga, NSW, 2003; Citato in McKenzie 2004). Lo scopo degli autori è quello di misurare e valutare le variazioni del capitale sociale in una comunità monitorando le variazioni all’interno dei cinque sottoinsiemi che lo compongono: capitale naturale (risorse naturali), umano (conoscenza e abilità dei singoli individui), sociale (reti produttive e valori condivisi), istituzionale (strutture istituzionali nel privato, nel pubblico e nel terzo settore) e di prodotto (costruzioni, beni prodotti, risorse monetarie). L’ipotesi di lavoro è che la sostenibilità sociale di una comunità sia misurabile rispetto alla presenza e al valore di questi “stock” di capitale in diversi settori.
Nel nostro primo articolo avevamo visto come ULOOP potesse configurarsi come una rete di relazioni da cui emerge capitale sociale e, quindi, tenendo come riferimento il modello di sviluppo fornito nel white paper 03 e non avendo ancora un caso reale su cui lavorare, potremmo utilizzare le caratteristiche distintive di ULOOP per ipotizzare delle sottocategorie: Capitale di Risorse (ampiezza di banda, potere computazionale, livello di energia, stampanti); Capitale di Informazioni (info turistiche, pubblicità, opinioni, localizzazioni); Capitale Potenziale (o di Disponibilità:  risorse computazionali, di connessione internet, di servizi, di informazioni); Capitale di Sicurezza (supporto alla mobilità, trasferimenti trasparenti); potremmo aggiungere una sottocategoria dedicata al Capitale Umano (conoscenze, abilità, disponibilità di diventare nodi) e una sottocategoria dedicata al Capitale di Struttura (fornita da operatori e da service provider).
L’ipotesi di Cocklin e Alston viene approfondita da Pepperdine (Sharon Pepperdine, Social Indicators of Rural Community Sustainability: An Example from the Woady Yaloak Catchment, 2000, Department of Geography & Environmental Studies, The University of Melbourne), che  in uno studio specifico sulla comunità di Woady Yaloak Catchmen (comunità di rinnovamento del territorio attraverso uno sviluppo sostenibile, portato avanti grazie a contributi “bottom up” della popolazione), cerca di sviluppare degli indicatori sociali che descrivano la sostenibilità sociale, anche grazie alla partecipazione degli appartenenti alla comunità. Attraverso interviste, sondaggi e questionari ha identificato degli importanti temi ritenuti rilevanti che ha successivamente raggruppato in 15 indicatori chiave della sostenibilità sociale.

  1. Coesione: coordinamento, abilità di lavorare insieme
  2. Senso di comunità: vita di comunità, partecipazione attiva
  3. Prosperità: ricambio della popolazione inclusi i giovani adulti, mentalità positiva, rivendita di proprietà
  4. Senso del vicinato: comunità amichevole e di supporto
  5. Accettazione: differenti punti di vista, di idee, di nuovi arrivati; conoscenza dei vicini
  6. Opportunità di partecipare alle attività sociali (intrattenimento, culturale, ricreazionale e sport) e affari pubblici; presenza di persone motivate ed entusiaste
  7. Opportunità d’impiego che includano giovani e adulti
  8. Scarsa integrazione sociale: separazioni di famiglie, droga e crimine, suicidio
  9. Attaccamento all’area
  10. Apertura mentale: apertura verso “estranei” e donne
  11. Vitalità economica: tempo per vacanze e svago, pensionamento, sicurezza finanziaria
  12. Input di comunità: gruppi di comunità, negozi locali, fiducia della comunità in se stessa
  13. Comunicazione: quotidiano locale
  14. Unità: volontariato, valori comuni
  15. Stabilità della popolazione

Questi indicatori forniscono, secondo Pepperdine uno strumento per ottenere una visione soggettiva, dall’interno di una comunità sulla sua sostenibilità misurando la realtà in cui vivono. Sono indicatori sociali soggettivi e possono essere usati a fianco degli indicatori “oggettivi”, come ad esempio i dati di censimento, per dare un’immagine più ampia delle tendenze nella sostenibilità e che la svincolano da indicatori legati principalmente allo sviluppo economico.
Un fatto importante da mettere in evidenza secondo Pepperdine è che gli indicatori ritenuti più rilevanti dalla popolazione riguardano la coesione sociale, il senso di appartenenza, il senso del vicinato e l’accettazione della diversità; indicatori molto diversi da quelli considerati tradizionalmente come “oggettivi” (prosperità economica, possibilità d’impiego e vitalità economica) e che, secondo la popolazione, consentono alla comunità di proseguire e di migliorare nel suo progetto di riqualificazione sostenibile del territorio.
Lo studio di Pepperdine fa riferimento ad una specifica comunità rurale e ci rendiamo conto dei limiti che questo comporta nella nostra ricerca.  È importante, infatti, esplicitare che gli indicatori così sviluppati sono specifici di quella comunità, sebbene siano abbastanza generali da poter essere utilizzati anche in altri luoghi. Credo, dunque, che sia necessario sviluppare degli indicatori specifici per il nostro progetto. Visto però lo stato dell’arte nella ricerca sulla sostenibilità sociale e la sua, ancora forte, subordinazione al concetto di sostenibilità ambientale in relazione ad un territorio, una così selettiva attenzione agli aspetti sociali messa in atto dalla comunità stessa ci sembra particolarmente interessante. È necessario anche considerare che qui si fa riferimento ad un territorio specifico e al suo sviluppo reso possibile dal senso di comunità interno e dalla vicinanza fisica.
Nel caso di ULOOP, invece, sebbene ci sia un legame con il luogo fisico (per citare alcuni esempi legati allo spazio: geolocalizzazione, estensione della copertura tra nodi vicini, advertising di prossimità, informazioni turistiche fornite dagli abitanti locali) potrebbe non svilupparsi quella percezione di territorio fisico da condividere e valorizzare con uno sforzo comune. Ma se consideriamo un altro tipo di territorio, un altro tipo di luogo che è quello prodotto dalla comunicazione (scambi comunicativi, di relazione e di dati), ULOOP potrebbe essere percepito come uno spazio, sì virtuale, ma da tenere “in vita” attraverso la partecipazione di ogni singolo individuo coinvolto.
Potremmo, seguendo questa direzione,  dire che questa partecipazione per essere efficace, e dunque garantire come effetto il funzionamento della rete ULOOP, dovrebbe possedere e rispecchiare gli indicatori di sostenibilità sociale sopra proposti. Potremmo, quindi, ricercare nei casi d’uso previsti dal progetto, quei temi identificati da Pepperdine:

  1. Coesione, Senso di comunità, Input di comunità, Unità – tourist community services, attack detection by cooperation, coordination of group activities, trust driven access control;
  2. Prosperità, Senso del vicinato, Accettazione, Apertura mentale verso “estranei” – extended broadband coverage, 3G offloading, liability support, load balancing and adaptation, Shared devices;
  3. Opportunità di partecipare alle attività sociali, Opportunità d’impiego, Vitalità economica – shared device, proximity advertising;
  4. Comunicazione – intra ULOOP communication

Come poco sopra accennato, un’altra strada da seguire in questo lavoro  potrebbe essere quella di elaborare, con un contributo di tipo bottom up, degli indicatori di sostenibilità sociale specifici di ULOOP. Non avendo ancora un prototipo su cui lavorare, però, potremmo seguire questa strada su una comunità che rispecchi in qualche modo il modello di funzionamento di ULOOP.
Sostenibilità come Processo 
Tornando alla definizione di sostenibilità sociale data da McKenzie, egli ne parla sì come una condizione di miglioramento della vita in una comunità, descrivibile attraverso delle caratteristiche, ma anche come un processo interno alla comunità che serve a raggiungere quella condizione di equilibrio e realizzato attraverso dei meccanismi.
Meccanismi che contribuiscono nell’identificazione collettiva dei punti di forza della comunità e dei suoi bisogni; meccanismi interni di soddisfazione dei bisogni della comunità attraverso azioni collettive e meccanismi di azione politica per soddisfare le esigenze che non possono essere soddisfatte con l’azione della comunità.
Anche ULOOP prevede dei meccanismi, chiamati meccanismi di incentivo alla cooperazione, necessari per motivare le persone in modo che prendano parte a ULOOP, e dunque per far raggiungere una condizione di sostenibilità che ne permetta il funzionamento. I meccanismi di incentivo possono essere di vario tipo, in particolare: benefici che vengono dall’utilizzo di ULOOP per ogni soggetto, il coinvolgimento nella creazione di valore per sé e per gli altri, lo scambio di ruoli che permette un’equa distribuzione di vantaggi e svantaggi il meccanismo di creazione della reputazione, e aspetti più tecnici come la monetizzazione del valore prodotto. Seguendo il ragionamento di McKenzie, se la sostenibilità sociale considerata come risorsa o come quantità misurabile è descritta e definita da una serie di indicatori, per osservarla come processo dobbiamo, invece, rivolgere la nostra attenzione a quelle azioni prodotte dalla comunità stessa che danno forma e sviluppo al processo.
Trovo utile, dunque, approfondire la riflessione sugli stessi interrogativi di ricerca che si pone McKenzie a questo punto della sua analisi e cioè:

  • What are the main mechanisms by which the community collectively identifies its own needs?
  • How have these mechanisms developed?
  • Is the community satisfied with these mechanisms, and what are some ways in which they think these might be improved?
  • Does this community’s means to identify its needs provide a suitable model for consideration by other communities?
Ancora, dunque, non abbiamo risposte ma il nostro sguardo per osservare ULOOP si è allargato, oltre che approfondito.
È un processo che si sviluppa di volta in volta, perciò per gli step successivi, stay tuned! 😉

Urbino su Facebook

o come Facebook rende visibili le relazioni in una comunità

Visto l’interesse destato dall’analisi del gruppo Facebook dell’Università di Urbino ho deciso di estendere questa visualizzazione per includere più gruppi. L’idea è quella di rappresentare le relazioni di amicizia dei più rappresentativi gruppi Facebook di Urbino.
In una prima fase ho dunque dovuto cercare e selezionare i gruppi da prendere in considerazione.
Sono dunque partito da una semplice ricerca con la chiave urbino nel motore interno di Facebook limitando i risultati ai soli gruppi. Degli oltre 364 gruppi restituiti, ho deciso di escludere tutti quelli che, dal titolo, sembravano chiaramente riferirsi a realtà più grandi (ad esempio tutti quelli Pesaro e Urbino). Ho inoltre deciso di prendere in considerazione solo i gruppi con oltre 50 membri. Di questi alcuni erano aperti ed altri chiusi. Per quelli aperti mi sono semplicemente unito al gruppo, per quelli chiusi ho richiesto l’autorizzazione a diventare membro (solo in un caso mi è stato chiesto il perché ed ho spiegato che stavo conducendo una ricerca). Ho avuto così accesso ai dati di 72 gruppi. Per ciascuno di essi ho scaricato il grafo delle relazioni intergruppo (usando netvizz) e aggregato i risultati in un unico file .gdf copiando in questo file la lista dei membri del gruppo e quella delle loro relazioni. Questa procedura ha causato ovviamente la duplicazione di molti nodi con il rispettivo numero identificativo. Questa duplicazione non ha tuttavia causato problemi all’atto dell’importazione in Gephi durante la quale i nodi duplicati sono stati automaticamente eliminati.
Il grafo risultato dall’aggregazione di tutte le relazioni fra i membri dei gruppi presi in considerazione consiste alla fine di 14014 nodi e 175188 archi.
Su questo grafo ho calcolato i soliti indici di centralità (eigenvector, betweenness, closeness ed eccentricity) e la modularity per individuare le comunità.
Ho inoltre posizionato i nodi utilizzando l’algortimo ForceAtlas 2 (con il paramento Gravity a 100 per evitare una eccessiva disgregazione).
L’analisi della modularità, definita come una misura di quanto bene una rete possa essere scomposta in comunità modulari, si attesta intorno allo 0,6 ed il numero di comunità identificato oscilla (si tratta di algoritmo randomizzato che genera risultati diversi ogni volta che viene eseguito) intorno alle 1000.

Da questo migliaio di comunità ne emergono tre che da sole raccolgono quasi il 50% dei nodi.
Si tratta di quelle che ho identificato come UNIURB (15,5% e colore Verde), URBINATI (15,02% Blu) e MOVIDA (13,15% Rosso). Significativa inoltre la dimensione del gruppo del COLLEGI (7,34% Giallo), GIURISPRUDENZA (5,41% Azzurro), ANNUNCI E RICHIESTE (5,35% Grigio), LICEO CLASSICO RAFFAELLO (5,26% Fucsia). Fra le altre comunità che ho identificato figurano inoltre quella dell’ISIA, dell’Istituto d’Arte, dell’Istituto per la Formazione al Giornalismo e quella degli studenti Greci.

Nelle immagini che seguono due visualizzazioni dei 250 utenti meglio connessi secondo, rispettivamente, la metrica della betweenness centrality e dell’eigenvector centrality.


Infine, visto che zoom.it si rifiuta di creare l’immagine zoommabile, potete scaricare le visualizzazioni totali in formto pdf con la dimensione dei nodi legate alla betweenness e all’eigenvector centrality (i nomi, in queste visualizzazioni complessive, sono stati volutamente rimossi per questioni di privacy).Visto l’interesse destato dall’analisi del gruppo Facebook dell’Università di Urbino ho deciso di estendere questa visualizzazione per includere più gruppi. L’idea è quella di rappresentare le relazioni di amicizia dei più rappresentativi gruppi Facebook di Urbino.
In una prima fase ho dunque dovuto cercare e selezionare i gruppi da prendere in considerazione.
Sono dunque partito da una semplice ricerca con la chiave urbino nel motore interno di Facebook limitando i risultati ai soli gruppi. Degli oltre 364 gruppi restituiti, ho deciso di escludere tutti quelli che, dal titolo, sembravano chiaramente riferirsi a realtà più grandi (ad esempio tutti quelli Pesaro e Urbino). Ho inoltre deciso di prendere in considerazione solo i gruppi con oltre 50 membri. Di questi alcuni erano aperti ed altri chiusi. Per quelli aperti mi sono semplicemente unito al gruppo, per quelli chiusi ho richiesto l’autorizzazione a diventare membro (solo in un caso mi è stato chiesto il perché ed ho spiegato che stavo conducendo una ricerca). Ho avuto così accesso ai dati di 72 gruppi. Per ciascuno di essi ho scaricato il grafo delle relazioni intergruppo (usando netvizz) e aggregato i risultati in un unico file .gdf copiando in questo file la lista dei membri del gruppo e quella delle loro relazioni. Questa procedura ha causato ovviamente la duplicazione di molti nodi con il rispettivo numero identificativo. Questa duplicazione non ha tuttavia causato problemi all’atto dell’importazione in Gephi durante la quale i nodi duplicati sono stati automaticamente eliminati.
Il grafo risultato dall’aggregazione di tutte le relazioni fra i membri dei gruppi presi in considerazione consiste alla fine di 14014 nodi e 175188 archi.
Su questo grafo ho calcolato i soliti indici di centralità (eigenvector, betweenness, closeness ed eccentricity) e la modularity per individuare le comunità.
Ho inoltre posizionato i nodi utilizzando l’algortimo ForceAtlas 2 (con il paramento Gravity a 100 per evitare una eccessiva disgregazione).
L’analisi della modularità, definita come una misura di quanto bene una rete possa essere scomposta in comunità modulari, si attesta intorno allo 0,6 ed il numero di comunità identificato oscilla (si tratta di algoritmo randomizzato che genera risultati diversi ogni volta che viene eseguito) intorno alle 1000.
Da questo migliaio di comunità ne emergono tre che da sole raccolgono quasi il 50% dei nodi.
Si tratta di quelle che ho identificato come UNIURB (15,5% e colore Verde), URBINATI (15,02% Blu) e MOVIDA (13,15% Rosso). Significativa inoltre la dimensione del gruppo del COLLEGI (7,34% Giallo), GIURISPRUDENZA (5,41% Azzurro), ANNUNCI E RICHIESTE (5,35% Grigio), LICEO CLASSICO RAFFAELLO (5,26% Fucsia). Fra le altre comunità che ho identificato figurano inoltre quella dell’ISIA, dell’Istituto d’Arte, dell’Istituto per la Formazione al Giornalismo e quella degli studenti Greci.
Nelle immagini che seguono due visualizzazioni dei 250 utenti meglio connessi secondo, rispettivamente, la metrica della betweenness centrality e dell’eigenvector centrality.


Infine, visto che zoom.it si rifiuta di creare l’immagine zoommabile, potete scaricare le visualizzazioni total in pdf con la dimensione dei nodi legate alla betweenness e all’eigenvector centrality (i nomi, in queste visualizzazioni complessive, sono stati volutamente rimossi per questioni di privacy).Visto l’interesse destato dall’analisi del gruppo Facebook dell’Università di Urbino ho deciso di estendere questa visualizzazione per includere più gruppi. L’idea è quella di rappresentare le relazioni di amicizia dei più rappresentativi gruppi Facebook di Urbino.
In una prima fase ho dunque dovuto cercare e selezionare i gruppi da prendere in considerazione.
Sono dunque partito da una semplice ricerca con la chiave urbino nel motore interno di Facebook limitando i risultati ai soli gruppi. Degli oltre 364 gruppi restituiti, ho deciso di escludere tutti quelli che, dal titolo, sembravano chiaramente riferirsi a realtà più grandi (ad esempio tutti quelli Pesaro e Urbino). Ho inoltre deciso di prendere in considerazione solo i gruppi con oltre 50 membri. Di questi alcuni erano aperti ed altri chiusi. Per quelli aperti mi sono semplicemente unito al gruppo, per quelli chiusi ho richiesto l’autorizzazione a diventare membro (solo in un caso mi è stato chiesto il perché ed ho spiegato che stavo conducendo una ricerca). Ho avuto così accesso ai dati di 72 gruppi. Per ciascuno di essi ho scaricato il grafo delle relazioni intergruppo (usando netvizz) e aggregato i risultati in un unico file .gdf copiando in questo file la lista dei membri del gruppo e quella delle loro relazioni. Questa procedura ha causato ovviamente la duplicazione di molti nodi con il rispettivo numero identificativo. Questa duplicazione non ha tuttavia causato problemi all’atto dell’importazione in Gephi durante la quale i nodi duplicati sono stati automaticamente eliminati.
Il grafo risultato dall’aggregazione di tutte le relazioni fra i membri dei gruppi presi in considerazione consiste alla fine di 14014 nodi e 175188 archi.
Su questo grafo ho calcolato i soliti indici di centralità (eigenvector, betweenness, closeness ed eccentricity) e la modularity per individuare le comunità.
Ho inoltre posizionato i nodi utilizzando l’algortimo ForceAtlas 2 (con il paramento Gravity a 100 per evitare una eccessiva disgregazione).
L’analisi della modularità, definita come una misura di quanto bene una rete possa essere scomposta in comunità modulari, si attesta intorno allo 0,6 ed il numero di comunità identificato oscilla (si tratta di algoritmo randomizzato che genera risultati diversi ogni volta che viene eseguito) intorno alle 1000.
Da questo migliaio di comunità ne emergono tre che da sole raccolgono quasi il 50% dei nodi.
Si tratta di quelle che ho identificato come UNIURB (15,5% e colore Verde), URBINATI (15,02% Blu) e MOVIDA (13,15% Rosso). Significativa inoltre la dimensione del gruppo del COLLEGI (7,34% Giallo), GIURISPRUDENZA (5,41% Azzurro), ANNUNCI E RICHIESTE (5,35% Grigio), LICEO CLASSICO RAFFAELLO (5,26% Fucsia). Fra le altre comunità che ho identificato figurano inoltre quella dell’ISIA, dell’Istituto d’Arte, dell’Istituto per la Formazione al Giornalismo e quella degli studenti Greci.
Nelle immagini che seguono due visualizzazioni dei 250 utenti meglio connessi secondo, rispettivamente, la metrica della betweenness centrality e dell’eigenvector centrality.


Infine, visto che zoom.it si rifiuta di creare l’immagine zoommabile, potete scaricare le visualizzazioni total in pdf con la dimensione dei nodi legate alla betweenness e all’eigenvector centrality (i nomi, in queste visualizzazioni complessive, sono stati volutamente rimossi per questioni di privacy).

Visualizzare le relazioni di amicizia dei membri di un gruppo Facebook

Analisi del gruppo Facebook dell’Università di Urbino

Ho scoperto solo oggi che netvizz consente di scaricare, oltre che il proprio grafo personale di Facebook, anche quello dei gruppi di cui si è membri.
Per testare questa funzionalità ho provato a scaricare il grafo relativo al gruppo Università di Urbino “Carlo Bo” composto, al momento in cui scrivo, da 2281 membri.
Nella documentazione è riportato che, a cause delle limitazioni imposte da Facebook sull’uso delle sue API, per gruppi superiori a 500 membri viene estratto un campione casuale di membri. Nella mia prova sono invece riuscito a scaricare, dopo alcuni minuti di attesa durante i quali sembra che non succeda nulla, un grafo praticamente completo composto da 2213 nodi e 13408 archi che rappresentano i legami di amicizia fra i membri del gruppo. Sul perché manchino all’appello 68 membri non saprei dirvi anche se sospetto possa dipendere dalle impostazioni di privacy degli utenti.
Netvizz crea un grafo indiretto in formato gdf. Da lì ad importare il grafo in Gephi il passo è stato breve.
Fra le misure di centralità ho deciso di utilizzare l’Eigenvector centrality per rappresentare le dimensioni dei nodi. Ho inoltre calcolato la modularity per individuare le comunità.
Ho infine applicato l’algoritmo ForceAtlas 2 per posizionare i nodi.
Ed ecco il risultato.

Scarica la visualizzazione in formato SVG
Credo si tratti di una fotografia piuttosto fedele delle relazioni a Urbino (almeno per quello che le conosco io). Si nota l’emergere di alcuni cluster interessanti come quello degli studenti greci in blu (sulla destra e piuttosto isolati), l’area di scienze della comunicazione (in rosso), quella dell’impegno politico in bianco e piuttosto centrali a segnalare una tendenza a fare amicizia con molte persone diverse, caratteristica questa che condividono con il cluster verde che fa invece riferimento alla vita notturna e all’intrattenimento. Lascio a voi il piacere di identificare gli altri cluster.
Vi lascio inoltre con una piccola curiosità.
Questo è il grafo dei 100 membri del gruppo meglio connessi (sempre in base all’Eigenvector centrality) rispetto agli altri.

Scarica la visualizzazione in formato SVG
Ci siete? E in che cluster?

Un primo sguardo a ULOOP: alcuni spunti per formulare le domande di ricerca

Sulla sostenibilità sociale di una nuova tecnologia

Questo post è il primo di una serie di articoli curati da Erica Giambitto e dedicati al progetto ULOOP.
Inizia  il nostro lavoro di ricerca nell’ambito del progetto ULOOP (User-centric Wireless Local Loop), che sarà principalmente orientato all’analisi della sostenibilità socio-economica di questa nuova tecnologia, e più in generale, ai suoi possibili impatti sociali.
ULOOP è un progetto triennale finanziato dall’Unione Europea nell’ambito del settimo programma quadro. Per l’Università di Urbino coordina il team interdisciplinare che lavora al progetto il Prof. Alessandro Bogliolo.
Che cos’è ULOOP
Come suggerisce il nome “User-centric Wireless Local Loop” ULOOP è una tecnologia che coinvolge l’utente nella creazione di reti. L’idea principale è quella di sfruttare l’alta densità di reti wireless disponibili sviluppando dei meccanismi di condivisione virtuosa che permettano una gestione delle risorse dinamiche volte a creare un’architettura che si auto-organizzi in base al contesto. Una volta realizzata, consentirà agli utenti di generare una rete wireless attraverso i loro dispositivi ULOOP permettendo da un lato di accedere ad Internet sostituendosi all’”ultimo miglio” e dall’altro di offrire e usufruire vicendevolmente di servizi attraverso i propri device, come ad esempio un local-loop attivato in base a ciò che una comunità di individui (utenti finali) desidera condividere (informazioni, dati, periferiche). Collaborazione sospinta da incentivi alla cooperazione e buone regole di comportamento il sui supporto sarà integrato direttamente al livello della piattaforma.
Gli usi previsti di ULOOP sono stati ipotizzati e raccolti in due casi d’uso specifici, ciascuno dei quali prevede degli Scenari rappresentativi che illustrano, in modo dettagliato, il modo in cui funzionerà questa tecnologia.  Il primo caso d’uso, da qui ULOOP1, riguarda in particolare gli aspetti legati alle potenzialità della tecnologia come ad esempio l’estensione della copertura offerta dal wireless e lo scambio di servizi e di dati tra utenti equipaggiati con dispositivi ULOOP. Il secondo caso d’uso, da qui ULOOP2,  si basa sulle caratteristiche del primo e prevede lo sviluppo di una connessione locale, legata alla compresenza degli utenti in un’area definita, in grado di adattarsi al contesto e alle necessità degli utenti stessi, fornendo così una piattaforma di scambio di dati e informazioni basata su un modello collaborativo.
Vediamo brevemente le scene rappresentative di ogni caso d’uso:
ULOOP 1
Scenario 1.1 Estensione della copertura a banda larga:
Interfacciando i dispositivi U-Loop gli utenti saranno in grado di configurarsi come nodi connessione alla rete espandendone la copertura o di sfruttare la disponibilità offerta in questo senso da un altro utente.
Scenario1.2 Offloading 3G: 
Secondo lo stesso principio parte del traffico che normalmente viene consumato sulla rete 3G potrà essere trasferito e smaltito attraverso U-Loop.
Scenario1.3 Comunicazioni intra-U-Loop: In uno spazio definito,  gli utenti possono creare reti ad-hoc per condividere informazioni internamente senza utilizzare la connessione ad internet, risparmiando batteria e costi di connessione;
Scenario1.4 Bilanciamento e adattamento del carico:
sovraccarichi della rete in termini di numeri d’accesso saranno gestiti dal sistema in modo da consentire una velocità di connessione ottimale per ogni utente;
Scenario1.5 Controllo d’accesso basato sulla fiducia:
I permessi di aggancio tra un device e l’altro verranno gestiti automaticamente dal sistema in base alle “credenziali” degli utenti, tracciate anche attraverso le relazioni stabilite sui social network. Questo potrà essere un meccanismo auto-regolatore del comportamento: feedback positivi renderanno più facile l’accesso ad altri device mentre feedback negativi renderanno più difficile la connessione;
Scenario1.6 Supporto di responsabilità:
Controllo della responsabilità delle azioni connesse, consentendo l’accesso ai servizi attraverso il proprio device si avrà la certezza che azioni scorrette compiute da altri non saranno attribuite a chi ha permesso la connessione.
ULOOP 2
Scenario 2.1 Monitoraggio collaborativo:
gli utenti collaborano nella raccolta e ri-diffusione di dati e informazioni riguardo all’ambiente, realizzando così un monitoraggio collaborativo di situazioni contingenti (pericoli, attività);
Scenario 2.2 Advertising di prossimità: 
invio e ricezione di comunicazioni commerciali riferite al contesto;
Scenario 2.3 Servizi turistici di comunità:
condivisione di informazioni turistiche sui luoghi in cui ci si trova;
Scenario 2.4 Individuazione collaborativa di attacchi:
comportamenti anormali o dannosi di altri utenti possono essere tracciati e individuati attraverso azioni collaborative;
Scenario 2.5 Coordinamento di attività di gruppo:
che non necessitano di una connessione ad internet, e che avvengono in quel momento. Si pensi a come ad esempio flash mob, eventi, lavori di gruppo;
Scenario 2.6 Condivisione di device:
come ad esempio stampanti, possono essere rese disponibili da alcuni utenti ad altri membri della community.
Il nostro compito sarà quello di occuparci degli aspetti connessi alla sostenibilità sociale. 
Questo progetto si propone dunque di esplorare il potenziale di un local-loop wireless basato su un modello centrato sull’utente, ed è sviluppato grazie ad una collaborazione interdisciplinare volta ad approfondirne gli impatti da diverse prospettive: tecnico, di business, legislativo e sociale.
Abbiamo deciso di partire da una domanda, implicitamente parte del programma di ricerca affidatoci, che orientasse la nostra attività: ULOOP è una tecnologia che ha una sostenibilità sociale? Si tratta di una domanda non facile che necessita, prima ancora di una risposta, di alcuni chiarimenti preliminari. Dobbiamo perciò innanzitutto chiederci cosa intendiamo con sostenibilità sociale di una tecnologia.
Sostenibilità sociale come mantenimento dell’equilibrio di un sistema
In una prima concettualizzazione di sostenibilità sociale ci è stata utile la tesi di laurea di Serena Canu “Just Greener. Teoria e pratica degli eventi sostenibili in italia” la quale presenta diverse prospettive sulla sostenibilità. L’idea di sostenibilità che emerge unisce due concetti: la prima definizione di sviluppo sostenibile data nel 1987 dal rapporto Brundtland (WCED, Brundtland G.H , Mansour  K.,  1987 common future,  Oxford University Press, Oxford, GB), e cioè di uno sviluppo incentrato non solo sulla crescita economica ma anche su un aumento del benessere generale, e l’idea di sostenibilità sviluppata da Alessandro Lanza (Lanza Alessandro, Lo sviluppo sostenibile, Il Mulino, Bologna, 1997 ) che vede come necessaria una gestione delle risorse che sia compatibile con le capacità di riproduzione delle stesse. Dunque come prima idea di sostenibilità possiamo considerare uno sviluppo inteso come aumento del benessere collettivo organizzato sulla base di una gestione delle risorse che non porti a sprechi né ad un esaurimento delle stesse.
Un secondo concetto che può tornarci utile è quello di impronta ecologica secondo cui il comportamento di ognuno ha un impatto sull’ambiente ed è perciò responsabilità del singolo regolare il proprio modo di agire per rendere il suo impatto inquinante il più basso possibile.
Infine, un ulteriore punto di vista ci è offerto, sempre facendo riferimento alla tesi di Canu, da Serge Latouche il quale propone un modello basato sulla decrescita (Latouche Serge, Breve trattato sulla decrescita serena, Bollati Boringhieri, Torino, 2008) e cioè su una diminuzione dei consumi e su una migliore gestione delle risorse. Su questa base Latouche rimodella anche il concetto di impronta ecologica: descrivendola come un adeguamento dei consumi di ogni singolo individuo basato non più sulla quantità di inquinamento prodotto, bensì sulle risorse che l’ambiente ha a disposizione per ognuno. Questa nuova idea di sostenibilità ambientale può essere sviluppata, secondo Latouche, in un percorso che prevede otto tappe di cambiamento tra loro interdipendenti.
Possiamo a questo punto chiederci se i modi di utilizzo previsti da ULOOP rispettino le caratteristiche di sostenibilità citate e tracciare così le prime ipotesi sulla sostenibilità sociale di ULOOP.
Ciò che emerge dalla descrizione dei casi d’uso di ULOOP è l’idea di  una tecnologia il cui funzionamento si basa su una nuova concezione dell’utente, visto come nodo attivo della rete che contribuisce, mettendo a disposizione della collettività il proprio dispositivo per migliorare la gestione di risorse quali l’estensione di banda, la potenza di calcolo, l’utilizzo di memoria o energia, a sviluppare un sistema dinamico che sia in grado di adattarsi alle esigenze degli individui in relazione al contesto (luogo e momento di utilizzo). Il punto di forza di ULOOP  sta nella capacità del sistema di trasferire le risorse tra gli utenti in modo tale che, chi vuole, può permettere ad altri di utilizzare risorse a lui non necessarie in quel momento.
Forse a qualcuno, leggendo questa descrizione, sarà venuto in mente il progetto FON. Siete sulla buona strada perché proprio FON è uno dei partner del progetto ULOOP.
Possiamo rintracciare in questa modalità di funzionamento un sistema in grado di gestire le proprie risorse in maniera ottimale per il benessere della collettività. Un sistema che ha forti similitudini con quegli aspetti dello sviluppo sostenibile sopra evidenziati dalle teorie della sostenibilità.
Alcuni dei servizi offerti da ULOOP sembrano incarnare quelle tappe descritte da Latouche (ibidem). Un esempio è quella che l’autore chiama Rivalutazione:  e cioè la “rivalutazione di valori oggi sopraffatti”  come può essere la condivisione di risorse senza scopo di lucro. Oppure la Riconcettualizzazione e la Ridistribuzione: tappe basate sulla “ristrutturazione dei rapporti sociali e ridistribuzione delle ricchezze”, con ULOOP si può infatti mettere a disposizione il contributo del proprio device e ottimizzare il consumo di banda o di batteria agendo anche in un’ottica di Riduzione dei consumi. Ancora, possiamo considerare la Rilocalizzazione: per cui “movimenti di merci e capitali devono essere limitati all’indispensabile”, ULOOP consente uno scambio di informazioni che riguardano l’area in cui gli utenti si trovano in un determinato momento (ad esempio informazioni turistiche, di traffico o commerciali)  senza dover ricorrere ad una connessione ad internet.
ULOOP come comunità in cui emerge capitale sociale
Lo scambio reciproco di risorse e servizi che avviene tra utenti, e tra utente e sistema, può essere osservato anche attraverso il concetto di capitale sociale. Come espresso da Portes (Portes Alejandro, SOCIAL CAPITAL: Its Origins and Applications in Modern Sociology Annu. Rev. Sociol. 1998. p.1-24) il capitale sociale è la capacità di ottenere vantaggi attraverso l’appartenenza a reti e ad altre strutture sociali per cui per

possedere capitale sociale una persona deve essere relazionata ad altre, e sono quegli altri, e non lui stesso, a costituire la fonte di suoi vantaggi (ibidem, p.6).

Riportando la definizione di Bourdieu di capitale sociale e cioè

l’aggregato delle risorse attuali e potenziali legate al possesso di una rete di relazioni di reciproca conoscenza (…), in cui i vantaggi che derivano dall’appartenenza ad un gruppo sono le basi della solidarietà che lo rende possibile (Bourdieu 1985, p. 248)

l’autore evidenzia come il capitale sociale sia scomponibile in due elementi: la relazione sociale che permette agli individui di ottenere l’accesso alle risorse possedute da altri e la quantità e la qualità delle risorse in sé.
Le caratteristiche proprie di ULOOP lo rendono un luogo dinamico all’interno del quale diversi attori interagiscono per usufruire di una rete di risorse e servizi, fornendo a loro volta un servizio. ULOOP si configura, dunque, come una rete di relazioni da cui emerge capitale sociale.
Il lavoro di Portes ci aiuta anche nel tentativo di comprendere le motivazioni per cui i membri di ULOOP, dovrebbero rendere disponibili le proprie risorse a vantaggio di altri. Secondo l’autore le motivazioni di chi, attraverso il proprio contributo, fornisce ad altri l’accesso alle risorse possono essere distinte in due generi: consumatorie strumentali.
Le prime riguardano gli individui che provano senso di comunità e di appartenenza nei confronti dell’ambiente in cui agiscono, per questo saranno ben disposti nell’aiutare gli altri membri della comunità e a rispettare le regole condivise.
Le seconde vedono gli individui affidarsi al funzionamento della comunità come garanzia del fatto che saranno ripagati del loro contributo, sia in termini di restituzione del servizio o della risorsa, sia in termini di acquisizione di uno status onorevole che riscuote approvazione dalla comunità.
Alla base di questi meccanismi c’è la percezione di appartenenza ad una comunità sulla quale si struttura da un lato la bounded solidarity per cui l’identificazione con il proprio gruppo spinge a contribuire al suo benessere favorendo l’iniziativa reciproca, cortocircuitando il fenomeno del free riding (Coleman 1990, pp.273; Portes & Sensenbrenner 1993); dall’altro una enforceable trust secondo cui l’appartenenza comune ad una stessa comunità è garanzia che il proprio contributo verrà ripagato con un riconoscimento da parte della comunità e che il debito verrà ripagato.
Questi concetti possono aiutarci ad approfondire l’analisi già intrapresa (ULOOP, White Paper 03, p.5) sull’inserimento degli utenti di ULOOP nella catena del valore, per cui ogni utente in essa coinvolto deve trarre vantaggio dall’uso di ULOOP in modo da essere motivato alla partecipazione supportandone così il funzionamento.
In particolare l’analisi evidenzia diverse forme di incentivi alla partecipazione e cioè: vantaggi immediati forniti dalla partecipazione ad uno scenario; il coinvolgimento nella catena del valore per cui gli attori coinvolti devono beneficiare da ULOOP in modo da essere motivati ad attivare e supportare le caratteristiche di ULOOP; il “role swapping per cui gli eventuali svantaggi sofferti in una situazione verranno ricompensati da vantaggi ottenuti in altre situazioni; l’acquisizione di una reputazione basata sul comportamento tenuto in ULOOP e la possibilità di monetarizzazione, ovvero l’accumulazione di crediti spendibili nella catena del valore.
Sostenibilità sociale come raggiungimento di una massa critica
Un altro modo di interrogarci sulla sostenibilità sociale di ULOOP nella nostra ricerca ha a che fare con il raggiungimento della massa critica, e cioè il raggiungimento di un numero di utenti tale da permettere alla rete ULOOP di autoalimentarsi e di sostenersi.
<< La sostenibilità socio-economica di una rete ULOOP dipende dalla diffusione dei devices abilitati ULOOP che, a sua volta, dipende dalla capacità del modello di attirare le persone. Così, l’analisi di sostenibilità deve cominciare dalle caratteristiche chiave di ULOOP, che possono essere percepite come valore aggiunto dai giocatori coinvolti nel modello>> (White Paper on ULOOP Socio-Economics).
La diffusione dei device abilitati, al momento non è quantificabile essendo ULOOP una tecnologia in fase di progettazione, ma viene ipotizzata analizzando i requisiti di penetrazione necessari al funzionamento del modello. Per ognuno dei casi d’uso analizzati nel report sono stati individuati dei requisiti di penetrazione che ipotizzassero la quantità di minima, target (ottimale) e motivazionale (che stimoli la partecipazione e che invogli altri attori ad utilizzare ULOOP)  di device raggiungibili da ogni nodo della rete, necessari al funzionamento del modello.
La densità degli utenti che utilizzano ULOOP, dunque, influenza le sue possibilità di funzionamento e, di conseguenza, anche la sua qualità. Il raggiungimento di una densità motivazionale, ad esempio, può invogliare altri utenti ad attivarsi, aggiungendo così un nuovo nodo potenzialmente attivo alla rete. Inoltre, più nodi potenzialmente attivi si aggiungono alla rete, più il valore aggiunto percepito dagli utenti aumenta (si pensi a come cresce il valore di un social network con il crescere delle persone che lo utilizzano).
Possiamo così richiamare il concetto di network effect. In particolare ciò che ci interessa è l’accezione che ne dà la legge di Metcalfe secondo cui il valore di una rete è proporzionale al quadrato degli utenti della rete stessa. Il network effect, però, si sviluppa solo dopo che il numero di adesioni ha superato una certa soglia, detta massa critica.
In questo senso un’altra domanda di ricerca potrebbe essere: quali tecnologie hanno raggiunto una massa criticaQuali sono le caratteristiche che hanno in comune e hanno consentito loro di raggiungere una massa critica? E’ possibile rintracciare queste caratteristiche anche in ULOOP?
Una delle tecnologie prese in considerazione è la connessione ad internet da mobile. Secondo l’analisi di Nielsen Media (Critical Mass, The Worldwide state of the Mobile web, Nielsen Mobile, 2008), l’utilizzo di Internet da dispositivo mobile ha raggiunto una massa critica di utenti attraverso una confluenza di fattori che hanno portato ad un  miglioramento dell’esperienza di Internet da parte degli utenti, fattori  tra cui spiccano  la velocità delle reti e la disponibilità dei contenuti .
Un altro confronto utile potrebbe rivelarsi quello con Apple iPhone. Lo stesso studio di Nielsen rivela che sebbene nell’anno in cui è stato svolto lo studio iPhone fosse ancora agli esordi, l’82% di possessori di iPhone lo utilizzavano per collegarsi ad Internet. Il rapporto degli utenti con iPhone ha migliorato l’esperienza degli utenti con i device mobili, creando nuove aspettative di esperienza nell’uso di un device per collegarsi alla rete in merito alla sua usabilità e allapossibilità di condividere informazioni geolocalizzate e in tempo reale.
Miglioramento dell’esperienza nei confronti e grazie alla tecnologia, velocità, mobilità, disponibilità di contenuti e di informazioni sensibili al contesto. Caratteristiche queste che sono alla base del funzionamento dei dispositivi ULOOP: garantisce un trasferimento di dati veloce in quanto sfrutta tutte le risorse disponibili per la condivisione dei dati; consente, attraverso il bilanciamento del carico di traffico, di evitare eventuali sovraccarichi di rete e, dunque, rallentamenti; si adatta al contesto nel funzionamento in generale, nella reperibilità di servizi e nella raccolta e diffusione di informazioni.
Queste considerazioni fanno emergere un altro interrogativo per la nostra ricerca: perché si dovrebbe usare una tecnologia come ULOOP dal momento che ne esistano già di simili largamente usate? Quali sono le caratteristiche che potrebbero spingere gli utenti all’utilizzo di ULOOP?
ULOOP si differenzia da tutte le altre tecnologie nella possibilità offerta agli utenti di sviluppare local loop wireless in maniera autonoma e semplice. Come introdotto nel White Paper 01, la tecnologia di ULOOP sfrutta il recente successo di tecnologie come il Wi-Fi ponendosi come anello di passaggio nella diffusione della rete dal Wi-Fi all’utente finale.  La flessibilità del Wi-Fi sta dando nuove possibilità di connessione alla rete internet, soprattutto nello sviluppo di tecnologie che permettono all’utente di diventare un nodo attivo nella catena di distribuzione della connettività (vedi appunto FON).
Attraverso i device abilitati ULOOP gli utenti possono creare delle reti collegandosi tra di loro, anche in maniera indipendente dalla rete Internet;  oppure legate ad essa agendo come suo diretto punto di espansione della portata. Questo consente da un lato una maggiore fluidità e semplicità nello scambio di dati e informazioni e dall’altro un’estensione della  portata della rete ad un costo ridotto.
La flessibilità e la libertà offerte nella creazione di reti mettono in evidenza un altro tratto unico di ULOOP e cioè lapossibilità di sviluppare una architettura di rete “Fai-Da-Te”, caratterizzata da una infrastruttura altamente dinamica e adattabile al contesto d’uso.
Analizzando a fondo le scene rappresentative dei casi d’uso e confrontandole con tecnologie già esistenti che offrono servizi simili potremmo comprendere meglio l’unicità e l’attrattività di ULOOP dal punto di vista dell’utente. Per fare questo ci concentreremo in particolare sul caso d’uso ULOOP2 in quanto descrive effettivi comportamenti di utilizzo di ULOOP tra utenti che possono essere riscontrate anche in altre tecnologie.
Scenario 2.1 Collaborative monitoring:
attraverso ULOOP si può sviluppare un controllo sull’ambiente in tempo reale e collaborativo, in modo da fornire ad altri utenti informazioni il più possibile dettagliate. Questa caratteristica può essere confrontata con applicazioni iPhone, o più in generale per smartphone, per il controllo del traffico in tempo reale come ad esempio Wikango e Waze.
Scenario 2.2 Advertising di Prossimità:
 
e le sue potenzialità possono essere confrontate  con i check-in di foursquare oppure i facebookdeals.
Scenario 2.3 Servizi turistici alla comunità:
prevede una condivisione di informazioni turistiche all’interno della rete creata ad hoc da turisti che si trovano in una stessa zona o dagli abitanti locali per agevolare la presenza dei turisti nel territorio. Questo tipo di funzionalità può essere paragonato con applicazioni per smartphone come ad esempio TripWolf che consente di avere informazioni contestualizzate in base alla propria localizzazione e permette di scaricarle per poterle consultare offline in modo da non consumare tropo traffico in roaming nel caso di un viaggio all’estero;
Già a questo punto si può delineare una prima fondamentale differenza: tutti questi servizi sono offerti oggi attraverso delle applicazioni realizzate appositamente da diversi soggetti, che devono essere ricercate e installate sul proprio dispositivo, mentre su un dispositivo ULOOP sono delle funzionalità integrate nel modo di funzionamento della tecnologia stessa.
Scenario 2.4 Individuazione di attacchi alla rete attraverso la cooperazione:
per comprendere come questi meccanismi sociali lavorano e come potrebbero funzionare su ULOOP si è pensato di analizzare e confrontarli con i sistemi che si sviluppano negli ambienti peer-to-peer, come ad esempio Wikipedia, dove il gruppo punisce e isola quei soggetti che sfruttano il sistema senza contribuire o che addirittura lo danneggiano. Parte di questa analisi è stata già sviluppata attraverso l’analisi della catena di valore e dei meccanismi di incentivo che emergono nei modelli di interazione tra i soggetti ULOOP.
Scenario 2.5 Coordinamento di attività di gruppo:
questa Scenario rappresentativo racchiude in realtà molte possibilità di utilizzo. A partire da attività di gruppo di tipo lavorativo o di studio, fino ad attività di social networking senza la necessità di una rete internet. L’utilizzo più interessante e stimolante è però quello di poter creare un coordinamento di attività di gruppo just-in-time che sia indipendente dall’accesso alla rete, in particolare per analizzare questa caratteristica prenderemo in considerazione il caso delle manifestazioni in Egitto e il problema dell’accesso alla rete negato dalle autorità.
Scenario 2.6 Condivisione di Device:
 Attraverso i dispositivi ULOOP sarà più semplice condividere dati e informazioni, ma anche periferiche. Penseremo alle difficoltà che si riscontrano nel tentativo di una condivisione tra due pc connessi tramite wi-fi e vedremo in che modo i dispositivi ULOOP possono differenziarsi in questi utilizzi.
Primi approcci teorici: alcuni chiarimenti
La ricerca su ULOOP è veramente complessa e sfaccettata, pertanto questi sono gli interrogativi iniziali che guideranno la nostra ricerca ma data la vastità degli argomenti toccati e delle possibilità offerte da questa nuova tecnologia sicuramente emergeranno nuovi interrogativi e nuove vie da esplorare.
È necessario a questo punto fare una ulteriore considerazione. Lo sviluppo e l’evoluzione e di una tecnologia possono essere ipotizzati e tracciati in base alle caratteristiche della tecnologia e alle ipotesi di utilizzo ma, come ci suggerisce l’approccio del Social Shaping of Technologies (Williams R., Edge D. The social shaping of technology, in Research Policy vol. 25, 1996)  la natura delle tecnologie e la direzione del loro cambiamento non è predeterminata in modo lineare, né  hanno necessariamente un “impatto” determinato sulla vita sociale ed economica. L’idea di fondo  è che la creazione e l’implementazione della tecnologia è modellata da un ampio numero di fattori organizzativi, politici, economici e sociali. Il Social Shaping of Technologies (SST) non è un modello teorico unitario, ma un approccio emergente da diversi filoni di ricerca i quali condividono alcune idee di fondo, a partire dal concetto di tecnologia stesso. Secondo l’approccio SST la tecnologia non è una “scatola nera inconoscibile” né un “equipaggiamento” che viene progettato e creato in risposta ad una necessità, collocato in un ambiente e poi spinto fino alla sua adozione da parte degli utenti. La tecnologia, invece, incorpora modelli socio-economici che devono essere svelati e analizzati, sia nel contenuto sia nei suoi processi di evoluzione e innovazione.
La tecnologia è vista come un <<fenomeno inclusivo>> (ibidem, p.868) il cui processo di sviluppo procede grazie all’interazione e alla tensione continua tra elementi tecnici e sociali. Per parlare di tecnologia e del suo sviluppo è necessario, dunque, considerare tutte quelle istituzioni, assetti e organizzazioni all’interno dei quali ha luogo l’adozione, la configurazione e l’utilizzo della tecnologia. In questo insieme di fattori devono essere incluse la conoscenza e l’expertise che l’hanno creata e che si incorporano in essa, e il processo di apprendimento e di esperienza che si sviluppa nell’uso della tecnologia stessa.
Questo approccio si concentra, inoltre, sul concetto di scelta che influenza tutti i passaggi nella creazione di una tecnologia dall’ideazione, alla progettazione, alla commercializzazione all’uso. Possiamo pensare alla tecnologia come un <<giardino di traiettorie che si biforcano>> (ibid. p857) e ogni scelta compiuta da ogni attore sociale può portare a diversi esiti e a diverse implicazioni per la società e per i gruppi sociali che la usano nel suo processo di evoluzione. Questo apre a due questioni che riguardano la negoziabilità e la irreversibilità.
1. La negoziabilità riguarda lo scopo per cui alcuni gruppi sociali forzano la forma delle tecnologie per i loro fini (si pensi alla nascita dell’e-mail, in seguito alla trasformazione del modo d’uso della tecnologia di connessione sviluppata da ARPANET).
2. L’irreversibilità riguarda il radicamento di certi usi che preclude la possibilità di sviluppi diversi o alternativi di quella tecnologia.
E’ importante, inoltre, osservare il modo in cui la tecnologia si diffonde, obiettivo questo della “Teoria della diffusione delle innovazioni” (Si veda su questo il contributo di Leah A. Lievrouw, Progettazione e sviluppo dei new media: diffusione delle innovazioni e modellamento sociale della tecnologia nell’edizione italiana del manuale Capire i New Media. Culture, comunicazione, innovazione tecnologica e istituzioni sociali e anche le slide realizzate da Davide Bennato sul tema) sviluppata da Rogers e che

pone particolare attenzione alle relazioni comunicative e ai flussi di informazione che promuovono l’adozione e l’implementazione di una tecnologia

Secondo questa teoria, infatti le reti di relazioni e i significati condivisi modellano l’azione sociale, inclusa l’adozione della tecnologia ed è importante tenerne conto soprattutto in quelle tecnologie che si sviluppano su modelli informatici di comunicazione.
Dal momento che U-Loop è una tecnologia altamente flessibile e che offre innovativi modi di interazione tra utenti e tra utenti e ambiente, sarà necessario un livello di analisi che vada oltre l’idea di “previsione dell’impatto sociale” e che, piuttosto, ponga attenzione ai modi in cui la tecnologia evolve sia in fase di progettazione sia in fase di adozione, non per anticipare ma per comprenderne al meglio gli sviluppi possibili e futuri.
Quanto detto fin qui raccoglie le prime domande e le prime considerazioni che orienteranno la nostra attività di ricerca su ULOOP.
Per le risposte dovrete attendere necessariamente i post successivi 🙂Questo post è il primo di una serie di articoli curati da Erica Giambitto e dedicati al progetto ULOOP.
Inizia  il nostro lavoro di ricerca nell’ambito del progetto ULOOP (User-centric Wireless Local Loop), che sarà principalmente orientato all’analisi della sostenibilità socio-economica di questa nuova tecnologia, e più in generale, ai suoi possibili impatti sociali.
ULOOP è un progetto triennale finanziato dall’Unione Europea nell’ambito del settimo programma quadro. Per l’Università di Urbino coordina il team interdisciplinare che lavora al progetto il Prof. Alessandro Bogliolo.
Che cos’è ULOOP
Come suggerisce il nome “User-centric Wireless Local Loop” ULOOP è una tecnologia che coinvolge l’utente nella creazione di reti. L’idea principale è quella di sfruttare l’alta densità di reti wireless disponibili sviluppando dei meccanismi di condivisione virtuosa che permettano una gestione delle risorse dinamiche volte a creare un’architettura che si auto-organizzi in base al contesto. Una volta realizzata, consentirà agli utenti di generare una rete wireless attraverso i loro dispositivi ULOOP permettendo da un lato di accedere ad Internet sostituendosi all’”ultimo miglio” e dall’altro di offrire e usufruire vicendevolmente di servizi attraverso i propri device, come ad esempio un local-loop attivato in base a ciò che una comunità di individui (utenti finali) desidera condividere (informazioni, dati, periferiche). Collaborazione sospinta da incentivi alla cooperazione e buone regole di comportamento il sui supporto sarà integrato direttamente al livello della piattaforma.
Gli usi previsti di ULOOP sono stati ipotizzati e raccolti in due casi d’uso specifici, ciascuno dei quali prevede degli Scenari rappresentativi che illustrano, in modo dettagliato, il modo in cui funzionerà questa tecnologia.  Il primo caso d’uso, da qui ULOOP1, riguarda in particolare gli aspetti legati alle potenzialità della tecnologia come ad esempio l’estensione della copertura offerta dal wireless e lo scambio di servizi e di dati tra utenti equipaggiati con dispositivi ULOOP. Il secondo caso d’uso, da qui ULOOP2,  si basa sulle caratteristiche del primo e prevede lo sviluppo di una connessione locale, legata alla compresenza degli utenti in un’area definita, in grado di adattarsi al contesto e alle necessità degli utenti stessi, fornendo così una piattaforma di scambio di dati e informazioni basata su un modello collaborativo.
Vediamo brevemente le scene rappresentative di ogni caso d’uso:
ULOOP 1
Scenario 1.1 Estensione della copertura a banda larga:
Interfacciando i dispositivi U-Loop gli utenti saranno in grado di configurarsi come nodi connessione alla rete espandendone la copertura o di sfruttare la disponibilità offerta in questo senso da un altro utente.
Scenario1.2 Offloading 3G: 
Secondo lo stesso principio parte del traffico che normalmente viene consumato sulla rete 3G potrà essere trasferito e smaltito attraverso U-Loop.
Scenario1.3 Comunicazioni intra-U-Loop: In uno spazio definito,  gli utenti possono creare reti ad-hoc per condividere informazioni internamente senza utilizzare la connessione ad internet, risparmiando batteria e costi di connessione;
Scenario1.4 Bilanciamento e adattamento del carico:
sovraccarichi della rete in termini di numeri d’accesso saranno gestiti dal sistema in modo da consentire una velocità di connessione ottimale per ogni utente;
Scenario1.5 Controllo d’accesso basato sulla fiducia:
I permessi di aggancio tra un device e l’altro verranno gestiti automaticamente dal sistema in base alle “credenziali” degli utenti, tracciate anche attraverso le relazioni stabilite sui social network. Questo potrà essere un meccanismo auto-regolatore del comportamento: feedback positivi renderanno più facile l’accesso ad altri device mentre feedback negativi renderanno più difficile la connessione;
Scenario1.6 Supporto di responsabilità:
Controllo della responsabilità delle azioni connesse, consentendo l’accesso ai servizi attraverso il proprio device si avrà la certezza che azioni scorrette compiute da altri non saranno attribuite a chi ha permesso la connessione.
ULOOP 2
Scenario 2.1 Monitoraggio collaborativo:
gli utenti collaborano nella raccolta e ri-diffusione di dati e informazioni riguardo all’ambiente, realizzando così un monitoraggio collaborativo di situazioni contingenti (pericoli, attività);
Scenario 2.2 Advertising di prossimità: 
invio e ricezione di comunicazioni commerciali riferite al contesto;
Scenario 2.3 Servizi turistici di comunità:
condivisione di informazioni turistiche sui luoghi in cui ci si trova;
Scenario 2.4 Individuazione collaborativa di attacchi:
comportamenti anormali o dannosi di altri utenti possono essere tracciati e individuati attraverso azioni collaborative;
Scenario 2.5 Coordinamento di attività di gruppo:
che non necessitano di una connessione ad internet, e che avvengono in quel momento. Si pensi a come ad esempio flash mob, eventi, lavori di gruppo;
Scenario 2.6 Condivisione di device:
come ad esempio stampanti, possono essere rese disponibili da alcuni utenti ad altri membri della community.
Il nostro compito sarà quello di occuparci degli aspetti connessi alla sostenibilità sociale. 
Questo progetto si propone dunque di esplorare il potenziale di un local-loop wireless basato su un modello centrato sull’utente, ed è sviluppato grazie ad una collaborazione interdisciplinare volta ad approfondirne gli impatti da diverse prospettive: tecnico, di business, legislativo e sociale.
Abbiamo deciso di partire da una domanda, implicitamente parte del programma di ricerca affidatoci, che orientasse la nostra attività: ULOOP è una tecnologia che ha una sostenibilità sociale? Si tratta di una domanda non facile che necessita, prima ancora di una risposta, di alcuni chiarimenti preliminari. Dobbiamo perciò innanzitutto chiederci cosa intendiamo con sostenibilità sociale di una tecnologia.
Sostenibilità sociale come mantenimento dell’equilibrio di un sistema
In una prima concettualizzazione di sostenibilità sociale ci è stata utile la tesi di laurea di Serena Canu “Just Greener. Teoria e pratica degli eventi sostenibili in italia” la quale presenta diverse prospettive sulla sostenibilità. L’idea di sostenibilità che emerge unisce due concetti: la prima definizione di sviluppo sostenibile data nel 1987 dal rapporto Brundtland (WCED, Brundtland G.H , Mansour  K.,  1987 common future,  Oxford University Press, Oxford, GB), e cioè di uno sviluppo incentrato non solo sulla crescita economica ma anche su un aumento del benessere generale, e l’idea di sostenibilità sviluppata da Alessandro Lanza (Lanza Alessandro, Lo sviluppo sostenibile, Il Mulino, Bologna, 1997 ) che vede come necessaria una gestione delle risorse che sia compatibile con le capacità di riproduzione delle stesse. Dunque come prima idea di sostenibilità possiamo considerare uno sviluppo inteso come aumento del benessere collettivo organizzato sulla base di una gestione delle risorse che non porti a sprechi né ad un esaurimento delle stesse.
Un secondo concetto che può tornarci utile è quello di impronta ecologica secondo cui il comportamento di ognuno ha un impatto sull’ambiente ed è perciò responsabilità del singolo regolare il proprio modo di agire per rendere il suo impatto inquinante il più basso possibile.
Infine, un ulteriore punto di vista ci è offerto, sempre facendo riferimento alla tesi di Canu, da Serge Latouche il quale propone un modello basato sulla decrescita (Latouche Serge, Breve trattato sulla decrescita serena, Bollati Boringhieri, Torino, 2008) e cioè su una diminuzione dei consumi e su una migliore gestione delle risorse. Su questa base Latouche rimodella anche il concetto di impronta ecologica: descrivendola come un adeguamento dei consumi di ogni singolo individuo basato non più sulla quantità di inquinamento prodotto, bensì sulle risorse che l’ambiente ha a disposizione per ognuno. Questa nuova idea di sostenibilità ambientale può essere sviluppata, secondo Latouche, in un percorso che prevede otto tappe di cambiamento tra loro interdipendenti.
Possiamo a questo punto chiederci se i modi di utilizzo previsti da ULOOP rispettino le caratteristiche di sostenibilità citate e tracciare così le prime ipotesi sulla sostenibilità sociale di ULOOP.
Ciò che emerge dalla descrizione dei casi d’uso di ULOOP è l’idea di  una tecnologia il cui funzionamento si basa su una nuova concezione dell’utente, visto come nodo attivo della rete che contribuisce, mettendo a disposizione della collettività il proprio dispositivo per migliorare la gestione di risorse quali l’estensione di banda, la potenza di calcolo, l’utilizzo di memoria o energia, a sviluppare un sistema dinamico che sia in grado di adattarsi alle esigenze degli individui in relazione al contesto (luogo e momento di utilizzo). Il punto di forza di ULOOP  sta nella capacità del sistema di trasferire le risorse tra gli utenti in modo tale che, chi vuole, può permettere ad altri di utilizzare risorse a lui non necessarie in quel momento.
Forse a qualcuno, leggendo questa descrizione, sarà venuto in mente il progetto FON. Siete sulla buona strada perché proprio FON è uno dei partner del progetto ULOOP.
Possiamo rintracciare in questa modalità di funzionamento un sistema in grado di gestire le proprie risorse in maniera ottimale per il benessere della collettività. Un sistema che ha forti similitudini con quegli aspetti dello sviluppo sostenibile sopra evidenziati dalle teorie della sostenibilità.
Alcuni dei servizi offerti da ULOOP sembrano incarnare quelle tappe descritte da Latouche (ibidem). Un esempio è quella che l’autore chiama Rivalutazione:  e cioè la “rivalutazione di valori oggi sopraffatti”  come può essere la condivisione di risorse senza scopo di lucro. Oppure la Riconcettualizzazione e la Ridistribuzione: tappe basate sulla “ristrutturazione dei rapporti sociali e ridistribuzione delle ricchezze”, con ULOOP si può infatti mettere a disposizione il contributo del proprio device e ottimizzare il consumo di banda o di batteria agendo anche in un’ottica di Riduzione dei consumi. Ancora, possiamo considerare la Rilocalizzazione: per cui “movimenti di merci e capitali devono essere limitati all’indispensabile”, ULOOP consente uno scambio di informazioni che riguardano l’area in cui gli utenti si trovano in un determinato momento (ad esempio informazioni turistiche, di traffico o commerciali)  senza dover ricorrere ad una connessione ad internet.
ULOOP come comunità in cui emerge capitale sociale
Lo scambio reciproco di risorse e servizi che avviene tra utenti, e tra utente e sistema, può essere osservato anche attraverso il concetto di capitale sociale. Come espresso da Portes (Portes Alejandro, SOCIAL CAPITAL: Its Origins and Applications in Modern Sociology Annu. Rev. Sociol. 1998. p.1-24) il capitale sociale è la capacità di ottenere vantaggi attraverso l’appartenenza a reti e ad altre strutture sociali per cui per

possedere capitale sociale una persona deve essere relazionata ad altre, e sono quegli altri, e non lui stesso, a costituire la fonte di suoi vantaggi (ibidem, p.6).

Riportando la definizione di Bourdieu di capitale sociale e cioè

l’aggregato delle risorse attuali e potenziali legate al possesso di una rete di relazioni di reciproca conoscenza (…), in cui i vantaggi che derivano dall’appartenenza ad un gruppo sono le basi della solidarietà che lo rende possibile (Bourdieu 1985, p. 248)

l’autore evidenzia come il capitale sociale sia scomponibile in due elementi: la relazione sociale che permette agli individui di ottenere l’accesso alle risorse possedute da altri e la quantità e la qualità delle risorse in sé.
Le caratteristiche proprie di ULOOP lo rendono un luogo dinamico all’interno del quale diversi attori interagiscono per usufruire di una rete di risorse e servizi, fornendo a loro volta un servizio. ULOOP si configura, dunque, come una rete di relazioni da cui emerge capitale sociale.
Il lavoro di Portes ci aiuta anche nel tentativo di comprendere le motivazioni per cui i membri di ULOOP, dovrebbero rendere disponibili le proprie risorse a vantaggio di altri. Secondo l’autore le motivazioni di chi, attraverso il proprio contributo, fornisce ad altri l’accesso alle risorse possono essere distinte in due generi: consumatorie strumentali.
Le prime riguardano gli individui che provano senso di comunità e di appartenenza nei confronti dell’ambiente in cui agiscono, per questo saranno ben disposti nell’aiutare gli altri membri della comunità e a rispettare le regole condivise.
Le seconde vedono gli individui affidarsi al funzionamento della comunità come garanzia del fatto che saranno ripagati del loro contributo, sia in termini di restituzione del servizio o della risorsa, sia in termini di acquisizione di uno status onorevole che riscuote approvazione dalla comunità.
Alla base di questi meccanismi c’è la percezione di appartenenza ad una comunità sulla quale si struttura da un lato la bounded solidarity per cui l’identificazione con il proprio gruppo spinge a contribuire al suo benessere favorendo l’iniziativa reciproca, cortocircuitando il fenomeno del free riding (Coleman 1990, pp.273; Portes & Sensenbrenner 1993); dall’altro una enforceable trust secondo cui l’appartenenza comune ad una stessa comunità è garanzia che il proprio contributo verrà ripagato con un riconoscimento da parte della comunità e che il debito verrà ripagato.
Questi concetti possono aiutarci ad approfondire l’analisi già intrapresa (ULOOP, White Paper 03, p.5) sull’inserimento degli utenti di ULOOP nella catena del valore, per cui ogni utente in essa coinvolto deve trarre vantaggio dall’uso di ULOOP in modo da essere motivato alla partecipazione supportandone così il funzionamento.
In particolare l’analisi evidenzia diverse forme di incentivi alla partecipazione e cioè: vantaggi immediati forniti dalla partecipazione ad uno scenario; il coinvolgimento nella catena del valore per cui gli attori coinvolti devono beneficiare da ULOOP in modo da essere motivati ad attivare e supportare le caratteristiche di ULOOP; il “role swapping per cui gli eventuali svantaggi sofferti in una situazione verranno ricompensati da vantaggi ottenuti in altre situazioni; l’acquisizione di una reputazione basata sul comportamento tenuto in ULOOP e la possibilità di monetarizzazione, ovvero l’accumulazione di crediti spendibili nella catena del valore.
Sostenibilità sociale come raggiungimento di una massa critica
Un altro modo di interrogarci sulla sostenibilità sociale di ULOOP nella nostra ricerca ha a che fare con il raggiungimento della massa critica, e cioè il raggiungimento di un numero di utenti tale da permettere alla rete ULOOP di autoalimentarsi e di sostenersi.
<< La sostenibilità socio-economica di una rete ULOOP dipende dalla diffusione dei devices abilitati ULOOP che, a sua volta, dipende dalla capacità del modello di attirare le persone. Così, l’analisi di sostenibilità deve cominciare dalle caratteristiche chiave di ULOOP, che possono essere percepite come valore aggiunto dai giocatori coinvolti nel modello>> (White Paper on ULOOP Socio-Economics).
La diffusione dei device abilitati, al momento non è quantificabile essendo ULOOP una tecnologia in fase di progettazione, ma viene ipotizzata analizzando i requisiti di penetrazione necessari al funzionamento del modello. Per ognuno dei casi d’uso analizzati nel report sono stati individuati dei requisiti di penetrazione che ipotizzassero la quantità di minima, target (ottimale) e motivazionale (che stimoli la partecipazione e che invogli altri attori ad utilizzare ULOOP)  di device raggiungibili da ogni nodo della rete, necessari al funzionamento del modello.
La densità degli utenti che utilizzano ULOOP, dunque, influenza le sue possibilità di funzionamento e, di conseguenza, anche la sua qualità. Il raggiungimento di una densità motivazionale, ad esempio, può invogliare altri utenti ad attivarsi, aggiungendo così un nuovo nodo potenzialmente attivo alla rete. Inoltre, più nodi potenzialmente attivi si aggiungono alla rete, più il valore aggiunto percepito dagli utenti aumenta (si pensi a come cresce il valore di un social network con il crescere delle persone che lo utilizzano).
Possiamo così richiamare il concetto di network effect. In particolare ciò che ci interessa è l’accezione che ne dà la legge di Metcalfe secondo cui il valore di una rete è proporzionale al quadrato degli utenti della rete stessa. Il network effect, però, si sviluppa solo dopo che il numero di adesioni ha superato una certa soglia, detta massa critica.
In questo senso un’altra domanda di ricerca potrebbe essere: quali tecnologie hanno raggiunto una massa criticaQuali sono le caratteristiche che hanno in comune e hanno consentito loro di raggiungere una massa critica? E’ possibile rintracciare queste caratteristiche anche in ULOOP?
Una delle tecnologie prese in considerazione è la connessione ad internet da mobile. Secondo l’analisi di Nielsen Media (Critical Mass, The Worldwide state of the Mobile web, Nielsen Mobile, 2008), l’utilizzo di Internet da dispositivo mobile ha raggiunto una massa critica di utenti attraverso una confluenza di fattori che hanno portato ad un  miglioramento dell’esperienza di Internet da parte degli utenti, fattori  tra cui spiccano  la velocità delle reti e la disponibilità dei contenuti .
Un altro confronto utile potrebbe rivelarsi quello con Apple iPhone. Lo stesso studio di Nielsen rivela che sebbene nell’anno in cui è stato svolto lo studio iPhone fosse ancora agli esordi, l’82% di possessori di iPhone lo utilizzavano per collegarsi ad Internet. Il rapporto degli utenti con iPhone ha migliorato l’esperienza degli utenti con i device mobili, creando nuove aspettative di esperienza nell’uso di un device per collegarsi alla rete in merito alla sua usabilità e allapossibilità di condividere informazioni geolocalizzate e in tempo reale.
Miglioramento dell’esperienza nei confronti e grazie alla tecnologia, velocità, mobilità, disponibilità di contenuti e di informazioni sensibili al contesto. Caratteristiche queste che sono alla base del funzionamento dei dispositivi ULOOP: garantisce un trasferimento di dati veloce in quanto sfrutta tutte le risorse disponibili per la condivisione dei dati; consente, attraverso il bilanciamento del carico di traffico, di evitare eventuali sovraccarichi di rete e, dunque, rallentamenti; si adatta al contesto nel funzionamento in generale, nella reperibilità di servizi e nella raccolta e diffusione di informazioni.
Queste considerazioni fanno emergere un altro interrogativo per la nostra ricerca: perché si dovrebbe usare una tecnologia come ULOOP dal momento che ne esistano già di simili largamente usate? Quali sono le caratteristiche che potrebbero spingere gli utenti all’utilizzo di ULOOP?
ULOOP si differenzia da tutte le altre tecnologie nella possibilità offerta agli utenti di sviluppare local loop wireless in maniera autonoma e semplice. Come introdotto nel White Paper 01, la tecnologia di ULOOP sfrutta il recente successo di tecnologie come il Wi-Fi ponendosi come anello di passaggio nella diffusione della rete dal Wi-Fi all’utente finale.  La flessibilità del Wi-Fi sta dando nuove possibilità di connessione alla rete internet, soprattutto nello sviluppo di tecnologie che permettono all’utente di diventare un nodo attivo nella catena di distribuzione della connettività (vedi appunto FON).
Attraverso i device abilitati ULOOP gli utenti possono creare delle reti collegandosi tra di loro, anche in maniera indipendente dalla rete Internet;  oppure legate ad essa agendo come suo diretto punto di espansione della portata. Questo consente da un lato una maggiore fluidità e semplicità nello scambio di dati e informazioni e dall’altro un’estensione della  portata della rete ad un costo ridotto.
La flessibilità e la libertà offerte nella creazione di reti mettono in evidenza un altro tratto unico di ULOOP e cioè lapossibilità di sviluppare una architettura di rete “Fai-Da-Te”, caratterizzata da una infrastruttura altamente dinamica e adattabile al contesto d’uso.
Analizzando a fondo le scene rappresentative dei casi d’uso e confrontandole con tecnologie già esistenti che offrono servizi simili potremmo comprendere meglio l’unicità e l’attrattività di ULOOP dal punto di vista dell’utente. Per fare questo ci concentreremo in particolare sul caso d’uso ULOOP2 in quanto descrive effettivi comportamenti di utilizzo di ULOOP tra utenti che possono essere riscontrate anche in altre tecnologie.
Scenario 2.1 Collaborative monitoring:
attraverso ULOOP si può sviluppare un controllo sull’ambiente in tempo reale e collaborativo, in modo da fornire ad altri utenti informazioni il più possibile dettagliate. Questa caratteristica può essere confrontata con applicazioni iPhone, o più in generale per smartphone, per il controllo del traffico in tempo reale come ad esempio Wikango e Waze.
Scenario 2.2 Advertising di Prossimità:
 
e le sue potenzialità possono essere confrontate  con i check-in di foursquare oppure i facebookdeals.
Scenario 2.3 Servizi turistici alla comunità:
prevede una condivisione di informazioni turistiche all’interno della rete creata ad hoc da turisti che si trovano in una stessa zona o dagli abitanti locali per agevolare la presenza dei turisti nel territorio. Questo tipo di funzionalità può essere paragonato con applicazioni per smartphone come ad esempio TripWolf che consente di avere informazioni contestualizzate in base alla propria localizzazione e permette di scaricarle per poterle consultare offline in modo da non consumare tropo traffico in roaming nel caso di un viaggio all’estero;
Già a questo punto si può delineare una prima fondamentale differenza: tutti questi servizi sono offerti oggi attraverso delle applicazioni realizzate appositamente da diversi soggetti, che devono essere ricercate e installate sul proprio dispositivo, mentre su un dispositivo ULOOP sono delle funzionalità integrate nel modo di funzionamento della tecnologia stessa.
Scenario 2.4 Individuazione di attacchi alla rete attraverso la cooperazione:
per comprendere come questi meccanismi sociali lavorano e come potrebbero funzionare su ULOOP si è pensato di analizzare e confrontarli con i sistemi che si sviluppano negli ambienti peer-to-peer, come ad esempio Wikipedia, dove il gruppo punisce e isola quei soggetti che sfruttano il sistema senza contribuire o che addirittura lo danneggiano. Parte di questa analisi è stata già sviluppata attraverso l’analisi della catena di valore e dei meccanismi di incentivo che emergono nei modelli di interazione tra i soggetti ULOOP.
Scenario 2.5 Coordinamento di attività di gruppo:
questa Scenario rappresentativo racchiude in realtà molte possibilità di utilizzo. A partire da attività di gruppo di tipo lavorativo o di studio, fino ad attività di social networking senza la necessità di una rete internet. L’utilizzo più interessante e stimolante è però quello di poter creare un coordinamento di attività di gruppo just-in-time che sia indipendente dall’accesso alla rete, in particolare per analizzare questa caratteristica prenderemo in considerazione il caso delle manifestazioni in Egitto e il problema dell’accesso alla rete negato dalle autorità.
Scenario 2.6 Condivisione di Device:
 Attraverso i dispositivi ULOOP sarà più semplice condividere dati e informazioni, ma anche periferiche. Penseremo alle difficoltà che si riscontrano nel tentativo di una condivisione tra due pc connessi tramite wi-fi e vedremo in che modo i dispositivi ULOOP possono differenziarsi in questi utilizzi.
Primi approcci teorici: alcuni chiarimenti
La ricerca su ULOOP è veramente complessa e sfaccettata, pertanto questi sono gli interrogativi iniziali che guideranno la nostra ricerca ma data la vastità degli argomenti toccati e delle possibilità offerte da questa nuova tecnologia sicuramente emergeranno nuovi interrogativi e nuove vie da esplorare.
È necessario a questo punto fare una ulteriore considerazione. Lo sviluppo e l’evoluzione e di una tecnologia possono essere ipotizzati e tracciati in base alle caratteristiche della tecnologia e alle ipotesi di utilizzo ma, come ci suggerisce l’approccio del Social Shaping of Technologies (Williams R., Edge D. The social shaping of technology, in Research Policy vol. 25, 1996)  la natura delle tecnologie e la direzione del loro cambiamento non è predeterminata in modo lineare, né  hanno necessariamente un “impatto” determinato sulla vita sociale ed economica. L’idea di fondo  è che la creazione e l’implementazione della tecnologia è modellata da un ampio numero di fattori organizzativi, politici, economici e sociali. Il Social Shaping of Technologies (SST) non è un modello teorico unitario, ma un approccio emergente da diversi filoni di ricerca i quali condividono alcune idee di fondo, a partire dal concetto di tecnologia stesso. Secondo l’approccio SST la tecnologia non è una “scatola nera inconoscibile” né un “equipaggiamento” che viene progettato e creato in risposta ad una necessità, collocato in un ambiente e poi spinto fino alla sua adozione da parte degli utenti. La tecnologia, invece, incorpora modelli socio-economici che devono essere svelati e analizzati, sia nel contenuto sia nei suoi processi di evoluzione e innovazione.
La tecnologia è vista come un <<fenomeno inclusivo>> (ibidem, p.868) il cui processo di sviluppo procede grazie all’interazione e alla tensione continua tra elementi tecnici e sociali. Per parlare di tecnologia e del suo sviluppo è necessario, dunque, considerare tutte quelle istituzioni, assetti e organizzazioni all’interno dei quali ha luogo l’adozione, la configurazione e l’utilizzo della tecnologia. In questo insieme di fattori devono essere incluse la conoscenza e l’expertise che l’hanno creata e che si incorporano in essa, e il processo di apprendimento e di esperienza che si sviluppa nell’uso della tecnologia stessa.
Questo approccio si concentra, inoltre, sul concetto di scelta che influenza tutti i passaggi nella creazione di una tecnologia dall’ideazione, alla progettazione, alla commercializzazione all’uso. Possiamo pensare alla tecnologia come un <<giardino di traiettorie che si biforcano>> (ibid. p857) e ogni scelta compiuta da ogni attore sociale può portare a diversi esiti e a diverse implicazioni per la società e per i gruppi sociali che la usano nel suo processo di evoluzione. Questo apre a due questioni che riguardano la negoziabilità e la irreversibilità.
1. La negoziabilità riguarda lo scopo per cui alcuni gruppi sociali forzano la forma delle tecnologie per i loro fini (si pensi alla nascita dell’e-mail, in seguito alla trasformazione del modo d’uso della tecnologia di connessione sviluppata da ARPANET).
2. L’irreversibilità riguarda il radicamento di certi usi che preclude la possibilità di sviluppi diversi o alternativi di quella tecnologia.
E’ importante, inoltre, osservare il modo in cui la tecnologia si diffonde, obiettivo questo della “Teoria della diffusione delle innovazioni” (Si veda su questo il contributo di Leah A. Lievrouw, Progettazione e sviluppo dei new media: diffusione delle innovazioni e modellamento sociale della tecnologia nell’edizione italiana del manuale Capire i New Media. Culture, comunicazione, innovazione tecnologica e istituzioni sociali e anche le slide realizzate da Davide Bennato sul tema) sviluppata da Rogers e che

pone particolare attenzione alle relazioni comunicative e ai flussi di informazione che promuovono l’adozione e l’implementazione di una tecnologia

Secondo questa teoria, infatti le reti di relazioni e i significati condivisi modellano l’azione sociale, inclusa l’adozione della tecnologia ed è importante tenerne conto soprattutto in quelle tecnologie che si sviluppano su modelli informatici di comunicazione.
Dal momento che U-Loop è una tecnologia altamente flessibile e che offre innovativi modi di interazione tra utenti e tra utenti e ambiente, sarà necessario un livello di analisi che vada oltre l’idea di “previsione dell’impatto sociale” e che, piuttosto, ponga attenzione ai modi in cui la tecnologia evolve sia in fase di progettazione sia in fase di adozione, non per anticipare ma per comprenderne al meglio gli sviluppi possibili e futuri.
Quanto detto fin qui raccoglie le prime domande e le prime considerazioni che orienteranno la nostra attività di ricerca su ULOOP.
Per le risposte dovrete attendere necessariamente i post successivi 🙂Questo post è il primo di una serie di articoli curati da Erica Giambitto e dedicati al progetto ULOOP.
Inizia  il nostro lavoro di ricerca nell’ambito del progetto ULOOP (User-centric Wireless Local Loop), che sarà principalmente orientato all’analisi della sostenibilità socio-economica di questa nuova tecnologia, e più in generale, ai suoi possibili impatti sociali.
ULOOP è un progetto triennale finanziato dall’Unione Europea nell’ambito del settimo programma quadro. Per l’Università di Urbino coordina il team interdisciplinare che lavora al progetto il Prof. Alessandro Bogliolo.
Che cos’è ULOOP
Come suggerisce il nome “User-centric Wireless Local Loop” ULOOP è una tecnologia che coinvolge l’utente nella creazione di reti. L’idea principale è quella di sfruttare l’alta densità di reti wireless disponibili sviluppando dei meccanismi di condivisione virtuosa che permettano una gestione delle risorse dinamiche volte a creare un’architettura che si auto-organizzi in base al contesto. Una volta realizzata, consentirà agli utenti di generare una rete wireless attraverso i loro dispositivi ULOOP permettendo da un lato di accedere ad Internet sostituendosi all’”ultimo miglio” e dall’altro di offrire e usufruire vicendevolmente di servizi attraverso i propri device, come ad esempio un local-loop attivato in base a ciò che una comunità di individui (utenti finali) desidera condividere (informazioni, dati, periferiche). Collaborazione sospinta da incentivi alla cooperazione e buone regole di comportamento il sui supporto sarà integrato direttamente al livello della piattaforma.
Gli usi previsti di ULOOP sono stati ipotizzati e raccolti in due casi d’uso specifici, ciascuno dei quali prevede degli Scenari rappresentativi che illustrano, in modo dettagliato, il modo in cui funzionerà questa tecnologia.  Il primo caso d’uso, da qui ULOOP1, riguarda in particolare gli aspetti legati alle potenzialità della tecnologia come ad esempio l’estensione della copertura offerta dal wireless e lo scambio di servizi e di dati tra utenti equipaggiati con dispositivi ULOOP. Il secondo caso d’uso, da qui ULOOP2,  si basa sulle caratteristiche del primo e prevede lo sviluppo di una connessione locale, legata alla compresenza degli utenti in un’area definita, in grado di adattarsi al contesto e alle necessità degli utenti stessi, fornendo così una piattaforma di scambio di dati e informazioni basata su un modello collaborativo.
Vediamo brevemente le scene rappresentative di ogni caso d’uso:
ULOOP 1
Scenario 1.1 Estensione della copertura a banda larga:
Interfacciando i dispositivi U-Loop gli utenti saranno in grado di configurarsi come nodi connessione alla rete espandendone la copertura o di sfruttare la disponibilità offerta in questo senso da un altro utente.
Scenario1.2 Offloading 3G: 
Secondo lo stesso principio parte del traffico che normalmente viene consumato sulla rete 3G potrà essere trasferito e smaltito attraverso U-Loop.
Scenario1.3 Comunicazioni intra-U-Loop: In uno spazio definito,  gli utenti possono creare reti ad-hoc per condividere informazioni internamente senza utilizzare la connessione ad internet, risparmiando batteria e costi di connessione;
Scenario1.4 Bilanciamento e adattamento del carico:
sovraccarichi della rete in termini di numeri d’accesso saranno gestiti dal sistema in modo da consentire una velocità di connessione ottimale per ogni utente;
Scenario1.5 Controllo d’accesso basato sulla fiducia:
I permessi di aggancio tra un device e l’altro verranno gestiti automaticamente dal sistema in base alle “credenziali” degli utenti, tracciate anche attraverso le relazioni stabilite sui social network. Questo potrà essere un meccanismo auto-regolatore del comportamento: feedback positivi renderanno più facile l’accesso ad altri device mentre feedback negativi renderanno più difficile la connessione;
Scenario1.6 Supporto di responsabilità:
Controllo della responsabilità delle azioni connesse, consentendo l’accesso ai servizi attraverso il proprio device si avrà la certezza che azioni scorrette compiute da altri non saranno attribuite a chi ha permesso la connessione.
ULOOP 2
Scenario 2.1 Monitoraggio collaborativo:
gli utenti collaborano nella raccolta e ri-diffusione di dati e informazioni riguardo all’ambiente, realizzando così un monitoraggio collaborativo di situazioni contingenti (pericoli, attività);
Scenario 2.2 Advertising di prossimità: 
invio e ricezione di comunicazioni commerciali riferite al contesto;
Scenario 2.3 Servizi turistici di comunità:
condivisione di informazioni turistiche sui luoghi in cui ci si trova;
Scenario 2.4 Individuazione collaborativa di attacchi:
comportamenti anormali o dannosi di altri utenti possono essere tracciati e individuati attraverso azioni collaborative;
Scenario 2.5 Coordinamento di attività di gruppo:
che non necessitano di una connessione ad internet, e che avvengono in quel momento. Si pensi a come ad esempio flash mob, eventi, lavori di gruppo;
Scenario 2.6 Condivisione di device:
come ad esempio stampanti, possono essere rese disponibili da alcuni utenti ad altri membri della community.
Il nostro compito sarà quello di occuparci degli aspetti connessi alla sostenibilità sociale. 
Questo progetto si propone dunque di esplorare il potenziale di un local-loop wireless basato su un modello centrato sull’utente, ed è sviluppato grazie ad una collaborazione interdisciplinare volta ad approfondirne gli impatti da diverse prospettive: tecnico, di business, legislativo e sociale.
Abbiamo deciso di partire da una domanda, implicitamente parte del programma di ricerca affidatoci, che orientasse la nostra attività: ULOOP è una tecnologia che ha una sostenibilità sociale? Si tratta di una domanda non facile che necessita, prima ancora di una risposta, di alcuni chiarimenti preliminari. Dobbiamo perciò innanzitutto chiederci cosa intendiamo con sostenibilità sociale di una tecnologia.
Sostenibilità sociale come mantenimento dell’equilibrio di un sistema
In una prima concettualizzazione di sostenibilità sociale ci è stata utile la tesi di laurea di Serena Canu “Just Greener. Teoria e pratica degli eventi sostenibili in italia” la quale presenta diverse prospettive sulla sostenibilità. L’idea di sostenibilità che emerge unisce due concetti: la prima definizione di sviluppo sostenibile data nel 1987 dal rapporto Brundtland (WCED, Brundtland G.H , Mansour  K.,  1987 common future,  Oxford University Press, Oxford, GB), e cioè di uno sviluppo incentrato non solo sulla crescita economica ma anche su un aumento del benessere generale, e l’idea di sostenibilità sviluppata da Alessandro Lanza (Lanza Alessandro, Lo sviluppo sostenibile, Il Mulino, Bologna, 1997 ) che vede come necessaria una gestione delle risorse che sia compatibile con le capacità di riproduzione delle stesse. Dunque come prima idea di sostenibilità possiamo considerare uno sviluppo inteso come aumento del benessere collettivo organizzato sulla base di una gestione delle risorse che non porti a sprechi né ad un esaurimento delle stesse.
Un secondo concetto che può tornarci utile è quello di impronta ecologica secondo cui il comportamento di ognuno ha un impatto sull’ambiente ed è perciò responsabilità del singolo regolare il proprio modo di agire per rendere il suo impatto inquinante il più basso possibile.
Infine, un ulteriore punto di vista ci è offerto, sempre facendo riferimento alla tesi di Canu, da Serge Latouche il quale propone un modello basato sulla decrescita (Latouche Serge, Breve trattato sulla decrescita serena, Bollati Boringhieri, Torino, 2008) e cioè su una diminuzione dei consumi e su una migliore gestione delle risorse. Su questa base Latouche rimodella anche il concetto di impronta ecologica: descrivendola come un adeguamento dei consumi di ogni singolo individuo basato non più sulla quantità di inquinamento prodotto, bensì sulle risorse che l’ambiente ha a disposizione per ognuno. Questa nuova idea di sostenibilità ambientale può essere sviluppata, secondo Latouche, in un percorso che prevede otto tappe di cambiamento tra loro interdipendenti.
Possiamo a questo punto chiederci se i modi di utilizzo previsti da ULOOP rispettino le caratteristiche di sostenibilità citate e tracciare così le prime ipotesi sulla sostenibilità sociale di ULOOP.
Ciò che emerge dalla descrizione dei casi d’uso di ULOOP è l’idea di  una tecnologia il cui funzionamento si basa su una nuova concezione dell’utente, visto come nodo attivo della rete che contribuisce, mettendo a disposizione della collettività il proprio dispositivo per migliorare la gestione di risorse quali l’estensione di banda, la potenza di calcolo, l’utilizzo di memoria o energia, a sviluppare un sistema dinamico che sia in grado di adattarsi alle esigenze degli individui in relazione al contesto (luogo e momento di utilizzo). Il punto di forza di ULOOP  sta nella capacità del sistema di trasferire le risorse tra gli utenti in modo tale che, chi vuole, può permettere ad altri di utilizzare risorse a lui non necessarie in quel momento.
Forse a qualcuno, leggendo questa descrizione, sarà venuto in mente il progetto FON. Siete sulla buona strada perché proprio FON è uno dei partner del progetto ULOOP.
Possiamo rintracciare in questa modalità di funzionamento un sistema in grado di gestire le proprie risorse in maniera ottimale per il benessere della collettività. Un sistema che ha forti similitudini con quegli aspetti dello sviluppo sostenibile sopra evidenziati dalle teorie della sostenibilità.
Alcuni dei servizi offerti da ULOOP sembrano incarnare quelle tappe descritte da Latouche (ibidem). Un esempio è quella che l’autore chiama Rivalutazione:  e cioè la “rivalutazione di valori oggi sopraffatti”  come può essere la condivisione di risorse senza scopo di lucro. Oppure la Riconcettualizzazione e la Ridistribuzione: tappe basate sulla “ristrutturazione dei rapporti sociali e ridistribuzione delle ricchezze”, con ULOOP si può infatti mettere a disposizione il contributo del proprio device e ottimizzare il consumo di banda o di batteria agendo anche in un’ottica di Riduzione dei consumi. Ancora, possiamo considerare la Rilocalizzazione: per cui “movimenti di merci e capitali devono essere limitati all’indispensabile”, ULOOP consente uno scambio di informazioni che riguardano l’area in cui gli utenti si trovano in un determinato momento (ad esempio informazioni turistiche, di traffico o commerciali)  senza dover ricorrere ad una connessione ad internet.
ULOOP come comunità in cui emerge capitale sociale
Lo scambio reciproco di risorse e servizi che avviene tra utenti, e tra utente e sistema, può essere osservato anche attraverso il concetto di capitale sociale. Come espresso da Portes (Portes Alejandro, SOCIAL CAPITAL: Its Origins and Applications in Modern Sociology Annu. Rev. Sociol. 1998. p.1-24) il capitale sociale è la capacità di ottenere vantaggi attraverso l’appartenenza a reti e ad altre strutture sociali per cui per

possedere capitale sociale una persona deve essere relazionata ad altre, e sono quegli altri, e non lui stesso, a costituire la fonte di suoi vantaggi (ibidem, p.6).

Riportando la definizione di Bourdieu di capitale sociale e cioè

l’aggregato delle risorse attuali e potenziali legate al possesso di una rete di relazioni di reciproca conoscenza (…), in cui i vantaggi che derivano dall’appartenenza ad un gruppo sono le basi della solidarietà che lo rende possibile (Bourdieu 1985, p. 248)

l’autore evidenzia come il capitale sociale sia scomponibile in due elementi: la relazione sociale che permette agli individui di ottenere l’accesso alle risorse possedute da altri e la quantità e la qualità delle risorse in sé.
Le caratteristiche proprie di ULOOP lo rendono un luogo dinamico all’interno del quale diversi attori interagiscono per usufruire di una rete di risorse e servizi, fornendo a loro volta un servizio. ULOOP si configura, dunque, come una rete di relazioni da cui emerge capitale sociale.
Il lavoro di Portes ci aiuta anche nel tentativo di comprendere le motivazioni per cui i membri di ULOOP, dovrebbero rendere disponibili le proprie risorse a vantaggio di altri. Secondo l’autore le motivazioni di chi, attraverso il proprio contributo, fornisce ad altri l’accesso alle risorse possono essere distinte in due generi: consumatorie strumentali.
Le prime riguardano gli individui che provano senso di comunità e di appartenenza nei confronti dell’ambiente in cui agiscono, per questo saranno ben disposti nell’aiutare gli altri membri della comunità e a rispettare le regole condivise.
Le seconde vedono gli individui affidarsi al funzionamento della comunità come garanzia del fatto che saranno ripagati del loro contributo, sia in termini di restituzione del servizio o della risorsa, sia in termini di acquisizione di uno status onorevole che riscuote approvazione dalla comunità.
Alla base di questi meccanismi c’è la percezione di appartenenza ad una comunità sulla quale si struttura da un lato la bounded solidarity per cui l’identificazione con il proprio gruppo spinge a contribuire al suo benessere favorendo l’iniziativa reciproca, cortocircuitando il fenomeno del free riding (Coleman 1990, pp.273; Portes & Sensenbrenner 1993); dall’altro una enforceable trust secondo cui l’appartenenza comune ad una stessa comunità è garanzia che il proprio contributo verrà ripagato con un riconoscimento da parte della comunità e che il debito verrà ripagato.
Questi concetti possono aiutarci ad approfondire l’analisi già intrapresa (ULOOP, White Paper 03, p.5) sull’inserimento degli utenti di ULOOP nella catena del valore, per cui ogni utente in essa coinvolto deve trarre vantaggio dall’uso di ULOOP in modo da essere motivato alla partecipazione supportandone così il funzionamento.
In particolare l’analisi evidenzia diverse forme di incentivi alla partecipazione e cioè: vantaggi immediati forniti dalla partecipazione ad uno scenario; il coinvolgimento nella catena del valore per cui gli attori coinvolti devono beneficiare da ULOOP in modo da essere motivati ad attivare e supportare le caratteristiche di ULOOP; il “role swapping per cui gli eventuali svantaggi sofferti in una situazione verranno ricompensati da vantaggi ottenuti in altre situazioni; l’acquisizione di una reputazione basata sul comportamento tenuto in ULOOP e la possibilità di monetarizzazione, ovvero l’accumulazione di crediti spendibili nella catena del valore.
Sostenibilità sociale come raggiungimento di una massa critica
Un altro modo di interrogarci sulla sostenibilità sociale di ULOOP nella nostra ricerca ha a che fare con il raggiungimento della massa critica, e cioè il raggiungimento di un numero di utenti tale da permettere alla rete ULOOP di autoalimentarsi e di sostenersi.
<< La sostenibilità socio-economica di una rete ULOOP dipende dalla diffusione dei devices abilitati ULOOP che, a sua volta, dipende dalla capacità del modello di attirare le persone. Così, l’analisi di sostenibilità deve cominciare dalle caratteristiche chiave di ULOOP, che possono essere percepite come valore aggiunto dai giocatori coinvolti nel modello>> (White Paper on ULOOP Socio-Economics).
La diffusione dei device abilitati, al momento non è quantificabile essendo ULOOP una tecnologia in fase di progettazione, ma viene ipotizzata analizzando i requisiti di penetrazione necessari al funzionamento del modello. Per ognuno dei casi d’uso analizzati nel report sono stati individuati dei requisiti di penetrazione che ipotizzassero la quantità di minima, target (ottimale) e motivazionale (che stimoli la partecipazione e che invogli altri attori ad utilizzare ULOOP)  di device raggiungibili da ogni nodo della rete, necessari al funzionamento del modello.
La densità degli utenti che utilizzano ULOOP, dunque, influenza le sue possibilità di funzionamento e, di conseguenza, anche la sua qualità. Il raggiungimento di una densità motivazionale, ad esempio, può invogliare altri utenti ad attivarsi, aggiungendo così un nuovo nodo potenzialmente attivo alla rete. Inoltre, più nodi potenzialmente attivi si aggiungono alla rete, più il valore aggiunto percepito dagli utenti aumenta (si pensi a come cresce il valore di un social network con il crescere delle persone che lo utilizzano).
Possiamo così richiamare il concetto di network effect. In particolare ciò che ci interessa è l’accezione che ne dà la legge di Metcalfe secondo cui il valore di una rete è proporzionale al quadrato degli utenti della rete stessa. Il network effect, però, si sviluppa solo dopo che il numero di adesioni ha superato una certa soglia, detta massa critica.
In questo senso un’altra domanda di ricerca potrebbe essere: quali tecnologie hanno raggiunto una massa criticaQuali sono le caratteristiche che hanno in comune e hanno consentito loro di raggiungere una massa critica? E’ possibile rintracciare queste caratteristiche anche in ULOOP?
Una delle tecnologie prese in considerazione è la connessione ad internet da mobile. Secondo l’analisi di Nielsen Media (Critical Mass, The Worldwide state of the Mobile web, Nielsen Mobile, 2008), l’utilizzo di Internet da dispositivo mobile ha raggiunto una massa critica di utenti attraverso una confluenza di fattori che hanno portato ad un  miglioramento dell’esperienza di Internet da parte degli utenti, fattori  tra cui spiccano  la velocità delle reti e la disponibilità dei contenuti .
Un altro confronto utile potrebbe rivelarsi quello con Apple iPhone. Lo stesso studio di Nielsen rivela che sebbene nell’anno in cui è stato svolto lo studio iPhone fosse ancora agli esordi, l’82% di possessori di iPhone lo utilizzavano per collegarsi ad Internet. Il rapporto degli utenti con iPhone ha migliorato l’esperienza degli utenti con i device mobili, creando nuove aspettative di esperienza nell’uso di un device per collegarsi alla rete in merito alla sua usabilità e allapossibilità di condividere informazioni geolocalizzate e in tempo reale.
Miglioramento dell’esperienza nei confronti e grazie alla tecnologia, velocità, mobilità, disponibilità di contenuti e di informazioni sensibili al contesto. Caratteristiche queste che sono alla base del funzionamento dei dispositivi ULOOP: garantisce un trasferimento di dati veloce in quanto sfrutta tutte le risorse disponibili per la condivisione dei dati; consente, attraverso il bilanciamento del carico di traffico, di evitare eventuali sovraccarichi di rete e, dunque, rallentamenti; si adatta al contesto nel funzionamento in generale, nella reperibilità di servizi e nella raccolta e diffusione di informazioni.
Queste considerazioni fanno emergere un altro interrogativo per la nostra ricerca: perché si dovrebbe usare una tecnologia come ULOOP dal momento che ne esistano già di simili largamente usate? Quali sono le caratteristiche che potrebbero spingere gli utenti all’utilizzo di ULOOP?
ULOOP si differenzia da tutte le altre tecnologie nella possibilità offerta agli utenti di sviluppare local loop wireless in maniera autonoma e semplice. Come introdotto nel White Paper 01, la tecnologia di ULOOP sfrutta il recente successo di tecnologie come il Wi-Fi ponendosi come anello di passaggio nella diffusione della rete dal Wi-Fi all’utente finale.  La flessibilità del Wi-Fi sta dando nuove possibilità di connessione alla rete internet, soprattutto nello sviluppo di tecnologie che permettono all’utente di diventare un nodo attivo nella catena di distribuzione della connettività (vedi appunto FON).
Attraverso i device abilitati ULOOP gli utenti possono creare delle reti collegandosi tra di loro, anche in maniera indipendente dalla rete Internet;  oppure legate ad essa agendo come suo diretto punto di espansione della portata. Questo consente da un lato una maggiore fluidità e semplicità nello scambio di dati e informazioni e dall’altro un’estensione della  portata della rete ad un costo ridotto.
La flessibilità e la libertà offerte nella creazione di reti mettono in evidenza un altro tratto unico di ULOOP e cioè lapossibilità di sviluppare una architettura di rete “Fai-Da-Te”, caratterizzata da una infrastruttura altamente dinamica e adattabile al contesto d’uso.
Analizzando a fondo le scene rappresentative dei casi d’uso e confrontandole con tecnologie già esistenti che offrono servizi simili potremmo comprendere meglio l’unicità e l’attrattività di ULOOP dal punto di vista dell’utente. Per fare questo ci concentreremo in particolare sul caso d’uso ULOOP2 in quanto descrive effettivi comportamenti di utilizzo di ULOOP tra utenti che possono essere riscontrate anche in altre tecnologie.
Scenario 2.1 Collaborative monitoring:
attraverso ULOOP si può sviluppare un controllo sull’ambiente in tempo reale e collaborativo, in modo da fornire ad altri utenti informazioni il più possibile dettagliate. Questa caratteristica può essere confrontata con applicazioni iPhone, o più in generale per smartphone, per il controllo del traffico in tempo reale come ad esempio Wikango e Waze.
Scenario 2.2 Advertising di Prossimità:
 
e le sue potenzialità possono essere confrontate  con i check-in di foursquare oppure i facebookdeals.
Scenario 2.3 Servizi turistici alla comunità:
prevede una condivisione di informazioni turistiche all’interno della rete creata ad hoc da turisti che si trovano in una stessa zona o dagli abitanti locali per agevolare la presenza dei turisti nel territorio. Questo tipo di funzionalità può essere paragonato con applicazioni per smartphone come ad esempio TripWolf che consente di avere informazioni contestualizzate in base alla propria localizzazione e permette di scaricarle per poterle consultare offline in modo da non consumare tropo traffico in roaming nel caso di un viaggio all’estero;
Già a questo punto si può delineare una prima fondamentale differenza: tutti questi servizi sono offerti oggi attraverso delle applicazioni realizzate appositamente da diversi soggetti, che devono essere ricercate e installate sul proprio dispositivo, mentre su un dispositivo ULOOP sono delle funzionalità integrate nel modo di funzionamento della tecnologia stessa.
Scenario 2.4 Individuazione di attacchi alla rete attraverso la cooperazione:
per comprendere come questi meccanismi sociali lavorano e come potrebbero funzionare su ULOOP si è pensato di analizzare e confrontarli con i sistemi che si sviluppano negli ambienti peer-to-peer, come ad esempio Wikipedia, dove il gruppo punisce e isola quei soggetti che sfruttano il sistema senza contribuire o che addirittura lo danneggiano. Parte di questa analisi è stata già sviluppata attraverso l’analisi della catena di valore e dei meccanismi di incentivo che emergono nei modelli di interazione tra i soggetti ULOOP.
Scenario 2.5 Coordinamento di attività di gruppo:
questa Scenario rappresentativo racchiude in realtà molte possibilità di utilizzo. A partire da attività di gruppo di tipo lavorativo o di studio, fino ad attività di social networking senza la necessità di una rete internet. L’utilizzo più interessante e stimolante è però quello di poter creare un coordinamento di attività di gruppo just-in-time che sia indipendente dall’accesso alla rete, in particolare per analizzare questa caratteristica prenderemo in considerazione il caso delle manifestazioni in Egitto e il problema dell’accesso alla rete negato dalle autorità.
Scenario 2.6 Condivisione di Device:
 Attraverso i dispositivi ULOOP sarà più semplice condividere dati e informazioni, ma anche periferiche. Penseremo alle difficoltà che si riscontrano nel tentativo di una condivisione tra due pc connessi tramite wi-fi e vedremo in che modo i dispositivi ULOOP possono differenziarsi in questi utilizzi.
Primi approcci teorici: alcuni chiarimenti
La ricerca su ULOOP è veramente complessa e sfaccettata, pertanto questi sono gli interrogativi iniziali che guideranno la nostra ricerca ma data la vastità degli argomenti toccati e delle possibilità offerte da questa nuova tecnologia sicuramente emergeranno nuovi interrogativi e nuove vie da esplorare.
È necessario a questo punto fare una ulteriore considerazione. Lo sviluppo e l’evoluzione e di una tecnologia possono essere ipotizzati e tracciati in base alle caratteristiche della tecnologia e alle ipotesi di utilizzo ma, come ci suggerisce l’approccio del Social Shaping of Technologies (Williams R., Edge D. The social shaping of technology, in Research Policy vol. 25, 1996)  la natura delle tecnologie e la direzione del loro cambiamento non è predeterminata in modo lineare, né  hanno necessariamente un “impatto” determinato sulla vita sociale ed economica. L’idea di fondo  è che la creazione e l’implementazione della tecnologia è modellata da un ampio numero di fattori organizzativi, politici, economici e sociali. Il Social Shaping of Technologies (SST) non è un modello teorico unitario, ma un approccio emergente da diversi filoni di ricerca i quali condividono alcune idee di fondo, a partire dal concetto di tecnologia stesso. Secondo l’approccio SST la tecnologia non è una “scatola nera inconoscibile” né un “equipaggiamento” che viene progettato e creato in risposta ad una necessità, collocato in un ambiente e poi spinto fino alla sua adozione da parte degli utenti. La tecnologia, invece, incorpora modelli socio-economici che devono essere svelati e analizzati, sia nel contenuto sia nei suoi processi di evoluzione e innovazione.
La tecnologia è vista come un <<fenomeno inclusivo>> (ibidem, p.868) il cui processo di sviluppo procede grazie all’interazione e alla tensione continua tra elementi tecnici e sociali. Per parlare di tecnologia e del suo sviluppo è necessario, dunque, considerare tutte quelle istituzioni, assetti e organizzazioni all’interno dei quali ha luogo l’adozione, la configurazione e l’utilizzo della tecnologia. In questo insieme di fattori devono essere incluse la conoscenza e l’expertise che l’hanno creata e che si incorporano in essa, e il processo di apprendimento e di esperienza che si sviluppa nell’uso della tecnologia stessa.
Questo approccio si concentra, inoltre, sul concetto di scelta che influenza tutti i passaggi nella creazione di una tecnologia dall’ideazione, alla progettazione, alla commercializzazione all’uso. Possiamo pensare alla tecnologia come un <<giardino di traiettorie che si biforcano>> (ibid. p857) e ogni scelta compiuta da ogni attore sociale può portare a diversi esiti e a diverse implicazioni per la società e per i gruppi sociali che la usano nel suo processo di evoluzione. Questo apre a due questioni che riguardano la negoziabilità e la irreversibilità.
1. La negoziabilità riguarda lo scopo per cui alcuni gruppi sociali forzano la forma delle tecnologie per i loro fini (si pensi alla nascita dell’e-mail, in seguito alla trasformazione del modo d’uso della tecnologia di connessione sviluppata da ARPANET).
2. L’irreversibilità riguarda il radicamento di certi usi che preclude la possibilità di sviluppi diversi o alternativi di quella tecnologia.
E’ importante, inoltre, osservare il modo in cui la tecnologia si diffonde, obiettivo questo della “Teoria della diffusione delle innovazioni” (Si veda su questo il contributo di Leah A. Lievrouw, Progettazione e sviluppo dei new media: diffusione delle innovazioni e modellamento sociale della tecnologia nell’edizione italiana del manuale Capire i New Media. Culture, comunicazione, innovazione tecnologica e istituzioni sociali e anche le slide realizzate da Davide Bennato sul tema) sviluppata da Rogers e che

pone particolare attenzione alle relazioni comunicative e ai flussi di informazione che promuovono l’adozione e l’implementazione di una tecnologia

Secondo questa teoria, infatti le reti di relazioni e i significati condivisi modellano l’azione sociale, inclusa l’adozione della tecnologia ed è importante tenerne conto soprattutto in quelle tecnologie che si sviluppano su modelli informatici di comunicazione.
Dal momento che U-Loop è una tecnologia altamente flessibile e che offre innovativi modi di interazione tra utenti e tra utenti e ambiente, sarà necessario un livello di analisi che vada oltre l’idea di “previsione dell’impatto sociale” e che, piuttosto, ponga attenzione ai modi in cui la tecnologia evolve sia in fase di progettazione sia in fase di adozione, non per anticipare ma per comprenderne al meglio gli sviluppi possibili e futuri.
Quanto detto fin qui raccoglie le prime domande e le prime considerazioni che orienteranno la nostra attività di ricerca su ULOOP.
Per le risposte dovrete attendere necessariamente i post successivi 🙂

Alcuni dati sui Twitter trending topic in Italia

Gli argomenti della settimana su Twitter in Italia analizzati con il GnipPowerTrack importer di DiscoverText

Come accennato nel precedente post, ho avuto la possibilità di testare per alcuni giorni una nuova funzionalità di DiscoverText che consente di reperire gli status di Twitter (Tweet) in tempo (quasi) reale.  Grazie all’accordo con Gnip, DiscoverText consente dunque di accedere alla così detta Firehose (il flusso di tutti gli status di Twitter) e di raccogliere questi contenuti per una successiva analisi.
La partecipazione a questo programma di beta test è durata dal 19 al 24 Ottobre (anche se il servizio è ancora al momento attivo).
DiscoverText, già nella versione in produzione, consente di importare contenuti da diverse fonti:

Per quanto riguarda Twitter era già disponibile il Live Feed Import basato sulle REST API di Twitter che richiede l’autenticazione con il proprio nome utente e password ed ha il vantaggio di poter reperire i Tweet da un archivio degli ultimi 5/6 giorni e lo svantaggio di non garantire la completezza dei risultati (si veda il precedente post per i dettagli su questo).
La novità è il GNIP PowerTrack importer.
Questa modalità di importazione dei Tweet ha il vantaggio di restituire il flusso completo di tutti gli status pubblici e lo svantaggio di non consentire l’accesso ad alcun archivio (il flusso che si riesce a reperire parte dal momento in cui si inizia a raccogliere i dati).
Una combinazione delle due metodologie di importazione descritte dovrebbe consentire dunque una ragionevole fedeltà nella raccolta dati (ovviamente bisognerà rimuovere i duplicati, cosa che DiscoverText consente di fare in automatico).
La metodologia di importazione GNIP PowerTrack si basa sulla costruzione di una regola di importazione che può essere costruita da un massimo di 10 termini o operatori fino a una lunghezza complessiva di 255 caratteri per l’intera regola. In pratica si tratta di filtrare il flusso dei contenuti secondo certi criteri.
Si possono cercare frasi esatte, usare gli operatori – per escludere un termine, usare un hashtag – vengono identificati alla fonte da Twitter – come chiave di ricerca, una mention di un utente specifico (@nomeutente compresi i RT), status prodotti o destinati ad un utente specifico (from: e to:), contenenti smile, status prodotti da un client specifico, status che siano retweet di uno specifico utente, status contenenti luoghi, stringhe specifiche, che contengono un certo indirizzo internet, status prodotti da utenti che abbiano un klout score compreso fra due valori minimo e massimo, status che contengono link, che siano geo-referenziati, che contengono almeno una mentions (compresi dunque i retweet) o almeno un hashtag e infine status classificati da Gnip come appartenenti ad una certa lingua (compreso l’italiano).
Per testare la funzionalità ho raccolto i dati per molti dei trending topics (per capire meglio come vengono calcolati consiglio la lettura di questo articolo) italiani emersi nel corso degli ultimi giorni da #erpelliccia a #gheddafi, da #nubifragio a #notav (+ “val di susa”) senza dimenticare #XF5 e #gf12.  Ho anche provato per breve tempo a monitorare un trending topic globale e sponsorizzato come “Paranormal Activity 3”. Per completare i test ho anche provato a raccogliere i dati dell’interno stream di contenuti in lingua italiana allo scopo di comprendere meglio la consistenza del flusso di tweet prodotti nella nostra lingua.
Iniziamo l’analisi da questi ultimi.
Usando il filtro lang:it avrei dovuto reperire il flusso di Tweet in italiano. Purtroppo questo filtro si è dimostrato del tutto inefficace. Per motivi che non mi sono chiari oltre ai Tweet in italiano sono stati anche reperiti i Tweet in altre lingue fra cui indonesiano, malese, vietnamita, turco e chissà quante altre (ho usato Google Translate per identificarle). Questa errata identificazione della lingua ha reso impossibile raggiungere l’obiettivo che mi ero posto ed i sotto-obiettivi che sarebbero stati identificare quanti di questi Tweet prodotti nella nostra lingua fossero geo-referenziati, contenessero link, mentions ed hashtag.
Passiamo dunque all’analisi del flusso di un trending topic globale e sponsorizzato come “Paranormal Activity 3”.
In questo caso, usando la semplice ricerca per frase esatta, sono stati reperiti 21333 status updates in circa due ore e mezza (nello specifico fra  il 10/21/2011 2:36:13 AM ed il 10/21/2011 5:05:37 AM EST: Eastern Standard Time).  Si tratta di 142 Tweet circa al minuto. DiscoverText supporta l’analisi di grandi quantità di dati attraverso uno strumento chiamato CloudExplorer. Si tratta in pratica di una semplice tagcloud che consente però di cliccare su ogni voce per accedere alla lista dei contenuti filtrati per quella parola chiave.

 
Cliccando ad esempio su See si accede ad una lista filtrata dei 7260 Tweet in archivio che contengono questo termine.  L’archivio può inoltre essere ricercato liberamente per parola chiave e filtrato usando uno o più criteri basati sugli stessi metadati disponibili per la costruzione di un filtro. Posso ad esempio sapere con facilità quanti status in archivio contengono un hashtag (in questo caso 2433) o quanti contengono menzioni di altri utenti (8004).
Dal pannello filtri avanzati della ricerca è inoltre possibile ottenere alcuni altri dati sull’archivio. Si può ad esempio conoscere il numero degli utenti che hanno usato l’hashtag (19360) e quale di questi lo abbia fatto più volte (15). Conoscere l’hashtag più utilizzato è Paranormal con 281 occorrenze seguito curiosamente da iDontSupport con 66 occorrenze. In totale sono stati utilizzati 1342 hastag diversi. Ci sono invece 5930 utenti diversi menzionati con in testa l’account ufficiale del film chiamato in causa da 531 status.
Il risultato di una ricerca può essere salvato in un bucket (un contenitore di passaggio con il quale miscelare i dati unendo ad esempio più di un bucket) dal quale costruire poi un dataset. Al dataset possono essere applicate le classiche tecniche di analisi del contenuto basate su griglie di analisi date o costruite a partire dai dati. Il dataset toolbox comprende strumenti piuttosto avanzati per il supporto della collaborazione fra più ricercatori nella codifica dello stesso dataset.
Veniamo adesso ai dati che riguardano i trending topics italiani.
Mi soffermerò sui casi di #gheddafi lang:it, #nubifragio, #notav, #XF5 e #gf12.
L’importer avviato alle il 20/10/2011 alle 13:50 (l’ANSA con la notizia della morte di Gheddafi è delle 13:11) ha raccolto 6601 Tweet. Il primo contenuto reperito è datato 20/10/2011 alle 13:49, l’ultimo 24/10/2011 alle 11:17.
Nel GNIP Feed Management è possibile visualizzare un grafico dell’andamento dei Tweet per ogni importer attivo.
Questo è il grafico per #gheddafi (gli orari sono in EST – Eastern Standard Time e gli slot temporali da circa 15 minuti).

 
Il picco è di oltre 300 Tweet in 15 minuti circa e corrisponde con il momento di attivazione dell’importer. Sarebbe stato bello poter raccogliere i dati di quella mezz’ora intercorsa fra l’annuncio della morte ed il momento di attivazione dell’importer. Raccogliere dataset completi relativi a breaking news è veramente difficile con questo metodo.
Per questo motivo ho provato nel caso di #nubifragio ad utilizzare sia l’importer basato sulle REST API sia il GNIP Power Track.
Con questo metodo ho reperito 4005 (1886 con GNIP e 2119 con le REST API) Tweet. La rimozione dei duplicati esatti ha ridotto l’archivio a 1783 status. Non mi è chiarissimo con questo elenco dei duplicati esatti venga creato e dopo averlo applicato anche ad altri archivi che non avrebbero dovuto contenere duplicati temo posso rimuovere anche i retweet identici. Purtroppo è difficile estrarre da questo archivio elementi utili sulle date perché, apparentemente, i Tweet importati da GNIP e quelli importati dalle REST API sono riferiti a fusi orari diversi.  Questo status duplicato ha come ora di pubblicazione rispettivamente le 9:33 AM EST e le 5:33 AM di un fuso orario sconosciuto.
Più semplice è invece lavorare su eventi programmati per i quali è possibile attivare l’importer per tempo.
Per la manifestazione di Val di Susa ho seguito l’hashtag #notav e la stringa di ricerca “val di susa”. Ho attivato l’importer alle 8:34 23/10 e reperito nel complesso 5501 Tweet.
Di seguito il grafico per l’hashtag #notav.

 
In questo caso sono riuscito a fotografare l’andamento del fenomeno prima che raggiungesse il picco (avvenuto intorno all’ora di pranzo con oltre 300 Tweet prodotti durante lo slot di 15 minuti circa).
Gli hashtag più utilizzati sono stati #diamociuntaglio (1014) e #report (117). Dei 429 utenti menzionati, notav_info è il più citato (645). In totale hanno contribuito a questo hashtag 1300 utenti diversi. Il più attivo è stato ViceVersa_1917 con 146 Tweet.
Durante il periodo di betatest sono inoltre andati in onda le prime puntate della quinta stagione di X Factor e della dodicesima edizione de Il Grande Fratello.
Per X Factor ho monitorato l’hashtag #xf5 con colpevole ritardo a partire dalla mattina successiva alla messa in onda.

 
Anche la mattina dopo c’è stato un discreto volume di conversazioni che ha superato il picco di 200 Tweet in 15 minuti. Se dovessi avere ancora accesso al servizio proverò a raccogliere i dati relativi alla messa in onda della seconda puntata in onda domani.
Infine per quanto riguarda la prima puntata della dodicesima stagione de Il Grande Fratello ho monitorato sia l’hashtag #gf12 che la stringa “grande fratello” a partire da pochi minuti prima della messa in onda (20:56 del 24/10).
Ecco il volume di Tweet durante la messa in onda (il primo grafico è riferito a “grande fratello” e il secondo a #gf12) [le 3 PM del grafico equivalgono alle nostre 21:00].

 

 
In entrambi i casi l’andamento è simile con le discussioni che si protraggono fino a oltre mezza notte (le 6 PM nel grafico). Il buco delle 5 PM del grafico credo sia dovuto a qualche problema nel flusso di importazione dei dati.
Nel secondo caso si sono toccati e superati gli 800 Tweet in 15 minuti. Inoltre questo volume è stato mantenuto per tutta la durata del programma.
Nel complesso ho reperito 13308 generati da 5169 utenti il più attivo dei quali è stato w4rr10r_0 con i suoi 160 status. Oltre a #gf12 sono stati utilizzati altri 883 diversi hashtag. Il più utilizzato dopo #gf12 è stato #GrandeFratello.
Fra i xxx menzionati nei Tweet etichettati #gf12 spicca @Microsatira il cui tweet ironico è stato retweettato oltre 100 volte (in totale ha ricevuto 189 mentions).
La seguente tagcloud dovrebbe dare un’idea dei temi più citati:

Come spesso accade nei discorsi sui programmi televisivi di grande richiamo i commenti veri e propri al programma si sommano ai giudizi di chi non riesce a capacitarsi di come quel programma possa avere successo o si lamenta della qualità della televisione italiana.
In conclusione credo che DiscoverText sia uno strumento con delle caratteristiche uniche. Non si tratta di un prodotto perfetto e non sono mancate le volte nelle quali, specie su grandi quantità di dati, mi sono stati restituiti dei messaggi di errore. L’accordo che stanno perfezionando con Gnip potrebbe rendere questo strumento essenziale per chi voglia fare ricerca su Twitter. Le modalità di implementazione di questa funzionalità rendono bene le potenzialità di estensibilità della piattaforma. La gestione delle timezones appare migliorabile (forse renderanno in futuro possibile scegliere all’utente il fuso orario per il grafico). Nel complesso il sistema si comporta bene anche su grandi quantità di dati mostrando eccellenti performance nella creazione delle tagclouds (che necessiterebbero però della possibilità di escludere liste di parole comuni) e nelle ricerche che richiedono sempre tempi ragionevolmente brevi per essere portate a termine.
Credo ci siano più di uno spunto
Come ho avuto modo di scrivere altrove, l’utilizzo di una piattaforma web collaborativa per l’analisi del contenuto rappresenta un percorso obbligato per chi desideri fare ricerca qualitativa su grandi quantità di dati (come quelli provenienti dai media sociali).
DiscoverText è un prodotto della Texifter LLC. Si tratta di una società nata come spin-off a partire dall’attività di ricerca di Stuart W. Shulman presso la University of Massachusetts Amherst.
Non mi resta dunque che augurare buon lavoro a Stuart e al suo team di sviluppatori.
P.S. Durante il periodo di beta-test i dati non sono esportabili quindi non chiedetemeli 😉
 
 
 
 
 Come accennato nel precedente post, ho avuto la possibilità di testare per alcuni giorni una nuova funzionalità di DiscoverText che consente di reperire gli status di Twitter (Tweet) in tempo (quasi) reale.  Grazie all’accordo con Gnip, DiscoverText consente dunque di accedere alla così detta Firehose (il flusso di tutti gli status di Twitter) e di raccogliere questi contenuti per una successiva analisi.
La partecipazione a questo programma di beta test è durata dal 19 al 24 Ottobre (anche se il servizio è ancora al momento attivo).
DiscoverText, già nella versione in produzione, consente di importare contenuti da diverse fonti:

Per quanto riguarda Twitter era già disponibile il Live Feed Import basato sulle REST API di Twitter che richiede l’autenticazione con il proprio nome utente e password ed ha il vantaggio di poter reperire i Tweet da un archivio degli ultimi 5/6 giorni e lo svantaggio di non garantire la completezza dei risultati (si veda il precedente post per i dettagli su questo).
La novità è il GNIP PowerTrack importer.
Questa modalità di importazione dei Tweet ha il vantaggio di restituire il flusso completo di tutti gli status pubblici e lo svantaggio di non consentire l’accesso ad alcun archivio (il flusso che si riesce a reperire parte dal momento in cui si inizia a raccogliere i dati).
Una combinazione delle due metodologie di importazione descritte dovrebbe consentire dunque una ragionevole fedeltà nella raccolta dati (ovviamente bisognerà rimuovere i duplicati, cosa che DiscoverText consente di fare in automatico).
La metodologia di importazione GNIP PowerTrack si basa sulla costruzione di una regola di importazione che può essere costruita da un massimo di 10 termini o operatori fino a una lunghezza complessiva di 255 caratteri per l’intera regola. In pratica si tratta di filtrare il flusso dei contenuti secondo certi criteri.
Si possono cercare frasi esatte, usare gli operatori – per escludere un termine, usare un hashtag – vengono identificati alla fonte da Twitter – come chiave di ricerca, una mention di un utente specifico (@nomeutente compresi i RT), status prodotti o destinati ad un utente specifico (from: e to:), contenenti smile, status prodotti da un client specifico, status che siano retweet di uno specifico utente, status contenenti luoghi, stringhe specifiche, che contengono un certo indirizzo internet, status prodotti da utenti che abbiano un klout score compreso fra due valori minimo e massimo, status che contengono link, che siano geo-referenziati, che contengono almeno una mentions (compresi dunque i retweet) o almeno un hashtag e infine status classificati da Gnip come appartenenti ad una certa lingua (compreso l’italiano).
Per testare la funzionalità ho raccolto i dati per molti dei trending topics (per capire meglio come vengono calcolati consiglio la lettura di questo articolo) italiani emersi nel corso degli ultimi giorni da #erpelliccia a #gheddafi, da #nubifragio a #notav (+ “val di susa”) senza dimenticare #XF5 e #gf12.  Ho anche provato per breve tempo a monitorare un trending topic globale e sponsorizzato come “Paranormal Activity 3”. Per completare i test ho anche provato a raccogliere i dati dell’interno stream di contenuti in lingua italiana allo scopo di comprendere meglio la consistenza del flusso di tweet prodotti nella nostra lingua.
Iniziamo l’analisi da questi ultimi.
Usando il filtro lang:it avrei dovuto reperire il flusso di Tweet in italiano. Purtroppo questo filtro si è dimostrato del tutto inefficace. Per motivi che non mi sono chiari oltre ai Tweet in italiano sono stati anche reperiti i Tweet in altre lingue fra cui indonesiano, malese, vietnamita, turco e chissà quante altre (ho usato Google Translate per identificarle). Questa errata identificazione della lingua ha reso impossibile raggiungere l’obiettivo che mi ero posto ed i sotto-obiettivi che sarebbero stati identificare quanti di questi Tweet prodotti nella nostra lingua fossero geo-referenziati, contenessero link, mentions ed hashtag.
Passiamo dunque all’analisi del flusso di un trending topic globale e sponsorizzato come “Paranormal Activity 3”.
In questo caso, usando la semplice ricerca per frase esatta, sono stati reperiti 21333 status updates in circa due ore e mezza (nello specifico fra  il 10/21/2011 2:36:13 AM ed il 10/21/2011 5:05:37 AM EST: Eastern Standard Time).  Si tratta di 142 Tweet circa al minuto. DiscoverText supporta l’analisi di grandi quantità di dati attraverso uno strumento chiamato CloudExplorer. Si tratta in pratica di una semplice tagcloud che consente però di cliccare su ogni voce per accedere alla lista dei contenuti filtrati per quella parola chiave.

 
Cliccando ad esempio su See si accede ad una lista filtrata dei 7260 Tweet in archivio che contengono questo termine.  L’archivio può inoltre essere ricercato liberamente per parola chiave e filtrato usando uno o più criteri basati sugli stessi metadati disponibili per la costruzione di un filtro. Posso ad esempio sapere con facilità quanti status in archivio contengono un hashtag (in questo caso 2433) o quanti contengono menzioni di altri utenti (8004).
Dal pannello filtri avanzati della ricerca è inoltre possibile ottenere alcuni altri dati sull’archivio. Si può ad esempio conoscere il numero degli utenti che hanno usato l’hashtag (19360) e quale di questi lo abbia fatto più volte (15). Conoscere l’hashtag più utilizzato è Paranormal con 281 occorrenze seguito curiosamente da iDontSupport con 66 occorrenze. In totale sono stati utilizzati 1342 hastag diversi. Ci sono invece 5930 utenti diversi menzionati con in testa l’account ufficiale del film chiamato in causa da 531 status.
Il risultato di una ricerca può essere salvato in un bucket (un contenitore di passaggio con il quale miscelare i dati unendo ad esempio più di un bucket) dal quale costruire poi un dataset. Al dataset possono essere applicate le classiche tecniche di analisi del contenuto basate su griglie di analisi date o costruite a partire dai dati. Il dataset toolbox comprende strumenti piuttosto avanzati per il supporto della collaborazione fra più ricercatori nella codifica dello stesso dataset.
Veniamo adesso ai dati che riguardano i trending topics italiani.
Mi soffermerò sui casi di #gheddafi lang:it, #nubifragio, #notav, #XF5 e #gf12.
L’importer avviato alle il 20/10/2011 alle 13:50 (l’ANSA con la notizia della morte di Gheddafi è delle 13:11) ha raccolto 6601 Tweet. Il primo contenuto reperito è datato 20/10/2011 alle 13:49, l’ultimo 24/10/2011 alle 11:17.
Nel GNIP Feed Management è possibile visualizzare un grafico dell’andamento dei Tweet per ogni importer attivo.
Questo è il grafico per #gheddafi (gli orari sono in EST – Eastern Standard Time e gli slot temporali da circa 15 minuti).

 
Il picco è di oltre 300 Tweet in 15 minuti circa e corrisponde con il momento di attivazione dell’importer. Sarebbe stato bello poter raccogliere i dati di quella mezz’ora intercorsa fra l’annuncio della morte ed il momento di attivazione dell’importer. Raccogliere dataset completi relativi a breaking news è veramente difficile con questo metodo.
Per questo motivo ho provato nel caso di #nubifragio ad utilizzare sia l’importer basato sulle REST API sia il GNIP Power Track.
Con questo metodo ho reperito 4005 (1886 con GNIP e 2119 con le REST API) Tweet. La rimozione dei duplicati esatti ha ridotto l’archivio a 1783 status. Non mi è chiarissimo con questo elenco dei duplicati esatti venga creato e dopo averlo applicato anche ad altri archivi che non avrebbero dovuto contenere duplicati temo posso rimuovere anche i retweet identici. Purtroppo è difficile estrarre da questo archivio elementi utili sulle date perché, apparentemente, i Tweet importati da GNIP e quelli importati dalle REST API sono riferiti a fusi orari diversi.  Questo status duplicato ha come ora di pubblicazione rispettivamente le 9:33 AM EST e le 5:33 AM di un fuso orario sconosciuto.
Più semplice è invece lavorare su eventi programmati per i quali è possibile attivare l’importer per tempo.
Per la manifestazione di Val di Susa ho seguito l’hashtag #notav e la stringa di ricerca “val di susa”. Ho attivato l’importer alle 8:34 23/10 e reperito nel complesso 5501 Tweet.
Di seguito il grafico per l’hashtag #notav.

 
In questo caso sono riuscito a fotografare l’andamento del fenomeno prima che raggiungesse il picco (avvenuto intorno all’ora di pranzo con oltre 300 Tweet prodotti durante lo slot di 15 minuti circa).
Gli hashtag più utilizzati sono stati #diamociuntaglio (1014) e #report (117). Dei 429 utenti menzionati, notav_info è il più citato (645). In totale hanno contribuito a questo hashtag 1300 utenti diversi. Il più attivo è stato ViceVersa_1917 con 146 Tweet.
Durante il periodo di betatest sono inoltre andati in onda le prime puntate della quinta stagione di X Factor e della dodicesima edizione de Il Grande Fratello.
Per X Factor ho monitorato l’hashtag #xf5 con colpevole ritardo a partire dalla mattina successiva alla messa in onda.

 
Anche la mattina dopo c’è stato un discreto volume di conversazioni che ha superato il picco di 200 Tweet in 15 minuti. Se dovessi avere ancora accesso al servizio proverò a raccogliere i dati relativi alla messa in onda della seconda puntata in onda domani.
Infine per quanto riguarda la prima puntata della dodicesima stagione de Il Grande Fratello ho monitorato sia l’hashtag #gf12 che la stringa “grande fratello” a partire da pochi minuti prima della messa in onda (20:56 del 24/10).
Ecco il volume di Tweet durante la messa in onda (il primo grafico è riferito a “grande fratello” e il secondo a #gf12) [le 3 PM del grafico equivalgono alle nostre 21:00].

 

 
In entrambi i casi l’andamento è simile con le discussioni che si protraggono fino a oltre mezza notte (le 6 PM nel grafico). Il buco delle 5 PM del grafico credo sia dovuto a qualche problema nel flusso di importazione dei dati.
Nel secondo caso si sono toccati e superati gli 800 Tweet in 15 minuti. Inoltre questo volume è stato mantenuto per tutta la durata del programma.
Nel complesso ho reperito 13308 generati da 5169 utenti il più attivo dei quali è stato w4rr10r_0 con i suoi 160 status. Oltre a #gf12 sono stati utilizzati altri 883 diversi hashtag. Il più utilizzato dopo #gf12 è stato #GrandeFratello.
Fra i xxx menzionati nei Tweet etichettati #gf12 spicca @Microsatira il cui tweet ironico è stato retweettato oltre 100 volte (in totale ha ricevuto 189 mentions).
La seguente tagcloud dovrebbe dare un’idea dei temi più citati:

Come spesso accade nei discorsi sui programmi televisivi di grande richiamo i commenti veri e propri al programma si sommano ai giudizi di chi non riesce a capacitarsi di come quel programma possa avere successo o si lamenta della qualità della televisione italiana.
In conclusione credo che DiscoverText sia uno strumento con delle caratteristiche uniche. Non si tratta di un prodotto perfetto e non sono mancate le volte nelle quali, specie su grandi quantità di dati, mi sono stati restituiti dei messaggi di errore. L’accordo che stanno perfezionando con Gnip potrebbe rendere questo strumento essenziale per chi voglia fare ricerca su Twitter. Le modalità di implementazione di questa funzionalità rendono bene le potenzialità di estensibilità della piattaforma. La gestione delle timezones appare migliorabile (forse renderanno in futuro possibile scegliere all’utente il fuso orario per il grafico). Nel complesso il sistema si comporta bene anche su grandi quantità di dati mostrando eccellenti performance nella creazione delle tagclouds (che necessiterebbero però della possibilità di escludere liste di parole comuni) e nelle ricerche che richiedono sempre tempi ragionevolmente brevi per essere portate a termine.
Credo ci siano più di uno spunto
Come ho avuto modo di scrivere altrove, l’utilizzo di una piattaforma web collaborativa per l’analisi del contenuto rappresenta un percorso obbligato per chi desideri fare ricerca qualitativa su grandi quantità di dati (come quelli provenienti dai media sociali).
DiscoverText è un prodotto della Texifter LLC. Si tratta di una società nata come spin-off a partire dall’attività di ricerca di Stuart W. Shulman presso la University of Massachusetts Amherst.
Non mi resta dunque che augurare buon lavoro a Stuart e al suo team di sviluppatori.
P.S. Durante il periodo di beta-test i dati non sono esportabili quindi non chiedetemeli 😉
 
 
 
 
 Come accennato nel precedente post, ho avuto la possibilità di testare per alcuni giorni una nuova funzionalità di DiscoverText che consente di reperire gli status di Twitter (Tweet) in tempo (quasi) reale.  Grazie all’accordo con Gnip, DiscoverText consente dunque di accedere alla così detta Firehose (il flusso di tutti gli status di Twitter) e di raccogliere questi contenuti per una successiva analisi.
La partecipazione a questo programma di beta test è durata dal 19 al 24 Ottobre (anche se il servizio è ancora al momento attivo).
DiscoverText, già nella versione in produzione, consente di importare contenuti da diverse fonti:

Per quanto riguarda Twitter era già disponibile il Live Feed Import basato sulle REST API di Twitter che richiede l’autenticazione con il proprio nome utente e password ed ha il vantaggio di poter reperire i Tweet da un archivio degli ultimi 5/6 giorni e lo svantaggio di non garantire la completezza dei risultati (si veda il precedente post per i dettagli su questo).
La novità è il GNIP PowerTrack importer.
Questa modalità di importazione dei Tweet ha il vantaggio di restituire il flusso completo di tutti gli status pubblici e lo svantaggio di non consentire l’accesso ad alcun archivio (il flusso che si riesce a reperire parte dal momento in cui si inizia a raccogliere i dati).
Una combinazione delle due metodologie di importazione descritte dovrebbe consentire dunque una ragionevole fedeltà nella raccolta dati (ovviamente bisognerà rimuovere i duplicati, cosa che DiscoverText consente di fare in automatico).
La metodologia di importazione GNIP PowerTrack si basa sulla costruzione di una regola di importazione che può essere costruita da un massimo di 10 termini o operatori fino a una lunghezza complessiva di 255 caratteri per l’intera regola. In pratica si tratta di filtrare il flusso dei contenuti secondo certi criteri.
Si possono cercare frasi esatte, usare gli operatori – per escludere un termine, usare un hashtag – vengono identificati alla fonte da Twitter – come chiave di ricerca, una mention di un utente specifico (@nomeutente compresi i RT), status prodotti o destinati ad un utente specifico (from: e to:), contenenti smile, status prodotti da un client specifico, status che siano retweet di uno specifico utente, status contenenti luoghi, stringhe specifiche, che contengono un certo indirizzo internet, status prodotti da utenti che abbiano un klout score compreso fra due valori minimo e massimo, status che contengono link, che siano geo-referenziati, che contengono almeno una mentions (compresi dunque i retweet) o almeno un hashtag e infine status classificati da Gnip come appartenenti ad una certa lingua (compreso l’italiano).
Per testare la funzionalità ho raccolto i dati per molti dei trending topics (per capire meglio come vengono calcolati consiglio la lettura di questo articolo) italiani emersi nel corso degli ultimi giorni da #erpelliccia a #gheddafi, da #nubifragio a #notav (+ “val di susa”) senza dimenticare #XF5 e #gf12.  Ho anche provato per breve tempo a monitorare un trending topic globale e sponsorizzato come “Paranormal Activity 3”. Per completare i test ho anche provato a raccogliere i dati dell’interno stream di contenuti in lingua italiana allo scopo di comprendere meglio la consistenza del flusso di tweet prodotti nella nostra lingua.
Iniziamo l’analisi da questi ultimi.
Usando il filtro lang:it avrei dovuto reperire il flusso di Tweet in italiano. Purtroppo questo filtro si è dimostrato del tutto inefficace. Per motivi che non mi sono chiari oltre ai Tweet in italiano sono stati anche reperiti i Tweet in altre lingue fra cui indonesiano, malese, vietnamita, turco e chissà quante altre (ho usato Google Translate per identificarle). Questa errata identificazione della lingua ha reso impossibile raggiungere l’obiettivo che mi ero posto ed i sotto-obiettivi che sarebbero stati identificare quanti di questi Tweet prodotti nella nostra lingua fossero geo-referenziati, contenessero link, mentions ed hashtag.
Passiamo dunque all’analisi del flusso di un trending topic globale e sponsorizzato come “Paranormal Activity 3”.
In questo caso, usando la semplice ricerca per frase esatta, sono stati reperiti 21333 status updates in circa due ore e mezza (nello specifico fra  il 10/21/2011 2:36:13 AM ed il 10/21/2011 5:05:37 AM EST: Eastern Standard Time).  Si tratta di 142 Tweet circa al minuto. DiscoverText supporta l’analisi di grandi quantità di dati attraverso uno strumento chiamato CloudExplorer. Si tratta in pratica di una semplice tagcloud che consente però di cliccare su ogni voce per accedere alla lista dei contenuti filtrati per quella parola chiave.

 
Cliccando ad esempio su See si accede ad una lista filtrata dei 7260 Tweet in archivio che contengono questo termine.  L’archivio può inoltre essere ricercato liberamente per parola chiave e filtrato usando uno o più criteri basati sugli stessi metadati disponibili per la costruzione di un filtro. Posso ad esempio sapere con facilità quanti status in archivio contengono un hashtag (in questo caso 2433) o quanti contengono menzioni di altri utenti (8004).
Dal pannello filtri avanzati della ricerca è inoltre possibile ottenere alcuni altri dati sull’archivio. Si può ad esempio conoscere il numero degli utenti che hanno usato l’hashtag (19360) e quale di questi lo abbia fatto più volte (15). Conoscere l’hashtag più utilizzato è Paranormal con 281 occorrenze seguito curiosamente da iDontSupport con 66 occorrenze. In totale sono stati utilizzati 1342 hastag diversi. Ci sono invece 5930 utenti diversi menzionati con in testa l’account ufficiale del film chiamato in causa da 531 status.
Il risultato di una ricerca può essere salvato in un bucket (un contenitore di passaggio con il quale miscelare i dati unendo ad esempio più di un bucket) dal quale costruire poi un dataset. Al dataset possono essere applicate le classiche tecniche di analisi del contenuto basate su griglie di analisi date o costruite a partire dai dati. Il dataset toolbox comprende strumenti piuttosto avanzati per il supporto della collaborazione fra più ricercatori nella codifica dello stesso dataset.
Veniamo adesso ai dati che riguardano i trending topics italiani.
Mi soffermerò sui casi di #gheddafi lang:it, #nubifragio, #notav, #XF5 e #gf12.
L’importer avviato alle il 20/10/2011 alle 13:50 (l’ANSA con la notizia della morte di Gheddafi è delle 13:11) ha raccolto 6601 Tweet. Il primo contenuto reperito è datato 20/10/2011 alle 13:49, l’ultimo 24/10/2011 alle 11:17.
Nel GNIP Feed Management è possibile visualizzare un grafico dell’andamento dei Tweet per ogni importer attivo.
Questo è il grafico per #gheddafi (gli orari sono in EST – Eastern Standard Time e gli slot temporali da circa 15 minuti).

 
Il picco è di oltre 300 Tweet in 15 minuti circa e corrisponde con il momento di attivazione dell’importer. Sarebbe stato bello poter raccogliere i dati di quella mezz’ora intercorsa fra l’annuncio della morte ed il momento di attivazione dell’importer. Raccogliere dataset completi relativi a breaking news è veramente difficile con questo metodo.
Per questo motivo ho provato nel caso di #nubifragio ad utilizzare sia l’importer basato sulle REST API sia il GNIP Power Track.
Con questo metodo ho reperito 4005 (1886 con GNIP e 2119 con le REST API) Tweet. La rimozione dei duplicati esatti ha ridotto l’archivio a 1783 status. Non mi è chiarissimo con questo elenco dei duplicati esatti venga creato e dopo averlo applicato anche ad altri archivi che non avrebbero dovuto contenere duplicati temo posso rimuovere anche i retweet identici. Purtroppo è difficile estrarre da questo archivio elementi utili sulle date perché, apparentemente, i Tweet importati da GNIP e quelli importati dalle REST API sono riferiti a fusi orari diversi.  Questo status duplicato ha come ora di pubblicazione rispettivamente le 9:33 AM EST e le 5:33 AM di un fuso orario sconosciuto.
Più semplice è invece lavorare su eventi programmati per i quali è possibile attivare l’importer per tempo.
Per la manifestazione di Val di Susa ho seguito l’hashtag #notav e la stringa di ricerca “val di susa”. Ho attivato l’importer alle 8:34 23/10 e reperito nel complesso 5501 Tweet.
Di seguito il grafico per l’hashtag #notav.

 
In questo caso sono riuscito a fotografare l’andamento del fenomeno prima che raggiungesse il picco (avvenuto intorno all’ora di pranzo con oltre 300 Tweet prodotti durante lo slot di 15 minuti circa).
Gli hashtag più utilizzati sono stati #diamociuntaglio (1014) e #report (117). Dei 429 utenti menzionati, notav_info è il più citato (645). In totale hanno contribuito a questo hashtag 1300 utenti diversi. Il più attivo è stato ViceVersa_1917 con 146 Tweet.
Durante il periodo di betatest sono inoltre andati in onda le prime puntate della quinta stagione di X Factor e della dodicesima edizione de Il Grande Fratello.
Per X Factor ho monitorato l’hashtag #xf5 con colpevole ritardo a partire dalla mattina successiva alla messa in onda.

 
Anche la mattina dopo c’è stato un discreto volume di conversazioni che ha superato il picco di 200 Tweet in 15 minuti. Se dovessi avere ancora accesso al servizio proverò a raccogliere i dati relativi alla messa in onda della seconda puntata in onda domani.
Infine per quanto riguarda la prima puntata della dodicesima stagione de Il Grande Fratello ho monitorato sia l’hashtag #gf12 che la stringa “grande fratello” a partire da pochi minuti prima della messa in onda (20:56 del 24/10).
Ecco il volume di Tweet durante la messa in onda (il primo grafico è riferito a “grande fratello” e il secondo a #gf12) [le 3 PM del grafico equivalgono alle nostre 21:00].

 

 
In entrambi i casi l’andamento è simile con le discussioni che si protraggono fino a oltre mezza notte (le 6 PM nel grafico). Il buco delle 5 PM del grafico credo sia dovuto a qualche problema nel flusso di importazione dei dati.
Nel secondo caso si sono toccati e superati gli 800 Tweet in 15 minuti. Inoltre questo volume è stato mantenuto per tutta la durata del programma.
Nel complesso ho reperito 13308 generati da 5169 utenti il più attivo dei quali è stato w4rr10r_0 con i suoi 160 status. Oltre a #gf12 sono stati utilizzati altri 883 diversi hashtag. Il più utilizzato dopo #gf12 è stato #GrandeFratello.
Fra i xxx menzionati nei Tweet etichettati #gf12 spicca @Microsatira il cui tweet ironico è stato retweettato oltre 100 volte (in totale ha ricevuto 189 mentions).
La seguente tagcloud dovrebbe dare un’idea dei temi più citati:

Come spesso accade nei discorsi sui programmi televisivi di grande richiamo i commenti veri e propri al programma si sommano ai giudizi di chi non riesce a capacitarsi di come quel programma possa avere successo o si lamenta della qualità della televisione italiana.
In conclusione credo che DiscoverText sia uno strumento con delle caratteristiche uniche. Non si tratta di un prodotto perfetto e non sono mancate le volte nelle quali, specie su grandi quantità di dati, mi sono stati restituiti dei messaggi di errore. L’accordo che stanno perfezionando con Gnip potrebbe rendere questo strumento essenziale per chi voglia fare ricerca su Twitter. Le modalità di implementazione di questa funzionalità rendono bene le potenzialità di estensibilità della piattaforma. La gestione delle timezones appare migliorabile (forse renderanno in futuro possibile scegliere all’utente il fuso orario per il grafico). Nel complesso il sistema si comporta bene anche su grandi quantità di dati mostrando eccellenti performance nella creazione delle tagclouds (che necessiterebbero però della possibilità di escludere liste di parole comuni) e nelle ricerche che richiedono sempre tempi ragionevolmente brevi per essere portate a termine.
Credo ci siano più di uno spunto
Come ho avuto modo di scrivere altrove, l’utilizzo di una piattaforma web collaborativa per l’analisi del contenuto rappresenta un percorso obbligato per chi desideri fare ricerca qualitativa su grandi quantità di dati (come quelli provenienti dai media sociali).
DiscoverText è un prodotto della Texifter LLC. Si tratta di una società nata come spin-off a partire dall’attività di ricerca di Stuart W. Shulman presso la University of Massachusetts Amherst.
Non mi resta dunque che augurare buon lavoro a Stuart e al suo team di sviluppatori.
P.S. Durante il periodo di beta-test i dati non sono esportabili quindi non chiedetemeli 😉