Popolarità delle pagine Facebook delle Università italiane

Breve studio che analizza la popolarità delle pagine Facebook degli Atenei in Italia

In poco più di un anno la pagina Facebook dell’Università di Urbino Carlo Bo ha quasi raggiunto 6000 “Mi Piace”.
Per festeggiare questo evento ho deciso di raccogliere i dati di popolarità su Facebook di tutti gli atenei italiani. Sono dunque partito dall’elenco completo degli atenei fornito dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e sono andato a cercare su Facebook le pagine corrispondenti. Non tutte gli atenei italiani (68%) hanno stabilito una presenza su Facebook (non ho tenuto conto delle community page create automaticamente da Facebook stessa perchè prive di una bacheca e dunque di ogni forma di interattività).
Gli atenei più popolari sono l’Università degli Studi di Torino e l’Università degli Studi di Padova con, rispettivamente, 15305 e 14786 “Mi Piace”.
Di seguito il grafico con i quindici atenei più popolari.

Non occorre sottolineare che la competizione di popolarità fra atenei su Facebook è in qualche modo una battaglia che non si combatte ad armi pari poiché il numero di studenti iscritti varia sensibilmente.  Ho dunque provato ad utilizzare i dati degli iscritti disponibili sul sito dell’anagrafe studenti MIUR per rendere la competizione meno squilibrata.
Ponderando il numero di “Mi Piace” sul numero degli iscritti emergono i casi dell’Università per Stranieri di Perugia (167% di “Mi Piace” in rapporto ai 1404 iscritti) e dell’Università Telematica “Universitas MERCATORUM” (77% ma su soli 196 iscritti). Limitando l’analisi agli atenei con almeno 5000 iscritti spicca l’Università IUAV di Venezia (68% e 5636 iscritti), l’Università di Foggia (60% e 10047 iscritti) e l’Università di Urbino Carlo Bo (48% e 12494 iscritti). Fra gli atenei con oltre 15.000 iscritti spicca il caso dell’Università “Ca’ Foscari” di Venezia (43% su 17389 iscritti).
Andando a guardare i trend di crescita a partire dalla prima rilevazione effettuata il 20 settembre 2010 e limitando l’analisi agli atenei che avevano almeno 1000 “Mi Piace” alla prima rilevazione spicca la crescita a tre cifre (+151%) della pagina dell’Università degli Studi di Udine. In forte crescita anche le pagine dell’Università Kore di Enna (+75%), dell’Università Bicocca di Milano (+75%) e dell’Università per Stranieri di Perugia (+70%). Abbastanza inspiegabile, infine, il crollo della pagina della Seconda Università di Napoli (-71%).
In generale solo una piccola parte di atenei ha registrato il suo indirizzo breve su Facebook e, da quanto ho potuto vedere, non ci sono landing page o strategie di marketing particolari. Credo sia un errore del quale si avvantaggeranno i primi atenei che investiranno con serietà su questa forma di promozione e di creazione/gestione della community.
Per farsi un’idea di come le università americane si stanno muovendo nel settore dei social media consiglio la lettura di questo articolo.
Come al solito il foglio di calcolo di Google Spreadsheet usato per le analisi è disponibile per la libera consultazione di chi volesse fare le sue analisi. Se conoscete una pagina Facebook di una Università o comunità di studenti che mi è sfuggita non esitate a segnarmela qui nei commenti.

Internet Researchers Italia Weekly

Un magazine che aggrega i contributi più popolari condivisi su Twitter dai ricercatori italiani che studiano Internet.

Solo per segnalare che, qualche tempo fa, ho deciso di provare a utilizzare il servizio Paper.li per creare un magazine settimanale che aggrega i contributi segnalati dai miei colleghi che hanno svolto studi o stanno svolgendo studi su Internet. Paper.li aggrega i link più popolari segnalati dagli utenti su Twitter e costruisce quotidianamente o settimanalmente una pubblicazione periodica impaginata e personalizzata.
Il magazine è basato sulla lista dei ricercatori che studiano Internet presenti su Twitter e già da tempo raggruppati nella lista Internet Researchers Italia.
Se sei un ricercatore italiano che studia Internet con un account su Twitter, ma non fai ancora parte della lista segnalamelo nei commenti di questo post e provvederò ad aggiungerti.
Di seguito il sommario dell’ultimo numero. Cliccando sui titoli che scorrono o sulle sezioni è possibile accedere alla pagina del magazine, abbonarsi o includere il codice del magazine nel proprio sito/blog.

«È una rivolta?» «No, Sire, è una rivoluzione»

Le recenti proteste esplose in Tunisia ed Egitto riportano d’attualità il ruolo svolto da Internet come mezzo di organizzazione e informazione

Gli studi condotti nell’ambito del Pew Research Center’s Internet & American Life Project sono comunemente considerati il punto di riferimento per comprendere l’impatto di internet su svariati aspetti della vita dei cittadini americani.
Di recente, con un notevole tempismo sull’attualità dei fatti che avvengono in Tunisia, Albania, Yemen ed Egitto, Pew ha pubblicato il report relativo ad uno studio dedicato a comprendere come la rete abbia cambiato gruppi e organizzazioni di volontariato influenzandone la capacità di agire con efficacia sulla vita delle comunità nella quali operano. Il report conferma il rapporto fra uso di internet ed appartenenza a gruppi ed organizzazioni di volontariato. Mentre fra i non internet users la quota di cittadini attivi si attesta al 56%, fra gli utenti Internet questa percentuale sale all’80% raggiungendo l’82% fra gli utenti di siti di social network e l’85% fra gli utenti di Twitter. Inoltre l’apporto di Internet alla vita di questi gruppi è largamente riconosciuto tanto dagli americani connessi alla rete (il 75% ritiene che internet abbia avuto un impatto significativo) quanto dalla media nazionale che comprende anche i cittadini offline (68%).
A partire da questi dati credo valga la pena porsi la stessa domanda in relazione alle proteste cui stiamo assistendo in questi giorni. Qual’è, se c’è, l’apporto di internet a queste forme di azione collettiva? La rivoluzione in Tunisia avrebbe lo stesso raggiunto i suoi scopi se non ci fossero stati internet ed i social network? Che ruolo giocherà in Egitto?
Forse una prima risposta, come fa notare Ethan Zuckerman in questo interessante articolo, sta proprio nei tentativi di censura operati dai governi di questi Paesi.  È di oggi la notizia che le autorità egiziane hanno bloccato l’intera rete internet nazionale e molte delle reti cellulari. Sappiamo di più su questo in relazione alla Tunisia, una delle nazioni africane con il più alto tasso di accesso alla rete, dove i tentativi di censura sono noti da mesi e documentati ampiamente (si veda ad esempio questo pezzo pubblicato su ReadWriteWeb). Questi tentativi, talvolta estremamente raffinati come nel caso del sistema messo in piedi per rubare le chiavi di accesso a Facebook, GMail e Live.com, mostrano quanto le autorità di questi Paesi riconoscano un ruolo a internet. Nello specifico questo ruolo appare duplice: da una parte si tratta di un mezzo di coordinamento delle forme di protesta (in sinergia con i telefoni cellulari), dall’altro di informazione nei confronti dell’opinione pubblica e mondo del giornalismo che si trova oltre confine.
La maggior parte dei commentatori sembrano concordare sull’efficacia di internet circa quest’ultimo aspetto – anche se nel caso della Tunisia i tempi di rimbalzo sui media stranieri non sono stati affatto brevi – mentre maggiori perplessità, forse anche dovute alla carenza di dati, solleva il ruolo svolto da internet come strumento per il coordinamento di queste azioni di protesta collettive.
Se appare dunque impossibile dimostrare un rapporto di causa/effetto fra internet e proteste su larga scala, è tuttavia altrettanto difficile negare che – da alcuni anni a questa parte – non c’è tentativo di rivoluzione che non sia stato accompagnato da un significativo tasso di conversazione sulla rete e nello specifico su siti di social network come Facebook e Twitter.
Servirà tempo e ricerca per rispondere adeguatamente a queste domande.
Tempo e ricerca che servirebbero anche a comprendere meglio quanto sta avvenendo e potrebbe avvenire, a questo proposito, in Italia. In questo senso alcuni elementi interessanti sono forniti da questa indagine realizzata da Demos & Pi. Ulteriori spunti di riflessione a riguardo emergeranno dai risultati di uno studio che abbiamo condotto sul consumo di news nel nostro Paese e che sarà presentato nel corso di una conferenza stampa il 10 Febbraio a Roma.
Credits: Foto bCollin David Anderson

What’s next #S02E01: quando finisce un amore… ai tempi di Facebook

Che ci piaccia o no certe relazioni sono destinate a finire. Non è mai facile gestire il passaggio, ma con Facebook la cosa può trasformarsi in un vero e proprio incubo. Ecco una breve guida a cosa fare e non fare… Che ci piaccia o no certe relazioni sono destinate a finire. Non è mai facile gestire il passaggio, ma con Facebook la cosa può trasformarsi in un vero e proprio incubo. Ecco una breve guida a cosa fare e non fare…

E tutti vissero felici e contenti.
Capita. Non solo nelle favole. Trovare l’anima gemella, passare la vita insieme.
Purtroppo non sempre. Alcune relazioni finiscono.
Non è mai facile ma Facebook può rendere, se possibile, questa fase ancora più dura. Rimanere “amici” con il/la proprio ex? E gli amici in comune? Ma soprattutto chi è quell’individuo che continua a commentare i contenuti e comparire nelle foto con il/la tua ex?
Ogni relazione è diversa ma ecco tre semplici suggerimenti che potrebbero tornare utili:
1. Non cancellare l’amicizia e lasciare che eventualmente sia l’altro a farlo (non avete idea di quanto alcune persone possano vivere male quello che a voi sembra un semplice gesto di buon senso);

[come farlo?]
2. Se leggere della sua vita senza di voi vi infastidisce, usate il bottoncino nascondi e non vedrete più comparire i suoi aggiornamenti (sta a voi poi avere la forza di non andare a visitare il suo profilo). In ogni caso continuerete a vedere i commenti sui contenuti degli amici in comune. L’unico rimedio per questo è rimuovere tutti gli amici in comune o usare la funzione blocca;
How to Hide
[come farlo? Hide, Block]
3. Create una lista apposita dove mettere il/la vostra ex: in questo modo potrete decidere strategicamente cosa mostrare o nascondere dei vostri aggiornamenti ed apparire selettivamente offline in chat.
Facebook Friend Lists
[come farlo?]
E voi? Qual è la vostra esperienza? Avete strategie di sopravvivenza da condividere?
[extended version dell’articolo che potete leggere sul prossimo numero della rivista Open House]
[Photo originally uploaded on November 28, 2005 by signalstation]
E tutti vissero felici e contenti.
Capita. Non solo nelle favole. Trovare l’anima gemella, passare la vita insieme.
Purtroppo non sempre. Alcune relazioni finiscono.
Non è mai facile ma Facebook può rendere, se possibile, questa fase ancora più dura. Rimanere “amici” con il/la proprio ex? E gli amici in comune? Ma soprattutto chi è quell’individuo che continua a commentare i contenuti e comparire nelle foto con il/la tua ex?
Ogni relazione è diversa ma ecco tre semplici suggerimenti che potrebbero tornare utili:
1. Non cancellare l’amicizia e lasciare che eventualmente sia l’altro a farlo (non avete idea di quanto alcune persone possano vivere male quello che a voi sembra un semplice gesto di buon senso);

[come farlo?]
2. Se leggere della sua vita senza di voi vi infastidisce, usate il bottoncino nascondi e non vedrete più comparire i suoi aggiornamenti (sta a voi poi avere la forza di non andare a visitare il suo profilo). In ogni caso continuerete a vedere i commenti sui contenuti degli amici in comune. L’unico rimedio per questo è rimuovere tutti gli amici in comune o usare la funzione blocca;
How to Hide
[come farlo? Hide, Block]
3. Create una lista apposita dove mettere il/la vostra ex: in questo modo potrete decidere strategicamente cosa mostrare o nascondere dei vostri aggiornamenti ed apparire selettivamente offline in chat.
Facebook Friend Lists
[come farlo?]
E voi? Qual è la vostra esperienza? Avete strategie di sopravvivenza da condividere?
[extended version dell’articolo che potete leggere sul prossimo numero della rivista Open House]
[Photo originally uploaded on November 28, 2005 by signalstation]
E tutti vissero felici e contenti.
Capita. Non solo nelle favole. Trovare l’anima gemella, passare la vita insieme.
Purtroppo non sempre. Alcune relazioni finiscono.
Non è mai facile ma Facebook può rendere, se possibile, questa fase ancora più dura. Rimanere “amici” con il/la proprio ex? E gli amici in comune? Ma soprattutto chi è quell’individuo che continua a commentare i contenuti e comparire nelle foto con il/la tua ex?
Ogni relazione è diversa ma ecco tre semplici suggerimenti che potrebbero tornare utili:
1. Non cancellare l’amicizia e lasciare che eventualmente sia l’altro a farlo (non avete idea di quanto alcune persone possano vivere male quello che a voi sembra un semplice gesto di buon senso);

[come farlo?]
2. Se leggere della sua vita senza di voi vi infastidisce, usate il bottoncino nascondi e non vedrete più comparire i suoi aggiornamenti (sta a voi poi avere la forza di non andare a visitare il suo profilo). In ogni caso continuerete a vedere i commenti sui contenuti degli amici in comune. L’unico rimedio per questo è rimuovere tutti gli amici in comune o usare la funzione blocca;
How to Hide
[come farlo? Hide, Block]
3. Create una lista apposita dove mettere il/la vostra ex: in questo modo potrete decidere strategicamente cosa mostrare o nascondere dei vostri aggiornamenti ed apparire selettivamente offline in chat.
Facebook Friend Lists
[come farlo?]
E voi? Qual è la vostra esperienza? Avete strategie di sopravvivenza da condividere?
[extended version dell’articolo che potete leggere sul prossimo numero della rivista Open House]
[Photo originally uploaded on November 28, 2005 by signalstation]

Lost e i 7 principi del transmedia storytelling

L’epilogo della saga dei naufraghi del volo Oceanic 815 offre lo spunto per parlare dei sette principi del transmedia storytelling di Henry JenkinsL’epilogo della saga dei naufraghi del volo Oceanic 815 offre lo spunto per parlare dei sette principi del transmedia storytelling di Henry JenkinsL’epilogo della saga dei naufraghi del volo Oceanic 815 offre lo spunto per parlare dei sette principi del transmedia storytelling di Henry Jenkins

[spoiler free]
Ieri notte (o stamattina per chi è in Italia) è andata in onda la puntata finale della sesta ed ultima stagione di Lost (non c’è bisogno che vi spieghi cos’è Lost vero?).
Per celebrare degnamente questo evento, vi propongo una mia personale traduzione e sintesi dei sette principi del transmedia storytelling (narrativa trans-mediale) enunciati da Henry Jenkins durante il suo intervento “Revenge of the Origami Unicorn” al Futures of Entertainment 4 (per chi volesse leggere l’originale, oltre al video, c’è anche una traccia in due parti della relazione sul suo blog: parte 1, parte 2). La sintesi è corredata da esempi tratti da Lost.
Ma partiamo dalla definizione.
Si tratta, secondo Jenkins, di “un processo nel quale elementi integrali di una fiction vengono sistematicamente dispersi su molteplici canali di distribuzione con lo scopo di creare una esperienza di intrattenimento unificata e coordinata. Ogni medium, idealmente, offre il proprio specifico contributo allo sviluppo della storia”. Questo processo è arricchito e complicato dalla produzione di contenuti da parte dei fan. Questi contenuti talvolta potenziano, talvolta complicano l’idea di “esperienza di intrattenimento unificata e coordinata”.
Ed ecco i sette principi:
1. Spreadability vs. Drillability
Il concetto di spreadability (che potremmo tradurre come capacità di un contenuto di diffondersi attraverso le reti sociali) è proposto da Jenkins come alternativa all’idea di viralità. Secondo l’autore, la metafora della viralità è infatti forviante perché lascia supporre che il contenuto si diffonda nelle reti sociali a prescindere dalla (e talvolta contro la) volontà dei singoli nodi (come avviene appunto per i virus). Il concetto di drillability, come proposto da Jason Mittell, mette invece in luce la capacità di un contenuto mediale di invogliare il pubblico ad approfondire la storia scavando nella sua complessità. Se la spreadabilty agisce orizzontalmente consentendo di aumentare rapidamente il numero di visualizzazioni senza necessariamente aumentare il coinvolgimento dello spettatore, la drillabity agisce invece su un vettore della profondità che si pone in un certo senso trasversalmente rispetto al primo (in un’ideale piano cartesiano del cultural engagement).
Pensando a Lost mi viene in mente, sul lato della spreadabilty il diffondersi delle registrazioni attraverso i network peer to peer (ma anche nel passaggio di mano in mano dei cd contenenti le puntate delle diverse stagioni) e su quello della drillabity l’esempio di Lostpedia (fra gli oltre 6,884 articoli presenti guardate in particolare questa timeline delle 6 stagioni).
2. Continuity vs. Multiplicity
La continuity rappresenta il principio di coerenza e plausibilità all’interno di un contenuto o di una serie di contenuti appartenenti ad uno stesso universo di riferimento. Pensando ai fumetti, gli universi dei supereroi della DC e della Marvel rappresentano perfettamente questo principio. Ma Jenkins nota anche una recente tendenza a ciò che lui chiama multiplicity. Sempre restando nel campo dei fumetti, si pensi ad esempio al caso di Ultimate Spider-Man, Spider-Man India (che sposta l’ambientazione dai grattaceli di New York alle strade di Mumbai) o Spider-Man Loves Mary Jane (che sviluppa la storia d’amore strizzando l’occhio al pubblico femminile). La multiplicity si sposa bene con i contributi generati dagli utenti che in qualche modo possono essere resi liberi di entrare, più coerentemente e con meno vincoli, a far parte di queste forme di narrazione trans-mediale.
In riferimento a Lost è abbastanza ovvio pensare al principio forte di coerenza interna che caratterizza la personalità dei vari personaggi e gli intrecci delle loro relazioni tanto sull’isola quanto nei numerosi flash back e flash forward. Nell’ultima stagione abbiamo tuttavia anche visto al lavoro il principio della multiplicity laddove i racconti dell’isola si sono alternati a quelli della vita quotidiana dei personaggi (le versioni alternative dei naufraghi che si vedono nei così detti flash-sideways che caratterizzano la sesta stagione).
3. Immersion vs. Extractability
Jack Action Figure
Il principio dell’immersion guida lo spettatore all’esplorazione del mondo della fiction. Non c’è bisogno di pensare a giochi come World of Warcraft per comprendere un principio non nuovo e proprio di tutte le realtà finzionali a partire dal romanzo. Il lettore/spettatore entra in un altro mondo. Al tempo stesso capita sempre più di frequente che elementi di questi mondi creati dalla narrazione escano entrando a far parte del mondo degli spettatori. Spesso sono gli stessi fan che contribuiscono attivamente a questo processo disseminando il proprio mondo di elementi tratti dagli universi finzionali che amano. Si pensi, ad esempio, a tutti quei negozi dove si possono acquistare costumi ed elementi scenografici per il cosplay o le action figures dei personaggi.
Anche Lost come tutte le narrazioni tende a portare lo spettatore all’interno del suo mondo. Al tempo stesso non mancano esempi di extractability come queste action figures dei personaggi principali della serie.
4. Worldbuilding
Una volta, come racconta uno sceneggiatore di Hollywood citato in Convergence Culture, “si sceglieva una storia perché senza una buona storia non si poteva fare un film. In seguito, quando hanno preso piede i sequel, si è iniziato a cercare un buon personaggio che supportasse molteplici storie. Oggi l’attenzione è sulla scelta di un mondo che possa supportare molteplici personaggi e storie attraverso diversi media”. Anche il principio del worldbuilding non è una novità recente. Jenkins fa notare che si tratta di un principio molto diffuso nella letteratura fantascientifica. Un altro esempio può essere rintracciato nello sviluppo che l’autore del Mago di Oz ha impresso ai personaggi e alle location della novella negli oltre venti volumi che costituiscono in realtà  The Wizard of Oz. La tensione al worldbuilding, al pari dell’immersion e della extractability, rappresenta una modalità attraverso la quali gli spettatori si relazionano con il prodotto mediale considerandolo come uno spazio che può talvolta entrare in relazione con lo spazio della vita quotidiana. A questo proposito Jenkins cita l’esempio dei poster realizzati dai fan che pubblicizzano viaggi verso località esistenti solo negli spazi finzionali e quello degli adesivi applicati sulle panchine dei parchi per promuovere il film District 9.
Rispetto a Lost… non saprei… idee? (forse c’è qualcosa del genere in relazione a Flash Forward)?
5. Seriality
Il principio della serialità, anche esso non nuovo, può essere compreso attraverso la distinzione fra storia e la trama. La storia si riferisce alla nostra costruzione mentale di ciò che accade che può formarsi solo dopo aver assorbito tutti i pezzetti di informazione disponibili?. La trama, invece, prende questi pezzetti di informazione e li organizza in un percorso che definisce la sequenza con la quale questi pezzi di informazione saranno resi disponibili agli spettatori. Il serial crea invece pezzi di storie avvincenti e sensate e disperde la storia complessiva sui diversi episodi facendo in modo che il precedente rimandi al successivo. Il racconto transmediale è una serialità portata alle estreme conseguenze dove i pezzi di storia non sono dispersi su diversi segmenti sullo stesso medium, quanto piuttosto su media diversi.
Un buon esempio di questo sono i diversi alternate reality game (ARG) creati dagli autori di LOST per mantenere alto il livello di coinvolgimento degli spettatori nelle pause fra le diverse stagioni: The Lost Experience, Find 815 e Dharma Initiative Recruiting Project.
6. Subjectivity
Una storia può essere raccontata da diversi punti di vista ed il principio di subjectivity sfrutta questa caratteristica affidando, nella forma ad esempio del diario, ad un personaggio secondario la responsabilità di un racconto parallelo. Il cambiamento di punto di vista può aiutare lo sviluppo della storia e la comprensione più approfondita del personaggio autore del racconto. Questo principio si sposa perfettamente con il racconto trans-mediale che può affidare il racconto dalla soggettiva di ciascun personaggio ad un medium diverso (come il caso dei fumetti della serie Heroes o i canali Twitter dei personaggi di The Big Bang Theory)
Sito della della Oceanic Airlines (poi utilizzato per l’ARG Find 815) è uno splendido esempio di utilizzo della soggettività (in questo caso la compagnia aerea stessa) per lo sviluppo della narrazione trans-mediale.
7. Performance
A partire dalla distinzione fra cultural attractors (elementi condivisi intorno ai quali si crea la comunità) e cultural activators (che danno alla comunità qualcosa da fare). Per esemplificare i cultural activators Jenkins fa riferimento alla mappa che apparve brevemente in alcune puntate della seconda stagione di Lost attivando la creatività dei fan che hanno provato a ridisegnare questa mappa alla ricerca di indizi sullo sviluppo della storia. Alle volte questi attivatori culturali sono posizionati strategicamente dagli autori, ma anche in mancanza di una strategia esplicita i fan tenderanno comunque ad interpretare performativamente alcuni aspetti della storia (guardate ad esempio questi opening credits alternativi di Lost generati dai fan). Per questo motivo è da tempo attiva una riflessione su come promuovere (ma a volte anche come bloccare) questa attività creativa da parte dei fan.

P.S. Preciso di non essere particolarmente esperto di Lost. Suppongo quindi che, oltre agli esempi che ho proposto, possano essercene altri ed anche migliori di quelli da me scelti. Se avete proposte o suggerimenti non esitate a lasciare un commento.
[Photo uploaded on January 23, 2008 by Subspace]

[spoiler free]

Ieri notte (o stamattina per chi è in Italia) è andata in onda la puntata finale della sesta ed ultima stagione di Lost (non c’è bisogno che vi spieghi cos’è Lost vero?).

Per celebrare degnamente questo evento, vi propongo una mia personale traduzione e sintesi dei sette principi del transmedia storytelling (narrativa trans-mediale) enunciati da Henry Jenkins durante il suo intervento “Revenge of the Origami Unicorn” al Futures of Entertainment 4 (per chi volesse leggere l’originale, oltre al video, c’è anche una traccia in due parti della relazione sul suo blog: parte 1, parte 2). La sintesi è corredata da esempi tratti da Lost.

Ma partiamo dalla definizione.

Si tratta, secondo Jenkins, di “un processo nel quale elementi integrali di una fiction vengono sistematicamente dispersi su molteplici canali di distribuzione con lo scopo di creare una esperienza di intrattenimento unificata e coordinata. Ogni medium, idealmente, offre il proprio specifico contributo allo sviluppo della storia”. Questo processo è arricchito e complicato dalla produzione di contenuti da parte dei fan. Questi contenuti talvolta potenziano, talvolta complicano l’idea di “esperienza di intrattenimento unificata e coordinata”.

Ed ecco i sette principi:

1. Spreadability vs. Drillability

Il concetto di spreadability (che potremmo tradurre come capacità di un contenuto di diffondersi attraverso le reti sociali) è proposto da Jenkins come alternativa all’idea di viralità. Secondo l’autore, la metafora della viralità è infatti forviante perché lascia supporre che il contenuto si diffonda nelle reti sociali a prescindere dalla (e talvolta contro la) volontà dei singoli nodi (come avviene appunto per i virus). Il concetto di drillability, come proposto da Jason Mittell, mette invece in luce la capacità di un contenuto mediale di invogliare il pubblico ad approfondire la storia scavando nella sua complessità. Se la spreadabilty agisce orizzontalmente consentendo di aumentare rapidamente il numero di visualizzazioni senza necessariamente aumentare il coinvolgimento dello spettatore, la drillabity agisce invece su un vettore della profondità che si pone in un certo senso trasversalmente rispetto al primo (in un’ideale piano cartesiano del cultural engagement).

Pensando a Lost mi viene in mente, sul lato della spreadabilty il diffondersi delle registrazioni attraverso i network peer to peer (ma anche nel passaggio di mano in mano dei cd contenenti le puntate delle diverse stagioni) e su quello della drillabity l’esempio di Lostpedia (fra gli oltre 6,884 articoli presenti guardate in particolare questa timeline delle 6 stagioni).

2. Continuity vs. Multiplicity

La continuity rappresenta il principio di coerenza e plausibilità all’interno di un contenuto o di una serie di contenuti appartenenti ad uno stesso universo di riferimento. Pensando ai fumetti, gli universi dei supereroi della DC e della Marvel rappresentano perfettamente questo principio. Ma Jenkins nota anche una recente tendenza a ciò che lui chiama multiplicity. Sempre restando nel campo dei fumetti, si pensi ad esempio al caso di Ultimate Spider-Man, Spider-Man India (che sposta l’ambientazione dai grattaceli di New York alle strade di Mumbai) o Spider-Man Loves Mary Jane (che sviluppa la storia d’amore strizzando l’occhio al pubblico femminile). La multiplicity si sposa bene con i contributi generati dagli utenti che in qualche modo possono essere resi liberi di entrare, più coerentemente e con meno vincoli, a far parte di queste forme di narrazione trans-mediale.

In riferimento a Lost è abbastanza ovvio pensare al principio forte di coerenza interna che caratterizza la personalità dei vari personaggi e gli intrecci delle loro relazioni tanto sull’isola quanto nei numerosi flash back e flash forward. Nell’ultima stagione abbiamo tuttavia anche visto al lavoro il principio della multiplicity laddove i racconti dell’isola si sono alternati a quelli della vita quotidiana dei personaggi (le versioni alternative dei naufraghi che si vedono nei così detti flash-sideways che caratterizzano la sesta stagione).

3. Immersion vs. Extractability

Jack Action Figure

Il principio dell’immersion guida lo spettatore all’esplorazione del mondo della fiction. Non c’è bisogno di pensare a giochi come World of Warcraft per comprendere un principio non nuovo e proprio di tutte le realtà finzionali a partire dal romanzo. Il lettore/spettatore entra in un altro mondo. Al tempo stesso capita sempre più di frequente che elementi di questi mondi creati dalla narrazione escano entrando a far parte del mondo degli spettatori. Spesso sono gli stessi fan che contribuiscono attivamente a questo processo disseminando il proprio mondo di elementi tratti dagli universi finzionali che amano. Si pensi, ad esempio, a tutti quei negozi dove si possono acquistare costumi ed elementi scenografici per il cosplay o le action figures dei personaggi.

Anche Lost come tutte le narrazioni tende a portare lo spettatore all’interno del suo mondo. Al tempo stesso non mancano esempi di extractability come queste action figures dei personaggi principali della serie.

4. Worldbuilding

Una volta, come racconta uno sceneggiatore di Hollywood citato in Convergence Culture, “si sceglieva una storia perché senza una buona storia non si poteva fare un film. In seguito, quando hanno preso piede i sequel, si è iniziato a cercare un buon personaggio che supportasse molteplici storie. Oggi l’attenzione è sulla scelta di un mondo che possa supportare molteplici personaggi e storie attraverso diversi media”. Anche il principio del worldbuilding non è una novità recente. Jenkins fa notare che si tratta di un principio molto diffuso nella letteratura fantascientifica. Un altro esempio può essere rintracciato nello sviluppo che l’autore del Mago di Oz ha impresso ai personaggi e alle location della novella negli oltre venti volumi che costituiscono in realtà  The Wizard of Oz. La tensione al worldbuilding, al pari dell’immersion e della extractability, rappresenta una modalità attraverso la quali gli spettatori si relazionano con il prodotto mediale considerandolo come uno spazio che può talvolta entrare in relazione con lo spazio della vita quotidiana. A questo proposito Jenkins cita l’esempio dei poster realizzati dai fan che pubblicizzano viaggi verso località esistenti solo negli spazi finzionali e quello degli adesivi applicati sulle panchine dei parchi per promuovere il film District 9.

Rispetto a Lost… non saprei… idee? (forse c’è qualcosa del genere in relazione a Flash Forward)?

5. Seriality

Il principio della serialità, anche esso non nuovo, può essere compreso attraverso la distinzione fra storia e la trama. La storia si riferisce alla nostra costruzione mentale di ciò che accade che può formarsi solo dopo aver assorbito tutti i pezzetti di informazione disponibili?. La trama, invece, prende questi pezzetti di informazione e li organizza in un percorso che definisce la sequenza con la quale questi pezzi di informazione saranno resi disponibili agli spettatori. Il serial crea invece pezzi di storie avvincenti e sensate e disperde la storia complessiva sui diversi episodi facendo in modo che il precedente rimandi al successivo. Il racconto transmediale è una serialità portata alle estreme conseguenze dove i pezzi di storia non sono dispersi su diversi segmenti sullo stesso medium, quanto piuttosto su media diversi.

Un buon esempio di questo sono i diversi alternate reality game (ARG) creati dagli autori di LOST per mantenere alto il livello di coinvolgimento degli spettatori nelle pause fra le diverse stagioni: The Lost Experience, Find 815 e Dharma Initiative Recruiting Project.

6. Subjectivity

Una storia può essere raccontata da diversi punti di vista ed il principio di subjectivity sfrutta questa caratteristica affidando, nella forma ad esempio del diario, ad un personaggio secondario la responsabilità di un racconto parallelo. Il cambiamento di punto di vista può aiutare lo sviluppo della storia e la comprensione più approfondita del personaggio autore del racconto. Questo principio si sposa perfettamente con il racconto trans-mediale che può affidare il racconto dalla soggettiva di ciascun personaggio ad un medium diverso (come il caso dei fumetti della serie Heroes o i canali Twitter dei personaggi di The Big Bang Theory)

Sito della della Oceanic Airlines (poi utilizzato per l’ARG Find 815) è uno splendido esempio di utilizzo della soggettività (in questo caso la compagnia aerea stessa) per lo sviluppo della narrazione trans-mediale.

7. Performance

A partire dalla distinzione fra cultural attractors (elementi condivisi intorno ai quali si crea la comunità) e cultural activators (che danno alla comunità qualcosa da fare). Per esemplificare i cultural activators Jenkins fa riferimento alla mappa che apparve brevemente in alcune puntate della seconda stagione di Lost attivando la creatività dei fan che hanno provato a ridisegnare questa mappa alla ricerca di indizi sullo sviluppo della storia. Alle volte questi attivatori culturali sono posizionati strategicamente dagli autori, ma anche in mancanza di una strategia esplicita i fan tenderanno comunque ad interpretare performativamente alcuni aspetti della storia (guardate ad esempio questi opening credits alternativi di Lost generati dai fan). Per questo motivo è da tempo attiva una riflessione su come promuovere (ma a volte anche come bloccare) questa attività creativa da parte dei fan.

P.S. Preciso di non essere particolarmente esperto di Lost. Suppongo quindi che, oltre agli esempi che ho proposto, possano essercene altri ed anche migliori di quelli da me scelti. Se avete proposte o suggerimenti non esitate a lasciare un commento.

[Photo uploaded on January 23, 2008 by Subspace]

[spoiler free]

Ieri notte (o stamattina per chi è in Italia) è andata in onda la puntata finale della sesta ed ultima stagione di Lost (non c’è bisogno che vi spieghi cos’è Lost vero?).

Per celebrare degnamente questo evento, vi propongo una mia personale traduzione e sintesi dei sette principi del transmedia storytelling (narrativa trans-mediale) enunciati da Henry Jenkins durante il suo intervento “Revenge of the Origami Unicorn” al Futures of Entertainment 4 (per chi volesse leggere l’originale, oltre al video, c’è anche una traccia in due parti della relazione sul suo blog: parte 1, parte 2). La sintesi è corredata da esempi tratti da Lost.

Ma partiamo dalla definizione.

Si tratta, secondo Jenkins, di “un processo nel quale elementi integrali di una fiction vengono sistematicamente dispersi su molteplici canali di distribuzione con lo scopo di creare una esperienza di intrattenimento unificata e coordinata. Ogni medium, idealmente, offre il proprio specifico contributo allo sviluppo della storia”. Questo processo è arricchito e complicato dalla produzione di contenuti da parte dei fan. Questi contenuti talvolta potenziano, talvolta complicano l’idea di “esperienza di intrattenimento unificata e coordinata”.

Ed ecco i sette principi:

1. Spreadability vs. Drillability

Il concetto di spreadability (che potremmo tradurre come capacità di un contenuto di diffondersi attraverso le reti sociali) è proposto da Jenkins come alternativa all’idea di viralità. Secondo l’autore, la metafora della viralità è infatti forviante perché lascia supporre che il contenuto si diffonda nelle reti sociali a prescindere dalla (e talvolta contro la) volontà dei singoli nodi (come avviene appunto per i virus). Il concetto di drillability, come proposto da Jason Mittell, mette invece in luce la capacità di un contenuto mediale di invogliare il pubblico ad approfondire la storia scavando nella sua complessità. Se la spreadabilty agisce orizzontalmente consentendo di aumentare rapidamente il numero di visualizzazioni senza necessariamente aumentare il coinvolgimento dello spettatore, la drillabity agisce invece su un vettore della profondità che si pone in un certo senso trasversalmente rispetto al primo (in un’ideale piano cartesiano del cultural engagement).

Pensando a Lost mi viene in mente, sul lato della spreadabilty il diffondersi delle registrazioni attraverso i network peer to peer (ma anche nel passaggio di mano in mano dei cd contenenti le puntate delle diverse stagioni) e su quello della drillabity l’esempio di Lostpedia (fra gli oltre 6,884 articoli presenti guardate in particolare questa timeline delle 6 stagioni).

2. Continuity vs. Multiplicity

La continuity rappresenta il principio di coerenza e plausibilità all’interno di un contenuto o di una serie di contenuti appartenenti ad uno stesso universo di riferimento. Pensando ai fumetti, gli universi dei supereroi della DC e della Marvel rappresentano perfettamente questo principio. Ma Jenkins nota anche una recente tendenza a ciò che lui chiama multiplicity. Sempre restando nel campo dei fumetti, si pensi ad esempio al caso di Ultimate Spider-Man, Spider-Man India (che sposta l’ambientazione dai grattaceli di New York alle strade di Mumbai) o Spider-Man Loves Mary Jane (che sviluppa la storia d’amore strizzando l’occhio al pubblico femminile). La multiplicity si sposa bene con i contributi generati dagli utenti che in qualche modo possono essere resi liberi di entrare, più coerentemente e con meno vincoli, a far parte di queste forme di narrazione trans-mediale.

In riferimento a Lost è abbastanza ovvio pensare al principio forte di coerenza interna che caratterizza la personalità dei vari personaggi e gli intrecci delle loro relazioni tanto sull’isola quanto nei numerosi flash back e flash forward. Nell’ultima stagione abbiamo tuttavia anche visto al lavoro il principio della multiplicity laddove i racconti dell’isola si sono alternati a quelli della vita quotidiana dei personaggi (le versioni alternative dei naufraghi che si vedono nei così detti flash-sideways che caratterizzano la sesta stagione).

3. Immersion vs. Extractability

Jack Action Figure

Il principio dell’immersion guida lo spettatore all’esplorazione del mondo della fiction. Non c’è bisogno di pensare a giochi come World of Warcraft per comprendere un principio non nuovo e proprio di tutte le realtà finzionali a partire dal romanzo. Il lettore/spettatore entra in un altro mondo. Al tempo stesso capita sempre più di frequente che elementi di questi mondi creati dalla narrazione escano entrando a far parte del mondo degli spettatori. Spesso sono gli stessi fan che contribuiscono attivamente a questo processo disseminando il proprio mondo di elementi tratti dagli universi finzionali che amano. Si pensi, ad esempio, a tutti quei negozi dove si possono acquistare costumi ed elementi scenografici per il cosplay o le action figures dei personaggi.

Anche Lost come tutte le narrazioni tende a portare lo spettatore all’interno del suo mondo. Al tempo stesso non mancano esempi di extractability come queste action figures dei personaggi principali della serie.

4. Worldbuilding

Una volta, come racconta uno sceneggiatore di Hollywood citato in Convergence Culture, “si sceglieva una storia perché senza una buona storia non si poteva fare un film. In seguito, quando hanno preso piede i sequel, si è iniziato a cercare un buon personaggio che supportasse molteplici storie. Oggi l’attenzione è sulla scelta di un mondo che possa supportare molteplici personaggi e storie attraverso diversi media”. Anche il principio del worldbuilding non è una novità recente. Jenkins fa notare che si tratta di un principio molto diffuso nella letteratura fantascientifica. Un altro esempio può essere rintracciato nello sviluppo che l’autore del Mago di Oz ha impresso ai personaggi e alle location della novella negli oltre venti volumi che costituiscono in realtà  The Wizard of Oz. La tensione al worldbuilding, al pari dell’immersion e della extractability, rappresenta una modalità attraverso la quali gli spettatori si relazionano con il prodotto mediale considerandolo come uno spazio che può talvolta entrare in relazione con lo spazio della vita quotidiana. A questo proposito Jenkins cita l’esempio dei poster realizzati dai fan che pubblicizzano viaggi verso località esistenti solo negli spazi finzionali e quello degli adesivi applicati sulle panchine dei parchi per promuovere il film District 9.

Rispetto a Lost… non saprei… idee? (forse c’è qualcosa del genere in relazione a Flash Forward)?

5. Seriality

Il principio della serialità, anche esso non nuovo, può essere compreso attraverso la distinzione fra storia e la trama. La storia si riferisce alla nostra costruzione mentale di ciò che accade che può formarsi solo dopo aver assorbito tutti i pezzetti di informazione disponibili?. La trama, invece, prende questi pezzetti di informazione e li organizza in un percorso che definisce la sequenza con la quale questi pezzi di informazione saranno resi disponibili agli spettatori. Il serial crea invece pezzi di storie avvincenti e sensate e disperde la storia complessiva sui diversi episodi facendo in modo che il precedente rimandi al successivo. Il racconto transmediale è una serialità portata alle estreme conseguenze dove i pezzi di storia non sono dispersi su diversi segmenti sullo stesso medium, quanto piuttosto su media diversi.

Un buon esempio di questo sono i diversi alternate reality game (ARG) creati dagli autori di LOST per mantenere alto il livello di coinvolgimento degli spettatori nelle pause fra le diverse stagioni: The Lost Experience, Find 815 e Dharma Initiative Recruiting Project.

6. Subjectivity

Una storia può essere raccontata da diversi punti di vista ed il principio di subjectivity sfrutta questa caratteristica affidando, nella forma ad esempio del diario, ad un personaggio secondario la responsabilità di un racconto parallelo. Il cambiamento di punto di vista può aiutare lo sviluppo della storia e la comprensione più approfondita del personaggio autore del racconto. Questo principio si sposa perfettamente con il racconto trans-mediale che può affidare il racconto dalla soggettiva di ciascun personaggio ad un medium diverso (come il caso dei fumetti della serie Heroes o i canali Twitter dei personaggi di The Big Bang Theory)

Sito della della Oceanic Airlines (poi utilizzato per l’ARG Find 815) è uno splendido esempio di utilizzo della soggettività (in questo caso la compagnia aerea stessa) per lo sviluppo della narrazione trans-mediale.

7. Performance

A partire dalla distinzione fra cultural attractors (elementi condivisi intorno ai quali si crea la comunità) e cultural activators (che danno alla comunità qualcosa da fare). Per esemplificare i cultural activators Jenkins fa riferimento alla mappa che apparve brevemente in alcune puntate della seconda stagione di Lost attivando la creatività dei fan che hanno provato a ridisegnare questa mappa alla ricerca di indizi sullo sviluppo della storia. Alle volte questi attivatori culturali sono posizionati strategicamente dagli autori, ma anche in mancanza di una strategia esplicita i fan tenderanno comunque ad interpretare performativamente alcuni aspetti della storia (guardate ad esempio questi opening credits alternativi di Lost generati dai fan). Per questo motivo è da tempo attiva una riflessione su come promuovere (ma a volte anche come bloccare) questa attività creativa da parte dei fan.

P.S. Preciso di non essere particolarmente esperto di Lost. Suppongo quindi che, oltre agli esempi che ho proposto, possano essercene altri ed anche migliori di quelli da me scelti. Se avete proposte o suggerimenti non esitate a lasciare un commento.

[Photo uploaded on January 23, 2008 by Subspace]

Modernity 2.0 a Urbino con danah boyd

Dal 29 giugno al 5 luglio si terrà ad Urbino, per la prima volta in Italia, la nona conferenza mondiale di sociocibernetica. La conferenza che verrà come protagonisti ricercatori provenienti da tutto il mondo è dedicato a riflettere sull’impatto dei social media sulla nostra società.Dal 29 giugno al 5 luglio si terrà ad Urbino, per la prima volta in Italia, la nona conferenza mondiale di sociocibernetica. La conferenza che verrà come protagonisti ricercatori provenienti da tutto il mondo è dedicato a riflettere sull’impatto dei social media sulla nostra società.Dal 29 giugno al 5 luglio si terrà ad Urbino, per la prima volta in Italia, la nona conferenza mondiale di sociocibernetica. La conferenza che verrà come protagonisti ricercatori provenienti da tutto il mondo è dedicato a riflettere sull’impatto dei social media sulla nostra società.

Ho il piacere di annunciare oggi un progetto al quale sto lavorando da tempo ma di cui non ho mai parlato fino a questo momento qui.
Da alcuni mesi il LaRiCA sta collaborando attivamente con i colleghi dell’RC51 dell’International Sociological Association all’organizzazione della nona conferenza mondiale di socio-cibernetica che avremo il piacere di ospitare dal 29 giugno al 5 luglio ad Urbino.
Il tema scelto è l’impatto dei social media sulla nostra società. Con il termine social media si fa riferimento a tutti quelli spazi della comunicazione supportati dalle recenti tecnologie internet che consentono di produrre e diffondere contenuti (testi, video, audio, etc.) in rete a costi contenuti. L’abbassamento dei costi legati alla produzione e diffusione di questi contenuti ha democratizzato l’accesso alla comunicazione da uno a molti un tempo riservati ai professionisti del settore. La produzione spesso collaborativa di questi contenuti e l’esposizione ai contenuti prodotti dai pari sta cambiano la dieta mediale degli individui e incrinando i rapporti di potere consolidati all’interno della società (nelle famiglie, nelle scuole, fra imprese e consumatori, fra cittadini ed istituzioni, fra giornalisti e lettori).
Esempi di social media sono dunque i blog, YouTube e Facebook.
Modernity 2.0 è dedicata a riflettere in una prospettiva socio-cibernetica su come e se la disponibilità di queste tecnologie sta cambiando le persone e la nostra società.
La conferenza è un evento inedito in Italia per dimensione, tematiche e rilevanza dei relatori proposti.
La call for paper ha infatti attratto proposte di intervento provenienti da tutto il mondo. Fra queste sono stati selezionati cinquantuno papers suddivisi poi nelle seguenti aree tematiche: “Cultura convergente e Pubblici connessi”, “Media, politica e potere”, “Metodologie emergenti”, “Studi di media comparati”.
Fra i paper verso i quali nutro maggiormente attesa segnalo un paio di casi di studio su Obama ed un inedito Bebbe Grillo osservato dagli Stati Uniti (Alberto Pepe, University of California Los Angeles e Corinna di Gennaro, Harvard University).  Mi incuriosice inoltre parecchio Structure and Dynamics of Indonesian Blogger Community in Virtual Space di Adi Nugroho Onggoboyo. Se siete curiosi potete cmq leggere tutti gli abstract nella pagina papers del sito ufficiale del convegno.
Si ritroveranno ad Urbino ricercatori che studiano questo fenomeno provenienti da tutto il mondo: Messico, Armenia, Austria, UK, Lettonia, Svezia, Bolivia, Stati Uniti, Germania, Olanda, Canada, Spagna, Indonesia, Danimarca, Brasile, Argentina ed ovviamente Italia.
A completare il programma ci sono due ospiti invitati che nei loro rispettivi settori sono comunemente considerati fra i massimi esperti dalle rispettive comunità accademiche.
danah boyd (Microsoft Research New England)
Ricercatrice presso Microsoft Research New England e Fellow dell’Harvard Berkman Center for Internet and Society. PhD presso la School of Information at UC-Berkeley con una tesi intitolata “Taken Out of Context: American Teen Sociality in Networked Publics” nella quale ha esaminato il ruolo giocato dai siti di social network come MySpace e Facebook nella vita quotidiana e sulle relazioni social dei teenagers americani. Presso il Berkman Center, danah ha co-diretto l’Internet Safety Technical Task Force il suo scopo è identificare potenziali soluzioni per favorire un uso sicuro della rete da parte dei bambini.

Giuseppe O. Longo (Università degli Studi di Trieste)
Giuseppe O. Longo è ordinario di Teoria dell’informazione alla Facoltà d’Ingegneria dell’Università di Trieste. Ha introdotto in Italia la teoria dell’informazione. Attualmente si occupa soprattutto di epistemologia, di intelligenza artificiale, di problemi della comunicazione e delle conseguenze sociali dello sviluppo tecnico, in particolare di robo-etica, pubblicando articoli su riviste specializzate e svolgendo un’intensa attività di conferenziere. Su questi temi ha tenuto numerose relazioni, ha partecipato a convegni e congressi e ha pubblicato i saggi “Il nuovo Golem: come il computer cambia la nostra cultura” (Laterza, 1998, 4a edizione 2003), “Homo Technologicus” (Meltemi, Roma, 2001, 2a edizione 2005) e “Il simbionte: prove di umanità futura” (Meltemi, Roma, 2003). E’ stato traduttore per le case editrici Boringhieri e Adelphi (15 libri dall’inglese e dal tedesco, tra cui opere di Gregory Bateson, Marvin Minsky, Douglas Hofstadter, Iräneus Eibl-Eibesfeld) e nel 1991 ha vinto il premio “Monselice” per la traduzione scientifica.
La conferenza è organizzata da un comitato internazionale presieduto dal Prof. Bernard Scott (Cranfield University Defence Academy e Presidente della sezione RC51 dell’ISA – International Sociological Association dedicata alla socio-cibernetica). Il comitato è composto da membri dell’RC51 e da docenti e ricercatori del laboratorio di Ricerca LaRiCA dell’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”.
La registrazione per la conferenza chiude domenica 24 maggio.
Potete registrarvi o leggere i nomi delle persone che intendono partecipare a http://rc51.eventbrite.com/.

Ho il piacere di annunciare oggi un progetto al quale sto lavorando da tempo ma di cui non ho mai parlato fino a questo momento qui.

Da alcuni mesi il LaRiCA sta collaborando attivamente con i colleghi dell’RC51 dell’International Sociological Association all’organizzazione della nona conferenza mondiale di socio-cibernetica che avremo il piacere di ospitare dal 29 giugno al 5 luglio ad Urbino.

Il tema scelto è l’impatto dei social media sulla nostra società. Con il termine social media si fa riferimento a tutti quelli spazi della comunicazione supportati dalle recenti tecnologie internet che consentono di produrre e diffondere contenuti (testi, video, audio, etc.) in rete a costi contenuti. L’abbassamento dei costi legati alla produzione e diffusione di questi contenuti ha democratizzato l’accesso alla comunicazione da uno a molti un tempo riservati ai professionisti del settore. La produzione spesso collaborativa di questi contenuti e l’esposizione ai contenuti prodotti dai pari sta cambiano la dieta mediale degli individui e incrinando i rapporti di potere consolidati all’interno della società (nelle famiglie, nelle scuole, fra imprese e consumatori, fra cittadini ed istituzioni, fra giornalisti e lettori).

Esempi di social media sono dunque i blog, YouTube e Facebook.

Modernity 2.0 è dedicata a riflettere in una prospettiva socio-cibernetica su come e se la disponibilità di queste tecnologie sta cambiando le persone e la nostra società.

La conferenza è un evento inedito in Italia per dimensione, tematiche e rilevanza dei relatori proposti.

La call for paper ha infatti attratto proposte di intervento provenienti da tutto il mondo. Fra queste sono stati selezionati cinquantuno papers suddivisi poi nelle seguenti aree tematiche: “Cultura convergente e Pubblici connessi”, “Media, politica e potere”, “Metodologie emergenti”, “Studi di media comparati”.

Fra i paper verso i quali nutro maggiormente attesa segnalo un paio di casi di studio su Obama ed un inedito Bebbe Grillo osservato dagli Stati Uniti (Alberto Pepe, University of California Los Angeles e Corinna di Gennaro, Harvard University).  Mi incuriosice inoltre parecchio Structure and Dynamics of Indonesian Blogger Community in Virtual Space di Adi Nugroho Onggoboyo. Se siete curiosi potete cmq leggere tutti gli abstract nella pagina papers del sito ufficiale del convegno.

Si ritroveranno ad Urbino ricercatori che studiano questo fenomeno provenienti da tutto il mondo: Messico, Armenia, Austria, UK, Lettonia, Svezia, Bolivia, Stati Uniti, Germania, Olanda, Canada, Spagna, Indonesia, Danimarca, Brasile, Argentina ed ovviamente Italia.

A completare il programma ci sono due ospiti invitati che nei loro rispettivi settori sono comunemente considerati fra i massimi esperti dalle rispettive comunità accademiche.

danah boyd (Microsoft Research New England)

Ricercatrice presso Microsoft Research New England e Fellow dell’Harvard Berkman Center for Internet and Society. PhD presso la School of Information at UC-Berkeley con una tesi intitolata “Taken Out of Context: American Teen Sociality in Networked Publics” nella quale ha esaminato il ruolo giocato dai siti di social network come MySpace e Facebook nella vita quotidiana e sulle relazioni social dei teenagers americani. Presso il Berkman Center, danah ha co-diretto l’Internet Safety Technical Task Force il suo scopo è identificare potenziali soluzioni per favorire un uso sicuro della rete da parte dei bambini.

Giuseppe O. Longo (Università degli Studi di Trieste)

Giuseppe O. Longo è ordinario di Teoria dell’informazione alla Facoltà d’Ingegneria dell’Università di Trieste. Ha introdotto in Italia la teoria dell’informazione. Attualmente si occupa soprattutto di epistemologia, di intelligenza artificiale, di problemi della comunicazione e delle conseguenze sociali dello sviluppo tecnico, in particolare di robo-etica, pubblicando articoli su riviste specializzate e svolgendo un’intensa attività di conferenziere. Su questi temi ha tenuto numerose relazioni, ha partecipato a convegni e congressi e ha pubblicato i saggi “Il nuovo Golem: come il computer cambia la nostra cultura” (Laterza, 1998, 4a edizione 2003), “Homo Technologicus” (Meltemi, Roma, 2001, 2a edizione 2005) e “Il simbionte: prove di umanità futura” (Meltemi, Roma, 2003). E’ stato traduttore per le case editrici Boringhieri e Adelphi (15 libri dall’inglese e dal tedesco, tra cui opere di Gregory Bateson, Marvin Minsky, Douglas Hofstadter, Iräneus Eibl-Eibesfeld) e nel 1991 ha vinto il premio “Monselice” per la traduzione scientifica.

La conferenza è organizzata da un comitato internazionale presieduto dal Prof. Bernard Scott (Cranfield University Defence Academy e Presidente della sezione RC51 dell’ISA – International Sociological Association dedicata alla socio-cibernetica). Il comitato è composto da membri dell’RC51 e da docenti e ricercatori del laboratorio di Ricerca LaRiCA dell’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”.

La registrazione per la conferenza chiude domenica 24 maggio.

Potete registrarvi o leggere i nomi delle persone che intendono partecipare a http://rc51.eventbrite.com/.

Ho il piacere di annunciare oggi un progetto al quale sto lavorando da tempo ma di cui non ho mai parlato fino a questo momento qui.

Da alcuni mesi il LaRiCA sta collaborando attivamente con i colleghi dell’RC51 dell’International Sociological Association all’organizzazione della nona conferenza mondiale di socio-cibernetica che avremo il piacere di ospitare dal 29 giugno al 5 luglio ad Urbino.

Il tema scelto è l’impatto dei social media sulla nostra società. Con il termine social media si fa riferimento a tutti quelli spazi della comunicazione supportati dalle recenti tecnologie internet che consentono di produrre e diffondere contenuti (testi, video, audio, etc.) in rete a costi contenuti. L’abbassamento dei costi legati alla produzione e diffusione di questi contenuti ha democratizzato l’accesso alla comunicazione da uno a molti un tempo riservati ai professionisti del settore. La produzione spesso collaborativa di questi contenuti e l’esposizione ai contenuti prodotti dai pari sta cambiano la dieta mediale degli individui e incrinando i rapporti di potere consolidati all’interno della società (nelle famiglie, nelle scuole, fra imprese e consumatori, fra cittadini ed istituzioni, fra giornalisti e lettori).

Esempi di social media sono dunque i blog, YouTube e Facebook.

Modernity 2.0 è dedicata a riflettere in una prospettiva socio-cibernetica su come e se la disponibilità di queste tecnologie sta cambiando le persone e la nostra società.

La conferenza è un evento inedito in Italia per dimensione, tematiche e rilevanza dei relatori proposti.

La call for paper ha infatti attratto proposte di intervento provenienti da tutto il mondo. Fra queste sono stati selezionati cinquantuno papers suddivisi poi nelle seguenti aree tematiche: “Cultura convergente e Pubblici connessi”, “Media, politica e potere”, “Metodologie emergenti”, “Studi di media comparati”.

Fra i paper verso i quali nutro maggiormente attesa segnalo un paio di casi di studio su Obama ed un inedito Bebbe Grillo osservato dagli Stati Uniti (Alberto Pepe, University of California Los Angeles e Corinna di Gennaro, Harvard University).  Mi incuriosice inoltre parecchio Structure and Dynamics of Indonesian Blogger Community in Virtual Space di Adi Nugroho Onggoboyo. Se siete curiosi potete cmq leggere tutti gli abstract nella pagina papers del sito ufficiale del convegno.

Si ritroveranno ad Urbino ricercatori che studiano questo fenomeno provenienti da tutto il mondo: Messico, Armenia, Austria, UK, Lettonia, Svezia, Bolivia, Stati Uniti, Germania, Olanda, Canada, Spagna, Indonesia, Danimarca, Brasile, Argentina ed ovviamente Italia.

A completare il programma ci sono due ospiti invitati che nei loro rispettivi settori sono comunemente considerati fra i massimi esperti dalle rispettive comunità accademiche.

danah boyd (Microsoft Research New England)

Ricercatrice presso Microsoft Research New England e Fellow dell’Harvard Berkman Center for Internet and Society. PhD presso la School of Information at UC-Berkeley con una tesi intitolata “Taken Out of Context: American Teen Sociality in Networked Publics” nella quale ha esaminato il ruolo giocato dai siti di social network come MySpace e Facebook nella vita quotidiana e sulle relazioni social dei teenagers americani. Presso il Berkman Center, danah ha co-diretto l’Internet Safety Technical Task Force il suo scopo è identificare potenziali soluzioni per favorire un uso sicuro della rete da parte dei bambini.

Giuseppe O. Longo (Università degli Studi di Trieste)

Giuseppe O. Longo è ordinario di Teoria dell’informazione alla Facoltà d’Ingegneria dell’Università di Trieste. Ha introdotto in Italia la teoria dell’informazione. Attualmente si occupa soprattutto di epistemologia, di intelligenza artificiale, di problemi della comunicazione e delle conseguenze sociali dello sviluppo tecnico, in particolare di robo-etica, pubblicando articoli su riviste specializzate e svolgendo un’intensa attività di conferenziere. Su questi temi ha tenuto numerose relazioni, ha partecipato a convegni e congressi e ha pubblicato i saggi “Il nuovo Golem: come il computer cambia la nostra cultura” (Laterza, 1998, 4a edizione 2003), “Homo Technologicus” (Meltemi, Roma, 2001, 2a edizione 2005) e “Il simbionte: prove di umanità futura” (Meltemi, Roma, 2003). E’ stato traduttore per le case editrici Boringhieri e Adelphi (15 libri dall’inglese e dal tedesco, tra cui opere di Gregory Bateson, Marvin Minsky, Douglas Hofstadter, Iräneus Eibl-Eibesfeld) e nel 1991 ha vinto il premio “Monselice” per la traduzione scientifica.

La conferenza è organizzata da un comitato internazionale presieduto dal Prof. Bernard Scott (Cranfield University Defence Academy e Presidente della sezione RC51 dell’ISA – International Sociological Association dedicata alla socio-cibernetica). Il comitato è composto da membri dell’RC51 e da docenti e ricercatori del laboratorio di Ricerca LaRiCA dell’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”.

La registrazione per la conferenza chiude domenica 24 maggio.

Potete registrarvi o leggere i nomi delle persone che intendono partecipare a http://rc51.eventbrite.com/.

Realtà digitali #6: Quando l’Italia scoprì a cosa serve Internet

Ci sono eventi che segnano la storia di una nazione. Talvolta questi eventi incrociano l’evolversi dei modi di comunicare il mondo generando una cesura nella storia dei media.Ci sono eventi che segnano la storia di una nazione. Talvolta questi eventi incrociano l’evolversi dei modi di comunicare il mondo generando una cesura nella storia dei media.Ci sono eventi che segnano la storia di una nazione. Talvolta questi eventi incrociano l’evolversi dei modi di comunicare il mondo generando una cesura nella storia dei media.

Ci sono eventi che segnano la storia di una nazione. Talvolta questi eventi incrociano l’evolversi dei modi di comunicare il mondo generando una cesura nella storia dei media.
“Erano esattamente le cinque del mattino di lunedì 28 dicembre 1908 quando un sisma spaventoso e un maremoto terrificante sconvolsero lo stretto di Messina. Due città, la stessa Messina e Reggio Calabria, furono completamente rase al suolo. Le vittime, accertate, si calcolarono in più di settantamila. Ma le prime notizie del disastro apparvero, in maniera ancora assai vaga ed approssimativa, soltanto sulle edizioni del mattino dei giornali del successivo 29 dicembre. Non solo, ma la stessa notizia della catastrofe arrivò nella capitale – e sotto forma di un normale telegramma – soltanto alle ore 17,45 di quel 28 dicembre: più di dodici ore a distanza dell’evento”*
“Erano esattamente le ore 19 e ventisei minuti del giorno 23 novembre 1980 quando un sisma di inaudita potenza e durata sconvolse buona parte delle regioni Campania e Basilicata. I danni furono enormi, le vittime accertate superarono le cinquemila persone. Radio e televisione trasmisero le prime notizie a distanza di pochi minuti dall’evento. Tra le 19,45 e le 20 i telegiornali furono già in grado di allestire edizioni straordinarie e di far pervenire sui teleschermi le prime immagini del disastro coinvolgendo stati d’animo, comportamenti, reazioni psichiche di milioni di persone le quali si trovarono di colpo nella veste di destinatari e partecipi di un universo collettivo simbolico”*
Erano esattamente le 3 e trentadue minuti del mattino di lunedì 6 aprile 2009 quando un violento sisma sconvolse la zona dell’Aquila. I danni furono enormi, le vittime superarono le trecento persone. La prima notizia dell’evento non fu data al mondo da un giornalista ma da una persona comune attraverso Internet. Dopo tre minuti. Nei caotici momenti immediatamente successivi, numerose altre persone diedero notizia dell’evento aggiungendo particolari, chiedendo informazioni, commentando e condividendo quanto avevano appena vissuto. Quando le prime agenzie di stampa, i siti dei quotidiani e le tv “all news” iniziarono a coprire l’evento, le persone comuni rilanciarono, commentarono e confrontarono i racconti. Compresa la gravità di quanto successo, lo spazio della rete diventò strumento per organizzare gli sforzi, condividere le informazioni, lanciare appelli e provare a rendersi utili. Nei giorni che seguirono, la straordinaria mobilitazione dei volontari accorsi da tutta Italia per prestare soccorso, fu coadiuvata ed affiancata da una miriade di piccole iniziative spontaneamente organizzate attraverso Internet. Iniziative piccole che fecero tuttavia comprendere a molti le potenzialità della rete come spazio per la rapida auto-organizzazione.
* tratto da Enrico Mascilli Migliorini, La comunicazione istantanea, Guida Editori, Napoli 1987.
[potete leggere questo articolo anche a pag. 12 de “Il Corriere Adriatico” di Martedì 14 Aprile. Il prossimo appuntamento con “Realtà digitali” è per Martedì 28 Aprile]
[Photo originally uploaded on August 16, 2007 by Telstar Logistics]

Ci sono eventi che segnano la storia di una nazione. Talvolta questi eventi incrociano l’evolversi dei modi di comunicare il mondo generando una cesura nella storia dei media.

“Erano esattamente le cinque del mattino di lunedì 28 dicembre 1908 quando un sisma spaventoso e un maremoto terrificante sconvolsero lo stretto di Messina. Due città, la stessa Messina e Reggio Calabria, furono completamente rase al suolo. Le vittime, accertate, si calcolarono in più di settantamila. Ma le prime notizie del disastro apparvero, in maniera ancora assai vaga ed approssimativa, soltanto sulle edizioni del mattino dei giornali del successivo 29 dicembre. Non solo, ma la stessa notizia della catastrofe arrivò nella capitale – e sotto forma di un normale telegramma – soltanto alle ore 17,45 di quel 28 dicembre: più di dodici ore a distanza dell’evento”*

“Erano esattamente le ore 19 e ventisei minuti del giorno 23 novembre 1980 quando un sisma di inaudita potenza e durata sconvolse buona parte delle regioni Campania e Basilicata. I danni furono enormi, le vittime accertate superarono le cinquemila persone. Radio e televisione trasmisero le prime notizie a distanza di pochi minuti dall’evento. Tra le 19,45 e le 20 i telegiornali furono già in grado di allestire edizioni straordinarie e di far pervenire sui teleschermi le prime immagini del disastro coinvolgendo stati d’animo, comportamenti, reazioni psichiche di milioni di persone le quali si trovarono di colpo nella veste di destinatari e partecipi di un universo collettivo simbolico”*

Erano esattamente le 3 e trentadue minuti del mattino di lunedì 6 aprile 2009 quando un violento sisma sconvolse la zona dell’Aquila. I danni furono enormi, le vittime superarono le trecento persone. La prima notizia dell’evento non fu data al mondo da un giornalista ma da una persona comune attraverso Internet. Dopo tre minuti. Nei caotici momenti immediatamente successivi, numerose altre persone diedero notizia dell’evento aggiungendo particolari, chiedendo informazioni, commentando e condividendo quanto avevano appena vissuto. Quando le prime agenzie di stampa, i siti dei quotidiani e le tv “all news” iniziarono a coprire l’evento, le persone comuni rilanciarono, commentarono e confrontarono i racconti. Compresa la gravità di quanto successo, lo spazio della rete diventò strumento per organizzare gli sforzi, condividere le informazioni, lanciare appelli e provare a rendersi utili. Nei giorni che seguirono, la straordinaria mobilitazione dei volontari accorsi da tutta Italia per prestare soccorso, fu coadiuvata ed affiancata da una miriade di piccole iniziative spontaneamente organizzate attraverso Internet. Iniziative piccole che fecero tuttavia comprendere a molti le potenzialità della rete come spazio per la rapida auto-organizzazione.

* tratto da Enrico Mascilli Migliorini, La comunicazione istantanea, Guida Editori, Napoli 1987.

[potete leggere questo articolo anche a pag. 12 de “Il Corriere Adriatico” di Martedì 14 Aprile. Il prossimo appuntamento con “Realtà digitali” è per Martedì 28 Aprile]

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Ci sono eventi che segnano la storia di una nazione. Talvolta questi eventi incrociano l’evolversi dei modi di comunicare il mondo generando una cesura nella storia dei media.

“Erano esattamente le cinque del mattino di lunedì 28 dicembre 1908 quando un sisma spaventoso e un maremoto terrificante sconvolsero lo stretto di Messina. Due città, la stessa Messina e Reggio Calabria, furono completamente rase al suolo. Le vittime, accertate, si calcolarono in più di settantamila. Ma le prime notizie del disastro apparvero, in maniera ancora assai vaga ed approssimativa, soltanto sulle edizioni del mattino dei giornali del successivo 29 dicembre. Non solo, ma la stessa notizia della catastrofe arrivò nella capitale – e sotto forma di un normale telegramma – soltanto alle ore 17,45 di quel 28 dicembre: più di dodici ore a distanza dell’evento”*

“Erano esattamente le ore 19 e ventisei minuti del giorno 23 novembre 1980 quando un sisma di inaudita potenza e durata sconvolse buona parte delle regioni Campania e Basilicata. I danni furono enormi, le vittime accertate superarono le cinquemila persone. Radio e televisione trasmisero le prime notizie a distanza di pochi minuti dall’evento. Tra le 19,45 e le 20 i telegiornali furono già in grado di allestire edizioni straordinarie e di far pervenire sui teleschermi le prime immagini del disastro coinvolgendo stati d’animo, comportamenti, reazioni psichiche di milioni di persone le quali si trovarono di colpo nella veste di destinatari e partecipi di un universo collettivo simbolico”*

Erano esattamente le 3 e trentadue minuti del mattino di lunedì 6 aprile 2009 quando un violento sisma sconvolse la zona dell’Aquila. I danni furono enormi, le vittime superarono le trecento persone. La prima notizia dell’evento non fu data al mondo da un giornalista ma da una persona comune attraverso Internet. Dopo tre minuti. Nei caotici momenti immediatamente successivi, numerose altre persone diedero notizia dell’evento aggiungendo particolari, chiedendo informazioni, commentando e condividendo quanto avevano appena vissuto. Quando le prime agenzie di stampa, i siti dei quotidiani e le tv “all news” iniziarono a coprire l’evento, le persone comuni rilanciarono, commentarono e confrontarono i racconti. Compresa la gravità di quanto successo, lo spazio della rete diventò strumento per organizzare gli sforzi, condividere le informazioni, lanciare appelli e provare a rendersi utili. Nei giorni che seguirono, la straordinaria mobilitazione dei volontari accorsi da tutta Italia per prestare soccorso, fu coadiuvata ed affiancata da una miriade di piccole iniziative spontaneamente organizzate attraverso Internet. Iniziative piccole che fecero tuttavia comprendere a molti le potenzialità della rete come spazio per la rapida auto-organizzazione.

* tratto da Enrico Mascilli Migliorini, La comunicazione istantanea, Guida Editori, Napoli 1987.

[potete leggere questo articolo anche a pag. 12 de “Il Corriere Adriatico” di Martedì 14 Aprile. Il prossimo appuntamento con “Realtà digitali” è per Martedì 28 Aprile]

[Photo originally uploaded on August 16, 2007 by Telstar Logistics]

Redesign

Next Media and Society cambia volto. I vari motivi delle scelte estetiche ma non solo sono spiegate in questo post dove non manca, come al solito, qualche spunto di riflessione sul futuro del rapporto fra Internet e società.Next Media and Society cambia volto. I vari motivi delle scelte estetiche ma non solo sono spiegate in questo post dove non manca, come al solito, qualche spunto di riflessione sul futuro del rapporto fra Internet e società.Next Media and Society cambia volto. I vari motivi delle scelte estetiche ma non solo sono spiegate in questo post dove non manca, come al solito, qualche spunto di riflessione sul futuro del rapporto fra Internet e società.

Come i più astuti di voi (fra quelli che non leggono questo blog attraverso un aggregatore di feed rss) avranno notato, ho deciso di modificare sostanzialmente l’aspetto del blog. Da tempo cercavo un template in stile magazine per questo blog e quando ho letto (via Laboratorio di Web Content) della disponibilità di questi temi gratuiti non ho saputo resistere (l’irresistibile desiderio di procrastinare altre cose che dovrei fare ha fatto il resto).
Pur iniziato come un’idea estemporanea di redisgn solo estetico mi sono ritrovato alla fine a ripensare alla struttura stessa di questo blog e degli argomenti che tratta. Per me questo blog è uno strumento di lavoro. Parlare di quello che si fa ha un doppio benefico effetto. Da una parte ti aiuta attraverso il processo di scrittura a sedimentare e raffinare idee ed intuizioni, dall’altra cosente di esporre queste idee ad un pubblico che può commentare, criticare o apprezzarle contribuendo a renderle in ogni caso migliori di prima.
Al tempo stesso mutano gli spazi dove questi confronti avvengono. Come molti da qualche tempo scrivo poco nel blog ed uso molto più Twitter, Facebook e Friendfeed per segnalare le cose che ho letto e trovato interessanti. La sintesi imposta da questi strumenti offre una rapidità di diffusione straordinaria e richiede una capacità di andare al punto che si affina nel tempo. Essere sintetici può essere difficile perchè ogni singola parola di quello che scrivi diventa importante. Quando lo fai usando una lingua non tua diventa un esercizio ancora più utile.
Di tutto questo ai lettori dei blog non arrivava nulla. Per questo ho deciso di dare ampio spazio nella sidebar al mio lifestream (tweet, segnalazioni di libri, commenti, appunti).
Penso tuttavia che usare solo questi strumenti non basti. Non basta sopratutto quando i contenuti di cui vuoi parlare non sono semplici segnalazioni accompagnate da brevi commenti ma idee tue che richiedono spazio per essere sviluppate ed argomentate. Per questo motivo rimane importante per me lo spazio di questo blog.
Negli anni la struttura di categorie che avevo creato si è accresciuta e la struttura del nuovo template ha richiesto un ripensamento ed un consolidamento.
Ne sono uscito con tre categorie principali: Next Media (che parla delle tecnologie del cambiamento), Next People (che parla dei cambiamenti a livello individuale) e Next Society che tratta dei cambiamenti a livello sociale. L’ultimo post di ciascuna di queste categorie sarà mostrato nelle tre colonne che chiudono lo spazio principale dell’home page.
Scompare per il momento il lunghissimo elenco dei feed che leggo almeno fino a quando qualcuno non mi consentirà di incrociare i dati dell’attenzione con questa lista e di mostrare un elenco più breve dei feed a cui presto più attenzione. Gli appassionati del listone trovano comunque la lista completa ed aggiornata in tempo reale nella sezione del blog cosa leggo.
Il nuovo template richiede quattro immagini di dimensioni diverse per ogni post ed un breve abstract del contenuto. Tutto questo manca ovviamente in tutti i post precedenti e tempo che il lettore dovrà farsene una ragione. Pur rendendo il tutto molto gradevole dal punto di vista estetico temo che questa procedura mi farà perdere un sacco di tempo ed ogni suggerimento su come sveltirla (ridimensionare un immagine in batch, uploadarla via ftp in specifiche cartelle, etc) è ben accetto.
Sono benvenuti inoltre tutti i commenti ed i suggerimenti sul nuovo layout, sulla struttura delle categorie e su tutto il resto.
Sto inoltre pensando di sostuire la scritta sulla testata con un’immagine. Se vi viene in mente qualcosa o volete contribuire con una vostra proposta siete i benvenuti.

Come i più astuti di voi (fra quelli che non leggono questo blog attraverso un aggregatore di feed rss) avranno notato, ho deciso di modificare sostanzialmente l’aspetto del blog. Da tempo cercavo un template in stile magazine per questo blog e quando ho letto (via Laboratorio di Web Content) della disponibilità di questi temi gratuiti non ho saputo resistere (l’irresistibile desiderio di procrastinare altre cose che dovrei fare ha fatto il resto).

Pur iniziato come un’idea estemporanea di redisgn solo estetico mi sono ritrovato alla fine a ripensare alla struttura stessa di questo blog e degli argomenti che tratta. Per me questo blog è uno strumento di lavoro. Parlare di quello che si fa ha un doppio benefico effetto. Da una parte ti aiuta attraverso il processo di scrittura a sedimentare e raffinare idee ed intuizioni, dall’altra cosente di esporre queste idee ad un pubblico che può commentare, criticare o apprezzarle contribuendo a renderle in ogni caso migliori di prima.

Al tempo stesso mutano gli spazi dove questi confronti avvengono. Come molti da qualche tempo scrivo poco nel blog ed uso molto più Twitter, Facebook e Friendfeed per segnalare le cose che ho letto e trovato interessanti. La sintesi imposta da questi strumenti offre una rapidità di diffusione straordinaria e richiede una capacità di andare al punto che si affina nel tempo. Essere sintetici può essere difficile perchè ogni singola parola di quello che scrivi diventa importante. Quando lo fai usando una lingua non tua diventa un esercizio ancora più utile.

Di tutto questo ai lettori dei blog non arrivava nulla. Per questo ho deciso di dare ampio spazio nella sidebar al mio lifestream (tweet, segnalazioni di libri, commenti, appunti).

Penso tuttavia che usare solo questi strumenti non basti. Non basta sopratutto quando i contenuti di cui vuoi parlare non sono semplici segnalazioni accompagnate da brevi commenti ma idee tue che richiedono spazio per essere sviluppate ed argomentate. Per questo motivo rimane importante per me lo spazio di questo blog.

Negli anni la struttura di categorie che avevo creato si è accresciuta e la struttura del nuovo template ha richiesto un ripensamento ed un consolidamento.

Ne sono uscito con tre categorie principali: Next Media (che parla delle tecnologie del cambiamento), Next People (che parla dei cambiamenti a livello individuale) e Next Society che tratta dei cambiamenti a livello sociale. L’ultimo post di ciascuna di queste categorie sarà mostrato nelle tre colonne che chiudono lo spazio principale dell’home page.

Scompare per il momento il lunghissimo elenco dei feed che leggo almeno fino a quando qualcuno non mi consentirà di incrociare i dati dell’attenzione con questa lista e di mostrare un elenco più breve dei feed a cui presto più attenzione. Gli appassionati del listone trovano comunque la lista completa ed aggiornata in tempo reale nella sezione del blog cosa leggo.

Il nuovo template richiede quattro immagini di dimensioni diverse per ogni post ed un breve abstract del contenuto. Tutto questo manca ovviamente in tutti i post precedenti e tempo che il lettore dovrà farsene una ragione. Pur rendendo il tutto molto gradevole dal punto di vista estetico temo che questa procedura mi farà perdere un sacco di tempo ed ogni suggerimento su come sveltirla (ridimensionare un immagine in batch, uploadarla via ftp in specifiche cartelle, etc) è ben accetto.

Sono benvenuti inoltre tutti i commenti ed i suggerimenti sul nuovo layout, sulla struttura delle categorie e su tutto il resto.

Sto inoltre pensando di sostuire la scritta sulla testata con un’immagine. Se vi viene in mente qualcosa o volete contribuire con una vostra proposta siete i benvenuti.

Come i più astuti di voi (fra quelli che non leggono questo blog attraverso un aggregatore di feed rss) avranno notato, ho deciso di modificare sostanzialmente l’aspetto del blog. Da tempo cercavo un template in stile magazine per questo blog e quando ho letto (via Laboratorio di Web Content) della disponibilità di questi temi gratuiti non ho saputo resistere (l’irresistibile desiderio di procrastinare altre cose che dovrei fare ha fatto il resto).

Pur iniziato come un’idea estemporanea di redisgn solo estetico mi sono ritrovato alla fine a ripensare alla struttura stessa di questo blog e degli argomenti che tratta. Per me questo blog è uno strumento di lavoro. Parlare di quello che si fa ha un doppio benefico effetto. Da una parte ti aiuta attraverso il processo di scrittura a sedimentare e raffinare idee ed intuizioni, dall’altra cosente di esporre queste idee ad un pubblico che può commentare, criticare o apprezzarle contribuendo a renderle in ogni caso migliori di prima.

Al tempo stesso mutano gli spazi dove questi confronti avvengono. Come molti da qualche tempo scrivo poco nel blog ed uso molto più Twitter, Facebook e Friendfeed per segnalare le cose che ho letto e trovato interessanti. La sintesi imposta da questi strumenti offre una rapidità di diffusione straordinaria e richiede una capacità di andare al punto che si affina nel tempo. Essere sintetici può essere difficile perchè ogni singola parola di quello che scrivi diventa importante. Quando lo fai usando una lingua non tua diventa un esercizio ancora più utile.

Di tutto questo ai lettori dei blog non arrivava nulla. Per questo ho deciso di dare ampio spazio nella sidebar al mio lifestream (tweet, segnalazioni di libri, commenti, appunti).

Penso tuttavia che usare solo questi strumenti non basti. Non basta sopratutto quando i contenuti di cui vuoi parlare non sono semplici segnalazioni accompagnate da brevi commenti ma idee tue che richiedono spazio per essere sviluppate ed argomentate. Per questo motivo rimane importante per me lo spazio di questo blog.

Negli anni la struttura di categorie che avevo creato si è accresciuta e la struttura del nuovo template ha richiesto un ripensamento ed un consolidamento.

Ne sono uscito con tre categorie principali: Next Media (che parla delle tecnologie del cambiamento), Next People (che parla dei cambiamenti a livello individuale) e Next Society che tratta dei cambiamenti a livello sociale. L’ultimo post di ciascuna di queste categorie sarà mostrato nelle tre colonne che chiudono lo spazio principale dell’home page.

Scompare per il momento il lunghissimo elenco dei feed che leggo almeno fino a quando qualcuno non mi consentirà di incrociare i dati dell’attenzione con questa lista e di mostrare un elenco più breve dei feed a cui presto più attenzione. Gli appassionati del listone trovano comunque la lista completa ed aggiornata in tempo reale nella sezione del blog cosa leggo.

Il nuovo template richiede quattro immagini di dimensioni diverse per ogni post ed un breve abstract del contenuto. Tutto questo manca ovviamente in tutti i post precedenti e tempo che il lettore dovrà farsene una ragione. Pur rendendo il tutto molto gradevole dal punto di vista estetico temo che questa procedura mi farà perdere un sacco di tempo ed ogni suggerimento su come sveltirla (ridimensionare un immagine in batch, uploadarla via ftp in specifiche cartelle, etc) è ben accetto.

Sono benvenuti inoltre tutti i commenti ed i suggerimenti sul nuovo layout, sulla struttura delle categorie e su tutto il resto.

Sto inoltre pensando di sostuire la scritta sulla testata con un’immagine. Se vi viene in mente qualcosa o volete contribuire con una vostra proposta siete i benvenuti.

I marziani scoprono la parte abitata della rete

Una risposta all’articolo scritto da Massimo Mantellini per la rubrica Contrappunti di Punto Informatico.Una risposta all’articolo scritto da Massimo Mantellini per la rubrica Contrappunti di Punto Informatico.Una risposta all’articolo scritto da Massimo Mantellini per la rubrica Contrappunti di Punto Informatico.

Ho letto attentamente l’anteprima del pezzo di Massimo Mantellini che sarà pubblicato domani su Punto Informatico e devo dire che la sua analisi non mi convince.
Premetto che le batterie di domande della ricerca LaRiCA su Internet, blog e siti di social network sono tutte traduzioni fedeli delle domande poste da Pew / Internet negli Stati Uniti. Essendo Pew lo standard di riferimento nel settore, abbiamo deciso di porre domande identiche allo scopo di avere un dato confrontabile. Identica è inoltre la metodologia di reperimento dati attraverso interviste telefoniche.
Detto questo vengo ai miei dubbi citando un piccolo estratto del post:

“a cosa mi serve, se mi riferisco alla parte abitata della rete, sapere quanti marziani l’hanno visitata almeno una volta?”

Secondo me serve a farci un’idea delle dimensioni dell’attenzione e della conoscenza verso il fenomeno “parte abitata della rete”. Se i marziani vengono a visitarci vuol dire che sanno come e dove trovarci e nutrono un qualche interesse per noi. Sapere quanti sono questi marziani è, per me, di un qualche interesse.
Sono d’accordo che sarebbe interessante sapere “quanti cittadini usano la rete per informarsi ed esprimere giudizi sullo stato delle cose, per confrontarsi su tematiche politiche o culturali, per discutere e raccogliere informazioni su prodotti e servizi in una modalità differente da quelle fino a ieri disponibili” ma, semplicemente, non era questo lo scopo della nostra ricerca. La ricerca che abbiamo svolto ha un valore puramente esplorativo ed ogni approfondimento che riguarda lo specifico dei comportamenti dei blogger richiederebbe una diversa strategia di campionamento focalizzata su queste figure.
Anche in vista di un obiettivo come questo avere una stima della numerosità di questi soggetti è essenziale per definire le dimensioni di un eventuale campione.
Ho grosse perplessità, invece, sul ragionamento del 3 milioni * 1 su 10 = 30.000.000.

“Mentre le società di ricerca stimano sul 50% circa il numero dei blog o dei social network aggiornati con una qualche frequenza, chiunque abbia potuto dare una occhiata ai numeri dei grandi fornitori di servizi di social network sa che il rapporto fra blog aperti e blog attivi è molto differente: meno di un blog ogni 10 aperti è solitamente attivo. Se davvero in Italia il numero di creatori di contenuti supera i 3 milioni allora sarebbe necessario immaginare che siano stati attivati nel nostro paese oltre 30 milioni di blog o pagine su Facebook o MySpace o Flickr.”

Non conosco i dati dei grandi fornitori di piattaforme. Conosco invece, grazie a Pew/Internet, le risposte che gli autori di blog americani hanno dato alla stessa domanda.
Ho riassunto i risultati della comparazione in questo grafico (clicca per ingrandire):
frequenza-aggiornamento-us-comp
Come si può facilmente notare non esistono grandi differenze. Questo mi porta a pensare che la domanda filtro (“Tiene un blog o un diario online”) tenda ad escludere buona parte di quei 9 blog abbandonati su 10. Solo i fornitori di piattaforme possono dirci quanti blog aperti in totale ci sono in Italia ma una cosa è certa: se quello che ci interessa è la parte abitata della rete non è fra i blog abbandonati che la troveremo.
Pur essendo molto scettico e sempre sospettoso rispetto ai dati statistici, non posso non notare che se tre ricerche diverse hanno fornito dati del tutto simili, un fondo di verità ci deve essere.
Per me quel fondo di verità è riassumibile nella considerazione che esiste un significativo numero di italiani (molto più vasto di quello che si poteva immaginare), soprattutto fra i giovani, che leggono o tengono un blog ed hanno un profilo su un sito di social network.
Questo implica che la stragrande maggioranza dei blogger (cioè delle persone che tengono un blog) rappresentano un universo largamente inesplorato che non può essere in alcun modo ricondotto al gruppo dei blogger più noti (che possiamo far coincidere a spanne con quelli iscritti a Blogbabel e sono dunque qualche migliaio). Non solo. Quando si pensa a cosa sia un blog e alle motivazioni che spingono ad aprirne uno bisognerebbe guardare a chi “spulcia il livespace pieno di farfalline della compagna di classe” (per citare un commento del post di Mantellini) e non solo al piccolo sotto insieme che è più visibile ma numericamente molto meno rappresentativo. Sono sicuro che scopriremmo universi completamente diversi ed in qualche modo incommensurabili.
Fatto sta che questa massa di persone (prevalentemente giovani, che hanno come pubblico di riferimento il loro gruppo di amici e se ricevono troppa attenzione su un post la considerano quasi un’intrusione nella loro privacy più che un evento da festeggiare) esiste al di là della visibilità che possa avere o desiderare.
Questo significa che anche quando ragioniamo sull’impatto della parte abitata della rete in Italia dovremmo guardare con una certa attenzione (molto più di quanto sia stato fatto fino ad ora) a questa parte sommersa dell’iceberg.
Se non lo facciamo un giorno non molto lontano potremmo sveglairci e scoprire con sgomento che i marziani della parte abitata della rete siamo proprio noi adulti in cerca di visibilità e iscritti a Blogbabel 🙂

Technorati tags: , , , , ,

Ho letto attentamente l’anteprima del pezzo di Massimo Mantellini che sarà pubblicato domani su Punto Informatico e devo dire che la sua analisi non mi convince.

Premetto che le batterie di domande della ricerca LaRiCA su Internet, blog e siti di social network sono tutte traduzioni fedeli delle domande poste da Pew / Internet negli Stati Uniti. Essendo Pew lo standard di riferimento nel settore, abbiamo deciso di porre domande identiche allo scopo di avere un dato confrontabile. Identica è inoltre la metodologia di reperimento dati attraverso interviste telefoniche.

Detto questo vengo ai miei dubbi citando un piccolo estratto del post:

“a cosa mi serve, se mi riferisco alla parte abitata della rete, sapere quanti marziani l’hanno visitata almeno una volta?”

Secondo me serve a farci un’idea delle dimensioni dell’attenzione e della conoscenza verso il fenomeno “parte abitata della rete”. Se i marziani vengono a visitarci vuol dire che sanno come e dove trovarci e nutrono un qualche interesse per noi. Sapere quanti sono questi marziani è, per me, di un qualche interesse.

Sono d’accordo che sarebbe interessante sapere “quanti cittadini usano la rete per informarsi ed esprimere giudizi sullo stato delle cose, per confrontarsi su tematiche politiche o culturali, per discutere e raccogliere informazioni su prodotti e servizi in una modalità differente da quelle fino a ieri disponibili” ma, semplicemente, non era questo lo scopo della nostra ricerca. La ricerca che abbiamo svolto ha un valore puramente esplorativo ed ogni approfondimento che riguarda lo specifico dei comportamenti dei blogger richiederebbe una diversa strategia di campionamento focalizzata su queste figure.

Anche in vista di un obiettivo come questo avere una stima della numerosità di questi soggetti è essenziale per definire le dimensioni di un eventuale campione.

Ho grosse perplessità, invece, sul ragionamento del 3 milioni * 1 su 10 = 30.000.000.

“Mentre le società di ricerca stimano sul 50% circa il numero dei blog o dei social network aggiornati con una qualche frequenza, chiunque abbia potuto dare una occhiata ai numeri dei grandi fornitori di servizi di social network sa che il rapporto fra blog aperti e blog attivi è molto differente: meno di un blog ogni 10 aperti è solitamente attivo. Se davvero in Italia il numero di creatori di contenuti supera i 3 milioni allora sarebbe necessario immaginare che siano stati attivati nel nostro paese oltre 30 milioni di blog o pagine su Facebook o MySpace o Flickr.”

Non conosco i dati dei grandi fornitori di piattaforme. Conosco invece, grazie a Pew/Internet, le risposte che gli autori di blog americani hanno dato alla stessa domanda.

Ho riassunto i risultati della comparazione in questo grafico (clicca per ingrandire):

frequenza-aggiornamento-us-comp

Come si può facilmente notare non esistono grandi differenze. Questo mi porta a pensare che la domanda filtro (“Tiene un blog o un diario online”) tenda ad escludere buona parte di quei 9 blog abbandonati su 10. Solo i fornitori di piattaforme possono dirci quanti blog aperti in totale ci sono in Italia ma una cosa è certa: se quello che ci interessa è la parte abitata della rete non è fra i blog abbandonati che la troveremo.

Pur essendo molto scettico e sempre sospettoso rispetto ai dati statistici, non posso non notare che se tre ricerche diverse hanno fornito dati del tutto simili, un fondo di verità ci deve essere.

Per me quel fondo di verità è riassumibile nella considerazione che esiste un significativo numero di italiani (molto più vasto di quello che si poteva immaginare), soprattutto fra i giovani, che leggono o tengono un blog ed hanno un profilo su un sito di social network.

Questo implica che la stragrande maggioranza dei blogger (cioè delle persone che tengono un blog) rappresentano un universo largamente inesplorato che non può essere in alcun modo ricondotto al gruppo dei blogger più noti (che possiamo far coincidere a spanne con quelli iscritti a Blogbabel e sono dunque qualche migliaio). Non solo. Quando si pensa a cosa sia un blog e alle motivazioni che spingono ad aprirne uno bisognerebbe guardare a chi “spulcia il livespace pieno di farfalline della compagna di classe” (per citare un commento del post di Mantellini) e non solo al piccolo sotto insieme che è più visibile ma numericamente molto meno rappresentativo. Sono sicuro che scopriremmo universi completamente diversi ed in qualche modo incommensurabili.

Fatto sta che questa massa di persone (prevalentemente giovani, che hanno come pubblico di riferimento il loro gruppo di amici e se ricevono troppa attenzione su un post la considerano quasi un’intrusione nella loro privacy più che un evento da festeggiare) esiste al di là della visibilità che possa avere o desiderare.

Questo significa che anche quando ragioniamo sull’impatto della parte abitata della rete in Italia dovremmo guardare con una certa attenzione (molto più di quanto sia stato fatto fino ad ora) a questa parte sommersa dell’iceberg.

Se non lo facciamo un giorno non molto lontano potremmo sveglairci e scoprire con sgomento che i marziani della parte abitata della rete siamo proprio noi adulti in cerca di visibilità e iscritti a Blogbabel 🙂

Technorati tags: , , , , ,

Ho letto attentamente l’anteprima del pezzo di Massimo Mantellini che sarà pubblicato domani su Punto Informatico e devo dire che la sua analisi non mi convince.

Premetto che le batterie di domande della ricerca LaRiCA su Internet, blog e siti di social network sono tutte traduzioni fedeli delle domande poste da Pew / Internet negli Stati Uniti. Essendo Pew lo standard di riferimento nel settore, abbiamo deciso di porre domande identiche allo scopo di avere un dato confrontabile. Identica è inoltre la metodologia di reperimento dati attraverso interviste telefoniche.

Detto questo vengo ai miei dubbi citando un piccolo estratto del post:

“a cosa mi serve, se mi riferisco alla parte abitata della rete, sapere quanti marziani l’hanno visitata almeno una volta?”

Secondo me serve a farci un’idea delle dimensioni dell’attenzione e della conoscenza verso il fenomeno “parte abitata della rete”. Se i marziani vengono a visitarci vuol dire che sanno come e dove trovarci e nutrono un qualche interesse per noi. Sapere quanti sono questi marziani è, per me, di un qualche interesse.

Sono d’accordo che sarebbe interessante sapere “quanti cittadini usano la rete per informarsi ed esprimere giudizi sullo stato delle cose, per confrontarsi su tematiche politiche o culturali, per discutere e raccogliere informazioni su prodotti e servizi in una modalità differente da quelle fino a ieri disponibili” ma, semplicemente, non era questo lo scopo della nostra ricerca. La ricerca che abbiamo svolto ha un valore puramente esplorativo ed ogni approfondimento che riguarda lo specifico dei comportamenti dei blogger richiederebbe una diversa strategia di campionamento focalizzata su queste figure.

Anche in vista di un obiettivo come questo avere una stima della numerosità di questi soggetti è essenziale per definire le dimensioni di un eventuale campione.

Ho grosse perplessità, invece, sul ragionamento del 3 milioni * 1 su 10 = 30.000.000.

“Mentre le società di ricerca stimano sul 50% circa il numero dei blog o dei social network aggiornati con una qualche frequenza, chiunque abbia potuto dare una occhiata ai numeri dei grandi fornitori di servizi di social network sa che il rapporto fra blog aperti e blog attivi è molto differente: meno di un blog ogni 10 aperti è solitamente attivo. Se davvero in Italia il numero di creatori di contenuti supera i 3 milioni allora sarebbe necessario immaginare che siano stati attivati nel nostro paese oltre 30 milioni di blog o pagine su Facebook o MySpace o Flickr.”

Non conosco i dati dei grandi fornitori di piattaforme. Conosco invece, grazie a Pew/Internet, le risposte che gli autori di blog americani hanno dato alla stessa domanda.

Ho riassunto i risultati della comparazione in questo grafico (clicca per ingrandire):

frequenza-aggiornamento-us-comp

Come si può facilmente notare non esistono grandi differenze. Questo mi porta a pensare che la domanda filtro (“Tiene un blog o un diario online”) tenda ad escludere buona parte di quei 9 blog abbandonati su 10. Solo i fornitori di piattaforme possono dirci quanti blog aperti in totale ci sono in Italia ma una cosa è certa: se quello che ci interessa è la parte abitata della rete non è fra i blog abbandonati che la troveremo.

Pur essendo molto scettico e sempre sospettoso rispetto ai dati statistici, non posso non notare che se tre ricerche diverse hanno fornito dati del tutto simili, un fondo di verità ci deve essere.

Per me quel fondo di verità è riassumibile nella considerazione che esiste un significativo numero di italiani (molto più vasto di quello che si poteva immaginare), soprattutto fra i giovani, che leggono o tengono un blog ed hanno un profilo su un sito di social network.

Questo implica che la stragrande maggioranza dei blogger (cioè delle persone che tengono un blog) rappresentano un universo largamente inesplorato che non può essere in alcun modo ricondotto al gruppo dei blogger più noti (che possiamo far coincidere a spanne con quelli iscritti a Blogbabel e sono dunque qualche migliaio). Non solo. Quando si pensa a cosa sia un blog e alle motivazioni che spingono ad aprirne uno bisognerebbe guardare a chi “spulcia il livespace pieno di farfalline della compagna di classe” (per citare un commento del post di Mantellini) e non solo al piccolo sotto insieme che è più visibile ma numericamente molto meno rappresentativo. Sono sicuro che scopriremmo universi completamente diversi ed in qualche modo incommensurabili.

Fatto sta che questa massa di persone (prevalentemente giovani, che hanno come pubblico di riferimento il loro gruppo di amici e se ricevono troppa attenzione su un post la considerano quasi un’intrusione nella loro privacy più che un evento da festeggiare) esiste al di là della visibilità che possa avere o desiderare.

Questo significa che anche quando ragioniamo sull’impatto della parte abitata della rete in Italia dovremmo guardare con una certa attenzione (molto più di quanto sia stato fatto fino ad ora) a questa parte sommersa dell’iceberg.

Se non lo facciamo un giorno non molto lontano potremmo sveglairci e scoprire con sgomento che i marziani della parte abitata della rete siamo proprio noi adulti in cerca di visibilità e iscritti a Blogbabel 🙂

Technorati tags: , , , , ,

BlogLab 2008

BlogLab è un progetto semplice ed ambizioso al tempo stesso.
Semplice perchè si tratta, in pratica, di insegnare ad un gruppo di studenti a gestire in modo professionale un blog e garantire agli autori delle migliori idee un periodo di stage su progetti ad hoc di aziende del settore.
Ambisioso perchè è il frutto della collaborazione fra docenti universitari che provengono da background ed atenei diversi ed un manipolo di blogger esperti.
L’esperienza dello scorso anno ed i nomi degli organizzatori ed ideatori del progetto (Stefano Epifani/Facoltà di Scienze della Comunicazione della Sapienza e Antonio Sofi/Facoltà di Media e Giornalismo dell’Università di Firenze) sono, per chi frequenta il web, un’assoluta garanzia di serietà ed efficenza.
A queste motivazioni si aggiunge poi la presenza di colleghi che stimo: Andrea Toso (Università di Torino), Roberta Milano (Università di Genova / Campus di Savona) e Vittorio Pasteris (Università di Torino).
Partecipare è piuttosto semplice. Bisogna essere studenti di uniurb o di uno degli altri atenei segnalati sopra, compilare il modulo di presentazione progetti ed inviare il tutto a bloglabmail@gmail.com entro il 18 domenica 20 aprile 2008.
Ai progetti selezionati sarà assegnato un fellow (o tutor che dir si voglia) fra i blogger che si sono resi disponibili ed insieme cercheremo di curare al meglio e far crescere le loro idee.
Per contatti e collaborazioni o per aziende interessate a proporre stage: bloglabmail@gmail.com.
LINK: BlogLab sito ufficiale, Modulo di iscrizione a BlogLab 2008