Nostalgie di un tempo mai vissuto

fantastico! io sn del 93 quindi sn nata verso la fase finale d questi magnifici cartoni, x 7/8 anni li ho visti ank’io…bellissimi…poi sn iniziati i digimon e i pokemon ke hanno rovinato tutto…la televisione di oggi è una tv violenta ma ke futuro ha la mia generazione? e le altre? rivoglio i cartoni di un tempo quelli si k erano cartoni! Querz89 (5 months ago)

prossima volta rinasco 10 anni prima, mi faccio l’infanzia negli anni 80 e mi imbottisco di cartoni, l’adolescenza negli anni 90, e l’età adulta nel 3° millennio… e speriamo bene sull’ultima fase !!! MicinaTheBlack (1 week ago)

Technorati tags: , , ,

Le convenzioni dei nativi nello spazio mediato di rete

Appena tornato dall’unconventional conference.
Lo staff non convenzionale è stato delizioso ed efficiente. Mi sembra quindi doveroso ringraziare loro per l’invito e per l’impegno che hanno saputo dedicare alla realizzazione di un evento a cui credevano profondamente.
Non so se l’Università di Urbino si renda pienamente conto di quanto bene facciano eventi del genere fatti dagli studenti per gli studenti ma visto che il supporto economico per la realizzazione dell’unconventional conference arriva dai fondi che l’ateneo dedica alle attività studentesche mi sembra giusto dedicare anche allo staff istituzionale di uniurb un piccolo ringraziamento.
Dopo l’inquadramento della tematica “Marketing non Convenzionale” ad opera del Prof. Pencarelli (docente di strategia d’impresa alla Facoltà di Economia) e del Prof. Fluvio Fortezza (docente di Marketing all’Università di Ferrara), Valentina Tolomelli (Web Community Manager – Ducati Motor Holding) ha illustrato il caso di Desmoblog (il blog/community di Ducati). Mi sarebbe piaciuto avere più tempo per chiedere a Valentina di raccontare gli aspetti critici dell’esperienza di Ducati. Una domanda in questo senso c’è stata ma purtroppo il tempo per la risposta non è stato sufficiente per sviscerare l’argomento come mi sarebbe piaciuto. Forse la conversazione proseguita durante il coffee break cui ho dovuto rinunciare per provare la presentazione che avrei usato subito dopo la pausa. Ci sarà di sicuro un’altra occasione.
Dopo il mio intervento di cui parlerò in coda è stato il turno del Prof. Laerte Sorini che ha descritto la nuova piattaforma di Web TV che sarà messa a disposizione dell’Università dalla Facoltà di Economia a partire dal prossimo anno. L’intervento purtroppo è stato funestato da problemi tecnici ma da quello che sono riuscito a capire (correggetemi se sbaglio), la piattaforma (mostrata in locale) è la stessa utilizzata dalla Technogym per la sua esperienza di WebTV di cui ho sentito parlare ma non sono riuscito a trovare traccia in rete. L’interfaccia del prodotto sembra ben studiata ma non ho capito bene quale siano i contenuti che si intende veicolare. Mi sarei aspettato maggiori dettagli da questo punto di vista. La mancanza di una strategia sui contenuti non mi fa sperare nulla di buono sul futuro di questo, per altri versi encomiabile, progetto. Il rischio cattedrale nel deserto mi sembra alto ma se Laerte è in ascolto mi farebbe piacere sentire il suo parere su questo tema.
A seguire l’attesissimo Alex Giordano (Docente di Marketing creativo, co-fondatore di NinjaMarketing.it e co-autore di “Marketing non Convenzionale – Viral, Guerrilla, Tribal e i 10 principi fondamentali del marketing postmoderno”) è entrato nello specifico del tema della conferenza mostrano diversi casi interessanti (tipo il famoso video virale Ronaldinho: Touch of Gold) collegati ad alcuni dei principi fondamentali di cui tratta il libro (almeno questo è quello che ho dedotto io anche se mi sembra che la cosa sia stata detta esplicitamente). Dietro l’intervento, volutamente leggero ed in gran parte dedicato a mostrare i casi, ho avuto la sensazione che vi fossero delle interessanti riflessioni teoriche. Durante il pranzo ho inoltre scoperto che Alex ha collaborato al progetto Luther Blissett da cui poi è nata la Wu Ming Foundation.
Infine Marco Bruns (Fondatore e Presidente A-Style) ha presentato il suo caso e descritto come la sua azienda sia passato da essere un logo (seppur geniale) ad essere un business da decine di milioni di euro di fatturato. Nel percorso che va dagli adesivi costati qualche centinaia di euro attaccati sui pali dei semafori di Milano alla sponsorizzazione di due gran premi del motomonidiale c’è una storia fatta di esperienza di marketing non convenzionale ai limiti della legalità che Marco ha saputo ben raccontare con l’entusiasmo di chi ha vissuto tutto questo da protagonista.
Anche se il marketing convenzionale o no che sia non è il mio settore devo dire che mi sono divertito e ascoltato diverse cose che non conoscevo.
Il mio intervento è stato dedicato come da titolo a descrivere le convenzioni dei nativi nello spazio mediato di rete. Partendo da un titolo come questo ho deciso di soffermarmi su due aspetti. Chi sono i nativi e cos’è lo spazio mediato di rete. Il tutto, per chi fosse interessato, è riassunto nelle presentazione che segue.

Durante l’intervento ho mostrato questo video che ha riscosso applausi a scena aperta dalla platea. Avrei potuto anche mostrare quest’altro video ma visto che era stato presentato di recente da Luca Conti al seminario di Web 2.0 101 ho preferito trovare qualcosa di alternativo.
Oltre al video mi preme dare il giusto tributo a tutte le fonti che ho utilizzato:

Tutte le fotografie ed immagini usate nella presentazione sono tratte da Flickr (fra quelle con licenza creative commons) o realizzate ad hoc. Le vignette sono invece tratte da gapinvoid e xkcd.
P.S. Già che ci sono ringrazio anche lukval che con il suo commento al blog dei ninja mi ha dato un fantastico spunto per esemplificare le proprietà dello spazio mediato di rete.

Verso una multiculturalità digitale

Ci sono post in grado di cambiare la prospettiva sul mondo.

L’ultimo di Henry Jenkins, per me, è uno di questi.

Di recente ho parlato spesso della dialettica fra “conversazioni dal basso” e “myspace per adulti”. L’ho fatto descrivendo quello che ho chiamato per semplicità espressiva e non senza un certo sarcasmo il “myspace per adulti” osservato dalla prospettiva delle “conversazioni dal basso”.

Raccontare l’epica lotta fra grassroots David e mainstream Golia è di certo affascinante. Prendere le parti del più debole in una lotta impari è una reazione naturale. Eppure Jenkins ci insegna in questo post che può esistere un obiettivo al tempo stesso più importante e difficile che (ab)battere Golia. Si può e si deve provare la strada della contaminazione e del dialogo. Sopratutto quando il divide fra Davide e Golia rischia di diventare una insanabile frattura culturale prima che generazionale.

Può essere utile ed anche divertente prendere in giro su un blog come questo “Il Corriere Adriatico” perché pubblica un trafiletto come questo.

Dare a David del nativo digitale e a Golia dell’immigrante può essere utile in una prima fase per ribaltare metaforicamente i rapporti di potere evidenziando che il fattore campo è decisamente a favore di David.

Può essere utile dimostrare le potenzialità di David nel mobilitare le masse (ma meglio sarebbe dire la moltitudine) attraverso le reti.

Tutto questo può contribuire a rendere Golia consapevole che nella diversità di David non c’è solo “la peggio gioventù” ma anche alcune “abilità straordinarie” che possono “salvare il mondo”.

Ma ribaltare semplicemente il rapporto asimmetrico non è abbastanza e non è affatto privo di insidie.

C’è il rischio che la distinzione nativi/immigrati faccia perdere di vista le differenze che ci sono nell’uno e nell’altro campo. Se essere immigrati è di certo difficile essere anagraficamente nativi senza averne le capacità e le caratteristiche è drammatico.

Ponendo tutta l’attenzione sul divario generazionale e digitale si rischia inoltre di perdere di vista il contesto di convergenza ed il ruolo importante che in tutto questo giocano e giocheranno i media tradizionali.

Ma la cosa peggiore è che nel ribaltare simmetricamente un rapporto asimmetrico si rischia di sottolineare una diversità ormai evidente laddove bisognerebbe cercare invece le vie del dialogo e della contaminazione culturale.

Ho la sensazione che il tema della multiculturalità digitale fra nativi e migranti assumerà nei prossimi anni (sopratutto nel nostro Paese dove il divario digitale si innesta su quello determinato dalla ingombrante presenza de “La Casta™”) un ruolo fondamentale.

Forse non c’è molto da imparare dal “MySpace per adulti” ma da alcuni adulti, specie quelli come Henry, certamente si.

Come volevasi dimostrare

 
How we fooled “the adults myspace” (Originally uploaded by FG@flickr.com
)

Le locandine esposte fuori dalle edicole sono sicuramente l’espressione più pura del “My Space per Adulti™”.

Questa foto rappresenta il risultato dello scherzo che avevo annunciato qualche giorno fa.

Il seminario è stato molto seguito da un pubblico attento e silenzioso di almeno una sessantina di studenti di Scienze della Comunicazione ed Informatica Applicata (ma ho riconosciuto anche alcuni studenti di economia, i tecnici della facoltà ed alcuni blogger). La struttura domanda/risposta a quattro voci ha funzionato a mio avviso particolarmente bene ed i video del prof. Welsh hanno fatto il resto.

Alla fine ho proprio la sensazione che si sia riusciti a restituire lo spirito del Web 2.0 nella forma della conversazione oltre che nei contenuti trattati.

Abbiamo parlato di Web 2.0 in generale, di social software, di rapporto fra conversazioni dal basso e MySpace per adulti, di Web 2.0 in ambito politico, aziendale ed universitario.

Molto interessanti anche le domande finali poste dagli studenti (relative alla spontaneità nel rapporto col pubblico di un blogger di successo e alla incomprensione fra logiche dei mezzi di comunicazione di massa e blog).

Purtroppo non abbiamo alcuna registrazione della cosa (shame on me).

Luca Conti ha però promesso agli studenti e agli interessanti che molti dei materiali utilizzati durante il seminario saranno resi disponibili sul blog che ha deciso di dedicare alle esperienze didattiche in corso.

Defender of new media vs "The Adults Myspace"

Defender of new media ... Facebook Etiquette blogger Maz Hardy.Maz Hardey è una studentessa di dottorato all’Università di York, una consulente sul Web 2.0, una scrittrice freelance, una blogger e una ragazza geek.
Ma queste sono solo le sue identità non segrete.
Un intrepido giornalista del Sydney Morning Herald ha infatti scoperto la sua vera identità segreta di “Defender of new media”.
Mentre Maz si attrezza nella sua nuova tutina da super eroe, compra una spada su eBay e cerca di sviluppare un maggiore controllo su i suoi nuovi super poteri, vale forse la pena mettere ragionare su un paio di cose.
La prima è che il “MySpace per adulti” non ha confini nazionali (basti vedere come il giornalista in questione abbia sistematicamente sbagliato i nomi delle persone citate). In Italia tuttavia la cosa assume una valenza particolare per la specifica situazione legata alla scarsa dinamicità generazionale della nostra società. Articoli critici come quello del Sydney Morning Herald non mancano, come è giusto che sia, anche nelle società a più alto tasso di penetrazione e cultura di rete. Quello che di solito avviene è che all’opinione critica si cerca di affiancare anche il punto di vista di qualcuno che possa raccontare la rete dall’interno. Penso sia una regola base del giornalismo e non credo si tratti di una cosa che riguardi specificamente il rapporto fra mezzi di comunicazione di massa e Internet.
Da qui il secondo punto. In Italia il “MySpace per adulti” non ha ancora individuato un rappresentate delle conversazioni dal basso da consultare ed al limite cercare di ridicolizzare in uno dei tanti salotti televisivi. Nei salotti del “MySpace per adulti” di solito appare in questo ruolo di “esperto” l’ammuffito psicologo di turno buono per tutte le stagioni. Il problema è che questi di solito non ha idea di cosa significhi vivere nello spazio mediato di rete. In pratica c’è uno straordinario spazio mediatico disponibile per una figura di questo genere (un “Defender of new media”) in Italia.
Ma c’è di più.
Pensate a Maz o Danah… cosa hanno in comune?
Sono ragazze, fanno un dottorato, sono carine, sono genuinamente geek…
Già il fatto di essere geek e carine susciterebbe scalpore ed interesse nel “MySpace per adulti” assuefatto al classico stereotipo del nerd. Poi sono anche degli esperti che possono rimpiazzare gli psicologi impolverati senza farli rimpiangere, certo sono giovani… ma dovranno farsene una ragione 😉
Al momento una figura del genere non mi sembra che esista in Italia.
Quindi se siete ragazze+carine+geek+accademiche e avete scelto i social media come vostro campo di studi sappiate di avere davanti a voi uno straordinario spazio di opportunità per diventare il “Defender of new media” del “MySpace per adulti” italiano.
Se invece siete ragazze+carine+geek e vi interessano i social media, adesso avete un motivo in più per fare un dottorato di ricerca…
P.S. A seguire si aprirà anche uno spazio per una voce critica ma informata sui social media alla Andrew Keen.
Poi non dite che io non vi avevo avvertito 😉

La vera storia del coniglio di plastica con le lucine colorate (2/2)

continua da La vera storia del coniglio di plastica con le lucine colorate (1/2)
Quando il coniglio (prontamente battezzato HvF) è arrivato ha subito preso confidenza con l’ambiente e fatto amicizia con i miei colleghi (fra l’altro ha anche voluto passare un fine settimana con una delle mie colleghe rischiando di essere rapito ma questa è un’altra storia)
Nel frattempo il 18 settembre Luca Conti riceve un messaggio da Consolata Lajolo di Violet che descrive e presenta il Nabaztag. Si tratta di uno di quei messaggi generici del tipo leggo con attenzione il suo Blog, bla bla, vi presento il mio prodotto. Luca risponde subito chiedendo di poter provare il coniglio e da Violet rispondono affermativamente. Vista la disponibilità Luca cerca allora di coinvolgere altri blogger nella prova su strada del coniglio e di strappare un affidamento a tempo indeterminato dell’oggetto in questione (o almeno uno sconto sull’acquisto). Ma da Violet questa volta rispondono picche, i Nabaztag, dopo il periodo di prova, devono tornare a casa. Luca ci rimane male più che altro per la scarsa attenzione che Violet mostra verso il passa parola attraverso i blog (ho lo scambio di email che mi ha girato), cerca di spiegare senza successo l’impatto positivo che un omaggio può avere sui blogger, etc. Nulla di fatto.
A questo punto mi faccio passare il contatto poiché ero alla ricerca più o meno disperata di uno sponsor last minute per il Festival dei Blog e dato che il coniglio sarebbe diventato protagonista del Treasure Hunt approfitto per inviare il fantastico documento di descrizione del progetto per gli sponsor e partner. La risposta è di quelle che non lasciano spazio a dubbi. Sono contenti dell’attenzione che gli dedichiamo e ci chiedono se possono mandarci cartoline ed altro materiale promozionale 😮 Uhm… non era proprio quello il mio scopo… dico di si lo stesso e lascio il nostro recapito.
Rimangono da trovare i premi. Il budget disponile di 1000 euro per dieci vincitori è risicatissimo. L’Ipod touch è fuori discussione per tempi di consegna e costo dell’oggetto. Il Nabaztag è anche lui fuori budget. Comprarne uno per la squadra vincitrice del Treasure Hunt non era proprio il massimo. Proviamo a chiedere ad un nostro fornitore uno sconto su altri modelli di Ipod e nel frattempo passo il contatto di Consolata al mio collega Luca che prova un ultimo tentativo. L’email di Luca non l’ho letta ma fatto sta che deve aver fatto breccia nel cuore coniglio di quelli di Violet che ci offrono 10 conigli al prezzo delle boutique (mi pare intorno agli 80 euro circa).
Improvvisamente l’opzione coniglio per tutti torna praticabile e visto il coinvolgimento dell’oggetto wifi nella caccia al tesoro anche particolarmente sensato. Si tratta di un oggetto ambito dai blogger ma comunque poco più di un giocattolo super tecnologico. A pensarci bene era il regalo perfetto.
A circa 10 giorni dall’inizio del Festival avevamo i regali e la caccia al tesoro era, nei limiti del possibile, sotto controllo. Rimaneva la questione dei Blog Awards. Premetto che l’idea di organizzare una premiazione dei migliori blog l’ho sempre considerata balzana fin dall’inizio. Esistono miriadi di metriche più o meno sensate per creare classifiche di blog, ma il metodo di certo più lontano dalle logiche partecipative della rete è quello di far scegliere i blog da premiare ad una giuria di esperti. Per quanto autorevoli e competenti queste persone possano essere, il metodo sarà sempre troppo dall’alto e lontano dalla grammatiche proprie della rete. Pensavo che non avrebbe funzionato e che bene che fosse andata saremmo riusciti a far passare la cosa sufficientemente inosservata da non essere travolti dalla polemiche.
coniglio-meme-small.jpgPensavo così, ma mi sbagliavo. Sottovalutavo infatti il potere del coniglio e di un banner realizzato in cinque minuti (dopo una improvvisata conversazione in Skype Chat con il comitato scientifico) dal mio collega Luca (non Conti ma Rossi) con uno slogan semplice semplice “Regala un Nabaztag al tuo blogger preferito”. Il mandato era chiaro, aumentare il numero di candidature provenienti dalla rete con una campagna di marketing virale basata su un bannerino.
Ma sottovalutavo anche un’altra cosa. In Italia c’è tutto un vasto mondo esterno alle logiche della rete ed immerso fino al midollo nella cultura di massa che mostra un crescente interesse verso il fenomeno dei blog. Ora questo mondo non è in grado di comprendere le logiche auto-organizzative della rete e dei mercati di nicchia. Per loro quello che conta sono le hit (o arrivare uno) e proprio in questa congiuntura astrale favorevole si sono trovati i Blog Awards (il premio è una dinamica comprensibile a chiunque abbia visto il Festival di San Remo almeno una volta in vita sua che si tratti di una canzone, di un blog, di un film o altro).
Da quel giorno in poi ho perso definitivamente il controllo della situazione. Il wiki usato per raccogliere le candidature (alla fine sono state oltre 200) perennemente bloccato in stato di modifica da parte di qualcuno ed in mano ad un pubblico non sempre “a prova di wiki”. I post ovunque da leggere con i relativi commenti, i commenti ricevuti sul blog e quelli da scrivere, le media partnership con Il Cannocchiale e con Radio Veronica e le telefonate dei giornalisti (si si avete presente l’articolo che uscito sul Corriere Magazine? Indovinate chi è la prima persona con cui ha parlato il giornalista?), la pubblicità sui quotidiani più o meno scroccata a Parole in Gioco.
Un crescendo ben rappresentato da questo grafico.
cdb_stats.png
Qui potete invece leggere le reazioni tracciate da Technorati.
Alla fine posso dire che è stato un Festival dei Blog in perfetto stile Conversazioni dal Basso. Questo tipo di conversazioni non esisterebbe infatti se non come differenza rispetto alle conversazioni dall’alto che sono poi quelle dei mezzi di comunicazione di massa. Proporre forme di dialogo fra questi due mondi che obbediscono a logiche che oggi, sopratutto in Italia, sembrano sideralmente distanti è, infondo, da sempre la mission di questa serie di eventi chiamata Conversazioni dal Basso. Una serie di eventi che non finisce ovviamente qui.
Il prossimo appuntamento, posso darlo sin da ora sarà a Pesaro nell’Aprile 2008 ed avrà una caratterizzazione più tradizionalmente scientifica. Ci piacerebbe dedicare l’evento al rapporto fra social media e generazioni perché è un tema che stiamo studiando. Ci piacerebbe organizzare un evento che veda protagonisti giovani ricercatori che studiano a diversi livelli il fenomeno dei blog, dei network sociali e delle culture partecipative. Ci piacerebbe ribaltare la logica dell’evento del workshop seminariale di aprile dove i blogger erano invitati a tenere relazioni e docenti e ricercatori a moderare il dibattito chiedendo al nostro nucleo storico di blogger – magari integrato da qualche nuovo elemento (si accettano candidature) – di moderare il workshop orientando ed organizzando la discussione intorno alle relazioni. Ci piacerebbe avere come ospite Henry Jenkins o Danah Boyd.
Ci piacerebbe… e a voi cosa piacerebbe?

La vera storia del coniglio di plastica con le lucine colorate (1/2)

Noia mortale.
Quella che provo leggendo per l’ennesima volta e sempre da parte della stessa persona insinuazioni sulla storia dei Nabaztag dati in premio ai vincitori del Festival dei Blog.

In sede di analisi, però, io non ignoro che Conti è uno di quegli ahimé strettissimi colli di bottiglia attraverso cui la blogosfera in questa fase si racconta all’esterno; che è l’amico di tutti, onnipresente a tutte le merendecamp; che insegna web2.0 nelle università; che scrive di blog e internet sui giornali; che passa metà dei suoi post a raccontare la sua vita da vincente nella blograce (perennemente in viaggio, pieno di impegni: e giù descrizioni di cocktail, ristoranti, colazioni e camere d’albergo ); che dichiara al tg3 nazionale che i blogger possono arrivare a guadagnare un milione di euro l’anno; che fa parte dei comitati scientifici di premi per blogger organizzati dalle università (premi che poi fatalmente, su decisione degli stessi comitati, si pubblicizzano con campagne buzz e virali – spontanee, per carità, del tutto disinteressate – a favore di un certo gadget tecnologico): ecco, che un personaggio così visibile e innervato nella blogosfera dichiari che d’ora in poi una delle sue attività sarà aiutare un’agenzia di buzz marketing a trovare clienti e, si presume, ad assoldare i blogger per fare campagne pubblicitarie artificialmente virali, io lo vivo con un pizzico di sincera preoccupazione.

Luca Conti se vorrà risponderà nel merito di ciò che lo riguarda
Io invece colgo l’occasione per raccontare qualche dietro le quinte di Conversazioni dal Basso 2 alias il Festival dei Blog.
Che il Nabaztag mi piacesse era fuori di dubbio fin da quando una domenica pomeriggio di settembre acquistai per la modica cifra di sedici euro via Pixmania due paia di orecchie di ricambio per il coniglio robot in questione convinto di aver acquistato due conigli completi di tutto. Correva l’anno 2006 e di Festival dei Blog e credo anche del workshop seminariale Conversazioni dal Basso (tenutosi ad aprile 2007 a Pesaro) ci fosse traccia solo in qualche recondito angolo della mente mia o di qualche mio collega del LaRiCA.
Dopo quell’incauto acquisto gli oggetti (pur dotati di calamite che li rendevano utili per molteplici scopi) finirono per mesi in un cassetto della scrivania di Luca fino a quando circa un anno dopo non mi sono deciso ad acquistare un set completo di coniglio + orecchie. In realtà era mesi che cercavo solo una buona scusa per comprare questo oggetto e la buona scusa, anzi ottima, è venuta dal trio (anzi quartetto per la precisione) genovese al quale avevo nel frattempo chiesto una collaborazione per lo sviluppo degli enigmi e della storia del Treasure Hunt Wireless Game.
Federico ha raccontato bene la cosa in questo post.

I conigli, mi sembra, sono stati parecchio apprezzati. E a questo proposito, avrei due cosette da dire. Prima dell’inizio del festival c’è stata qualche polemica per il premio scelto. In pratica, qualcuno diceva, la manifestazione sarebbe stata un grosso marchettone per la ditta produttrice di Nabaztag.
Avendo lavorato allo sviluppo della caccia al tesoro posso garantire che invece tutto è nato per puro caso: in pratica, una sera, ci siamo trovati a casa di RedPill con i due gonzi, per fare un po’ di brainstorming sul gioco. Mentre pensavamo a come strutturare la storia, il coniglio pronuncia una delle sue frasi inquietanti.
E Mescaline propone di farlo diventare parte della caccia. Un coniglio informatore. Ottima idea, pensiamo.

Ecco, è nato tutto da lì, altro che marchettone.

Quando Mescaline mi ha raccontato l’idea in Skype non ha fatto in tempo a finire la frase che avevo già ordinato il mio coniglio. Come si poteva usare il coniglio come informatore senza averne uno? Non mi sarebbe mai capitata una scusa migliore…
(to be continued)

Ma che cavolo è heroes??

Fantastica la critica in diretta dei Twitters all’episodio 1 di Heroes doppiato in Italiano e trasmesso da Italia 1 ieri sera (per chi non lo ha visto c’è sempre il videoregistratore universale).
Molte le critiche al doppiaggio e adattamento: delusione per la voce di Peter Petrelli, Mohinder non ho nessuna inflessione particolare, il nome del cane della mamma di Claire è stato tradotto da Mister Muggles a Mister Babbani fra lo stupore (ma direi quasi l’indignazione) generale dei twittersgrande attesa con sospiro di sollievo finale per il delicato doppiaggio di Hiro.
Generalmente Heroes sembra piaciuto agli utenti di Twitter (sopratutto a quelli che non avevano visto la serie in lingua originale).
A questo punto sono ancora più curioso di vedere i dati di ascolto.
Vi lascio con il twit più bello che ho trovato fra i molti che parlano di Heroes:

Traffyk Ma che cavolo è heroes?? Nessuno è andato a farsi un sano giretto fuori casa?? Vado a posare la bestia nera in garage e dopo gelatone 😀 7 hours ago

 UPDATE Segnalo questi due (1 2)post sul blog i media-mondo ed i relativi commenti.

Technorati tags: , , , , , ,

The Erving Goffman plugin

Durante le scorse due settimane ho letto molto ma scritto poco.
Mentre il belpaese era chiuso per ferie il resto del mondo ha continuato a funzionare più o meno a pieno regime sfornando interviste, articoli e post interessanti.
Nonostante le difficoltà logistiche (ero in una zona coperta solo da gprs) sono riuscito a prendere nota delle cose più interessanti lette nel mio spazio su tumblr: FG-notes.
Il filo conduttore è sicuramente l’idea di privacy proposto dai social networks.
In un recente esperimento, un’azienda che si occupa di sicurezza informatica ha provato a creare un profilo fake ed invitare casualmente 200 utenti di Facebook come amici. Il 41% degli invitati ha accettato l’invito garantendo a questa utenza l’accesso ai propri dati personali disponibili sul proprio profilo.
Se un contenuto pubblicato sul web è esposto ad un pubblico indistinto, simile a quello delle comunicazioni di massa, con i social networks, però, si torna a parlare (anche) di contesto sociale e di un pubblico, quindi, non più indistinto.
Detto così potrebbe sembrare un passo indietro, una modalità più simile a quella del mondo reale, ma a guardarle con attenzione le cose sono particolarmente intricate.
Aggiornare il proprio status su Facebook significa rivolgersi al pubblico costituito dall’insieme dei propri amici ma scrivere sul wall di un profilo di Facebook, ad esempio, significa conversare con quella persona in presenza di un pubblico costituito dall’insieme di tutti gli utenti che possono avere accesso a quel profilo, ovvero gli amici del mio amico. Alcuni di questi saranno amici in comune, altri no. Dunque le conversazioni wall-to-wall mantengono un certo grado di serendipity ed indeterminatezza dell’audicence.
Muoversi efficientemente in un social network può richiedere competenze anche più complesse rispetto quelle di un blog. Chi possederà queste competenze in futuro sarà avvantaggiato tanto nella vita personale quanto in quella lavorativa. Per questo è importante, come mette bene in evidenza in questa intervista su CNET Henry Jenkins, inserire nei curricula le competenze relative alla new media literacy. A quanto pare, almeno negli Stati Uniti (dove il 97% dei teens ha accesso a Internet) non è tanto il digital devide a preoccupare quanto questo “partecipation gap” (ovvero la differenza fra chi conosce e sa usare i social media partecipando e non solo fruendo cultura e chi invece fa, anche di Internet, un uso a sola lettura).
Dunque su Internet la questione è anche più complessa del “semplice” farsi media (ovvero l’apprendimento di massa delle capacità di produrre e pubblicare contenuti per le masse). 
Ne parla Danah Boyd a partire dalla propria esperienza d’uso di Facebook e MySpace. Si è veramente liberi di rifiutare una richiesta di “amicizia” o esiste una forma di regola non scritta per cui bisogna accettare tutti? Cosa accade quando gli adulti entrano nel contesto dei giovani e giovanissimi? Cosa significa per un professore, essere amico di uno studente in Facebook?
In questo senso il caso di Facebook è esemplare poichè questo social network è passato attraverso progressivi livelli di apertura (prima Harvard, poi le Università americane più importanti, poi tutte le università americane ed infine la recente apertura a tutti).

I can’t help but wonder if Facebook will have the same passionate college user base next school year now that it’s the hip adult thing. I don’t honestly know. But so far, American social network sites haven’t supported multiple social contexts tremendously well. Maybe the limited profile and privacy settings help, but I’m not so sure. Especially when profs are there to hang out with their friends, not just spy on their students. I’m wondering how prepared students are to see their profs’ Walls filled with notes from their friends. Hmmm…
apophenia: loss of context for me on Facebook

Molto interessante, per questo, lo studio comparativo che Charlene Croft ha fatto fra Facebook e MySpace.
Forse ha ragione Henry Jenkins quando evidenzia le potenzialità che i social media hanno di offrire uno spazio per la collaborazione intergenerazionale privo di quei vincoli propri del mondo reale e, come afferma un lettore del blog di Danah Boyd:

(…) the real trend is the gradual loss of “context” — where people are less differentiated in their persona between school, work, and social worlds. (…)
Posted by Nathan D | August 10, 2007 11:41 PM Posted on August 10, 2007 23:41
apophenia: loss of context for me on Facebook

O forse, come ho scrive Jason Mittell in un commento ad un altro bell’articolo: Ian Bogost – A Professor’s Impressions of Facebook, abbiamo bisogno di piattaforme in grado di supportare, come avviene nella vita reale, diversi contesti sociali (Pulse, il social network di Plaxo implementa qualcosa del genere).
Una sorta di “plugin di Erving Goffman”.

Technorati tags: , , , , , ,

Più sicura di sè, delle proprie opinioni, dei propri diritti e… più miserabile che mai

Sarebbe così la generazione nata dopo gli anni ’70 secondo Jean M. Twenge.

Se siete della Generation Me dovete leggere questo libro.

Se siete nati prima dovete leggere almeno il capitolo 8.

A partire dai trend emersi da un’analisi longitudinale dei punteggi ottenuti su test psicologici (basati su scale standard rimaste invariate dagli anni ’60 ad oggi) ottenuti da diverse generazioni di studenti universitari americani, la psicologa americana descrive in modo piacevole e con numerosi riferimenti tratti da pubblicità, film, show televisivi e serie televisive, i tratti salienti della Generazione Me.

Rispetto delle regole sociali, senso di autostima, convinzione di poter realizzare i propri sogni, ansia e depressione, disimpegno politico, sessualità e abitudine alle differenze sono trattati da ciascuno dei primi sette capitoli di questo libro.

Da non perdere infine l’ottavo e ultimo capitolo con i consigli indirizzati ai baby boomers (la generazione precedente nata dal dopo guerra alla fine degli anni ’60) su come interagire al meglio con la Generation Me.