Come volevasi dimostrare

 
How we fooled “the adults myspace” (Originally uploaded by FG@flickr.com
)

Le locandine esposte fuori dalle edicole sono sicuramente l’espressione più pura del “My Space per Adulti™”.

Questa foto rappresenta il risultato dello scherzo che avevo annunciato qualche giorno fa.

Il seminario è stato molto seguito da un pubblico attento e silenzioso di almeno una sessantina di studenti di Scienze della Comunicazione ed Informatica Applicata (ma ho riconosciuto anche alcuni studenti di economia, i tecnici della facoltà ed alcuni blogger). La struttura domanda/risposta a quattro voci ha funzionato a mio avviso particolarmente bene ed i video del prof. Welsh hanno fatto il resto.

Alla fine ho proprio la sensazione che si sia riusciti a restituire lo spirito del Web 2.0 nella forma della conversazione oltre che nei contenuti trattati.

Abbiamo parlato di Web 2.0 in generale, di social software, di rapporto fra conversazioni dal basso e MySpace per adulti, di Web 2.0 in ambito politico, aziendale ed universitario.

Molto interessanti anche le domande finali poste dagli studenti (relative alla spontaneità nel rapporto col pubblico di un blogger di successo e alla incomprensione fra logiche dei mezzi di comunicazione di massa e blog).

Purtroppo non abbiamo alcuna registrazione della cosa (shame on me).

Luca Conti ha però promesso agli studenti e agli interessanti che molti dei materiali utilizzati durante il seminario saranno resi disponibili sul blog che ha deciso di dedicare alle esperienze didattiche in corso.

Defender of new media vs "The Adults Myspace"

Defender of new media ... Facebook Etiquette blogger Maz Hardy.Maz Hardey è una studentessa di dottorato all’Università di York, una consulente sul Web 2.0, una scrittrice freelance, una blogger e una ragazza geek.
Ma queste sono solo le sue identità non segrete.
Un intrepido giornalista del Sydney Morning Herald ha infatti scoperto la sua vera identità segreta di “Defender of new media”.
Mentre Maz si attrezza nella sua nuova tutina da super eroe, compra una spada su eBay e cerca di sviluppare un maggiore controllo su i suoi nuovi super poteri, vale forse la pena mettere ragionare su un paio di cose.
La prima è che il “MySpace per adulti” non ha confini nazionali (basti vedere come il giornalista in questione abbia sistematicamente sbagliato i nomi delle persone citate). In Italia tuttavia la cosa assume una valenza particolare per la specifica situazione legata alla scarsa dinamicità generazionale della nostra società. Articoli critici come quello del Sydney Morning Herald non mancano, come è giusto che sia, anche nelle società a più alto tasso di penetrazione e cultura di rete. Quello che di solito avviene è che all’opinione critica si cerca di affiancare anche il punto di vista di qualcuno che possa raccontare la rete dall’interno. Penso sia una regola base del giornalismo e non credo si tratti di una cosa che riguardi specificamente il rapporto fra mezzi di comunicazione di massa e Internet.
Da qui il secondo punto. In Italia il “MySpace per adulti” non ha ancora individuato un rappresentate delle conversazioni dal basso da consultare ed al limite cercare di ridicolizzare in uno dei tanti salotti televisivi. Nei salotti del “MySpace per adulti” di solito appare in questo ruolo di “esperto” l’ammuffito psicologo di turno buono per tutte le stagioni. Il problema è che questi di solito non ha idea di cosa significhi vivere nello spazio mediato di rete. In pratica c’è uno straordinario spazio mediatico disponibile per una figura di questo genere (un “Defender of new media”) in Italia.
Ma c’è di più.
Pensate a Maz o Danah… cosa hanno in comune?
Sono ragazze, fanno un dottorato, sono carine, sono genuinamente geek…
Già il fatto di essere geek e carine susciterebbe scalpore ed interesse nel “MySpace per adulti” assuefatto al classico stereotipo del nerd. Poi sono anche degli esperti che possono rimpiazzare gli psicologi impolverati senza farli rimpiangere, certo sono giovani… ma dovranno farsene una ragione 😉
Al momento una figura del genere non mi sembra che esista in Italia.
Quindi se siete ragazze+carine+geek+accademiche e avete scelto i social media come vostro campo di studi sappiate di avere davanti a voi uno straordinario spazio di opportunità per diventare il “Defender of new media” del “MySpace per adulti” italiano.
Se invece siete ragazze+carine+geek e vi interessano i social media, adesso avete un motivo in più per fare un dottorato di ricerca…
P.S. A seguire si aprirà anche uno spazio per una voce critica ma informata sui social media alla Andrew Keen.
Poi non dite che io non vi avevo avvertito 😉

Un learning object per creare learning object

È più o meno questo l’obiettivo del progetto biennale Taccle (Teachers’ Aids on Creating Content for Learning Environments) nel quale sono coinvolto come rappresentante del centro di ricerca e sviluppo sull’eLearning di uniurb.
Nello specifico il progetto prevede la creazione di un libro di circa 150 pagine, di un sito web (nella forma di un wiki) e di un pilot course (4 giorni intorno ad aprile 2009) nel quale i materiali didattici verranno testati.
Il primo meeting si è svolto la scorsa settimana a Bruxelles ed ha già prodotto i primi risultati fra cui l’analisi SWOT del progetto, la definizione dei criteri per l’analisi dei bisogni del target group (docenti), la scaletta del libro, le piattaforme ed i criteri di collaborazione e promozione (Yahoo!Groups, Wikimedia, Joomla, del.icio.us e Moodle per il pilot course).
Vorrei potervi svelare nei dettagli la scaletta del libro (in tutto lo splendore della mindmap realizzata con FreeMind) ma non credo di essere autorizzato a farlo.
Penso però di poter condividere lo schema dei capitoli:

  • Introduction [5 pags]
  • Learning Environments [18 pags]
  • Pedagogical aspects [18 pags]
  • Learning Objects [66 pags]
  • Teaching in a networked space [18 pags]
  • Glossary [3 pags]
  • References [3 pags]

Vi tengo informati sullo sviluppo del progetto. Lo spirito è quello della massima apertura a collaborazioni esterne quindi qualsiasi commento, suggerimento o opportunità di collaborazione è assolutamente benvenuto.

P.S. Jens Vermeersch, responsabile del progetto, ha organizzato un meeting ineccepibile non solo dal punto di vista lavorativo, ma anche da quello sociale. In particolare se passate da Bruxelles e cercate un ristorante non potete perdervi il Viva m‘Boma, il fast food salutista Exki e sopratutto il delizioso Arrière Cuisine.

 

 

La vera storia del coniglio di plastica con le lucine colorate (2/2)

continua da La vera storia del coniglio di plastica con le lucine colorate (1/2)
Quando il coniglio (prontamente battezzato HvF) è arrivato ha subito preso confidenza con l’ambiente e fatto amicizia con i miei colleghi (fra l’altro ha anche voluto passare un fine settimana con una delle mie colleghe rischiando di essere rapito ma questa è un’altra storia)
Nel frattempo il 18 settembre Luca Conti riceve un messaggio da Consolata Lajolo di Violet che descrive e presenta il Nabaztag. Si tratta di uno di quei messaggi generici del tipo leggo con attenzione il suo Blog, bla bla, vi presento il mio prodotto. Luca risponde subito chiedendo di poter provare il coniglio e da Violet rispondono affermativamente. Vista la disponibilità Luca cerca allora di coinvolgere altri blogger nella prova su strada del coniglio e di strappare un affidamento a tempo indeterminato dell’oggetto in questione (o almeno uno sconto sull’acquisto). Ma da Violet questa volta rispondono picche, i Nabaztag, dopo il periodo di prova, devono tornare a casa. Luca ci rimane male più che altro per la scarsa attenzione che Violet mostra verso il passa parola attraverso i blog (ho lo scambio di email che mi ha girato), cerca di spiegare senza successo l’impatto positivo che un omaggio può avere sui blogger, etc. Nulla di fatto.
A questo punto mi faccio passare il contatto poiché ero alla ricerca più o meno disperata di uno sponsor last minute per il Festival dei Blog e dato che il coniglio sarebbe diventato protagonista del Treasure Hunt approfitto per inviare il fantastico documento di descrizione del progetto per gli sponsor e partner. La risposta è di quelle che non lasciano spazio a dubbi. Sono contenti dell’attenzione che gli dedichiamo e ci chiedono se possono mandarci cartoline ed altro materiale promozionale 😮 Uhm… non era proprio quello il mio scopo… dico di si lo stesso e lascio il nostro recapito.
Rimangono da trovare i premi. Il budget disponile di 1000 euro per dieci vincitori è risicatissimo. L’Ipod touch è fuori discussione per tempi di consegna e costo dell’oggetto. Il Nabaztag è anche lui fuori budget. Comprarne uno per la squadra vincitrice del Treasure Hunt non era proprio il massimo. Proviamo a chiedere ad un nostro fornitore uno sconto su altri modelli di Ipod e nel frattempo passo il contatto di Consolata al mio collega Luca che prova un ultimo tentativo. L’email di Luca non l’ho letta ma fatto sta che deve aver fatto breccia nel cuore coniglio di quelli di Violet che ci offrono 10 conigli al prezzo delle boutique (mi pare intorno agli 80 euro circa).
Improvvisamente l’opzione coniglio per tutti torna praticabile e visto il coinvolgimento dell’oggetto wifi nella caccia al tesoro anche particolarmente sensato. Si tratta di un oggetto ambito dai blogger ma comunque poco più di un giocattolo super tecnologico. A pensarci bene era il regalo perfetto.
A circa 10 giorni dall’inizio del Festival avevamo i regali e la caccia al tesoro era, nei limiti del possibile, sotto controllo. Rimaneva la questione dei Blog Awards. Premetto che l’idea di organizzare una premiazione dei migliori blog l’ho sempre considerata balzana fin dall’inizio. Esistono miriadi di metriche più o meno sensate per creare classifiche di blog, ma il metodo di certo più lontano dalle logiche partecipative della rete è quello di far scegliere i blog da premiare ad una giuria di esperti. Per quanto autorevoli e competenti queste persone possano essere, il metodo sarà sempre troppo dall’alto e lontano dalla grammatiche proprie della rete. Pensavo che non avrebbe funzionato e che bene che fosse andata saremmo riusciti a far passare la cosa sufficientemente inosservata da non essere travolti dalla polemiche.
coniglio-meme-small.jpgPensavo così, ma mi sbagliavo. Sottovalutavo infatti il potere del coniglio e di un banner realizzato in cinque minuti (dopo una improvvisata conversazione in Skype Chat con il comitato scientifico) dal mio collega Luca (non Conti ma Rossi) con uno slogan semplice semplice “Regala un Nabaztag al tuo blogger preferito”. Il mandato era chiaro, aumentare il numero di candidature provenienti dalla rete con una campagna di marketing virale basata su un bannerino.
Ma sottovalutavo anche un’altra cosa. In Italia c’è tutto un vasto mondo esterno alle logiche della rete ed immerso fino al midollo nella cultura di massa che mostra un crescente interesse verso il fenomeno dei blog. Ora questo mondo non è in grado di comprendere le logiche auto-organizzative della rete e dei mercati di nicchia. Per loro quello che conta sono le hit (o arrivare uno) e proprio in questa congiuntura astrale favorevole si sono trovati i Blog Awards (il premio è una dinamica comprensibile a chiunque abbia visto il Festival di San Remo almeno una volta in vita sua che si tratti di una canzone, di un blog, di un film o altro).
Da quel giorno in poi ho perso definitivamente il controllo della situazione. Il wiki usato per raccogliere le candidature (alla fine sono state oltre 200) perennemente bloccato in stato di modifica da parte di qualcuno ed in mano ad un pubblico non sempre “a prova di wiki”. I post ovunque da leggere con i relativi commenti, i commenti ricevuti sul blog e quelli da scrivere, le media partnership con Il Cannocchiale e con Radio Veronica e le telefonate dei giornalisti (si si avete presente l’articolo che uscito sul Corriere Magazine? Indovinate chi è la prima persona con cui ha parlato il giornalista?), la pubblicità sui quotidiani più o meno scroccata a Parole in Gioco.
Un crescendo ben rappresentato da questo grafico.
cdb_stats.png
Qui potete invece leggere le reazioni tracciate da Technorati.
Alla fine posso dire che è stato un Festival dei Blog in perfetto stile Conversazioni dal Basso. Questo tipo di conversazioni non esisterebbe infatti se non come differenza rispetto alle conversazioni dall’alto che sono poi quelle dei mezzi di comunicazione di massa. Proporre forme di dialogo fra questi due mondi che obbediscono a logiche che oggi, sopratutto in Italia, sembrano sideralmente distanti è, infondo, da sempre la mission di questa serie di eventi chiamata Conversazioni dal Basso. Una serie di eventi che non finisce ovviamente qui.
Il prossimo appuntamento, posso darlo sin da ora sarà a Pesaro nell’Aprile 2008 ed avrà una caratterizzazione più tradizionalmente scientifica. Ci piacerebbe dedicare l’evento al rapporto fra social media e generazioni perché è un tema che stiamo studiando. Ci piacerebbe organizzare un evento che veda protagonisti giovani ricercatori che studiano a diversi livelli il fenomeno dei blog, dei network sociali e delle culture partecipative. Ci piacerebbe ribaltare la logica dell’evento del workshop seminariale di aprile dove i blogger erano invitati a tenere relazioni e docenti e ricercatori a moderare il dibattito chiedendo al nostro nucleo storico di blogger – magari integrato da qualche nuovo elemento (si accettano candidature) – di moderare il workshop orientando ed organizzando la discussione intorno alle relazioni. Ci piacerebbe avere come ospite Henry Jenkins o Danah Boyd.
Ci piacerebbe… e a voi cosa piacerebbe?

Strati in rete

Segnalo con piacere questa discussione pubblica intitolata “Strati in rete: partecipazione e nuovi media” che si terrà sabato 13 ottobre a partire dalle ore 10 presso la casa CMC a Ravenna.
La presenza di Luca, Livia, Antonio e Amanda (per citare solo quelli che conosco personalmente) sono garanzia di un evento interessante.
Spero che, a proposito di partecipazione, qualcuno spenda due parole sul passaggio dal digital divide a quello che Henry Jenkins chiama participation gap.
Maggiori informazioni sul wiki della manifestazione.

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Mantellini su Grillo

Se sei di quelli che non frequentano i blog o la rete e al tempo stesso sei incuriosito ed interessato dal fenomeno v-day, lascia perdere i giornali ed ignora i commenti politici (ma tanto questo lo avevi già fatto, no?). 

Leggi invece questo post di Massimo Mantellini che spiega perfettamente il rapporto fra lo specifico uso del Blog fatto dallo staff del comico, il successo dell’iniziativa ed il resto della rete.

Credo che ci sia una sottile forma di paradossalità in tutta questa vicenda.

I media mainstream temono e descrivono Beppe Grillo come l’alfiere dei non mainstream media senza rendersi conto che il suo blog, nella sua totale unidirezionalità, rappresenta invece esattamente l’ultimo baluardo di un modo di usare la rete come un mezzo di comunicazione di massa (da uno a molti).

Il blog di Grillo è 1.0.

Evidentemente in un periodo di transizione ed in una nazione che non brilla certo per la cultura di rete si è creato uno spazio per questa forma specifica di comunicazione unidirezionale sul web.

Si tratta comunque di un fenomeno estremamente complesso, un vero caso di studi tutto italiano da portare alle conferenze internazionali di sociologia per anni, che non può essere compreso limitando lo sguardo al web.

Le dinamiche proprie della rete avvengono nel nostro paese in un contesto sociale specifico e particolarissimo dove la frustrazione di un gruppo crescente di persone che sente di non poter esprimere al meglio le proprie capacità a causa di una specie di tappo (non ho altro termine) rappresentato dalle diverse caste presenti in tutti i settori della vita pubblica italiana, sta effettivamente montando in un modo che lascia presagire una mutazione che, se non compresa per tempo e forse è già troppo tardi, non potrà essere indolore.

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The Erving Goffman plugin

Durante le scorse due settimane ho letto molto ma scritto poco.
Mentre il belpaese era chiuso per ferie il resto del mondo ha continuato a funzionare più o meno a pieno regime sfornando interviste, articoli e post interessanti.
Nonostante le difficoltà logistiche (ero in una zona coperta solo da gprs) sono riuscito a prendere nota delle cose più interessanti lette nel mio spazio su tumblr: FG-notes.
Il filo conduttore è sicuramente l’idea di privacy proposto dai social networks.
In un recente esperimento, un’azienda che si occupa di sicurezza informatica ha provato a creare un profilo fake ed invitare casualmente 200 utenti di Facebook come amici. Il 41% degli invitati ha accettato l’invito garantendo a questa utenza l’accesso ai propri dati personali disponibili sul proprio profilo.
Se un contenuto pubblicato sul web è esposto ad un pubblico indistinto, simile a quello delle comunicazioni di massa, con i social networks, però, si torna a parlare (anche) di contesto sociale e di un pubblico, quindi, non più indistinto.
Detto così potrebbe sembrare un passo indietro, una modalità più simile a quella del mondo reale, ma a guardarle con attenzione le cose sono particolarmente intricate.
Aggiornare il proprio status su Facebook significa rivolgersi al pubblico costituito dall’insieme dei propri amici ma scrivere sul wall di un profilo di Facebook, ad esempio, significa conversare con quella persona in presenza di un pubblico costituito dall’insieme di tutti gli utenti che possono avere accesso a quel profilo, ovvero gli amici del mio amico. Alcuni di questi saranno amici in comune, altri no. Dunque le conversazioni wall-to-wall mantengono un certo grado di serendipity ed indeterminatezza dell’audicence.
Muoversi efficientemente in un social network può richiedere competenze anche più complesse rispetto quelle di un blog. Chi possederà queste competenze in futuro sarà avvantaggiato tanto nella vita personale quanto in quella lavorativa. Per questo è importante, come mette bene in evidenza in questa intervista su CNET Henry Jenkins, inserire nei curricula le competenze relative alla new media literacy. A quanto pare, almeno negli Stati Uniti (dove il 97% dei teens ha accesso a Internet) non è tanto il digital devide a preoccupare quanto questo “partecipation gap” (ovvero la differenza fra chi conosce e sa usare i social media partecipando e non solo fruendo cultura e chi invece fa, anche di Internet, un uso a sola lettura).
Dunque su Internet la questione è anche più complessa del “semplice” farsi media (ovvero l’apprendimento di massa delle capacità di produrre e pubblicare contenuti per le masse). 
Ne parla Danah Boyd a partire dalla propria esperienza d’uso di Facebook e MySpace. Si è veramente liberi di rifiutare una richiesta di “amicizia” o esiste una forma di regola non scritta per cui bisogna accettare tutti? Cosa accade quando gli adulti entrano nel contesto dei giovani e giovanissimi? Cosa significa per un professore, essere amico di uno studente in Facebook?
In questo senso il caso di Facebook è esemplare poichè questo social network è passato attraverso progressivi livelli di apertura (prima Harvard, poi le Università americane più importanti, poi tutte le università americane ed infine la recente apertura a tutti).

I can’t help but wonder if Facebook will have the same passionate college user base next school year now that it’s the hip adult thing. I don’t honestly know. But so far, American social network sites haven’t supported multiple social contexts tremendously well. Maybe the limited profile and privacy settings help, but I’m not so sure. Especially when profs are there to hang out with their friends, not just spy on their students. I’m wondering how prepared students are to see their profs’ Walls filled with notes from their friends. Hmmm…
apophenia: loss of context for me on Facebook

Molto interessante, per questo, lo studio comparativo che Charlene Croft ha fatto fra Facebook e MySpace.
Forse ha ragione Henry Jenkins quando evidenzia le potenzialità che i social media hanno di offrire uno spazio per la collaborazione intergenerazionale privo di quei vincoli propri del mondo reale e, come afferma un lettore del blog di Danah Boyd:

(…) the real trend is the gradual loss of “context” — where people are less differentiated in their persona between school, work, and social worlds. (…)
Posted by Nathan D | August 10, 2007 11:41 PM Posted on August 10, 2007 23:41
apophenia: loss of context for me on Facebook

O forse, come ho scrive Jason Mittell in un commento ad un altro bell’articolo: Ian Bogost – A Professor’s Impressions of Facebook, abbiamo bisogno di piattaforme in grado di supportare, come avviene nella vita reale, diversi contesti sociali (Pulse, il social network di Plaxo implementa qualcosa del genere).
Una sorta di “plugin di Erving Goffman”.

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