Clay, Henry and Beth on Second Life

Credo sia interessante l’esperimento di Clay Shirky, Henry Jenkins e Beth Coleman di organizzarsi per sincronizzare la pubblicazione di un post su Second Life sui loro rispettivi blog.

Al di là della modalità ho imparato diverse cose interessanti leggendo questi tre post:

  1. Clay Shirky, proseguendo una sua riflessione già da tempo iniziata sugli aspetti demografici di Second Life, prevede che questo ambiente online multiutente sia destinato (e lo sarà anche in futuro) ad un pubblico necessariamente di nicchia. Quello che mi ha colpito di più è tuttavia la lucidità di alcune argomentazioni:
    • I mondi persistenti online (Second Life) e gli ambienti di gioco multi-utente (World of Warcraft) sono diversi ed la seconda categoria ha da sempre avuto molto più successo della prima in termini di numero di utenti.
      • Quando l’interazione è supportata dal gioco l’ambiente è fondato su regole semplificate e ben conoscibili (il cerchio magico di Huizinga) che sollevano gli ideatori e sviluppatori dal dover prendere in considerazione tutte le aspettative proprie della vita reale;
      • I giochi hanno uno scopo e sono studiati per rendere il raggiungimento di questo obiettivo difficile. Creando dunque le premesse per un accettazione da parte del giocatore di queste difficoltà ambientali;
      • Il realismo nel gioco non è essenziale perchè come dimostrato da alcuni esperimenti la percezione dell’ambiente circostanza in vista del raggiungimento di uno scopo passa in secondo piano ed i giocatori tendono ad adattare le proprie aspettative di realismo.
    • I mondi persistenti online funzionano tuttavia molto bene in specifici casi dove la gratificazione nel compiere un certo gesto può essere così alta da fare in modo che la nostra mente riempia i vuoti o funzioni comunque a partire da dettagli scarsi. Questo spiegherebbe il perchè dell’importanza del sesso in questi ambienti.
    • I mondi persistenti online sono delle buone idee impossibili da realizzare oggi pienamente a causa della mancata disponibilità di tecnologie che coinvolgano maggiormente la nostra sensorialità.
  2. Beth Coleman sembra invece decisamente più possibilista sulle effettive possibilità di Second Life (sopratutto in relazione al recente rilascio del codice sorgente del client) e snocciola dati ed eventi recenti che dimostrerebbero la sua ipotesi. Ho trovato interessante questo riferimento ad una versione modificata del client per accedere al mondo virtuale di Second Life, pensata specificamente per supportare il lavoro di ricerca sul campo con interviste e questionari.
  3. Infine Henry Jenkins parla dell’importanza di Second Life, come nuova specifica forma di cultura partecipativa. L’importanza delle pratiche interne al gioco può prescindere totalmente dal numero degli utenti che usano direttamente il gioco e coinvolge anche, attraverso le cronache dei media mainstream, chi il gioco non lo ha mai provato.

Credo che al di là di queste mie note (che di solito prendo per me stesso) questi tre pezzi vadano letti con grande attenzione perchè sono veramente interessanti.

Tutti gli autori, essenzialmente, concordano sul fatto che Second Life è oggetto di una attenzione (sia da parte dei media mainstream che da parte di quelli non mainstream) che supera, in un certo senso, l’importanza del fenomeno stesso. Di certo si è formato intorno a questo mondo persistente online un circolo vizioso che ha portato l’attenzione della stampa e gli annunci da parte di aziende ed istituzioni del loro ingresso in Second Life a rinforzarsi l’uno con l’altro. Penso che bisognerebbe provare a chiedersi come sia nato e come sia cresciuto nel tempo questo meccanismo. La mia sensazione è che Second Life, a partire dal nome, sia stato studiato su delle metafore potentissime e ben radicate nella cultura americana come il mito della frontiera, il self-made-man, l’economia di mercato ed il diritto alla proprietà privata.

Mi piacerebbe molto fare una ricerca sugli articoli dedicati da i media mainstream a Second Life.