Come quelli che mi conoscono sanno non si può certo dire che io sia un detrattore delle nuove tecnologie. Eppure esiste un aspetto dell’informatizzazione dei processi sul quale sono sempre stato contrario: il voto elettronico senza carta.
Si tratta di un tema cruciale per la democrazia.
Comprendo perfettamente gli enormi risparmi e la maggiore velocità della versione informatizzata del processo di voto ma qui si tratta più che altro di un problema di fiducia.
Fiducia nei progettisti e costruttori delle macchine per il voto (che l’hardware e il software siano privi di bug e che non siano essi stessi a prevedere meccanismi interni di truffa o backdoor), fiducia nel fatto che queste macchine non possano essere manomesse, fiducia che i dati non siano modificati durante la trasmissione…
Tutto questo sistema di trust concatenato mi fa ritenere troppo alta la soglia di rischio.
Ora se queste macchine per il voto (a quanto pare ce ne sono molte diverse versioni in uso degli Stati Uniti) rilasciassero una stampata del voto e questa venisse comunque deposta in un’urna, potrei anche accettare il rischio. Infatti il backup carteceo consentirebbe il ricalcolo manuale del voto in caso di contestazione (anche se questo avverrebbe appunto solo e soltanto in questo caso).
Eppure c’è qualcosa d’altro.
Il voto come inteso comunemente oggi, infatti, è una forma specifica di selezione fatta da una singola persona ma che deve rimanere disgiunta, per questioni di privacy dalla persona stessa.
La scrittura come medium ha tutte le caratteristiche per supportare questa forma di disgiuzione.
La logica operativa dei sistemi informativi, almeno per come si è andata sviluppando, invece è diversa. La mia sensazione è che sia intrinsecamente basata sul meccanismo di autenticazione/autorizzazione. Ovvero prima dici chi sei e poi fai delle cose. Questo consente al sistema di ricondurre ogni azione ad un singolo e consente livelli di autorizzazioni differenziati anche a seconda del propietario dell’oggetto sul quale si vuole agire.
Ora il modo in cui il voto elettronico senza carta è stato concepito mi sembra l’ennessima dimostrazione che un processo organizzativo non può essere informatizzato senza essere trasformato. Bisogna cercare di pensare out of the box, in modo creativo sforzandosi di guardare oltre al modo cui siamo abiutuati a concepire le cose e di accettare la logica delle tecnologie senza cercare di adattarla ai canoni cui siamo abituati.
Mi spiego meglio. In teoria un modo per rendere più sicuro il voto elettronico senza carta potrebbe essere quello di consentire al votante di ricontrollare, anche dopo aver effettuato il voto, il contenuto di quanto effettivamente registrato da queste macchine. Il problema qui è che dovrebbe esistere da qualche parte un database delle preferenze politiche dei cittadini e questo rappresenta ovviamente un grande rischio per la privacy.
Come al solito ad un certo punto c’è da un lato la privacy e dall’altro il funzionamento del sistema.
Alle volte mi chiedo se l’eterno ritorno di questo attrito fra privacy ed affidabilità sia un sintomo del fatto che la privacy è un concetto tipico della società moderna e che come tale va in crisi nella next society.