Se siete fra quanti sentivano la mancanza di un Grande Fratello (non quello di Orwell ma quello di Endemol) dentro il mondo di Second Life, eccovi accontentati.
(via Smart Lab)
Se siete fra quanti sentivano la mancanza di un Grande Fratello (non quello di Orwell ma quello di Endemol) dentro il mondo di Second Life, eccovi accontentati.
(via Smart Lab)
Anyhow, i went to City Hall to vote. At first, i was pretty humored. There were people of all ages and backgrounds standing on line to do their civic duty. When i got to the front, i asked if i could use a paper ballot; they looked at me like i was the devil and told me that this was a touchscreen only station. I decided i should suck it up and figure out how this touchscreen shit works so i didn’t argue. But OMG do i not feel secure about my vote. I went in and there was a big Diebold machine laughing at me. I was given a card that i had to put into the machine so that i could click a bunch of buttons on a screen and “submit” my vote. Did it count? I have no idea. I’m not even a technophobe and i don’t trust that damn thing. One of the things that i love about voting in SF is that i have to tear off this piece of paper at the top of my ballot; that confirms my vote and i can always go back with it and say, find my vote. I’m one of those crazy people who even keeps her pieces of paper until well after the election. When i cast my ballot in SF, i get to see the machine read it and the number go up – i can always see how many people voted before me. Here in LA? I have no idea. And i’m sooo not confident about the database behind that thing. I asked if i could get a receipt for my voting and the people looked at me once again like i had horns. They said that it counted, that it was all in the computer. (Damn techno-fetishism.) I made a less-than-thrilled face. One guy say and said, here, take this and handed me a sticker. Rather than simply saying that i voted, this sticker has the gaul to say “I voted touchscreen.”
Source: voting issues, take n
Originally published on Fri, 03 Nov 2006 16:18:50 GMT by zephoria (zephoria-vacation@zephoria.org)
Come quelli che mi conoscono sanno non si può certo dire che io sia un detrattore delle nuove tecnologie. Eppure esiste un aspetto dell’informatizzazione dei processi sul quale sono sempre stato contrario: il voto elettronico senza carta.
Si tratta di un tema cruciale per la democrazia.
Comprendo perfettamente gli enormi risparmi e la maggiore velocità della versione informatizzata del processo di voto ma qui si tratta più che altro di un problema di fiducia.
Fiducia nei progettisti e costruttori delle macchine per il voto (che l’hardware e il software siano privi di bug e che non siano essi stessi a prevedere meccanismi interni di truffa o backdoor), fiducia nel fatto che queste macchine non possano essere manomesse, fiducia che i dati non siano modificati durante la trasmissione…
Tutto questo sistema di trust concatenato mi fa ritenere troppo alta la soglia di rischio.
Ora se queste macchine per il voto (a quanto pare ce ne sono molte diverse versioni in uso degli Stati Uniti) rilasciassero una stampata del voto e questa venisse comunque deposta in un’urna, potrei anche accettare il rischio. Infatti il backup carteceo consentirebbe il ricalcolo manuale del voto in caso di contestazione (anche se questo avverrebbe appunto solo e soltanto in questo caso).
Eppure c’è qualcosa d’altro.
Il voto come inteso comunemente oggi, infatti, è una forma specifica di selezione fatta da una singola persona ma che deve rimanere disgiunta, per questioni di privacy dalla persona stessa.
La scrittura come medium ha tutte le caratteristiche per supportare questa forma di disgiuzione.
La logica operativa dei sistemi informativi, almeno per come si è andata sviluppando, invece è diversa. La mia sensazione è che sia intrinsecamente basata sul meccanismo di autenticazione/autorizzazione. Ovvero prima dici chi sei e poi fai delle cose. Questo consente al sistema di ricondurre ogni azione ad un singolo e consente livelli di autorizzazioni differenziati anche a seconda del propietario dell’oggetto sul quale si vuole agire.
Ora il modo in cui il voto elettronico senza carta è stato concepito mi sembra l’ennessima dimostrazione che un processo organizzativo non può essere informatizzato senza essere trasformato. Bisogna cercare di pensare out of the box, in modo creativo sforzandosi di guardare oltre al modo cui siamo abiutuati a concepire le cose e di accettare la logica delle tecnologie senza cercare di adattarla ai canoni cui siamo abituati.
Mi spiego meglio. In teoria un modo per rendere più sicuro il voto elettronico senza carta potrebbe essere quello di consentire al votante di ricontrollare, anche dopo aver effettuato il voto, il contenuto di quanto effettivamente registrato da queste macchine. Il problema qui è che dovrebbe esistere da qualche parte un database delle preferenze politiche dei cittadini e questo rappresenta ovviamente un grande rischio per la privacy.
Come al solito ad un certo punto c’è da un lato la privacy e dall’altro il funzionamento del sistema.
Alle volte mi chiedo se l’eterno ritorno di questo attrito fra privacy ed affidabilità sia un sintomo del fatto che la privacy è un concetto tipico della società moderna e che come tale va in crisi nella next society.
Valigia pronta fra un pò parto… devo prima passare a prendere Luca… poi un viaggetto in macchina di una durata compresa fra 5 ore (secondo Mappy) e 7 ore e 14 minuti (secondo Google Maps) per arrivare al luogo dell’incontro.
Qui troveremo Chiara, Romeo e Stefano per passare un fine settimana insieme, parlando di progetti intorno al Web 2.0 e passeggiando fra i vigneti delle colline piemontesi.
Per tutti quelli che, pur interessati alla faccenda, hanno declinato l’invito perchè le date scelte erano incompatibili con i loro impegni (Federico, Gabriele, GBA, Guido, etc.) conto di raccontare più o meno tutto nei prossimi post. Il vostro apporto e la vostra compagnia ci mancheranno ma sono sicuro che troveremo il modo di sviluppare le nostre collaborazioni sul tema insieme in futuro.
Per tutti gli altri che per vari motivi non hanno ricevuto un invito diretto, sono interessati al tema e che passano da quella parti in questi giorni… beh… sapete come e dove tovarci e sappiate che siete i benvenuti.
Recentemente abbiamo intervistato due medici che nelle scorse settimane hanno usato un tablet pc con connessione wireless per visualizzare le radiografie nel reparto di ortopedia dell’ospedale di Urbino. Si tratta di una delle fasi conclusive di un progetto di ricerca LaRiCA inziato un anno e mezzo fa e volto a studiare l’impatto delle reti senza filo sull’organizzazione e sulla comunicazione in un reparto ospedaliero.
In questo anno e mezzo abbiamo imparato molte cose. Di queste si parla diffusamente nel report di ricerca del progetto e, in un prossimo futuro, in una pubblicazione che stiamo curando con i miei colleghi. Molte altre cose invece le avevo già imparate curando altri progetti che riguardavano l’informatizzazione di organizzazioni esistenti.
Usare i computer e le reti al posto di carta e penna non può avvenire senza modificare in profondità le logiche organizzative di base. La maggior parte delle resistenze in questi casi viene dal non voler abbandonare posizioni di vantaggio quotidiano guadagnate nel tempo presso l’organizzazione. Le ICT con il loro criterio di autenticazione/autorizzazione supportano alla perfezione un modello organizzativo teoricamente perfetto dove ogni individuo ha compiti precisi e responsabilità connesse. Ma le realtà organizzative che ho visto io con i miei occhi non rispettano quasi mai questi criteri minimi di buona efficenza.
Quando si opera all’interno di organizzazioni come queste capita di vedere nascere al cospetto delle tecnologie della comunicazione una forma di straordinaria creatività volta a mantenere, nonostante e contro le tecnologie stesse, i requisiti di inefficenza pre-esistenti. Si cerca di piegare le soluzioni informatizzate in forme per le quali non sono state pensate e spesso, grazie all’innata superiorità dell’uomo sulla macchina, vi si riesce. Si va dal post-it giallo con la password attaccata sul monitor alla condivisione di uno stesso account per tutto un gruppo di lavoro, dallo scambiarsi nome utente e password personali al lasciare il computer loggato nel proprio profilo utente. Queste tattiche di resistenza andrebbero veramente studiate in profondità. Purtroppo questa straordinaria capacità di adattamento genera l’antipatico effetto collaterale di cancellare spesso tutti o quasi tutti i vantaggi che l’uso della tecnologia stessa avrebbe potuto comportare.
La soluzione tecnologica che abbiamo adottato è particolarmente semplice dal punto di vista tecnologico e sfrutta il fatto che in reparto era già in uso da tempo un servizio di radiografie via web server. Con il tablet pc ed il wifi in reparto è possibile portarsi le radiografie in giro (come si faceva un tempo con le lastre stampate), mostrarle al paziente durante il giro visita, zoommare e prendere appunti, usarle in sala operatoria e sala gessi.
In questo video (montato quasi per gioco e senza alcuna pretesa), le cui riprese sono state girate poco prima delle interviste che non posso invece per ovvie ragioni di rispetto della privacy condividere qui, è possibile farsi un’idea del funzionamento della cosa:
“Control is not discipline. You do not confine people with a highway. But by making highways, you multiply the means of control. I am not saying this is the only aim of highways, but people can travel infinitely and ‘freely’ without being confined while being perfectly controlled. That is our future.” — Gilles Deleuze, Two Regimes of Madness, pg 322